eBay, gli operatori di Internet e la giurisprudenza: l’esperienza francese

Iemma Giuseppe 25/05/16
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Nonostante gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza che hanno cercato di ricondurre ad unum una realtà dalle multiformi sfaccettature, molte sono ancora le zone d’ombra[1]. In questa sede è interessante valutare le risposte della giurisprudenza in relazione ad un particolare aspetto riguardante la “realtà giuridica eBay”. Nello specifico, nella prima parte, l’analisi si soffermerà sulla “eventuale” responsabilità di eBay per gli illeciti commessi dai propri utenti. La sentenza in analisi[2], vede al centro eBay International AG, la società che gestisce in Europa il colosso delle vendite on-line. Prima di procedere è opportuno ricordare che l’utente dopo essersi registrato ed aver accettato le condizioni generali contenute nell’Accordo per gli utenti, è in grado di utilizzare i servizi[3]. Il contratto si conclude nel momento in cui viene presentata l’offerta più alta. Terminata tale fase, gli utenti sono obbligati rispettivamente al pagamento e alla spedizione del bene. Conseguentemente, si evince che eBay non svolge alcun ruolo di intermediazione nelle transazioni tra venditori. Si qualifica, come sostenuto da gran parte della dottrina, come un hosting provider che esplica un’attività conformemente all’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE consistente nella «memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio[4]». 

             Nel caso qui di seguito commentato, il Sig. CONTOZ, aveva acquistato un orologio da collezione al prezzo di 4.127,23 €, mentre il corrispettivo valore di mercato era di 75.000€. Nonostante il pagamento dell’intero prezzo tramite accredito su conto corrente, non aveva mai ricevuto il bene dal venditore. Il ricorrente chiedeva il pagamento «della somma di 4.127,23 € a titolo di responsabilità del sito Internet per la mancata esecuzione di un contratto di vendita, della somma di 5.000 € per perdita di chance, della somma di 1.000 € ai sensi dell’art. 700 del Nouveau Code de Procédure Civil, nonché delle spese processuali». Ha quindi ritenuto eBay International AG responsabile ai sensi degli artt. 15-I (6) e 15-II (7) della loi n. 2004-575 du 21 juin 2004 pour la confiance dans l’économique numérique, dei propri inadempimenti e di quelli degli utenti. L’attore, ha considerato eBay come un content provider[5]. Infatti, stabiliva le regole e prendeva una commissione sul prezzo delle vendite. Se la situazione fosse stata tale, ne sarebbe derivata l’impossibilità di applicare a eBay l’art. 6-II delle loi n. 2004-575, in base al quale non è possibile configurare una responsabilità in capo all’hosting provider se quest’ultimo non fosse stato a conoscenza delle informazioni immagazzinate e del loro carattere illecito. eBay, invece, sarebbe responsabile ai sensi dell’art. L. 32-3-3 del Code des Postes et Télécommunications poiché al fine di garantire maggiore sicurezza, effettuava un controllo tramite una preventiva selezione dei destinatari[6]. L’attore, ha poi sostenuto, che siccome eBay è soggetta all’art. 15 della loi n. 2004-575[7], deve vigilare che gli obblighi che derivano dal contratto devono essere adempiuti, in quanto responsabile nei confronti dell’acquirente del corretto adempimento contrattuale. eBay International AG, d’altro canto, sosteneva che il Sig. CONTOZ, «non avendo tenuto conto del fatto che il venditore era il Sig. Robert BARRY e non il Sig. PETRESCU, che il venditore “craftsman” aveva un profilo di feedback pari a 0, che il venditore si trovava all’estero e si era astenuto dal rispondere alla richiesta di chiarimenti, aveva dimostrato una particolare mala fede citando in giudizio la società in luogo del truffatore». Nonostante le motivazioni addotte dal ricorrente, il Tribunale francese ha respinto tutte le questioni perché infondate. Nello specifico, il giudice francese rileva che il Sig. CONTOZ ha effettuato il pagamento a un soggetto diverso dal sig. BARRY senza verificare l’effettivo venditore, ma basando il tutto su una e-mail che il soggetto terzo ha inviato. In secondo luogo, l’acquirente non ha utilizzato i sistemi di pagamento indicati da eBay, come il sistema PayPal, ma ha utilizzato un giroconto internazionale, versando la cifra direttamente al Sig. PETRESCUE e non all’effettivo venditore. La corte, altresì, rileva che l’acquirente nonostante avesse notato il punteggio di feedback pari a 0, ha deciso comunque di concludere il contratto. Il giudice, sostiene che «nessun errore può essere imputabile ad eBay […] che non può essere ritenuta responsabile della condotta illecita del venditore […] che i venditori di oggetti sul sito […] sono gli unici responsabili del corretto adempimento dei contratti di vendita conclusi sul sito di eBay».

             Viene ribadito il principio in base al quale eBay non è responsabile per gli illeciti commessi da un proprio utente a danno di un altro[8]. Suddetto principio si basa sulla non applicabilità a eBay dell’art. L 32-3-3 del Code des Postes et des Télécommunications[9], poiché svolge una semplice trasmissione di dati senza selezionare alcun destinatario. È invece soggetta, alla loi n. 2004-575[10], esercitando la propria attività nel commercio elettronico. Il giudice, ha chiarito che, ai sensi dell’art. 15 della legge sopra citata eBay è  sì responsabile del corretto adempimento contrattuale, ma i «venditori di oggetti sul sito non possono essere considerati come beneficiari di prestazioni di servizio nel senso previsto da tale norma. Ne consegue che sono i venditori gli unici responsabili del corretto adempimento dei contratti di vendita conclusi sul sito eBay[11]». Il giudice, infine, evidenzia che al fine di consentire l’identificazione del venditore, ai sensi dell’art. 6-II della loi du 21-06-04, in capo alla società citata in giudizio, non vi è «alcun obbligo contrattuale o legale che le impone di verificare tali dati». Per i motivi sopra elencati, dalla disamina della sentenza emerge chiaramente la non responsabilità di eBay per gli atti illeciti commessi da propri utenti a danno di altri, come quello sottoposto all’esame del giudice francese.

La giurisprudenza francese, più volte si è però dovuta confrontare con il regime di responsabilità degli intermediari di servizi Internet. Al fine di provare ad individuare il criterio di imputazione utilizzato dalle corti transalpine, non si può non fare riferimento al celebre caso Hallyday[12]. La sentenza in esame ha rappresentato un momento epocale per la  giurisprudenza francese, catturando  l’attenzione anche al di fuori del contesto giuridico. Nel 1998 il provider Valentine Lacambre ospitava numerosi siti web. Uno dei siti web ospitati, nello specifico Silversurfer, pubblicò delle fotografie della modella Estelle Lefebure, senza il consenso di quest’ultima, nota per aver sposato il figlio del celebre cantante Johnny Hallyday. Tali fotografie la ritraevano nuda o seminuda. Il provider, provvedeva a ritirare il materiale pubblicato e contestualmente rendeva inaccessibile il sito. Il Tribunal de Grande Instance di Parigi ritenne il provider responsabile del fatto per due motivi: non aveva informato il server dell’obbligo di rispettare i diritti dei terzi e aveva violato l’obbligo di sorveglianza sui contenuti del sito ospitato[13]. In secondo grado l’appellante sostenne che il sito web era stato bloccato già prima della sentenza di primo grado e che in quanto fornitore tecnico non aveva l’obbligo di controllo del contenuto. L’ex modella che aveva adito il tribunale considerava il provider responsabile a titolo di colpa[14] per non aver vigilato sul materiale immesso e per aver accettato di ospitare siti e pagine web di persone coperte dall’anonimato[15]. La pubblicazione non autorizzata di tali foto costituiva una violazione dell’art. 9 Code Civil e dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte d’Appello accolse le domande dell’ex modella e condannò il provider Lacambre al risarcimento dei danni e alla pubblicazione della pronuncia su tre riviste a sua scelta[16]. Con tale decisione, la Corte d’Appello, pur ritenendo insussistente l’obbligo di controllo sui siti ospitati[17] ha rilevato che l’attività del provider era remunerativa ed aveva travalicato il suo ruolo meramente tecnico[18]. Ha riconosciuto una responsabilità oggettiva, riproponendo la teoria del «rischio  profitto» già usata dalla giurisprudenza francese[19]. Tale teoria è imperniata sul concetto che dall’esercizio della propria attività lucrativa derivano una serie di benefici. Ne consegue, tuttavia, il riconoscimento della responsabilità giuridica per le ricadute dannose della attività svolta. Si verrebbe a configurare un regime simile a quello contemplato dall’art. 2050 del c.c., che disciplina la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. Autorevole dottrina ha ravvisato che «la decisione della Corte appare fondata sugli artt. 1382 e 1383 Code Civil, anche se la motivazione, con una certa imprecisione, omette (forse volutamente) di precisare in che  modo l’attività  svolta  costituisca  un fatto (ex art. 1382) o in che modo il comportamento costituisca una «negligence» (ex art. 1383): è plausibile che il Lacambre abbia ecceduto il «rôle technique de simple transmetteur d’informations» dal momento che ha accettato l’anonimato del server[20]». Tuttavia, tale teoria, non può trovare accoglimento poiché  non si è cercato di conoscere l’autore materiale del fatto. Va ravvisato, che le corti non hanno mai fatto riferimento all’art. 1384 Code Civil[21]. Anche la responsabilité pour fait d’autrui, i cui elementi richiesti sono gli stessi presenti nella vicarious liability e nell’art. 2049 c.c., e la responsabilitè pour fait des choses, non appaiono adattabili al caso in esame. Le ripercussioni derivanti dalla pubblicazione della sentenza furono però notevoli, infatti, i maggiori provider francesi oscurarono oltre cinquemila siti, temendo di essere responsabili dei contenuti ospitati.

Una nuova tappa dell’evoluzione giurisprudenziale francese è poi rappresentata dal caso Lacoste. «I fatti sono simili all’affaire Hallyday[22]». Il sito L. Lacoste, aveva diffuso delle foto osé di una ex modella francese senza il consenso di quest’ultima. Anche in questo caso, l’autore dell’illecito era rimasto anonimo poiché il provider non aveva provveduto a registrare le sue generalità. La donna chiamò a rispondere del danno subito diversi fornitori di spazio web, ospiti dell’indirizzo www.controverso. Il Tribunal de Grande Instance de Nanterre, ritenne responsabile il provider per la negligente omissione della registrazione delle generalità dell’user autore dell’illecito. Erano, quindi, state trascurate le norme di diligenza proprie del bon professionel e disciplinate dagli artt. 1382, 1383 del Code Civil[23]. Il Tribunale considerò l’obbligo del provider come un obbligazione di mezzi, prevista dagli artt. 1382 ss. Code Civil[24]. La responsabilità del provider veniva ricondotta al criterio d’imputazione della colpa[25]. In  tale sede, è opportuno ricordare che l’unica società a ricorrere in giudizio fu Lacoste Multimania. La Corte di Versailles seguì la scia del caso degli studenti francesi ebrei[26], sostenendo che l’obbligo di controllo dei contenuti e la relativa rimozione è ammissibile solo in determinati casi: a) denuncia di un soggetto terzo leso dai contenuti esposti in rete; b) richiesta di una pubblica autorità; c) conoscenza ottenuta nel corso delle normali operazioni tecniche necessarie per garantire efficienza. Poiché non si era verificata la seconda circostanza e la Lacoste Multimania aveva prontamente operato per impedire la continuazione dell’illecito, tale società non era responsabile per il danno subito dall’ex modella. La Corte d’Appello ha ritenuto che i danni dell’ex modella non erano stati causati da un fautif del fournisseur.

 Ai fini della presente trattazione, è dunque opportuno analizzare anche la legge di recepimento francese della Direttiva n. 31/2000/CE. La legge n. 575/2004, la Loi pour la confiance dans l’économie numérique tratta la responsabilità dei prestataires techniques nelle due differenti forme del fournisseur d’accès e del fournisseur d’hébergement[27]. Ai sensi dell’art. 6, n. 1, 2° co., i fornitori non sono responsabili, anche se operanti a titolo gratuito, «[…] per le attività o le informazioni immagazzinate su richiesta di un destinatario di tali servizi, se essi non hanno effettivamente conoscenza del loro carattere illecito, o di fatti e circostanze che lascino apparire tale carattere […]». I fornitori non sono altresì responsabili «se, fin dal momento in cui ne hanno avuto conoscenza, hanno agito prontamente per ritirare tali dati o renderne impossibile l’accesso. Il comma precedente non si applica allorquando il destinatario del servizio agisca sotto l’autorità o il controllo della persona indicata al detto comma». Il riferimento è alla figura dell’host provider. Il 4° co., prevede la possibilità che un’attività sia qualificata come illecita[28] in modo fraudolento per chiederne la rimozione ad altri scopi[29]. Il 7° co., riproduce invece l’art. 15 della Direttiva n. 31/2000/CE, che esclude l’obbligo generale di sorveglianza, «per le persone menzionate ai commi 1 e 2 […] sulle informazioni che esse trasmettono o immagazzinano né ad un obbligo generale di ricercare fatti o circostanze rivelanti attività illecite[30]». I provider devono possedere «i dati in grado di permettere l’identificazione di chiunque abbia contribuito alla creazione del contenuto o di uno dei contenuti dei servizi di cui sono fornitori[31]».

Dall’analisi condotta emergono chiaramente tutte le problematiche e le difficoltà attuative ed interpretative delle fattispecie normative predisposte dal legislatore in relazione ai profili di responsabilità degli Internet Service Provider – infatti con essi nuovi attori della rete la distanza non ha più costituito un problema -. Il proliferare delle transazioni commerciali a distanza ha determinato contestualmente una sempre maggiore richiesta di tutela da parte del consumatore. La possibilità di travalicare virtualmente i confini nazionali con un semplice clik ha quindi reso necessario la predisposizione di una serie di regole comuni a livello europeo.

Su tale scia, seppur molte questioni siano ancora aperte[32], si è inserita la Direttiva 2000/31/CE, recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. n. 70/2003. Obiettivo del legislatore era la promozione della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri e la libertà di fornire tali servizi[33]. Sebbene abbia individuato anche il criterio in base al quale è configurabile una responsabilità in capo agli Internet Service Provider ed abbia eliminato l’obbligo di controllare i contenuti pubblicati dai gestori dei siti[34], non pochi problemi sono rimasti irrisolti. Fra i tanti, a modesto parere di chi scrive, spicca la mancata previsione di una procedura analoga a quella predisposta  dal  DMCA , la  c.d. notice and take down[35]. Anche eBay,  dal 2001,  ha  creato  un  programma  per  la  protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Tale programma, chiamato VeRO (Verified  Rights  Owner), consente a tutti i titolari di diritti di proprietà  intellettuale  di  iscriversi, segnalando eventuali abusi. Come  sottolineato  anche da autorevole dottrina, un altro nodo irrisolto  concerne  i  limiti  agli ordini che possono essere impartiti dai giudici agli Internet Service Provider[36].  Si potrebbe, ad esempio, ordinare a eBay di chiudere un’asta qualora venga a conoscenza di un oggetto contraffatto? «Non si tratta di un modo per aggirare l’art.15 della direttiva sul commercio elettronico (ossia l’art. 17 d.lgs. 70/2003), che fa divieto agli Stati membri di imporre ai provider un “obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano” ovvero “un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite[37]”?».

Il  dibattito  è  aperto e complesso ed  ha visto e tuttora vede la  difficoltà degli operatori, quali eBay[38], e degli ordinamenti di adeguare i propri schemi alle novità introdotte da Internet.

 

 

 


[1]La giurisprudenza di merito sulla responsabilità dell’ISP non è compatta. Alcune pronunce hanno riconosciuto al provider la responsabilità extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., altre hanno addebitato al gestore del sito la responsabilità per fatti illeciti commessi da terzi.

[2] Il testo integrale della sentenza in lingua originale è disponibile su www.ipsoa.it/dirittodellinternet.

[3]  L’accettazione delle condizioni avviene tramite la tecnica del c.d. point and click. Il consenso che l’utente manifesta «consiste nella pressione del c.d. tasto negoziale di accettazione». Cfr. E TOSI, il contratto virtuale: formazione e conclusione tra regole procedimentali comuni e speciali, in E. TOSI (a cura di) Commercio Elettronico e Servizi della Società dell’Informazione, 2003.

[4] Cfr. M. BERLIRI, P. LA GUMINA, La (non) responsabilità di eBay per gli illeciti commessi dai propri utenti, in «Diritto dell’internet», Milano, Ipsoa Editore, 2007, n. 4, pp. 339-348.

[5] La Direttiva 2000/31/CE, disciplina tre attività: semplice trasporto o (mere conduit), memorizzazione temporanea o (caching) e memorizzazione o (hosting). Il profilo che presenta maggiori problematiche applicative , come andremo a vedere, è quello della memorizzazione. L’ISP mette a disposizione un semplice spazio telematico, le informazioni da fornire le sceglierà il soggetto che con il prestatore stipula un contratto di hosting. Quest’ultimo, viene detto anche fornitore di contenuti o content provider. Cfr. G. M. RICCIO, La responsabilità degli Internet Service Provider. Situazione legislativa e problemi aperti, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009.

[6] Cfr. M. BERLIRI, P. LA GUMINA, La (non) responsabilità di eBay per gli illeciti commessi dai propri utenti, in «Diritto dell’internet», Milano, Ipsoa Editore, 2007, n. 4, pp. 339-348.

[7] L’art. 15 stabilisce che «Toute personne physique ou morale exercant l’activité définie au premier alinéa de l’article 14 est responsable de plein droit à l’égard de l’acheteur de la bonne exécution des obligations résultant du contrat, que ces obligations soient à exécuter par elle-même ou par d’autres prestataires de services, sans préjudice de son droit de recours contre ceux-ci […]».

[8] Cfr. M. BERLIRI, P. LA GUMINA, La (non) responsabilità di eBay per gli illeciti commessi dai propri utenti, in «Diritto dell’internet», Milano, Ipsoa Editore, 2007, n. 4, pp. 339-348. 

[9] Ai sensi del presente articolo: «Toute personne assurant une activité de transmission de contenus sur un réseau de communications électroniques ou de fourniture d’accés à un réseau de communications électroniques ne peut voir sa responsabilité civile ou pénale engagée à raison de ces contenus que dans les cas où soit elle est à l’origine de la demande de transmission litigieuse, soit elle sélectionne le destinataire de la transmission, soit elle sélection ou modifie les contenus faisant l’objet de la transmission».

[10] In Francia, con la loi n. 2004-575 è stata recepita la Direttiva 2000/31/CE.

[11] Cit. M. BERLIRI, P. LA GUMINA, La (non) responsabilità di eBay per gli illeciti commessi dai propri utenti, in «Diritto dell’internet», Milano, Ipsoa Editore, 2007, n. 4, p. 344.

[12] Il testo della sentenza è disponibile all’indirizzo http://www.legalis.net.

[13] Sul punto cfr. G. M. RICCIO, La responsabilità del provider nell’esperienza francese: il caso Hallyday, in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 929-941. 

[14] Lo ritenne responsabile a titolo di colpa o, per aver violato le norme sulla stampa del 23 giugno 1982 e 30 settembre 1986, che prevedono un regime di responsabilità oggettiva dell’editore e del direttore, la c.d. responsabilité en cascade.

[15] Cfr. P. PALLARO, Prime   note   sulla  responsabilità dei  fornitori di servizi internet in diritto comunitario, in «Diritto del commercio internazionale», Varese, Giuffrè Editore, 2001, I, pp. 137-167.   

[16] La Corte d’Appello sostenne l’inapplicabilità della normativa sulla stampa, con conseguente esclusione della responsabilité en cascade sull’editore. Tra i giornali ed Internet, infatti, vi è una differenza strutturale. In riferimento ai primi, vige una struttura di controllo gerarchica, impossibile per il mondo virtuale data la sua morfologia.

[17] I provider, dovrebbero controllare milioni di informazioni e continuamente poiché le informazioni immesse sono modificabili in ogni momento. È quindi impossibile far gravare sul provider un obbligo di vigilanza preventiva. Questo, è anche l’orientamento maggioritario della dottrina francese.

[18] «Il provider che nell’offrire ospitalità sul sito da lui gestito e creato, consente a chiunque sotto qualsiasi denominazione, o anche anonimamente, di diffondere segni, scritti, immagini, suoni e messaggi, sprovvisti del carattere di corrispondenza privata, eccede manifestamente il suo ruolo tecnico di semplice trasmettitore d’informazioni e deve, dunque, assumere verso i terzi le conseguenze di tale attività». Corte d’Appello di Parigi 10 febbraio 1999, leggibile in Danno e Responsabilità, 1999, con traduzione di F. DI CIOMMO.

[19] Sul punto, cfr. P. PALLARO, Prime note sulla responsabilità dei fornitori di servizi  internet in  diritto comunitario, in «Diritto del commercio internazionale»,

Varese, Giuffrè Editore, 2001, I, pp. 137-167.

[20] Cit. G. M. RICCIO, La responsabilità del provider nell’esperienza francese: il caso Hallyday, in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», Milano, Giuffrè Editore, 1999, p. 931.

[21] Ai sensi dell’art. 1384 Code Civil: «On est responsable non seulement du dommage que l’on cause par son propre fait, mais encore de celui qui est causé par le fait des personnes dont on doit répondre, ou des choses que l’on a sous sa garde».

[22] Cit. P. PALLARO, Prime note sulla responsabilità dei fornitori di servizi internet in diritto comunitario, in «Diritto del commercio internazionale», Varese, Giuffrè Editore, 2001, I, p. 143.

[23] Cfr. M. DE CATA, La responsabilità civile dell’internet service provider, Milano, Giuffrè Editore, 2010. 

[24] Contra P. PALLARO. L’autore considera l’obbligo di vigilanza come una obbligazione di risultato anziché di mezzi. Cfr. G. M. RICCIO: l’autore ritiene che sia configurabile una violazione colposa, per non aver verificato l’identità della persona che beneficiava del servizio.

[25] La violazione contestata ai provider non si basa sulla fornitura di un servizio anonimo, ma sul non avere attivato un controllo basato sull’utilizzo dei motori di ricerca funzionanti per parole chiavi.

[26] Il Tribunal de Grande Instance di Parigi, nel 1996, ha rigettato la domanda di un’unione di studenti francesi ebrei che aveva citato in giudizio nove provider. Questi ultimi, avevano ospitato messaggi che negavano il compimento dei crimini nazisti. La domanda fu rigettata anche in assenza di una espressa previsione di legge. La sentenza è disponibile all’indirizzo www.legalis.net. Cfr. C. DI MARTINO, Responsabilità di eBay per vendita all’asta di prodotti contraffatti: le risposte delle corti francesi e statunitensi, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009.  

[27] Queste due figure sono disciplinate dal Cap. III, art. 6 della suddetta legge. L’art. 6 è stato sottoposto anche al vaglio del Conseil Constitutionnel, che nell’esprimersi ha ribadito che non rientra tra le attribuzioni in suo potere quella di verificare una Direttiva comunitaria e la relativa trasposizione all’interno dell’ordinamento nazionale.

[28] Art. 6, n. 1, 4° co., «Chiunque indichi alle persone menzionate al comma 2 un contenuto  o  un’attività  come  illecita  allo  scopo di  ottenerne  il  ritiro  o  farne cessare la diffusione, sapendo che tale informazione è inesatta, è punito con la reclusione di un anno e quindicimila euro di ammenda».

[29] Cfr. C. DI MARTINO, Responsabilità di eBay per vendita all’asta di prodotti contraffatti: le risposte delle corti francesi e statunitensi, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009, pp. 175-204.

[30] I prestatori, però, devono informare le autorità pubbliche sulle attività illecite che gli vengono segnalate.

[31] Art. 6, n. 2, Loi n. 575/2004.

[32] Sul punto cfr. M. DE CATA, La responsabilità civile dell’internet service provider, Milano, Giuffrè Editore, 2010, pp. 185-213.

[33] Il 1º co. dell’art. 1 del D.Lgs. n. 70/2003, tra le finalità che intende perseguire vi è quella di «[…] promuovere la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, fra i quali il commercio elettronico». Si discosta dall’art. 1 della dir. 2000/31/CE, nel quale, l’obiettivo era il «buon funzionamento del mercato», «garantendo» la libertà dell’informazione.

[34] Art. 17 del D.Lgs. n. 70/2003 che ha recepito l’art. 15 della Direttiva 2000/31/CE.

[35] La notification è un atto formale con il quale il soggetto che lamenta una violazione dei propri diritti intima la rimozione dei contenuti illeciti.

[36] Cfr. G. M. RICCIO, La responsabilità degli Internet Service Provider. Situazione legislativa e problemi aperti, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009.

[37] Cit. G. M. RICCIO, La responsabilità degli Internet Service Provider. Situazione legislativa e problemi aperti, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009, p. 166.

[38] Il colosso mondiale di aste on-line è stato più volte al centro di polemiche, soprattutto per una ‘sua responsabilità’ per la vendita all’asta di prodotti contraffatti e la conseguente individuazione del suo status giuridico: mero intermediario in senso stretto o mediatore. 

Iemma Giuseppe

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