New deal per i consumatori: l’elaborazione della direttiva UE relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi

Redazione 12/12/19
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di Caterina Silvestri

L’esigenza di prevedere forme di tutela in grado di reagire a comportamenti contra ius suscettibili di ledere, in ragione della vastità del mercato o della comunità verso cui sono rivolti, un numero ampio e potenzialmente indeterminato di soggetti, costituisce un tema che, più di altri, rispecchia la società di riferimento, sia sul piano politico sia su quello giuridico. Si tratta, invero, di «tecniche di reazione» che, quasi senza eccezione, si rivolgono alla tradizione giuridica del sistema che le concepisce, mutuandone le categorie tradizionali, trasferendovi la propria mentalità più o meno conservatrice e, non da ultimo, i propri limiti anche di natura organizzativa e economica.

Il dibattito europeo, pur presente da anni e oggetto di corsi e ricorsi di interesse, ha subito una decisa accelerazione in seguito all’affaire sorto con riferimento alle emissioni delle auto Volkswagen.

È la stessa Commissione dell’Unione Europea ad aver definito questo nuovo corso, forse con eccessiva enfasi, «new deal per i consumatori» e collocato lo stesso nel più ampio progetto di lavoro per il 2018, intitolato «Un programma per un’Unione più unita, più forte, più democratica»[1].

Uno dei versanti cruciali di questo cartello di misure riguarda le azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori sfociato, come noto, in una proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio[2].

Il quadro che ne risulta è piuttosto prudente, con scelte sensibilmente diverse rispetto alla class action statunitense che si offre come paradigma tradizionale, ma difficilmente esportabile, di tutela collettiva[3].

Il progetto di direttiva UE elabora un sistema nel quale gli enti specificamente legittimati rivestono un ruolo chiave, non soltanto nella promozione dell’azione, prerogativa a loro riservata, ma anche per altri versanti non meno cruciali, quali la «descrizione del gruppo» richiesto di tutela (che prescinde dalla identificazione dei consumatori) e la individuazione delle «questioni fatto e di diritto da risolvere nell’ambito dell’azione rappresentativa». L’azione dovrebbe avere scopo inibitorio o risarcitorio del danno «effettivo» subito, con esclusione, dunque, di pronunce di danni punitivi (17° considerando). Nei casi più complessi la direttiva prevede «decisioni ricognitive» della responsabilità del professionista sulle quali potranno fare diretto affidamento le successive azioni di ricorso intentate dai singoli consumatori (19° e 34° considerando).

La normativa in questione ha il dichiarato scopo di svolgere un ruolo armonizzatore delle diverse azioni rappresentative nazionali, la cui configurazione resta alla discrezionalità e tradizione giuridica degli Stati membri (24° considerando).

Si tratta di una timidezza che ricade con particolare evidenza sulle azioni transfrontaliere, interessate da una sola norma (l’art. 16 della direttiva), che lascia sostanzialmente intatto il vuoto attuale nella normativa uniforme, anche sul piano della competenza giurisdizionale e della circolazione delle decisioni. Su quest’ultimo profilo, l’unico elemento aggiunto è costituito dall’art. 16, comma 2, il quale nel caso di violazioni lesive di consumatori di diversi Stati membri, prevede che l’azione «possa essere intentata innanzi all’organo giurisdizionale o amministrativo competente di uno Stato membro (…)». La scelta è, dunque, quella di attribuire rilievo anche per le liti transnazionali intra UE alle regole interne degli Stati membri, con rinuncia a dettare un criterio uniforme di collegamento; nulla si dice se questa “uniformità mediata” della competenza giurisdizionale, consentirà alla decisione di circolare entro lo spazio UE quale decisione europea secondo le previsioni del regolamento n. 1215 del 2012.

La strategia non è, dunque, di particolare accento UE, ma di valorizzazione delle esperienze individuali degli ordinamenti, anche non appartenenti all’Unione, come palesata dal Parlamento europeo sin dall’avvio di questa nuova fase di elaborazione della tutela del consumatore, con l’invito alla Commissione «a proporre una normativa su un sistema armonizzato di ricorso collettivo per i consumatori dell’UE, basato sulle migliori prassi all’interno e all’esterno dell’UE»[4].

Non si tratta dell’unico slancio europeo, perché a esso si affianca l’elaborazione del progetto di collective redress dell’American Law Institute e di Unidroit, quale parte del più ambizioso processo di redazione di European Rules of Civil Procedure, a sua volta mosso dall’approvazione nel 2004 dei Principles of Transnational Civil Procedure[5].

In questo contesto culturale e legislativo in movimento, si colloca, come noto, l. 12 aprile 2019, n. 31[6] che ha introdotto nel nostro Paese una “nuova” forma di tutela collettiva, più ampia e articolata, di quella prevista dall’art. 140, Codice Consumo. Il lungo periodo di vacatio legis previsto per la sua entrata in vigore (dodici mesi dalla pubblicazione in GU), oltre che funzionale alla mise en forme di un coerente processo telematico, come espressamente indica l’art. 7 della legge, potrebbe rivelarsi anche prezioso per un confronto con i criteri UE ove la direttiva dovesse, nel frattempo, giungere all’adozione.

[1] COM (2017) 650 final, può leggersi all’indirizzo https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2017/IT/COM-2017-650-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF, p. 8.

[2] La proposta di direttiva in questione abroga la direttiva 2009/22/CE. Il relativo documento COM/2018/184 final-2018/0089 (COD), può leggersi all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/procedure/IT/2018_89. In tema R. Caponi, Ultime dall’Europa sull’azione di classe (con sguardo finale sugli Stati uniti e il Dieselgate), in Foro it., 2019, V, c. 7.

[3] Sui tratti essenziali della class action americana, anche in chiave culturale, N. Trocker, Il processo civile e le controversie soggettivamente complesse. «Class actions» negli Usa. E in Europa?, in Scritti in onore di Vittorio Colesanti, Napoli, 2009, II, p. 1239 ss.

[4] Il testo virgolettato è tratto dalla Relazione alla direttiva che può leggersi unitamente alla direttiva medesima all’indirizzo cit. supra, nota n. 1, p. 3.

[5] Caponi, Ultime dall’Europa sull’azione di classe (con sguardo finale sugli Stati uniti e il Dieselgate), cit., c. 6.

[6] A commento della nuova legge AA.VV., Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di B. Sassani, Pisa, 2019; S. Brazzini-P.P. Muià, La nuova class action alla luce della legge 12 aprile 2019, n. 31, Torino, 2019 Sull’azione precedente G. Afferni, Azione di classe e danno antitrust, Mercato concorrenza regole, 2010, 12.3: 491-526; RORDORF, RENATO. L’azione di classe nel novellato art. 140 bis cod. consumo: considerazioni (e qualche interrogativo). Il Foro Italiano, 2010, 133.6: 183/184-187/188.MENCHINI, Sergio. I primi provvedimenti relativi all’azione di classe dell’art. 140-bis cod. consumo. Il giusto processo civile, 2010, 3.E. Ferrante, L’azione di classe nel diritto italiano, Padova, 2012, coll. diretta da G. COSTANTINO, La tutela collettiva risarcitoria: la tela di Penelope, Foro it., 2009, V, c. 388; R. Donzelli, L’azione di classe a tutela dei consumatori, Roma, 2011;

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