La Consulta dichiara non illegittimo costituzionalmente l’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sull’espulsione dello straniero: vediamo in che modo. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
- 1. Espulsione amministrativa e pendenza del processo: il caso deciso dal Tribunale di Firenze
- 2. Il nodo costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, T.U. immigrazione e il parametro dell’art. 3 Cost.
- 3. Il bilanciamento operato dalla Consulta tra improcedibilità e prosecuzione del giudizio
- 4. Decreto che dispone il giudizio e preclusione dell’improcedibilità: ricadute sistematiche e conclusioni
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1. Espulsione amministrativa e pendenza del processo: il caso deciso dal Tribunale di Firenze
Il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, era chiamato a giudicare sulla responsabilità di un cittadino straniero, imputato del reato di furto in abitazione, previsto dall’art. 624-bis del codice penale, in seguito a decreto che dispone il giudizio emesso dal Giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 429 del codice di procedura penale.
In particolare, all’esito di verifiche effettuate prima dell’apertura del dibattimento, era emerso che l’imputato, rimasto assente all’udienza preliminare, era stato in realtà espulso dal territorio nazionale in forza di un provvedimento emesso dal Prefetto di Roma ai sensi dell’art. 13 t.u. immigrazione e portato a esecuzione successivamente, con accompagnamento dello straniero alla frontiera aerea e successivo imbarco su un volo per il Paese di origine.
Oltre a ciò, sempre in riferimento a codesta vicenda giudiziaria, era avvenuto che, «prima di dare corso all’espulsione, la Questura di Roma – rilevato nella banca dati interforze SDI che a carico del predetto pendeva un (diverso) procedimento presso la Procura di Roma – con apposita nota domandava alla stessa Procura di Roma il nulla osta previsto dall’art. 13 co. 3 d.lgs. 286/1998 mentre non risultava viceversa che la Questura procedente avesse, né rilevato la pendenza del presente procedimento, né conseguentemente richiesto all’autorità giudiziaria fiorentina il previsto nulla osta.
Quindi, l’esecuzione dell’espulsione era avvenuta prima dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio e, di conseguenza, la difesa dell’imputato aveva chiesto l’emissione di sentenza di non luogo a procedere, in applicazione dell’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione, cui si era però opposto il pubblico ministero. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
2. Il nodo costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, T.U. immigrazione e il parametro dell’art. 3 Cost.
Alla luce della situazione venutasi a determinare, il Tribunale fiorentino sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), a norma del quale «[n]ei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere».
In particolare, il rimettente dubitava della legittimità costituzionale della suddetta disposizione «nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p., il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere», o, in subordine, «nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. per reati che di per sé consentirebbero la citazione diretta a giudizio, il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere».
Nel dettaglio, in punto di rilevanza, il giudice a quo osservava che, qualora la questione non fosse stata accolta, l’imputato, pur essendo stato espulso con provvedimento prefettizio eseguito prima dell’udienza preliminare, non avrebbe potuto beneficiare della speciale declaratoria di improcedibilità dell’azione penale rispetto alla prosecuzione del processo a suo carico poiché, secondo la giurisprudenza di legittimità, la sentenza di non luogo a procedere a seguito di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato non può essere pronunciata una volta che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente.
Ciò posto, il rimettente richiamava, altresì, la sentenza n. 270 del 2019, con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione «nella parte in cui non prevede[va] che, nei casi di decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 del codice di procedura penale, il giudice [potesse] rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero [era] stata eseguita prima che [fosse] stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorr[eva]no tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere», tenuto conto altresì del fatto che, per il caso in cui non sia stato richiesto il nulla osta (come nel caso di specie), si richiamava la medesima sentenza laddove afferma che «non di meno può il giudice – per il rispetto che richiede il principio di eguaglianza – verificare che sussistevano le condizioni perché il nulla osta potesse essere assentito, in particolare con riferimento all’interesse della persona offesa», osservandosi al contempo, tuttavia, che neanche tale pronuncia avrebbe consentito al giudice a quo di emettere una sentenza di non luogo a procedere poiché, nel caso di specie, pur risultando contestato il solo reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., per il quale la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che si proceda con citazione diretta a giudizio, il pubblico ministero aveva esercitato l’azione penale mediante richiesta di rinvio a giudizio e si era tenuta l’udienza preliminare, con conseguente adozione del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 cod. proc. pen..
Chiarito ciò, quanto invece alla non manifesta infondatezza, il rimettente, esclusa la possibilità di addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata, stante il tenore letterale della norma e la costante giurisprudenza di legittimità, ravvisava una sostanziale analogia tra la questione in esame e quella già affrontata e decisa dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 270 del 2019 in riferimento ai processi avviati con citazione diretta posto che entrambe le fattispecie avrebbero, a suo avviso, il «decisivo elemento comune costituito dall’esecuzione dell’espulsione prima dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio», sia esso adottato direttamente dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen., sia esso adottato dal Giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 429 cod. proc. pen., a seconda della tipologia di reato contestato.
Non parrebbe, dunque, per il Tribunale di Firenze, giustificabile un trattamento differenziato delle suddette fattispecie in ordine alla rilevabilità della condizione di improcedibilità sopravvenuta ex art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione, legato esclusivamente alla diversa forma di esercizio dell’azione penale.
Il rimettente chiedeva, pertanto, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, che venisse rimosso dalla norma censurata «l’impedimento testuale, costituito dalla già intervenuta emissione del decreto che dispone il giudizio», cosicché esso giudice avrebbe potuto «– eventualmente anche d’ufficio – rilevare che l’espulsione dell’imputato è stata eseguita prima dell’emissione del decreto che dispone il giudizio e che ricorrono le ulteriori condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere». In subordine, codesto organo giudicante chiedeva che «alla citata conclusione si [possa] giungere quanto meno nelle ipotesi in cui – per errore o per le più varie ragioni – si sia proceduto con richiesta di rinvio a giudizio e udienza preliminare in relazione a reati per i quali sarebbe stata possibile l’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio».
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3. Il bilanciamento operato dalla Consulta tra improcedibilità e prosecuzione del giudizio
La Corte costituzionale – dopo avere ripercorso le argomentazioni che avevano indotto il Tribunale fiorentino a sollevare le suddette questioni di legittimità costituzionale e respinta, ritenendola infondata, l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato – reputava entrambe le questioni sollevate dal rimettente infondate.
In particolare, il Giudice delle leggi osservava a tal proposito innanzitutto che l’istituto disciplinato dalla disposizione censurata, così come ricostruito dalla medesima Consulta nelle sentenze n. 270 del 2019 e n. 129 del 2025, integra «una sopravvenuta condizione di non procedibilità dell’azione penale per il reato commesso nel territorio dello Stato dall’immigrato irregolare [che opera] allorché l’esecuzione della sua espulsione (amministrativa) intervenga prima dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio» (sentenza n. 270 del 2019, punto 7 del Considerato in diritto), evidenziandosi al contempo come sia stato chiarito che «[t]ale regola processuale, che rientra nell’ambito degli interventi normativi volti a un complessivo inasprimento della disciplina di contrasto all’immigrazione irregolare, non è volta a costituire una sorta di immunità dello straniero dalla giurisdizione, ma, come ricordato anche dal giudice rimettente, è “la risultante di un bilanciamento, operato dal legislatore, tra l’esigenza di limitare il rientro dell’immigrato irregolare nel territorio dello Stato una volta che l’espulsione è stata eseguita (stante anche la difficoltà concreta di dar seguito ai rimpatri forzati) e la necessità che i reati commessi dallo straniero nel territorio dello Stato siano puniti”, trattandosi, invero, di un’improcedibilità «temporanea e sottoposta a una sorta di “condizione risolutiva”, nel senso che, se è poi violato l’obbligo di reingresso nel territorio dello Stato per il periodo di tempo stabilito dal comma 3-quinquies dello stesso articolo, si applica l’art. 345 cod. proc. pen. e l’azione penale torna a essere procedibile”» (sentenza n. 129 del 2025, punto 3 del Considerato in diritto) atteso che la disposizione censurata, sempre ad avviso del Giudice delle leggi, si inserisce nella disciplina, contenuta nel t.u. immigrazione, dei rapporti tra l’esecuzione dell’espulsione amministrativa e il procedimento penale pendente a carico dello straniero che ne sia destinatario, «incentrata sugli istituti, previsti dagli artt. 13 e 17, del nulla osta giudiziario, dell’autorizzazione al reingresso dello straniero espulso per l’esercizio del diritto di difesa e dell’improcedibilità dell’azione penale per avvenuta espulsione» (ancora sentenza n. 129 del 2025). In particolare, nella medesima sentenza si precisa che «nella fase che precede l’esecuzione del provvedimento di espulsione, quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, l’autorità amministrativa, secondo quanto disposto dai commi 3, 3-bis e 3-ter del citato art. 13, deve richiedere il nulla osta all’autorità giudiziaria procedente in sede penale, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali, valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all’interesse della persona offesa. Una volta concesso il nulla osta (o formatosi il silenzio assenso sulla relativa richiesta) ed eseguita l’espulsione, se nel procedimento penale è già stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente si applica l’art. 17 t.u. immigrazione, che consente allo straniero espulso di rientrare in Italia, se munito di un’autorizzazione, per il solo tempo necessario all’esercizio del diritto di difesa, ai fini della partecipazione al giudizio o del compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. Ove, invece, non sia stato già instaurato il rapporto processuale, non essendo stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente, trova applicazione il comma 3-quater del medesimo art. 13, che impone al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere, non dando ulteriore corso al procedimento» (sentenza n. 129 del 2025, punto 3 del Considerato in diritto).
Precisato ciò, era altresì fatto presente che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., in tanto può essere fatta valere l’irragionevole disparità di trattamento, in quanto la censura miri a estendere una medesima disciplina a situazioni che, avendo riguardo alla ratio di tale normativa, risultino omogenee (ex multis, da ultimo, sentenze n. 53 e n. 34 del 2025, n. 212 e n. 171 del 2024), facendo conseguire da ciò che il principio di uguaglianza non impedisce al legislatore ordinario di emanare norme differenziate, quando la disparità di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali ne giustifichino l’adozione (ex plurimis, sentenze n. 149 del 2021, n. 288 del 2019 e, in epoca più risalente, l’ordinanza n. 460 del 1998).
Orbene, concluso tale excursus di ordine giurisprudenziale, i giudici di legittimità costituzionale ritenevano necessario osservare, a questo punto della disamina, che, se il dubbio del giudice rimettente si fonda sull’assunto che, dopo la sentenza n. 270 del 2019, integrerebbe una ingiustificata disparità di trattamento precludere al giudice del dibattimento, nei procedimenti in cui l’azione penale è stata esercitata con richiesta di rinvio a giudizio, la possibilità di rilevare la condizione di improcedibilità prevista dall’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione nella fase successiva all’emissione del decreto di cui all’art. 429 cod. proc. pen., ove l’espulsione dell’imputato straniero sia stata eseguita in data antecedente, l’ordinanza di rimessione, però, raffronta situazioni disomogenee tra loro, poiché l’ipotesi oggetto del giudizio a quo non è sovrapponibile a quella oggetto della questione affrontata e decisa nella sentenza n. 270 del 2019 dato che mentre, in quest’ultima pronuncia, il vulnus è stato ravvisato proprio nella circostanza che la disposizione censurata, facendo testuale riferimento al «provvedimento che dispone il giudizio», implicava il necessario passaggio per l’udienza preliminare, non lasciando così la possibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei casi in cui l’azione penale venisse esercitata mediante citazione diretta a giudizio e, quindi, mancasse una fase di contraddittorio prima di arrivare davanti al giudice del dibattimento (punto 1, terzo capoverso, del Considerato in diritto), nel giudizio a quo, invece, l’udienza preliminare si era ritualmente svolta e, quindi, vi era stato lo snodo processuale individuato dalla disposizione censurata quale momento in cui l’organo giudicante è tenuto a verificare l’eventuale sussistenza della condizione di improcedibilità.
Pertanto, proprio la previsione di una fase di contraddittorio processuale davanti all’organo giudicante, per il Giudice delle leggi, giustifica il trattamento differenziato delle due situazioni raffrontate dal rimettente, visto che non può dirsi manifestamente irragionevole che il legislatore, dovendo bilanciare, nell’esercizio della sua discrezionalità, le contrapposte esigenze di limitare il rientro dell’immigrato irregolare e di punire i reati commessi nel territorio dello Stato, abbia fissato nella emissione del decreto che dispone il giudizio il limite temporale oltre il quale l’atipica condizione di improcedibilità prevista dall’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione non può più essere rilevata.
La scelta di rinunciare alla pretesa punitiva nei confronti dello straniero espulso solo fino a quando il processo si trovi in una fase iniziale, e cioè sino a quando venga emesso il decreto di cui all’art. 429 cod. proc. pen., in effetti, per la Corte, non risulta incoerente, essendovi comunque una sede processuale – l’udienza preliminare – in cui l’organo giudicante può, nel contraddittorio, accertare se si sia o meno verificata la condizione di improcedibilità per l’intervenuta esecuzione dell’espulsione fermo restando che, invece, una volta superato lo snodo processuale dell’udienza preliminare ed effettuato dal giudice di tale udienza il vaglio in ordine alla prognosi di ragionevole previsione di condanna, non può dirsi illogico che il legislatore abbia ritenuto prevalente l’interesse dello Stato a proseguire il processo, al fine di accertare la eventuale colpevolezza dell’imputato, anche ove questo sia stato espulso e allontanato dal territorio dello Stato, ritenendo a questo punto recessivo l’interesse a evitare il suo reingresso per il solo esercizio del diritto di difesa.
Ebbene, tali considerazioni, sempre ad avviso della Consulta, risultavano essere in linea anche con la giurisprudenza di legittimità la quale ha affermato che «[a]ppare, infatti, logicamente coerente ritenere che la finalità pubblica di ridurre il considerevole affollamento carcerario e di allontanare dal territorio dello Stato soggetti sottoposti a procedimento penale, sulla base di una valutazione discrezionale del Legislatore affatto irrazionale, possa prevalere sull’interesse alla celebrazione del giudizio penale, in una fase in cui il rapporto processuale tra le parti, con tutto il complesso catalogo dei principi che lo governano, sancito dall’art. 111, Costituzione, non si è ancora costituito, laddove, nel momento in cui tale rapporto si è instaurato – attraverso l’adozione di atti, come il decreto che dispone il giudizio o la presentazione dell’imputato al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto e il contestuale giudizio, che manifestano la volontà dello Stato di far prevalere l’interesse alla celebrazione del giudizio sugli altri interessi sottesi all’adozione della sentenza di improcedibilità atipica di cui si discute – permane l’interesse pubblico alla “naturale” conclusione del giudizio stesso, rappresentata dai diversi epiloghi decisori contemplati dal codice di rito, ai quali risulta del tutto estranea la sentenza di non doversi procedere per espulsione dello straniero dal territorio dello Stato» (Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza 22 aprile-4 agosto 2021, n. 30522).
Ad ogni modo, per la Corte costituzionale, resta fermo il potere del legislatore di individuare un diverso limite temporale.
Ordunque, le suesposte considerazioni conducevano la Consulta a ritenere non fondata sia la questione proposta in via principale sia quella proposta in via subordinata, tenuto conto altresì del fatto che, riguardo a quest’ultima, anche ove il reato contestato consenta di esercitare l’azione penale mediante citazione diretta a giudizio, una volta che, invece, l’azione penale sia stata esercitata mediante richiesta di rinvio a giudizio, l’udienza preliminare costituisce lo snodo processuale ragionevolmente individuato dalla disposizione censurata quale momento in cui l’organo giudicante è chiamato a verificare, nel contraddittorio, l’eventuale sussistenza della condizione di improcedibilità.
Del resto, proprio nel caso di specie, il Giudice delle leggi evidenziava come lo stesso rimettente avesse riferito come all’udienza preliminare fosse presente il difensore di fiducia dell’imputato, il quale ben avrebbe potuto far rilevare (in quella che era la prima sede in cui formulare le proprie eccezioni) che il suo assistito non era comparso, perché allontanato dal territorio italiano in esecuzione di un provvedimento di espulsione.
Oltre a ciò, era per di più ricordato che l’udienza preliminare, in considerazione dell’evoluzione normativa, è ormai divenuta un momento di “giudizio” poiché, a seguito delle importanti innovazioni introdotte, in particolare, dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense) e, successivamente, dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), tale udienza ha subito una profonda trasformazione sul piano sia della quantità e qualità di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, e, infine, per ciò che attiene alla più estesa gamma delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato ad adottare, essendo essa stata ritenuta anche dalla medesima Consulta un momento delibativo privo dei «caratteri di sommarietà», che originariamente la caratterizzavano (ordinanza n. 150 del 2024; nello stesso senso sentenza n. 335 del 2002 e ordinanza n. 269 del 2003).
I giudici di legittimità costituzionale, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, ritenevano come le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate in riferimento all’art. 3 Cost., fossero ambedue infondate.
4. Decreto che dispone il giudizio e preclusione dell’improcedibilità: ricadute sistematiche e conclusioni
Fermo restando che l’art. 13, co. 3-quater, d.lgs., 25 luglio 1998, n. 286, com’è noto, prevede al primo periodo che, nei “casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere”, con la pronuncia qui in commento, la Consulta ha escluso che tale precetto normativo possa reputarsi costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p., il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere o, in subordine, nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. per reati che di per sé consentirebbero la citazione diretta a giudizio, il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere.
Pertanto, per effetto di tale decisione, in relazione a quanto preveduto da questo comma 3-quater dell’art. 13, continua a non sussistere il potere, ascrivibile al giudice, consistente, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p., di rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere, così come non vi è nemmeno quello di rilevare, pure per tale ipotesi anche d’ufficio, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. (ma in questo caso) per reati che di per sé consentirebbero la citazione diretta a giudizio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere.
Queste sono in sostanza le novità che connotano il provvedimento qui in commento.
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