La cannabis e le illusioni pseudo-progressiste

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Premessa: a causa dell’ assai ambigua e strumentalizzata L. 242/2016, sono stati aperti, in territorio italiano, molti canapai per la vendita libera di prodotti a base di canapa indica privi di effetto drogante, ovverosia con un basso tenore di THC, compreso tra lo 0,2 % e lo 0,6 %. Si tratta del mito, inutile e criminogeno, della canapa “ light “. Fortunatamente e lodevolmente, in data 30 Maggio 2019, le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno precisato in maniera giustamente conservatrice e tradizionalista, che: “ La commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio e resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ ambito dell’ applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’ attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune [ dell’ UE ] delle specie di piante agricole, ai sensi dell’ art. 17 della direttiva 2002/53 CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati [ … ] [ Di conseguenza ], integrano il reato di cui all’ articolo 73 commi 1 e 4 del dpr 309/1990 le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa, salvo che tali prodotti siano [ totalmente ] privi di efficacia drogante [ anche sotto lo 0,2 % di tenore di THC ] “

Profili legislativi e giurisprudenziali

            Dopo la svolta anti-conformistica segnata dalla Cassazione nel Maggio 2019, l’ Ordinamento penale italiano si sta rendendo conto della profonda pericolosità giuridico-sociologica insita nella legalizzazione della cannabis. Il mito radical-chic dell’ uso ludico-ricreativo della marjuana finge di ignorare che il THC non è per nulla una “ droga leggera “. I cannabino-derivati, infatti, cagionano conseguenze disastrose, sotto il profilo psico-fisico, disinibiscono l’ aggressività e s’ innestano in un contesto irreversibile di danni e di vere e proprie patologie estremamente dannose per il cervello. La canapa light, prima della recente e provvidenziale svolta della Giurisprudenza di legittimità, era un preludio, inquietante e silenzioso, che apriva le porte ad un modello di società giovanile e giovanilistica fondata sull’ edonismo libertino di una vita priva di valori e di resistenza alle frustrazioni.

Il tetra-idro-cannabinolo legalizzato è o, perlomeno, rischiava di essere il primo passo verso un tessuto collettivo a-morale, anarchico ed opposto alla “ tutela [ della ] salute come fondamentale diritto dell’ individuo e interesse della collettività “ ( comma 1 Art. 32 Cost. ). L’ assai ambigua L. 242/2016, almeno a livello di ratio, non intendeva intaccare il campo precettivo degli Artt. dal 72 all’ 86 TU 309/1990, in tema di illeciti penalmente rilevanti connessi alla fabbricazione, coltivazione e spaccio di sostanze stupefacenti e psicotrope. Ovverosia, “ è vietata, nel territorio dello Stato [ italiano ] la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all’ articolo 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’ articolo 27 TU 309/1990 e consentiti dalla normativa dell’ unione europea “ ( comma 1 Art. 14 TU 309/1990 ). Dunque, ex n. 4) lett. a) comma 1 Art. 14 TU 309/1990, sono sempre e comunque sottoposti a restrizioni securitarie la coltivazione e lo spaccio di “ ogni [ … ] sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia la capacità di determinare dipendenza fisica o psichica “. Tutto ciò premesso, nei Lavori Preparatori della L. 242/2016, si legge che “ questa legge è mossa dalla ratio di promuovere e diffondere, nel sistema produttivo italiano, l’ uso della canapa, in particolare della canapa sativa, nei molteplici settori [ non tossico-voluttuari ] in cui la canapa può essere impiegata [ per ] ricreare le condizioni per far ripartire la filiera nazionale della canapa, la cui coltivazione è considerata necessaria ( ? ) per un ulteriore incremento del settore agricolo “.

In realtà, a parere di chi redige, la L. 242/2016 ha ipostatizzato gli usi industriali, alimentari, tessili e cosmetici della cannabis, la quale, per la verità, non è assolutamente e nemmeno urgentemente indispensabile per l’ assemblaggio di fibre edili o per la commercializzazione di oli e tisane varie. Molto probabilmente, talune corporazioni ideologiche e partitiche hanno preparato, sin da subito, una pessima e perversa strumentalizzazione della L. 242/2016 per giungere, silenziosamente e lentamente, alla delimitazione di una zona grigia provvisoria, con l’ implicito intento di legalizzare e liberalizzare le droghe mendacemente qualificate come “ leggere “. Del resto, ognuno ricorda, in Canton Ticino, l’ esperienza a dir poco tragica dei sacchetti odorosi, delle caramelle al THC, delle bevande alla canapa e di altri “specchietti per le allodole “ adeguatamente e nascostamente pilotati dal narcotraffico internazionale.

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Anche i tessuti di canapa ed i tanto decantati impacchi rilassanti al THC non risolvono di certo i problemi commerciali del made in Italy e del settore agroalimentare. In buona sostanza, anche se non mancano ombre interpretative e pesanti fraintendimenti, più o meno voluti, il comma 2 Art. 1 L. 242/2016 precisa che è legalizzabile soltanto la cannabis con uno scarso tenore di principio attivo drogante, giacché “ essa [ la L. 242/2016 ] si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle varietà e delle piante agricole di cui all’ articolo 17 della direttiva UE 2002/53/CE approvata dal Consiglio d’ Europa il 13 giugno 2002 [ e queste varianti ] non rientrano nell’ ambito di applicazione del testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope di cui al dpr 9 ottobre 1990, n. 309 “.

Quindi, la L. 242/2016 non ha intaccato la precettività del comma 1 Art. 26 TU 309/1990, che ammette il caso eccezionale “ della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali diversi da quelli di cui all’ articolo 27 e consentiti dalla normativa dell’ UE “. Ciononostante, alla luce di pregresse esperienze legislative occidentali, si ribadisce che gli usi non tossico-maniacali della cannabis sono scarsi e, per conseguenza, è facile, a livello pratico, superare il confine, tutt’ altro che nitido, tra cannabis senza effetto drogante e marjuana con effetto drogante. Sotto il profilo empirico, è difficile impedire lo sconfinamento dell’ Art. 26 TU 309/1990 nel campo sanzionatorio degli Artt. dal 72 all’ 86 TU 309/1990 ( Titolo VIII, repressione delle attività illecite – Capo I, disposizioni penali del TU 309/1990 ).

Le problematiche criminologiche connesse alla canapa dipendono anche da peculiarità botaniche decisamente a-tipiche, nonché facilmente strumentalizzabili. Ovverosia, le piantine di cannabis contengono sia il chemiotipo CBD ( cannabidiolo ), per usi leciti farmaceutici, alimentari ed industriali, sia il chemiotipo THC ( delta-9-tetra-idro-cannabinolo ), impiegato per usi tossicomaniacali ma pure analgesici, come nel caso del Sativex spray per la terapia del dolore ad eziologia oncologica. Dunque, il TU 309/1990 ha dovuto distinguere tra impieghi legali ed abusi illeciti e tale diversificazione, ad eccezione dell’ oppio e dell’ efedrina, non esiste per altri stupefacenti come la cocaina, i funghi allucinogeni, gli acidi e l’ MDMA. Vero è pure che, in Italia, prevaleva l’ uso esclusivamente tessile della canapa, come dimostra, a livello di Storia del Diritto, la L. 396/1923. Anche  negli Anni Trenta del Novecento, la marjuana costituiva un’ eccezione percepita come lontana e stravagante.

Parimenti, nella L. 1041/1954, l’ attenzione era concentrata su altri preparati ad effetto drogante, come il papavero da oppio e la morfina. Soltanto la L. 685/1975 ha distinto tra il THC e le fibre o l’ olio di canapa e questa differenziazione ha fondato, nel 1990, la basilare ratio del comma 1 Art. 26 TU 309/1990, il quale vieta “ la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all’ articolo 14 [ TU 309/1990 ], ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’ articolo 27 e consentiti dalla normativa dell’  Unione europea “. Del resto, tale è pure il Principio fondamentale del n. 4 comma 1 lett. a) Art. 14 TU 309/1990, che vieta di coltivare o sintetizzare “ogni [ … ] sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia la capacità di determinare [ non per finalità farmacologiche ] una dipendenza fisica o psichica “. Ora, alla luce del comma 1 Art. 26 TU 309/1990, il Regolamento CE n. 73/2009 del 19 gennaio 2009, recepito dall’ Art. 4 L. 242/2016, consente di coltivare cannabis “light “ con un tenore di THC non superiore allo 0,2 % e, quindi, non pericolosamente psicoattivo.

Tale medesimo Art. 4 L. 242/2016 dispone anche “ forme di sostegno dirette agli agricoltori “ nell’ ambito delle politiche agricole europee, ma “ solo se le varietà [ di canapa ] coltivate hanno un tenore di tetra-idro-cannabinolo non superiore allo 0,2 % “ ( Art. 39 L. 242/2016. Si veda anche lo speculare e sovra-ordinato Regolamento CE n. 73/2009 del 19 gennaio 2009 ). Peraltro, sia concesso a chi redige di domandarsi e di domandare il perché di cotanta solerzia dell’ UE nei confronti della canapa e non verso altri ben più importanti beni agro-alimentari della tradizione italiana, come il frumento, il riso, i cereali ed il mais. Anche il comma 4 Art. 87 L. 242/2016 manifesta una premura quasi maniacale nei confronti delle sementi di cannabis sativa per usi industriali, come se l’ Unione Europea non dovesse affrontare altre assai più gravi problematiche afferenti al settore dell’ agricoltura.

Pare quasi che la canapa ad uso industriale ed alimentare rappresenti la sospirata soluzione alle miriadi di fattori critici che affliggono il settore primario degli Stati membri dell’ UE. Anzi, il Preambolo della L. 242/2016 dichiara la necessità urgente e perentoria di incentivare, da subito, le colture di canapa con un THC inferiore allo 0,2 %, e ciò nel nome di una retorica e falsa protezione degli agricoltori europei, diligentemente ed irrealisticamente impegnati nell’ epica impresa di non far mancare al popolo preziosi cosmetici e indispensabili tisane a base di cannabinoderivati. Anche il Regolamento CE n. 73/2009 rasenta il ridicolo ed impiega un’ enfasi che suscita il sorriso. Inoltre, come se non bastasse, il DL 24 giugno 2014, n. 91 precisa che, in caso di errore non doloso nella scelta delle sementi, non è, comunque, penalmente rilevante ex Art. 73 TU 309/1990 coltivare canapa light con un tenore di THC non superiore allo 0,6  %. Al di sopra di tale soglia, scatta, invece, l’ applicabilità degli Artt. dal 72 all’ 86 TU 309/1990, con il conseguente obbligo di distruggere le piantagioni. In buona sostanza, la L. 242/2016 è stata il cavallo di Troia attraverso il quale lo pseudo-progressismo italiano ha tentato di far entrare, nel TU 309/1990, la depenalizzazione totale ed anti-proibizionistica della marjuana.

La forbice del tenore di THC tra lo 0,2 % e lo 0,6 % si stava trasformando, prima del coraggioso intervento della Cassazione nel Maggio del 2019, in un sottile stratagemma ideologico per insinuare, lentamente, nell’ opinione pubblica italiana, la mendace e fuorviante convinzione che la cannabis sarebbe una droga “ leggera “ e, tutto sommato, innocua o financo salutare.

L’ industria  agroalimentare italiana reca senza dubbio altri problemi e non necessita affatto di un sostegno urgente alle colture di canapa. Il Ministero delle Politiche Agricole, nella propria Circolare del 22 maggio 2018 n. 70, esalta idiozie come le fibre, gli oli ed i cosmetici cannabinoderivati, ma, nel lungo periodo, l’ intento sottaciuto è e rimane quello di legalizzare ad libitum la marjuana. Le esperienze della Svizzera e dell’ Olanda rivelano che la coltivazione ed il commercio di cannabinoidi, anche se legalizzati, generano sempre un sottobosco criminale e criminogeno. L’ agricoltura ed il comparto tessile manifestano lacune ben più preoccupanti. Parlare, nella L. 242/2016, di infusi, the e birre al THC è la prima pietra di una liberalizzazione ipocrita e tragica che trasformerebbe la gioventù italiana in un ostaggio perenne dello squilibrio psico-fisico inevitabilmente cagionato dal THC. Il passo dalla legalità all’ illegalità è breve, seppur ben nascosto dall’ elegante propaganda di un’ Unione Europea irresponsabile e parolaia.

Nella Giurisprudenza italiana di legittimità, Cass., sez. pen. VI, 27 novembre 2018, n. 56737 ha fornito un’ interpretazione restrittiva della pur sempre discutibile L. 242/2016, poiché “ la liceità della cannabis è circoscritta alla sua coltivazione ed alla destinazione dei prodotti coltivati entro l’ alveo delle previsioni esplicite contenute nella legge n. 242 del 2016. Le disposizioni di questa legge che consentono, a certe condizioni, la coltivazione della cannabis sono ritenute norma eccezionale e sicuramente non estensibili per analogia alle altre condotte disciplinate dal dpr 309 del 1990, tra le quali la vendita e la detenzione [ di marjuana ] per il commercio [ … ] la presenza di un principio attivo sino allo 0,6 % è consentita solo per i coltivatori e non anche per chi commercia prodotti derivati dalla cannabis “. Quindi, in estrema sintesi, Cass., sez. pen. VI, 27 novembre 2018, n. 56737 distingue, da un lato, tra oli, cosmetici, alimenti, tessuti e fibre alla canapa e, dall’ altro lato, foglie, resina, pasta e peli ghiandolari da fumare non per finalità medico-curative.

Entro tale ottica jure stricto, si collocano pure i Precedenti contenuti in Cass., sez. pen. VI, 10 ottobre 2018, n. 52003 nonché in Cass., sez. pen. IV, 13 giugno 2018, n. 34332. Anche in Dottrina, svariati Autori manifestano un notevole disagio di fronte al carattere eccezionale della L. 242/2016, che spesso si pone alla stregua di un dato normativo nebuloso, grazie al quale creare una zona grigia in cui si elude il comma 1 Art. 26 TU 309/1990, unitamente alle disposizioni penali degli Artt. dal 72 all’ 86 TU 309/1990. Inoltre, non manca la proposta, giuridicamente aberrante, di estendere per analogia la L. 242/2016 al fine di abrogare e/o integrare, più o meno espressamente, le Norme di rilevanza penalistica contemplate nel TU 309/1990.

La Giurisprudenza più recente della Cassazione non accetta tale “ vedo non vedo “ insito nella L. 242/2016, che è senza dubbio fondato su una ratio decisamente anti-proibizionistica contraria agli Artt. dal 72 all’ 86 TU 309/1990 ( anche ) in tema di cannabis indica e di cannabis sativa. Anzi, pure alla luce del comma 1 Art. 26 TU 309/1990, esistono molte e pericolose antinomie tra la L. 242/2016 ed il TU 309/1990 con afferenza alla “canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali [ … ] consentiti dalla normativa dell’ Unione europea “ ( comma 1 Art. 26 TU 309/1990, novellato dalla L. 79/2014 ). Si ponga mente pure, nel Preambolo della L. 242/2016, alla “ promozione dei prodotti della filiera agro-industriale della canapa “.

Oggettivamente, tale “ promozione “ agroalimentare ed agroindustriale non reca a redditi ed impieghi così eccelsi o milionari ed è legittimo, dunque, pensare che la ratio della L. 242/2016 sia, in ultima analisi, null’ altro che la graduale legalizzazione e liberalizzazione della marjuana con un tenore di THC superiore al range 0,2%-0,6%. Dopotutto, il Regolamento CE n. 73/2009 del 19 gennaio 2009 non fa mistero di sostenere, seppur in una prospettiva di lungo periodo, l’ anti-proibizionismo già ampiamente legale nei Paesi del nord dell’ Europa ed in Canada. I dubbi di chi redige sono stati corroborati dall’ ultra-libertaria Sentenza contenuta in Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920, la quale, in materia di canapa light, precisa che “ la liceità della commercializzazione dei prodotti della canapa ( e, in particolare, delle inflorescenze ) costituisce un corollario logico-giuridico dei contenuti della legge n. 242 del 2016. In altri termini, dalla liceità della coltivazione della cannabis alla stregua della legge 242 del 2016, deriva la liceità del commercio dei suoi prodotti [ fumabili ] contenenti un principio attivo di THC inferiore allo 0,6 %, nel senso che essi non possono più considerarsi, ai fini giuridici, come una sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del dpr 309 del 1990 “

Quindi, come prevedibile, Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 ha ( rectius: aveva ) esegeticamente compiuto l’ ormai inevitabile trasformazione antinomica dell’ illecito, ex TU 309/1990, in lecito ex L. 242/2016. Anzi, Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 si spinge al punto di utilizzare, sia pure in maniera assai sottile, il principio di analogia all’ interno di testi normativi di matrice penale, il che va vigorosamente e tassativamente respinto. Basti pensare che, nelle Motivazioni, Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 giunge al punto di impiegare la scabrosa ed anti-costituzionale regola della “ fisiologica ri-espansione ( ben estensibile analogicamente ) delle libertà individuali “, sempre ammesso e concesso che fumare marjuana sia una grande “ libertà individuale “ meritevole di tutela giuridica, come se si trattasse di un’ emergenza socio-giuridica improcrastinabile e assolutamente necessaria, nonostante il comma 1 Art. 32 Cost. in tema di tutela ordinamentale della salute dei consociati. Chi scrive inorridisce pure allorquando Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 osa affermare, con attinenza alla canapa light, che “ la commercializzazione di un bene che non ( ? ) presenti intrinseche caratteristiche di illiceità deve, in assenza di specifici divieti o di controlli preventivi previsti dalla legge, ritenersi consentita nell’ ambito del generale potere ( agere licere ) delle persone di agire per il soddisfacimento dei loro interessi ( facultas agendi )”.

Come si può notare, in tale Precedente, la Corte di Cassazione si è sostituita al Legislatore con un’ arroganza radicalmente opposta alla ratio proibizionistica del TU 309/1990 in tema di sostanze stupefacenti, psicotrope e psicoattive non ad uso farmaceutico. Se l’ anti-proibizionismo di Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 fosse giustificabile e recepibile, sarebbero annichilite e tacitamente abrogate Norme come l’ Art. 82 TU 309/1990 ( istigazione, proselitismo e induzione al reato di persona minore ) o come l’ Art. 84 TU 309/1990 ( divieto della propaganda pubblicitaria ). La sciagurata L. 242/2016 reca l’ intento, implicito e surrettizio, di legalizzare la cannabis in violazione dei valori costituzionali della tutela della salute ( Art. 32 Cost. ) e della protezione dei minorenni ( Artt. 29, 30 e 31 Cost. ). Isolatamente e coraggiosamente, Cass., sez. pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393 precisa che la marjuana, anche se light, “ è una sostanza che produce effetti [ negativi ] sul sistema nervoso centrale e ha la capacità di determinare dipendenza fisica e psichica [ e ] può provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali “ ( si veda anche Cass., sez. pen. VI, 13 dicembre 2011, n. 6928 nonché Cass., sez. pen.  IV, 19 novembre 2008, n. 6207 ). La nocività tossicologica della canapa non è un pregiudizio antiquato o superato. Non ha senso applicare un’ ermeneutica giurisprudenziale libertaria ed anarchica nel nome della sottomissione politico-giuridica a regole assurde e dannose stabilite tracotantemente dall’ Unione Europea. Le dinamiche bio-chimiche del THC sul cervello rimangono dannose a prescindere dai cavilli pretestuosi imposti da questo o quel Legislatore

L’ indubitabile nocività psico-fisica della canapa

Da una trentina d’ anni a questa parte, l’ opinione pubblica europea e, più latamente, l’ intera società occidentale sono state aggredite e ideologicamente sottomesse dal mito dei presunti effetti terapeutici della marjuana e dei cannabinoderivati ad uso agro-alimentare, tra cui, anzitutto, il THC. Non si rimarca mai a sufficienza, inoltre, che le odierne metodiche di coltivazione indoor hanno aumentato gli effetti psicotropi del tetra-9-idro-cannabinolo e, d’ altra parte, è anche vero che le nuove sementi, sovente di tipo ogm, provocano effetti bio-chimici che potenziano ancor di più la lesività tossicologica della canapa. Secondo Volkow et al. ( 2014 ), “ circa il 9 % degli individui che utilizzano marjuana ne diventano dipendenti, la percentuale si alza al 17 % per chi inizia da adolescente e, ancora di più, dal 25 % al 50 % per chi la consuma giornalmente “. In Europa, specialmente in Francia, Ungheria e Paesi Bassi, il THC genera una grave dipendenza nel 28 % dei consumatori e tale percentuale è simile nel caso di uncinamento da eroina e cocaina. Pertanto, va rigettata la fuorviante illusione che il THC non generi una vera e propria tossicodipendenza, al pari delle droghe cc.dd. “ pesanti “. L’ uncinamento quasi irreversibile da canapa inizia, solitamente, verso i 24 anni d’ età ( EMCDDA, 2008 ).

E’ vero che la nicotina cagiona una sindrome d’ astinenza ben più grave, ma non va sottovalutato il bisogno ossessivo-compulsivo di fumare marjuana ( Nutt et al., 2007 ). Anzi, Vandrey et al. ( 2008 ) riferiscono che “ negli utilizzatori cronici di elevati dosaggi, i sintomi di astinenza si verificano nel 42 % degli assuntori e, sebbene non siano generalmente sintomi gravi, come ad esempio quelli causati dalla dipendenza da alcol, eroina e cocaina, l’ interruzione improvvisa dell’ assunzione di cannabis può portare ad agitazione, perdita dell’ appetito, irritabilità, rabbia, aumento dell’ attività muscolare e dell’ aggressività, rebound del sonno REM ( che viene soppresso dall’ uso di cannabis ) con conseguenti disturbi del sonno “.

In tema di uncinamento progressivo, è oggi assai controversa la “ Teoria del passaggio “, ovverosia non è ancora stato scientificamente chiarito se il tabacco, l’ alcol, la cannabis, l’ eroina, la cocaina, gli acidi e l’ ecstasy costituiscano o meno una diabolica catena che inizia con le sostanze cc.dd. “leggere “, che ognimmodo leggere non sono, per giungere, nel corso di pochi mesi, al consumo di sostanze “ pesanti “. Senza dubbio, il mondo trasgressivo della marjuana è ampiamente e pericolosamente criminogeno, ma Morgan ( 1997 ), forse con eccessivo ottimismo, dichiara che “ la cannabis non causa il passaggio all’ uso di droghe pesanti, nella grande maggioranza dei consumatori.

Essa è un fine, anziché una droga di passaggio [ … ] ma certamente il consumatore [ di canapa ] deve accedere ad un mercato non legale che può offrire anche altre sostanze, specialmente nel caso di soggetti già predisposti alla tossicomania “. Invece, con molto più realismo, Ellgren  &  Hurd ( 2006 ) asseriscono che “ questo rischio [ del passaggio a droghe pesanti ] può esistere nella giovane età. Molti recettori dei cannabinoidi interagiscono con il sistema recettivo degli oppiacei nel cervello, quindi l’ uso di cannabis in adolescenza può sovra-stimolare ed alterare le strutture del piacere e della ricompensa nel cervello “. Tuttavia, non si tratta di una regola matematica, dunque Ellgren  &  Hurd ( ibidem ) concludono che “ la probabilità che qualcuno approdi verso droghe illegali sempre più pesanti è determinata più da inclinazioni personali e situazioni sociali [ e abitative ] che non da altre droghe precedentemente utilizzate “. Senza dubbio, a parere di chi redige, l’ astinenza totale rimane l’ opzione maggiormente desiderabile, soprattutto nei soggetti in età evolutiva.

A livello psico-patologico-forense, la Medicina Legale ha ormai ampiamente e saldamente dimostrato che il THC provoca, nel lungo periodo, psicosi e disturbi schizoidi della personalità ( Davis et al., 2013 ). Anzi, Di Forti et al. ( 2015 ) giungono a precisare che “ la somministrazione continuata di varietà [ di marjuana ] ad alta potenza, come quelle di più recente commercializzazione e lo skunk, provoca un aumento delle probabilità di sviluppare psicosi di tre volte maggiore rispetto alla popolazione generale “. Nella Dottrina medico-legale e criminologica del Regno Unito, negli Anni Duemila, si è accertato un nesso eziologico più che certo tra la marjuana e gli scompensi di tipo psicotico ( Catone, 2007 ).

Troppo ottimisti, viceversa, sono gli australiani Hall  &  Lynskey ( 2001 ), i quali, forse per ossequiare la moda del politicamente corretto e dell’ anti-proibizionismo, sostengono che “ se un individuo è a rischio di sviluppare serie malattie psicotiche, l’ uso di cannabis può indurre la manifestazione di un episodio schizotipico o psicotico, ma gli studi scientifici che fanno una comparazione tra uso di tabacco, alcol e cannabis mostrano che i consumi attuali [ degli Anni Duemila ] di cannabis e il danno sociale sulla salute generale hanno un contributo molto inferiore a quello che si potrebbe normalmente immaginare “ Si tratta, come prevedibile, di un parere isolato. Attualmente, nessuno dubita che la marjuana cagioni patologie di natura gravemente psicotica, specialmente nel caso degli “ spinelli spaccatesta “ confezionati con una canapa molto pura e molto psicoattiva. P.e, in Nuova Zelanda, le sementi ogm sono estremamente potenti e resistenti e recano ad inflorescenze con proprietà allucinogene non trattabili con aloperidolo. Non mancano, come nel caso di Kwame et al. ( 2012 ) orribili richiami eugenetici alle presunte tare ereditarie, nel senso che “ una correlazione diretta tra uso regolare di cannabis e sviluppo di psicosi e di schizofrenia esiste, ma è importante capire anche come questa dinamica tra psicosi ed uso di cannabis si instauri. Ad esempio, è ( rectius: sarebbe, ndr ) stato dimostrato che i giovani che hanno una storia familiare di divorzi oppure genitori con depressione hanno una possibilità doppia di essere usuari di cannabis “. Altri Autori parlano, sempre in tema di assunzione cronica di canapa, di “ sindrome a-motivazionale, ossia una sindrome caratterizzata da svogliatezza, mancanza di motivazione e di piacere nel fare le cose “ ( Barnwell, 2006 )

B  i  b  l  i  o  g  r  a  f  i  a

Barnwell et al., Cannabis, motivation and life satisfaction, in Journal of Abuse Treatment and Prevention, Vol. 1, 2006

Catone, Studio su Lancet: incertezze su cause e legame tra cannabis e psicosi. Ma il rischio esiste ?,Aduc.it, 28 luglio 2007

Davis et al., Association between cannabis use, psychosis and schizotypal personality disorder: Findings from the National Epidemiological Survey on alcohol and related conditions. Schizophrenia research, Vol. 151, Issues 1-3, 2013

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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