Golden share: le nuove regole nel D.L. 21/2012

Redazione 19/03/12
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Anna Costagliola

In ottemperanza alle richieste provenienti dall’Unione europea, il Governo Monti è intervenuto con un decreto legge diretto a modificare la struttura della cosiddetta golden share. Si tratta del D.L. 15 marzo 2012, n. 21, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2012, n. 63, con cui si provvede a riscrivere la disciplina normativa in materia di poteri speciali attribuiti allo Stato nell’ambito delle società privatizzate a seguito dell’ultimato di Bruxelles che, con la procedura di infrazione n. 2009/2255, ha bocciato la normativa italiana, in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Quando si parla di golden share, ci si riferisce a quella serie di poteri speciali di intervento e di veto esercitati dallo Stato in veste di azionista di grandi società ex-pubbliche, ormai privatizzate, in quanto miranti a tutelare l’interesse della collettività in quelle società che si occupano di settori di rilevante importanza (cd. public utilities).

Detto istituto giuridico, nato all’inizio degli anni ’90 per tutelare quel che rimaneva delle aziende pubbliche con l’avvio di un massiccio processo di privatizzazioni, nella sua versione originale prevedeva un forte intervento dello Stato anche senza il possesso del 50% + 1 delle quote di partecipazione, attraverso poteri di veto su operazioni rilevanti quali ad esempio l’ingresso di nuovi soci con un numero di azioni superiore ad una certa soglia percentuale, ovvero su decisioni relative alla gestione straordinaria della società, come fusioni, scissioni, trasferimento all’estero, mutamento dell’oggetto sociale, nonché attraverso la previsione della possibilità di nominare la maggioranza del consiglio di amministrazione, l’amministratore delegato e il presidente in tutte quelle società che ancora rivestono un prevalente interesse pubblico, come Eni, Enel, Finmeccanica.

Il quadro normativo di riferimento della cd. golden share era rappresentato, in particolare, dall’art. 2 del D.L. 332/1994, conv. in L. 474/1994, successivamente modificato ad opera della L. 250/2003 e dal D.P.C.M. 10 giugno 2004, intervenuto a definire i criteri di esercizio dei poteri speciali. Tale normativa, in sede europea, è stata tuttavia ritenuta inadeguata, sottolineandosi soprattutto la vaghezza e la portata indeterminata dei criteri per l’esercizio degli speciali poteri demandati allo Stato, con la conseguenza di conferire alle Autorità una discrezionalità eccessivamente ampia nel valutare i rischi per gli interessi vitali dello Stato. Secondo Bruxelles la inadeguatezza dei criteri di esercizio dei poteri speciali si traduce, unitamente alla circostanza per cui la golden share, come disciplinata dal D.L. 332/1994, non prevede una percentuale minima del capitale sociale che lo Stato deve detenere in una società per poter esercitare detti poteri, si traduce in una restrizione ingiustificata alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento, rendendo meno attraenti gli investimenti nelle società coinvolte.

La nuova normativa di cui al D.L. 21/2012 comporta poteri speciali del Governo sugli assetti societari nei settori nevralgici della difesa e della sicurezza nazionale e in quelli dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.

Nei primi due settori il Governo potrà agire in caso di «minaccia effettiva» di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza sociale, mediante la previsione di tre poteri speciali di intervento, quali:

a) l’imposizione di specifiche condizioni nel caso di acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale;

b) il veto all’adozione di delibere dell’assemblea o degli organi di amministrazione di un’impresa che svolge la predetta attività, aventi ad oggetto modifiche all’assetto societario, il mutamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento delle società, le cessioni di diritti reali o di utilizzo relativi a beni materiali o immateriali o l’assunzione di vincoli che ne condizionino l’impiego;

c) l’opposizione all’acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in un’impresa che svolge attività di rilevanza strategica nel sistema della difesa e della sicurezza nazionale, da parte di un soggetto diverso dallo Stato italiano, o da enti pubblici italiani, qualora l’acquirente venga a detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.

Invece per i settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, è prevista anzitutto una notifica al Governo delle delibere adottate da una società che abbia per effetto modifiche della titolarità, la fusione o la scissione. È poi prevista la possibilità per il Governo di sottoporre a specifiche condizioni delibere, atti od operazioni che diano luogo ad una situazione di eccezionale minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti.

Infine, si prevede che il Governo possa esercitare il potere di veto nel caso in cui il soggetto acquirente originario di un Paese extra-europeo si stabilisca all’interno dell’Unione attraverso l’acquisto di un’azienda del settore «protetto» o di un suo ramo. In questi casi sono però necessari due presupposti supplementari: la presenza di legami tra gli operatori coinvolti e organizzazioni criminali o con soggetti o enti ad esse collegati; l’intervento sulla società deve essere idoneo a garantire la continuità degli approvvigionamenti, il mantenimento, la sicurezza e l’operatività delle reti e degli impianti, nonché il libero accesso al mercato.

Le nuove norme sulla golden share realizzano un cambiamento nella relativa disciplina che mira a chiudere la procedura d’infrazione aperta nel 2009 dalla Commissione europea, uniformandola alla regola europea per la quale anche quando delle quote azionarie in un’azienda privata siano detenute da un soggetto pubblico, questo deve comunque comportarsi alla stregua di un normale investitore privato, senza poter esercitare indiscriminati diritti speciali che rischiano di alterare le regole della concorrenza.

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