La mediazione familiare tra l’Inghilterra e l’Italia: una lettura comparata

Scarica PDF Stampa

Nel 1996 è stato fondato il Forum Europeo in Mediazione familiare con lo scopo di promuovere, sviluppare e coordinare la formazione e la ricerca nell’ambito della mediazione familiare elaborando uno standard di qualità per la pratica della mediazione familiare in Europa. A tal fine è interessante comparare l’esperienza inglese con quella italiana.

L’Inghilterra (col Galles) è stato il primo Paese europeo in cui è comparsa la mediazione familiare, infatti si può far risalire la sua nascita già al 1973 visto che nel 1974 (lo stesso anno del primo centro privato di mediazione familiare ad Atlanta, in Georgia) si pubblica un Rapporto in cui si parla di una nuova forma di conciliazione e la stessa è praticata da Lisa Parkinson, assistente sociale presso i servizi per la tutela dell’infanzia al Tribunale di Bristol. Sempre a cura di Lisa Parkinson, qualche anno dopo, tra il 1977 ed il 1978, si apre il primo servizio pubblico di “conciliazione familiare”. Da questi esordi, sia per le date sia per gli sviluppi, si potrebbe ritenere che la mediazione familiare in Inghilterra sia nata non tanto per influenza culturale degli U.S.A. quanto per autopoiesi del sistema sociale e giuridico (questo può essere considerato anche uno degli aspetti della cosiddetta “doppia genitura della mediazione familiare” nel senso che la mediazione, per le origini e per gli indirizzi e modalità nei vari Paesi, sembra seguire un doppio binario).

Negli anni ’80 la diffusione della mediazione riceve un impulso grazie al Consiglio Nazionale di Conciliazione Familiare (NFCC), ente che raggruppa la maggior parte dei servizi di mediazione “indipendente”, ossia non legata alle Corti.

Nel 1985 il NFCC elabora congiuntamente con l’Associazione degli Avvocati di Diritto di Famiglia un codice di pratica mediativa, che è osservato da tutte le organizzazioni affiliate al Consiglio (il NFCC ha preceduto così la figura e l’attività dell’UK College). A Londra nel 1986 è inaugurato ufficialmente un progetto di comediazione (è questa una delle peculiarità dell’Inghilterra) chiamato “Solicitor in Mediation” dove due professionisti, uno esperto nel campo delle relazioni umane e l’altro delle discipline giuridiche, cercano di raggiungere accordi di mediazione globale (un’altra peculiarità dell’Inghilterra). Nel 1988 nasce la prima Family Mediators Association, dalla cui denominazione si nota che la mediazione acquisisce una sua precisa identità rispetto alla conciliazione.

All’inizio degli anni ’90 sorgono numerose organizzazioni, senza però un riconoscimento ufficiale e senza un vero e proprio organismo centrale (a differenza di quanto avviene contemporaneamente in Francia).

Accanto alle organizzazioni “individuali”, opera l’UK College of Family Mediators, sorto dalla fusione di tre corpi preesistenti e la cui formazione, avviatasi il primo gennaio 1996, si è conclusa con la sua formale presentazione il 17 settembre dello stesso anno (anno cruciale per la mediazione familiare in Inghilterra e nel resto d’Europa). L’UK College, che agisce come un supervisore, dal 1998 ammette al suo interno tutti coloro che rispettano gli standard da esso stabiliti (tra il 1997 e il 1998 sono risultati iscritti al Collegio, sia come associati sia come membri effettivi, 800 mediatori familiari).

Dopo più di un ventennio di pratica, nel 1996, sia per far fronte all’elevato numero di divorzi (oltre 50.000 ogni anno) sia per una particolare attenzione che hanno sempre avuto gli inglesi per le tematiche sociali, viene emanata una nuova legge sul divorzio, il Family Law Act (solitamente denominato come FLA 1996-1999, perché l’entrata in vigore, implementation, era prevista, dopo una vacatio legis di tre anni, nel 1999 ma è stata poi nuovamente prorogata; solo la Parte IV, sulla violenza domestica, diversamente dal resto del FLA, è entrata in vigore sin dall’ottobre del 1997).

Questa legge (suddivisa in quattro parti, poi in sezioni corrispondenti ai nostri articoli e queste in punti corrispondenti ai nostri commi) si colloca al termine di una maturazione legislativa (come accaduto anche in Francia) cominciata nel 1969 con il Divorce Reform Act, per cambiare il procedimento di divorzio, e consolidatasi nel 1989 col Children Act, per la tutela dei minori (in cui si parla di parental responsability, responsabilità genitoriale e non di potestà genitoriale e di parenting plan, progetto genitoriale che i genitori in via di separazione devono presentare sin dalla prima udienza).  

La novità principale del FLA è l’abolizione dell’uso dell’asserzione della colpa dell’altro coniuge per la richiesta di divorzio.

Il legislatore è stato spinto a questa innovazione perché sino ad allora in Inghilterra vi era stato un continuo incrementarsi delle richieste di divorzio adducenti, come cause di fallimento del matrimonio, quelle basate sulla colpa dell’altro coniuge (cioè l’adulterio ed il comportamento intollerabile) non tanto perché ciò corrispondesse al vero, quanto piuttosto perché in quei casi la procedura era, senz’altro, più rapida, potendosi infatti ottenere il divorzio in soli tre mesi. Tale sistema, fra i vari aspetti negativi, contribuiva ad inasprire i rapporti tra le parti, a danno soprattutto dei figli, qualora ve ne fossero, e con costi sociali ed economici (quei costi di cui si parla espressamente nella Raccomandazione R(98)1 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla mediazione familiare) ed è tutto quanto il FLA si propone di evitare.

Infatti nella Section 1 sono enucleati quattro principi generali:

«a) l’istituto del matrimonio deve, in ogni modo, essere tutelato;

b) nel caso in cui i coniugi si accorgano che la loro relazione attraversa una profonda crisi, costoro dovranno essere in ogni modo incoraggiati nell’intraprendere ogni via praticabile per tentare di salvare l’unione;

c) nel caso in cui la stabilità del matrimonio sia ormai irrimediabilmente compromessa, lo scioglimento del vincolo dovrà avvenire riducendo al massimo gli affanni (stress) tanto per i coniugi, quanto per i figli; attraverso comportamenti, reciprocamente tenuti dai coniugi, che permettano il permanere del miglior rapporto possibile tra di essi, con particolare riguardo ai figli ed ai rispettivi interessi di natura economica; contenendo al massimo i costi della procedura volta ad ottenere lo scioglimento del vincolo;

d) qualunque probabile rischio dipendente da un eventuale comportamento violento tenuto da un coniuge nei confronti dell’altro o dei figli dovrà per quanto possibile essere estremamente contenuto o, addirittura, eliminato».

Questi principi, che hanno anticipato per sommi capi il Preambolo della R(98)1, richiamano il contenuto della Sec. 1730 California’s Code del 1939 e i quattro principi enucleati dal legislatore catalano nel Codice di Famiglia del 1997 a riprova che l’attenzione del legislatore per l’istituto familiare non ha limiti né di tempo né di spazio.

Fondamentalmente le finalità del FLA sono due: massima tutela del matrimonio e dell’unità familiare; in caso di inevitabile fallimento del matrimonio, centralità della mediazione familiare.

Il procedimento di divorzio passa attraverso varie fasi (check points).

Inizialmente è previsto un information meeting (incontro informativo) al fine soprattutto di fornire informazioni relative ai vari servizi di supporto alla famiglia, tra cui la mediazione, e aiutare la coppia a comprendere le conseguenze del divorzio, particolarmente per i figli.

Tre mesi dopo l’incontro informativo al giudice competente può pervenire la dichiarazione di break – down marriage, individuale o congiunta, mediante la quale le parti attestino il fallimento del rapporto matrimoniale (Sections 5 e 6 del FLA; in tale dichiarazione non deve essere necessariamente affermato che il matrimonio è in crisi in modo irreparabile, perché l’irreparabilità della rottura viene riconosciuta successivamente e formalmente dal giudice).

La Section 7 prevede il period for reflection and consideration (periodo di riflessione e valutazione), che può durare, salvo eccezioni, da un minimo di nove mesi (a decorrere dal quattordicesimo giorno successivo alla data in cui il giudice competente è investito della questione) ad un massimo di ventisette mesi. Questo spatium deliberandi è esplicitamente finalizzato a fare in modo che i coniugi «considerino la possibilità di salvare il rapporto matrimoniale riconciliandosi e, ove ciò fosse impossibile, riflettano approfonditamente circa l’impostazione del proprio futuro al di fuori della coppia, valutando con ponderazione gli effetti delle proprie decisioni» (Section 7, punti 1 e 2).

Ove la riconciliazione non fosse possibile, lo scopo principale del periodo di riflessione e valutazione è consentire alla coppia di concordare le modalità della separazione attraverso l’automediazione o l’eteromediazione.

L’automediazione si esplica negli accordi, di cui alla Section 9, mediante i quali i coniugi regolamentano i reciproci diritti e doveri di natura economica o riguardanti l’eventuale prole. Tali convenzioni dovranno, poi, essere sottoposte all’esame del giudice competente, affinché questi ne valuti la congruità prestando particolare attenzione alle disposizioni relative alla coppia ed al modo in cui viene tutelato il best interest dei minori. Gli accordi previsti nella Section 9 del FLA, tuttavia, non rappresentano una novità nell’ordinamento giuridico inglese. Da oltre un secolo, infatti, la giurisprudenza anglosassone ha elaborato la figura dei separation agreements, di quegli accordi cioè mediante i quali i coniugi stabiliscono di separarsi specificando al contempo i termini della separazione stessa. Nonostante la legge del 1996 non li menzioni esplicitamente, i separation agreements sono lo strumento analogicamente più vicino, oltre che il diretto antecedente, agli accordi previsti in astratto dalla Section 9 del FLA. Visto che nella legge mancano tanto uno schema di convenzione quanto precise linee di guida per la stipulazione (previste solo per gli accordi relativi alla prole nella Section 11), i separation agreements sono un valido modello di riferimento.

Successivamente la Section 13 (Directions with respect to mediation) prevede che il giudice, in qualsiasi momento del procedimento, può, su richiesta delle parti o d’ufficio, indirizzare le parti a partecipare ad un incontro esplorativo presso un servizio di mediazione (eteromediazione), affinché siano date loro spiegazioni sul procedimento di mediazione e i coniugi possano valutare se è l’intervento adatto per le loro controversie. Alla mediazione è dedicata tutta la Parte III.

Il procedimento termina col divorce order (Section 9) oppure, come prevede la Section 10, nel caso in cui soltanto uno dei coniugi abbia richiesto il divorzio, il giudice adito, dietro istanza dell’altro coniuge, può disporre che l’unione matrimoniale non debba essere dissolta. Un simile provvedimento (order preventing divorce) può essere adottato soltanto se venga giudizialmente accertato: a) che lo scioglimento del rapporto coniugale si tradurrebbe in un eccessivo sacrificio, non soltanto economico, per la parte che si troverebbe a subire il divorzio o per l’eventuale prole e b) che, considerate tutte le circostanze del caso (comprese la condotta dei coniugi e il preminente interesse dei figli), lo scioglimento del rapporto coniugale equivarrebbe ad un errore. Una siffatta ingerenza del giudice è possibile perché secondo il diritto inglese ogni mutamento dello status di un soggetto è materia che deve necessariamente riguardare l’autorità dello Stato (a differenza, per esempio, del Giappone ove si procede secondo l’idea che, così come il matrimonio, anche il divorzio deve essere lasciato alla più completa autonomia dei soggetti).

La normativa del FLA rappresenta indubbiamente un notevole sforzo legislativo che ha portato a risultati positivi: incontro informativo dei separandi; pluralità di servizi a sostegno della famiglia; promozione della mediazione familiare; rimedi per fronteggiare e limitare il più possibile gli episodi di violenza domestica; rappresentazione del divorzio non come mero procedimento bensì come scelta di vita (alla pari del matrimonio) che non si esaurisce con il provvedimento del giudice, ma si svolge nel tempo coinvolgendo non solo le parti interessate ma anche le persone vicine a cominciare dai figli.

Se certi sono gli aspetti positivi non mancano, però, quelli negativi.

Innanzitutto la legge del 1996 non propone una definizione della mediazione né dei criteri o degli standard cui fare riferimento così come non prevede i requisiti di formazione e di accesso all’attività di mediazione né il controllo su questa (a differenza della legge catalana del 2001) ed è sminuito il ruolo degli avvocati. Alcune di queste lacune sono state in parte ovviate in questi anni di attività.

Inoltre il legislatore inglese si occupa della mediazione familiare inserita nel procedimento di separazione e divorzio quando la crisi coniugale e familiare è spesso irreversibile, quindi è più una divorce mediation che una family mediation, intesa al cosiddetto buon divorzio così come si opera in Svizzera e altri Paesi anche extraeuropei e alla buon’amministrazione della giustizia.

Il period for reflection and consideration previsto dalla Section 7, commendevole per gli intendimenti del legislatore, appare fondato su una visione semplicisticamente ottimistica della realtà.

La volontarietà della mediazione in più punti è contraddetta. Infatti sin dallo information meeting le parti vengono incoraggiate a considerare il ricorso ai servizi di mediazione familiare; gli avvocati hanno l’obbligo di informare le parti sulla mediazione.

Il giudice ha il potere di ordinare che le parti partecipino ad un incontro di mediazione (S. 13); l’ordine specifica anche la persona che condurrà l’incontro e richiede che questa stenda una relazione che informi il giudice se le parti hanno partecipato all’incontro e se hanno acconsentito a partecipare ad incontri successivi con il mediatore familiare. Successivamente (Section 14 Adjourments) è previsto il potere del giudice di disporre dei rinvii, inclusi alcuni destinati a cercare di risolvere amichevolmente le controversie. Alla fine di questi rinvii il giudice chiederà una relazione che riferisca se le parti hanno iniziato e preso parte ad alcuna mediazione; se è stato raggiunto qualche accordo; se sono state risolte questioni e fino a che punto; se è necessaria altra attività di mediazione e se si ritiene che il proseguire con la mediazione sia potenzialmente proficuo. In tal modo sembra affievolirsi il percorso di self-empowerment e di progettualità tipico della mediazione familiare e prevalgono i caratteri della conciliazione dal cui alveo è sorta la mediazione in Inghilterra.

Quest’ultima disposizione come tutta la disciplina rischia di determinare una burocratizzazione della mediazione familiare (com’è avvenuto in Italia per il tentativo di conciliazione per mezzo del presidente del Tribunale), inutili lungaggini e una coazione al mantenimento del vincolo matrimoniale.

In Italia, invece, la mediazione familiare in senso tecnico è giunta, per merito di Fulvio Scaparro e Irene Bernardini, circa un decennio dopo rispetto all’Inghilterra ed il primo riferimento legislativo nazionale (cioè non regionale) risale al 1997, solo un anno dopo la legge inglese e in una legge non afferente la mediazione familiare ma un’altra materia, come già accaduto nel paese anglosassone. Difatti la L. 28 agosto 1997 n. 285 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” nell’art. 4 rubricato “Servizi di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali”, alla lettera i prevede “i servizi di mediazione familiare e di consulenza per famiglie e minori al fine del superamento delle difficoltà relazionali”.

Quest’articolo, il cui contenuto rappresenta una generalizzazione dell’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne come prevista dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66 “Norme contro la violenza sessuale”, delinea i tratti salienti della mediazione familiare in Italia. Infatti questa è nata per geminazione dall’esperienza, in gran parte fallita, dei consultori familiari istituiti nel 1975 e non come attività stragiudiziale, a tutela principalmente dei minori, come intervento in situazioni di disfunzioni relazionali familiari e non solo di separazione e divorzio come in Inghilterra.

Quest’identità è stata confermata dall’art. 342 ter cod. civ., aggiunto dalla L. 4 aprile 2001 n. 154 “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, che nel secondo comma recita: “Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati”.

L’ultima menzione legislativa è quella dell’art. 155 sexies cod. civ., aggiunto dalla L. 8 febbraio 2006 n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, ove nel secondo comma si legge: “Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.

Un intervento legislativo tanto atteso quanto criticato a cominciare dal linguaggio improprio, in quanto le espressioni “tentare” e “raggiungere un accordo” si addicono più alla conciliazione che alla mediazione. Tralasciando le critiche, quello che emerge è che l’impostazione normativa della mediazione familiare in Italia è completamente diversa da quella del sistema inglese. Nel nostro ordinamento non è ipotizzabile l’obbligatorietà nemmeno di un incontro di mediazione a titolo informativo, perché sarebbe contraria alla nostra cultura (storica la tesi del giurista Jemolo, secondo cui la famiglia è un’isola che può essere soltanto lambita dal diritto) e ancor più ai principi costituzionali e civilistici del matrimonio e della famiglia. Il nostro legislatore, in tutti e tre gli interventi, preferisce parlare di mediazione e non di mediatore lasciando aperta la questione se la mediazione familiare sia da intendere come competenza o come professione. Ricordando che la figura professionale degli psicologi è stata disciplinata con la L. 18 febbraio 1989 n. 56 e quella degli assistenti sociali con la L. 23 marzo 1993 n. 84, per avere una risposta alla suddetta querelle bisognerà attendere.

Continuare a parlare, però, di gap dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei ed extraeuropei circa la legiferazione in materia di mediazione familiare non sembra opportuno, perché dall’ultimo riferimento del 2006 risalta chiaramente il trend del nostro legislatore per l’interesse dei minori e la cultura della mediazione (senza alcuna aggettivazione). Rilevante la rubrica dell’ultima, per il momento, legge regionale in materia, la L. 24 dicembre 2008 n. 26 della Regione Lazio “ Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare” di cui è significativo anche il primo comma dell’art. 1: “La mediazione familiare è un percorso che sostiene e facilita la riorganizzazione della relazione genitoriale nell’ambito di un procedimento di separazione della famiglia e della coppia alla quale può conseguire una modifica delle relazioni personali tra le parti”.

Quanto sia delicato legiferare su questa materia lo dimostrano le contestazioni dell’Ordine degli psicologi del Lazio e i ricorsi per illegittimità costituzionale della summenzionata legge regionale del Lazio.

In definitiva caratterizza l’esperienza italiana il fatto che la mediazione familiare non è intesa nel filone dell’ADR (Alternative Dispute Resolution), come in Inghilterra o in altri Paesi, ma nel solco della centralità della persona, nella sua integrità, in maniera conforme alla nostra Costituzione, il cui iperonimo è proprio la mediazione in senso lato.

 

 

Marzario Margherita

Docente, laureata in giurisprudenza e perfezionata in legislazione minorile, cultrice di diritto di famiglia

 

Dott.ssa Marzario Margherita

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento