Commercio elettronico, consumatori ed effetti della Brexit su mercati ed imprese

Iemma Giuseppe 09/09/16
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Il presente lavoro è mosso dallo scopo di analizzare il fenomeno del commercio elettronico[1] dimostratosi adeguato a soddisfare le molteplici esigenze di una realtà giuridica in continua espansione e in  divenire. Realtà che per sua natura non è immune alle modifiche derivabili, nel breve e medio termine, dalla fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Da un punto di vista giuridico ed economico la crescita di tale fenomeno è dovuta al fatto che esso offre la possibilità di utilizzare una rete incredibilmente estesa a costi trascurabili, permettendo il libero scambio non solo delle informazioni.

            Se con il Web 1.0 gli utenti si limitavano semplicemente ad installare sui propri computer un browser per la navigazione e la ricerca dei contenuti, con il Web 2.0 è stato possibile l’interazione tra imprese di tutto il mondo e potenziali acquirenti. Il commercio di beni e servizi, (c.d. e-commerce B2C[2]), è progressivamente divenuto una costante della nostra realtà giuridica. Gli utenti sono divenuti gli attori della Rete, co-sviluppatori di un servizio[3]. Tale peculiarità è ancor più accentuata nel Web 3.0 in cui assumono un ruolo preponderante i c.d. terminali mobili, quali ad esempio gli  smartphone e con i quali è possibile arricchire i contenuti della Rete[4].

            Per sua natura l’e-commerce, quindi, si differenzia dalle tradizionali forme di comunicazione poiché ha si introdotto innumerevoli interazioni ma con esse anche possibilità di abusi[5]. Il consumatore, infatti, si configura come soggetto debole e bisognoso di protezione. Il contratto spesso si perfeziona senza che il consumatore possa confrontare la qualità e il prezzo della merce con altri beni similari. Le informazioni a disposizione dello stesso non sono sufficienti, con la conseguente alterazione del normale rapporto contrattuale[6].

            Una delle definizioni più chiare di commercio elettronico è stata fornita dalla Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo: «Electronic commerce refers generally to commercial transactions involving both organizations and individuals, that are based upon the processing and trasmission of digitized data, including text, sound and visual images and that are trasmitted over open networks such as the Internet or over closed networks such as AOL or Minitel that have a gateway onto an open network[7]». Il crescente sviluppo di tale formula[8] ha dunque richiamato l’attenzione dell’Unione Europea. Nel novembre del 1998 si è così giunti all’emanazione di una proposta di direttiva sul commercio elettronico, modificata nel 1999 (Com/99/427) ed inglobata nella Direttiva 2000/31/CE dell’8 giugno 2000[9]. Tale direttiva rappresenta l’obiettivo di contribuire al ravvicinamento delle norme nazionali sui servizi della società dell’ informazione[10]. L’avvento della nuova economia[11], e-commerce business-to-business e business-to-consumer[12], e la coesistenza per certi aspetti con la vecchia economia hanno però prodotto una legislazione consumeristica i cui tratti non sono ben delineati[13].

            Molti i problemi ancora aperti[14] che non possono non catturare l’attenzione del moderno giurista. A titolo esemplificativo si pensi al rapporto tra Direttiva sul commercio elettronico e normativa consumeristica. Il Decreto sul commercio elettronico viene derogato dalla normativa consumeristica[15]? La normativa che più interferisce con quella sul commercio elettronico, infatti, è rappresentata dal D.Lgs. n. 185/1999 sui contratti a distanza.

            In un contesto già ricco di antinomie e difficoltà interpretative ed applicative quali saranno i possibili effetti su imprese[16] e mercati digitali derivanti dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e posti alla base del presente lavoro? Basti pensare all’interscambio commerciale tra Italia e Regno Unito che, attualmente, ammonta a ben 33 miliardi di euro. Si applicherebbe ad ogni scambio la regolamentazione del World Trade Organization[17], c.d. WTO? Quale la protezione di marchi e copyright degli operatori di altri Stati membri?

            Poiché molte aziende italiane hanno depositato il proprio brandlivello europeo e non mondiale  i concorrenti con sede nel Regno Unito saranno liberi di “plagio[18]”? Per quanto riguarda i brevetti, invece, la partecipazione del Regno Unito nel sistema del brevetto europeo è indipendente rispetto alla sua adesione all’Unione Europea. Infatti, dal momento che la Convenzione sul Brevetto europeo è un trattato sovra-nazionale slegato dall’Unione Europea, i richiedenti possono ancora optare per la protezione nel Regno Unito. Il Regno Unito, tuttavia, non sarà più in grado di partecipare al Brevetto Unitario[19] aperto ai soli Stati Membri dell’Unione. Tra le maggiori incertezze vi sarà anche quella concernente il processo di attuazione del Tribunale Unificato dei Brevetti[20], c.d. TUB, nell’ambito della quale Londra è stata designata come sede della Corte che tratterà i casi in materia di life sciences.

            Secondo l’art. 89 del relativo accordo istitutivo (“UPCA”), la UPC inizierà ad operare solo qualora tale accordo dovesse essere ratificato da tredici Stati Membri, inclusi i tre Stati[21] in cui era stato validato il maggior numero di brevetti europei nell’anno precedente alla firma dell’accordo medesimo (alias nel 2012). Da tale data entrerà in vigore anche il Regolamento UE n. 1257/12 che istituisce il summenzionato brevetto europeo con effetto unitario. A Londra è inoltre stabilita una delle tre sedi della Divisione Centrale della UPC in base all’art. 7(2)[22] dell’UPCA. Ci si chiede quindi cosa sarà del sistema del brevetto unitario e della UPC in conseguenza della Brexit. Quali gli scenari futuri? Questi sono solo  alcuni dei profili giuridici sui quali si focalizza l’attenzione del moderno giurista costretto a confrontarsi con un ordinamento multilevel in cui, il continuo proliferare di norme ed il loro coordinamento, costituisce uno dei problemi e delle sfide principali[23] della nostra realtà giuridica globale.

            Giurista, altresì, che non può prescindere dall’indagine comparatistica, indispensabile per integrare il tradizionale approccio giuridico e per una migliore comprensione dei fenomeni e delle realtà giuridiche, nonché delle loro dinamiche evolutive, dei problemi che ne possono derivare e, infine, per elaborare le soluzioni più efficaci. Ciò si ritiene indispensabile per cogliere al meglio la crisi delle istituzioni sovranazionali e internazionali da tempo in atto ed accentuata ancor più dalla Brexit.

 

 

 


[1] Riferimenti Bibliografici: – F. CAIRNCROSS, The death of Distance: How the communications revolution will change our lives, 1997; – G. COMANDÉ, S. SICA, Il commercio elettronico. Profili giuridici, Torino, G. Giappichelli, 2001; – S. LOMBRASSA, La tutela del consumatore, in Internet, nuovi problemi e questioni controverse, G. CASSANO, (a cura di), Milano, Giuffrè Editore, 2001; – M. F. MAGNELLI, Il contratto del commercio elettronico e la tutela del consumatore, Pellegrini Editore, Cosenza, 2010; – A. MAZZEI, Il World-Wide Web, in Manuale di informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie, M. DURANTE – U. PAGALLO, (a cura di), Torino, Utet, 2012; – P. PACILEO, Contratti on line e pagamenti elettronici. Diritto interno, normativa comunitaria e modelli comparati, Torino, Giappichelli Editore, 2010; – A .G. PARISI, Il commercio elettronico, in Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, S. SICA, V. ZENO-ZENKOVICH ( a cura di), Padova, Cedam, 2009; – G.  M.  RICCIO,  La  responsabilità  degli   internet   providers   nel d.lgs.n.70/03   in  «Danno  e  responsabilità»,  Milano,  Ipsoa  Editore, 2003, vol. 8, fascicolo 12, pp. 1157-1169; – G. M. RICCIO, La responsabilità civile degli internet providers, Torino, G. Giappichelli Editore, 2002; – G. M. RICCIO, Profili di responsabilità civile dell’internet provider in «Quaderni del Dipartimento diretti da Pasquale Stanzione, Ricerche 22», Salerno, 2000; – G. M. RICCIO, Old Economy v. New Economy: Intellectual property, global wrongs and private remedies, in www.comparazionedirittocivile.it; – Cfr. G. RUFFO, Rete e reti, in Manuale di informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie, M. DURANTE – U. PAGALLO, (a cura di), Torino, Utet, 2012; – P. SANNA, Il regime di responsabilità dei providers intermediari di servizi  della  società   dell’informazione,  in  «Responsabilità civile  e previdenza», Milano, Giuffrè Editore, 2004, pp. 279-302; – G. SANTOSUOSSO, Il codice di internet e del commercio elettronico, Padova, Cedam, 2001, pp. 106-115; – B. TASSONE, Vendita a distanza, in «I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale», E. M. TRIPODI, B. TASSONE, (a cura di), La vendita, XV, Tomo I, Torino, Utet Editore, 2004, p. 309; – E. TOSI, Introduzione alla terza edizione, in I problemi giuridici di Internet: dall’e-commerce all’e-business, E. TOSI, (a cura di), Milano, Giuffrè Editore, 2003; – V. ZENO-ZENCOVICH, Note critiche sulla nuova disciplina del commercio elettronico dettata dal D.Lgs. 70/03, in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», Milano, Giuffrè Editore, 2003, vol. 19, fascicolo 3, pp. 505-519; – V. ZENO-ZENCOVICH, La tutela del consumatore nel commercio elettronico, in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», Milano, Giuffrè Editore, 2000, vol. 16, fascicolo 3, pp. 447-454.

 

[2] I contratti sono conclusi tra un soggetto professionale e un e-consumer che è una persona fisica.

[3] Si è soliti parlare di user generated content. Cfr. G. RUFFO, Rete e reti, in Manuale di informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie, M. DURANTE – U. PAGALLO, (a cura di), Torino, Utet Editore, 2012; A. MAZZEI, Il World-Wide Web, in Manuale di informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie, M. DURANTE – U. PAGALLO, (a cura di), Torino, Utet Editore, 2012.

[4] Si veda E. TOSI, Introduzione alla terza edizione, in I problemi giuridici di Internet: dall’e-commerce all’e-business, E. TOSI, (a cura di), Milano, Giuffrè Editore, 2003. L’autore ritiene che si possa parlare di un vero e proprio passaggio da e-commerce a e-business e dunque di esercizio di impresa “virtuale” nel senso più ampio del termine.

[5] Cfr. S. LOMBRASSA, La tutela del consumatore, in Internet, nuovi problemi e questioni controverse, G. CASSANO, (a cura di), Milano, Giuffrè Editore, 2001.

[6] «[…] Infatti, come ha da tempo sottolineato la migliore dottrina (Pardolesi e Pacces 1996, 385 ss.), il consumatore è un soggetto debole in quanto pressoché totalmente disinformato in ordine alla regolamentazione dei rapporti che instaura sul mercato. Tale (razionale) ignoranza, che assume i veri e propri tratti della asimmetria informativa, sussiste, in particolare, quando il consumatore si trova davanti a condizioni generali di contratto già preconfezionate e fa sì che le stesse vengano redatte in modo da essere il più possibile sfavorevoli allo stesso e favorevoli alla controparte.» Cit. B. TASSONE, Vendita a distanza, in «I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale», E. M. TRIPODI, B. TASSONE, (a cura di), La vendita, XV, Tomo I, Torino, Utet Editore, 2004, p. 309.

[7] Cfr. G. COMANDÉ, S. SICA, Il commercio elettronico. Profili giuridici, Torino, G. Giappichelli, 2001.

[8] Si parla della cosiddetta «morte della distanza». Cfr. F. CAIRNCROSS, The death of Distance: How the communications revolution will change our lives, 1997.

[9] G. SANTOSUOSSO, Il codice di internet e del commercio elettronico, Padova, Cedam, 2001, pp. 106-115.

[10] In questa sede deve essere citata anche la Comunicazione della Commissione sulla globalizzazione della società dell’informazione e la necessità di rafforzare il coordinamento internazionale, con la quale è stata ulteriormente ribadita la necessità di adottare, in ambito di e-commerce, una linea d’azione comune a livello internazionale, (com/98/50).

[11] Il cambiamento della information and communication technology (ICT) ha avuto un impatto sulla vita reale e sull’economia prorompente. Di qui l’esigenza del legislatore di adeguare la disciplina giuridica non più consona a normare i cambiamenti della nuova società.

[12] I contratti B2B sono quelli che avvengono tra imprenditori. Tali contratti sono caratterizzati da un elemento soggettivo, che concerne la natura del professionnel, e da un elemento oggettivo, costituito dal contenuto del contratto on-line. Nei contratti B2C il rapporto commerciale avviene tra imprenditori e consumatori. I contratti C2C, invece, avvengono esclusivamente tra consumatori. Per completezza è opportuno citare anche altre due categorie di contratti: tra Pubblica Amministrazione e imprenditori (business to administration, c.d. B2A) e tra Pubblica Amministrazione e cittadini (consumer to administration, C2A).

[13] V. ZENO-ZENCOVICH, Note critiche sulla nuova disciplina del commercio elettronico dettata dal D.Lgs. 70/03, in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», Milano, Giuffrè Editore, 2003, vol. 19, fascicolo 3, pp. 505-519.

[14] Tra gli obiettivi che il legislatore si prefigge con il 1º co. dell’art. 1 del Decreto Legislativo n. 185/1999 vi è quello di «[…] promuovere la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, fra i quali il commercio elettronico». Si discosta dall’art. 1 della direttiva 2000/31/CE, nel quale l’obiettivo era il «buon funzionamento del mercato» garantendo la libertà dell’informazione. Tale  distinzione lessicale, – infatti promuovere è cosa ben diversa dal garantire -, non deve assottigliare ed appiattire la ricerca e la comparazione su un piano esclusivamente lessicale.

[15] Sul punto cfr. V. ZENO-ZENCOVICH, La tutela del consumatore nel commercio elettronico, in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», Milano, Giuffrè Editore, 2000, vol. 16, fascicolo 3, pp. 447-454. L’autore si chiede quale delle due rappresenti la lex generalis e quale la lex specialis. In realtà la risposta, come sostenuto dall’autore, ha riflessi pratici di grande importanza. Se la Direttiva sul commercio elettronico può considerarsi legge generale avrà una portata più ampia. «A favore della prima tesi si può osservare che la Direttiva intende disciplinare in maniera unitaria una precisa realtà economica, della quale fornisce una disciplina completa, […] a favore della seconda tesi si può osservare che la disciplina consumeristica ha raggiunto dimensioni ragguardevoli finendo per costituire una branca a parte dell’ordinamento […] la legge «speciale» sarebbe dunque infinitamente più grande di quella «generale» […]».

[16] Si pensi anche alle scelte di localizzazione delle imprese in altre piazze comunitarie. Le stesse start up potrebbero decidere di cambiare sede legale.

[17] La conseguenza principale che deriverebbe sarebbe l’applicazione a tutti gli scambi con la Gran Bretagna – in ingresso come in uscita – della consueta tassazione applicata ai rapporti economici con paesi extra-comunitari. Da sottolineare che ciò riguarderebbe sia i canali tradizionali che il fenomeno oggetto del presente lavoro.

[18] Occorre precisare, tuttavia, che i risvolti non saranno immediati poiché la Gran Bretagna ha due anni di tempo per negoziare l’uscita dall’UE stipulando accordi ad hoc. A modesto parere di chi scrive la portata di questo evento è comunque destinata a modificare  la geografia europea della proprietà intellettuale.

[19] Il Brevetto Europeo con effetto Unitario è stato istituito nel 2012 da due Regolamenti Europei: Reg. n. 1257 e Reg. n. 1260. É un ulteriore strumento di tutela che si affiancherà all’ormai “tradizionale” Brevetto Europeo e, a regime, permetterà di tutelare in modo uniforme un’invenzione su tutto il territorio dell’Unione Europea. Il Brevetto Europeo, invece, benché concesso a livello centrale dall’Ufficio Europeo Brevetti, necessita poi di validazione nei singoli Stati di interesse e dà sostanzialmente origine ad una serie di brevetti nazionali autonomi tra loro.

[20] Il processo di attuazione è ancora in corso. Storicamente è stato concepito al fine di istituire un sistema giudiziario paneuropeo con giurisdizione sulla contraffazione e sulla validità sia dei nuovi Brevetti Europei con effetto Unitario, sia dei “classici” Brevetti Europei.

[21] I tre Stati la cui ratifica è necessaria sono attualmente Francia, Germania e Inghilterra, il che significa che la ratifica della Gran Bretagna è al momento indispensabile perché si dia avvio al sistema del brevetto unitario e ai lavori della UPC.

[22] Art. 7(2) UPCA: «The central division shall have its seat in Paris, with sections in London and Munich[…]».

[23] Cfr. P. PACILEO, Contratti on line e pagamenti elettronici. Diritto interno, normativa comunitaria e modelli comparati, Torino, Giappichelli Editore, 2010; M. F. MAGNELLI, Il contratto del commercio elettronico e la tutela del consumatore, Pellegrini Editore, Cosenza, 2010. Gli autori evidenziano il problema della sovrapposizione e stratificazione di normativa.

Iemma Giuseppe

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