La legge Cirinnà, ovvero come nasce la tutela dei diritti delle unioni omosessuali

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  1. Dal diritto vivente a quello scritto

Soprattutto grazie all’opera innovatrice svolta in più occasioni dai giudici e, in particolare, dalla Corte di Cassazione, il nostro ordinamento può oggi vantare una legge in materia di unioni civili.

Ciò che occorre innanzitutto precisare è che si tratta soltanto di un primo passo verso un’auspicabile disciplina più ampia. Secondo alcuni si tratta di un piccolo passo; altri invece ritengono si tratti di una conquista. A mio parere la grande conquista è essere passati da un clima di sostanziale omertà ad uno in cui si parlava in ogni situazione di unioni tra persone dello stesso sesso. Una mossa politica? Probabilmente sì, ma vorrei rassicurarvi: raramente l’introduzione di nuovi istituti non risponde ad un più ampio progetto strategico delle forze politiche di maggioranza

In ogni caso e al di là delle personali opinioni, si tratta della legge che attualmente disciplina le unioni tra persone dello stesso sesso. La comunità LGBT può fare riferimento alla legge n. 76 del 20 maggio 2016, detta legge Cirinnà, ed è assolutamente necessario studiarla, approfondirla, conoscerne le pieghe più nascoste in cui nasce il primo riconoscimento delle coppie omosessuali nell’ordinamento italiano. Va tenuto a mente che accontentarsi di una base da migliorare significa impegnarsi a trattarla come se fosse un blocco di marmo grezzo, da scolpire, modellandolo fino a raggiungere la perfetta identità tra ciò che si realizza e ciò che si era immaginato.

  1. Il diritto alla vita familiare

Era il 2012 quando la sentenza n. 4184 della prima sezione della Corte di Cassazione fece riferimento al diritto alla vita familiare anche per le coppie omosessuali. Ancora non era stato avviato l’iter parlamentare che porterà all’approvazione della legge Cirinnà e la Corte di Cassazione si trovò, come spesso accade, a dover colmare delle lacune con il riferimento a principi generali. Nel caso di specie il riferimento fu all’art. 2 della Costituzione, laddove pone a carico della Repubblica il compito di garantire “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. La Corte di Cassazione – anche riferendosi al principio di uguaglianza formale e sostanziale tutelato dall’art. 3 della Costituzione – riconosce in buona sostanza il diritto alla vita familiare come un diritto inviolabile dell’uomo.

Fu evidente fin da subito l’impatto che tale pronuncia avrebbe avuto.

  1. L’importanza di una legge parziale

La storia della legge Cirinnà inizia il 15 marzo 2013 con il deposito in Senato del disegno di legge S-14. Tale atto resta sostanzialmente lettera morta, attraversando un biennio di silenzio.

Nel mese di ottobre 2015 inizia finalmente la discussione in Senato dell’atto S-2081, che riuniva il disegno di legge S-14 e altri presentati successivamente, che sarà poi affidato alle varie Commissioni. Il testo giungerà all’esame del Senato nel mese di febbraio 2016.

Il disegno di legge S-2081, titolato “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” aveva il preciso e chiaro fine di introdurre, nell’ordinamento giuridico italiano, la regolamentazione delle unioni omosessuali.

Si trattava di un testo che unificava ben undici disegni di legge ed era accompagnato da un’accorata relazione, in cui si invitava i membri dell’Aula a riconoscere l’importanza del riconoscimento delle coppie di fatto.

Nell’art.1 dell’atto S-2081, poi ripreso nella legge Cirinnà, il riferimento è all’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale. Il tentativo era probabilmente quello di elevare il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, richiamandone la dignità costituzionale. Si creava in questo modo un sostanziale legame tra la legge ordinaria che si intendeva introdurre e il principio contenuto nell’art. 2 della Costituzione, così come interpretato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 4184/2012.

Approvato da entrambe le Camere, il testo dell’atto S-2081 diventa ufficialmente la legge 76 del 20 maggio 2016, a firma del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

  1. Cosa prevede la legge Cirinnà: requisiti, diritti e doveri

La legge Cirinnà prevede alcuni requisiti perché due persone omosessuali possano costituire un’unione civile. Innanzitutto è chiesto che entrambe le parti siano maggiorenni, che il consenso non sia estorto con violenza o incutendo timore, e che non sussistano cause impeditive, ovvero che le parti non siano già vincolate da precedenti matrimoni o da altra unioni civili.

Un’altra causa impeditiva dell’unione civile tra persone dello stesso sesso è l’interdizione di una delle due parti per infermità di mente. Si richiama, inoltre, l’art. 87 del codice civile che vieta il matrimonio tra persone legate da vincoli parentali. Anche nel caso dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, l’esistenza di un legame parentali tra le parti costituirà causa impeditiva per la sua costituzione.

La legge Cirinnà prevede inoltre la nullità dell’unione civile qualora una delle parti sia stata condannata per l’omicidio consumato o tentato nei confronti della persona coniugata o unita civilmente all’altra parte.

Il verificarsi di una o più di queste cause impeditive rende nulla l’unione civile tra persone dello stesso sesso.

La formulazione dei diritti e dei doveri ricorda in parte quanto stabilito dall’art.143 del codice civile in materia di matrimonio. È proprio l’ottenimento del riconoscimento dei diritti e dei doveri ad aver risposto all’esigenza di regolamentazione delle unioni omosessuali. Quelli che probabilmente appaiono diritti e doveri  quasi scontati per le coppie eterosessuali coniugate sono stati oggetto di rivendicazione da parte delle coppie omosessuali, cui l’accesso all’istituto del matrimonio era ed è precluso. A differenza di quanto previsto per le persone eterosessuali coniugate, per le coppie omosessuali non era previsto ad esempio l’obbligo di assistenza morale e materiale.

La legge Cirinnà estende, dunque, anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, parte dei diritti e dei doveri che il codice civile pone a carico dei coniugi. Dalla costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso derivano l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Le persone unite civilmente concordano l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune.

Per quanto riguarda i rapporti economici, la legge Cirinnà prevede che il regime patrimoniale ordinario è la comunione dei beni. Resta salva, così come nel matrimonio, la facoltà per le parti di pattuire una diversa convenzione patrimoniale.

  1. La vittoria di Pirro della famiglia di fatto

Numerosi e molto importanti sono i diritti oggi garantiti alle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Si ricorda che le parti che hanno costituito un’unione civile hanno diritto agli stessi diritti previsti per i coniugi sia per quanto riguarda la detenzione carceraria che per quanto concerne il ricovero ospedaliero. In realtà, la legge Cirinnà estende questi diritti anche a coloro che, pur non avendo contratto matrimonio né costituito unione civile tra persone dello stesso sesso, convivano stabilmente e abbiano stipulato un contratto di convivenza.

A ben guardare, la legge Cirinnà costituisce però una vittoria di Pirro per la comunità LGBT. Innanzitutto perché restano escluse dalla disciplina le adozioni. In particolare il riferimento è alla stepchild adoption (letteralmente “adozione del figlio affine”), ovvero l’istituto che consentirebbe l’adozione del figlio biologico o adottivo del partner. Il testo originario prevedeva questa possibilità. Si può ipotizzare che l’esclusione di tale facoltà per le unioni civili tra persone dello stesso sesso sia stata motivata da ragioni culturali. La Chiesa, che con la sua dottrina influenza inevitabilmente la collettività, non ha mai nascosto la propria contrarietà alla stepchild adoption per le coppie omosessuali.

Ma non tutto è perduto. Resta infatti la disciplina previgente in materia di adozioni, secondo cui possono procedere all’adozione le coppie sposate da almeno 3 anni e quelle che abbiano convissuto more uxorio per almeno 3 anni purchè siano coniugate al momento della richiesta. Tuttavia, come richiamato anche nella legge Cirinnà, resta salvo quanto previsto e consentito in materia di adozioni nelle norme vigenti. Resta, in sostanza, la possibilità per il giudice di pronunciarsi in merito ai casi di adozione da parte di coppie omosessuali.

Il riconoscimento giuridico delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, pur costituendo un importante momento evolutivo non elimina la discriminazione di fondo che resta nel nostro ordinamento. Alle persone omosessuali resta infatti preclusa la facoltà di unirsi in matrimonio, essendo previsto un istituto che, pur essendo un doppione, prevede una tutela solo parziale delle coppie omosessuali. Proprio perché non vi è un rinvio totale alla normativa dettata dal codice civile in materia di matrimonio, la disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso non raggiunge uguale ampiezza di diritti e doveri. Inoltre, non pare rispondente al principio di uguaglianza ammettere, nel territorio italiano, il riconoscimento seppur mediato dall’intervento dei giudici dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero senza ammettere all’interno dello stesso la possibilità di contrarlo.

 

Dott.ssa Ciriello Maria Francesca

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