La mediazione: perché, quando e come

Nadia Bordoni 14/03/19
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Nell’ultimo articolo pubblicato l’11 gennaio u.s. abbiamo osservato i nuovi, o meno, metodi per risolvere le controversie. Oggi approfondiremo l’incontro con il più discusso e controverso: la mediazione per cercare ancora una volta di farne conoscere ed apprezzare la validità non solo come istituto giuridico ma anche e soprattutto come un nuovo modo per affrontare i disaccordi anche nella quotidianità.

La mediazione è il vero cambiamento del nostro sistema giudiziario

Il legislatore, infatti, con il D.lgs. 28/2010 e di seguito il D.M. 128/2010 porta le parti ad entrare in una forma mentis differente dall’attuale: devono rivolgersi ad una nuova figura definita mediatore civile, soggetto terzo ed imparziale, per la soluzione delle controversie, quindi imparando ad affidarsi, a dare credito ad una persona diversa da quella dell’avvocato, magari di fiducia, con il quale si sono relazionati da sempre per curare i propri interessi. Il mediatore civile, a sua volta, svolge un lavoro nuovo: è investito dall’Organismo a fungere come super partes dei soggetti in conflitto senza la possibilità di esprimere nessun tipo giudizio, lodo o sentenza ma deve portare con sé non solo le nozioni acquisite dalla singola professionalità ma deve anche saper utilizzare la propria intelligenza emotiva. Quest’ultima è quell’aspetto della nostra intelligenza, legato alla capacità di provare emozioni, riconoscerle e viverle in maniera consapevole che, purtroppo, a causa di schemi e convenzioni sociali, sino a poco tempo fa non era considerata come un elemento essenziale al fine di maturare una buona vita sociale fondata sull’interscambio, sulla capacità empatica e sul saper esteriorizzare le proprie emozioni, creando così un rapporto trasparente tra le persone, anche nella semplice quotidianità.

Il mediatore, nella fatti specie, dovrà, quindi, saper intuire i sentimenti, interessi e bisogni delle persone che si presenteranno a lui; questo gli consentirà di orientare nel modo più opportuno il proprio comportamento a favore dell’obiettivo finale, trovando la chiave di lettura per giungere alla soluzione della controversia nel modo più apprezzabile e soddisfacente per entrambe le parti. Questa capacità di comportamento la si recepisce già nell’osservare i caucus, le sessioni private tra il mediatore ed una delle parti: in questa fase le persone si sentono “particolari” ed ascoltate come se fossero uniche ed iniziando a conoscere il mediatore come persona gli affidano le proprie emozioni. La più diffusa tra queste è quella di non essersi sentiti rispettati come persone, a volte basterebbe il semplice uso della parola “scusa” per ridare dignità alla parte che si considera offesa e la possibilità all’altra di mettersi in discussione riallineando così i termini del conflitto e rendendo le parti più disponibili l’una nei confronti dell’altra. A prima vista queste osservazioni potrebbero dare l’impressione di banalizzare o rendere superficiale questo nuovo modo di affrontare la soluzione delle controversie. Tuttavia familiarizzandosi e allenando l’intelligenza emotiva, di fatto anche regalandoci più tempo ad ascoltarci, sarà presto evidente dimostrare il contrario anche nella stessa quotidianità.

Il procedimento della mediazione

Il D.lgs. 28/2010 s.m.i. è molto specifico in merito al “quando” stabilendo a chiare lettere nell’art. 5 che: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.

Sicuramente questo è un lungo elenco di materie che va a ricoprire la casistica più comune di problematiche affrontate in giudizio e proprio per questo motivo ritenute idonee per l’essere affrontate in mediazione.
Molto contestata in questi anni di vita della mediazione è stata la sua obbligatorietà ad essere esperita prima di poter procedere ad un giudizio: la cosiddetta condizione di procedibilità. E’ vero può sembrare che costringere qualcuno a compiere un “passo” diverso da quello del pensare di avere ragione o torto sia per così dire forte, drastico: come se lo Stato imponesse una modalità diversa di pensiero, tuttavia è anche vero che molto spesso le aule di Tribunale sono invase da problematiche a dir poco futili.
La mediazione essendo ancora poco conosciuta e non considerata dai più lo strumento valido per risolvere diversamente le controversie non viene sfruttata a 360° infatti nel 2017 solo il 9% è risultato essere su base volontaria e proprio qui si vede la difficoltà di far proseguire la parte “chiamata” alla mediazione visto che molto spesso non la conosce nel suo pieno essere e quindi la sottovaluta, teoria purtroppo a volte sostenuta anche da chi lo assiste. Quindi a voler ben vedere la validità dell’obbligatorietà ha una sua ratio, per lo meno sino a quando non si potrà dire che farà parte dell’humus comune del nostro Paese.
L’istituto della mediazione oltre ad essere poco conosciuto nel generale , lo è ancor di più nello specifico. Sempre nell’art. 5 al c.5 il legislatore dà un input in più fornendo un’ulteriore possibilità:“ Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l’arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto.

Questa possibilità d’indicare all’interno di un contratto una clausola di mediazione è ben poco utilizzata o consigliata, sottraendo agli utenti la possibilità di concludere con tempi brevi e costi più che ragionevoli delle diatribe che molto spesso nei rapporti commerciali hanno bisogno di essere riattivati e un’aula di tribunale, dove si cerca di sostenere solo le proprie posizioni, non è certo la più indicata.

Il legislatore italiano a differenza degli altri Europei, ha ritenuto opportuno creare gli Organismi di Mediazione cioè enti pubblici o privati che sono stati ritenuti idonei dal Ministero di Giustizia e quindi iscritti ad un apposito registro presso lo stesso.
Ad esso fanno riferimento i mediatori abilitati, altrettanto iscritti in un registro dedicato dopo aver effettuato corso abilitante. L’istanza di mediazione sarà presentata presso la segreteria dell’Organismo scelto secondo i criteri della territorialità.

L’apertura verso l’istituto della mediazione

Molto si è scritto e si scriverà ancora sulla mediazione, ma questo non sembra essere mai abbastanza. La difficoltà che incontra questo istituto, nonostante siano trascorsi quasi dieci anni dalla sua introduzione, ad entrare nella forma mentis della collettività è veramente arduo. Un cambiamento, il modo diverso, di prospettiva nell’affrontare le difficoltà in genere, non solo quelle che si dovrebbero affrontare in giudizio, ma anche quelle della quotidianità non sembra trovare il giusto appiglio.

Si sa che il nuovo fa sempre timore tuttavia opporsi ad un cambiamento vuol dire anche impedire e impedirsi di crescere attraverso la conoscenza di un nuovo percorso di modo di pensare diverso anche nelle relazioni che ci vedono coinvolti nella vita di tutti i giorni.

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