Donne: breve storia del riconoscimento giuridico della parità

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“Women’s rights are human rights”. Cioè, in italiano, i diritti delle donne sono diritti umani. Parole forse scontate e banali, a tratti pleonastici, ma formalmente pronunciate solo vent’anni fa, nel 1995 per l’esattezza, durante la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, a Pechino. Perché, in effetti, oggi, la Giornata contro la violenza sulle donne, è anche l’occasione per ricordare e una storia di diritti non riconosciuti e di libertà non garantite. E’ la storia di Eva storicamente sottomessa ad Adamo, l’uomo, maschio, a cui, ancora nel diciottesimo secolo, spetta il dominio sfera pubblica e che relega la donna nelle quattro mura di una casa. No che non possono spettare ad Eva, più emotiva e sentimentale e, per questo, meno razionale, le decisioni politiche ed economiche di una istituzione sociale, famiglia compresa. Lo stesso Rousseau, nel pieno del clima della Rivoluzione Francese, non la pensa diversamente: “nell’unione dei sessi ciascuno concorre egualmente all’oggetto comune, ma non nella stessa maniera … L’uno deve essere attivo e forte, l’altro passivo e debole: necessariamente occorre che uno voglia e possa, l’altro basta che resista poco. Stabilito questo principio, ne segue che la donna è fatta specialmente per piacere all’uomo”. D’altronde la concezione di una donna moglie e madre, e tanto può bastare, sarebbe stata funzionale allo sviluppo di una società urbana ed industriale modellata sull’uomo lavoratore (bianco, si capisce!). E se nel 1789 la “Dichiarazione di diritti dell’uomo e del cittadino” appare una conquista di civiltà giuridica ci penserà la scrittrice Olympia de Gouges a scrivere, a nome di tutte le mogli, le madri e le sorelle, la “Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine” che sancisce un principio fondamentale: “la donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell’uomo” (articolo 1). Con la consapevolezza che “…l’esercizio dei diritti naturali ha come limite solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone” (articolo 4) e la speranza che “ogni cittadina possa dire liberamente: io sono madre di un bambino che vi appartiene” (articolo 11). Parità di diritti e di doveri tra uomo e donna, quindi, un sogno che finirà molto presto: Olympia sarà ghigliottinata due anni dopo, nel 1793. Solo un anno prima, nel 1792, la filosofa Mary Wollstonecraft aveva parlato dell’ingiustizia del potere tirannico maschile nel suo “A Vindication of the Rights of Woman”. Ma l’atto di nascita del movimento femminista liberale è “siglato” nel 1848 a Seneca Falls (Usa),dove alcune donne redigono una “Convenzione” e si impegnano a rifiutare l’obbedienza della donna all’uomo ed a ribellarsi.

Così, nel 1869, John Stuart Mill, riprende le tesi della moglie Taylor (1807- 1858) e nel suo “The Subjection of Women” ribadisce che il diritto non può rendere diseguale ciò che in natura è uguale e che quindi la donna non deve continuare a dipendere, moralmente ed economicamente, dall’uomo. Nel frattempo il femminismo marxista proietta nella rivoluzione e nell’abolizione della proprietà privata, la fine della schiavitù femminile.

Intanto nel diciannovesimo secolo negli Stati Uniti d’America, nel Regno Unito ed in Francia il movimento delle “suffragette” rivendica la razionalità, la responsabilità e l’indipendenza delle donne e, in particolare, il diritto al voto. In Italia, in ritardo rispetto a tanti altri Paesi, le donne potranno votare ed essere elette soltanto nel 1946, il 2 giugno, quando i cittadini e le cittadine saranno chiamati a scegliere se Monarchia o Repubblica nonché i membri dell’Assemblea Costituente. Non sembri scontato ricordare che su 556 membri dell’Assemblea Costituente, ventuno erano donne. Poche? Certamente. Eppure la nostra Costituzione è vergata di quella sensibilità femminile che l’ha resa la più bella del mondo. Non siamo cresciuti e maturati, quindi, sulle spalle solo di “Padri” Costituenti ma anche di “Madri” Costituenti che hanno rappresentato la  grande e vera “rivoluzione” della nostra Carta fondamentale.

Sappiamo, oggi, che la proclamata eguaglianza di diritti tra donna e uomo non è sufficiente. E’ la continua tensione che i costituzionalisti riproducono nel paradigma tra “eguaglianza formale” ed “eguaglianza sostanziale” a dover essere risolta anche in questo caso. Le continue discriminazioni a danno delle donne ci chiedono un rinnovato impegno sulla strada dei diritti da tutelare e delle libertà da riconoscere.

Guzzo Luigi Mariano

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