L’attività libero-professionale nel settore sanitario

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a possibilità di esercizio dell’ attività libero professionale da parte dei medici incardinati in strutture sanitarie pubbliche costituisce uno dei caratteri che maggiormente li differenzia rispetto ad analoghe figure professionali del pubblico impiego. Diversità di trattamento che, peraltro, si fonda sulla duplice esigenza di contemperare il diritto del medico ad esercitare tale attività con il parallelo diritto di scelta del singolo utente . Vertendosi in ipotesi di deroga alla sistematica generale del ruolo professionale pubblico ( medici, avvocati, ingegneri, architetti ecc. ecc. ), è evidente che l’ istituto è sempre stato assoggettato a limitazioni di vario genere, essendo in configurabile, per ovvie ragioni, la “ deregulation” in materia. Ciò sulla scorta del postulato per cui l’ ammissibilità della attività libero-professionale presuppone che essa non si concretizzi nella lesione di interessi a valenza pubblicistica di cui è portatrice la struttura sanitaria, onde evitare, nel contempo, che il singolo possa essere agevolmente strumentalizzato e dirottato da strutture pubbliche a strutture private .

Dalla necessità di contemperamento di ambedue le esigenze di tutela, è scaturita una serie di provvedimenti normativi sino ad arrivare al D.Lgs. n° 229/1999 ( cosiddetta Riforma Bindi ) che ha sancito l’ esclusività del rapporto quale scelta remunerata di non avvalersi dell’ “ extramoenia “ con possibilità di esercizio della libera professione in regime di “intramoenia “ ovvero anche in strutture esterne in assenza di spazi appositi in seno all’ azienda.

Ulteriore postulato fondamentale della Riforma era quello della preclusione del primariato per gli extramoenisti.

Si introduceva, perciò, un meccanismo premiale per cui l’ opzione per l’ esclusività veniva remunerata con la corresponsione della relativa indennità.

Detto meccanismo è stato tacciato di eccessiva rigidità, in quanto soverchiamente limitante ( ed in modo irreversibile ) del diritto alla libera professione.

Tuttavia, all’ atto della scelta, gran parte dei medici ha optato per l’ esclusività eccezion fatta per una ridotta percentuale di professionisti, la quale ha evidentemente ritenuto sufficientemente stabilizzata la propria attività esterna tanto da non volervi rinunciare.

Con la Legge n° 138/2004, di conversione del Decreto-Legge n° 81/2004, il sistema viene mutato radicalmente garantendosi la massima libertà di opzione e ripristinando il diritto al primariato anche in favore degli extramoenisti.

L’ evoluzione normativa dell’ attività libero-professionale nel settore sanitario si connota per la sua particolare complessità, essendo segnata da continue oscillazioni legislative fra il propendere per l’ adozione di meccanismi ad alta rigidità ed, all’ opposto, per liberalizzare , in una certa qual misura, l’ ambito e le modalità di detta attività.

L’ art. 4, 7° comma, della Legge n° 412/1991 prevede l’ unicità del rapporto di lavoro con il S.S.N. enucleando un regime di incompatibilità con qualsivoglia altra tipologia di rapporto di lavoro subordinato pubblico o privato, con altri rapporti con l’ S.S.N. anche di natura convenzionale e con l’ esercizio di attività o con la titolarità o con la compartecipazione di quote di imprese tali da rendere ravvisabile un conflitto di interessi con il servizio pubblico.

Pertanto, l’ attività libero-professionale da parte del personale medico dell’ S.S.N. può essere espletata soltanto se essa risulti compatibile con l’ anzidetto rapporto unico di impiego e semprechè esplicata al di fuori dell’ orario di servizio, all’ interno od all’ esterno di strutture sanitarie, escluse quelle private convenzionate con il S.S.N..

Di poi, l’ art. 4, 10° comma, del D.Lgs. n° 502/1992 introduce misure agevolative dell’ esercizio della libera professione intramuraria con riserva di spazi appositi all’ interno dei presidi e delle aziende ospedaliere, nonché con l’ istituzione di camere a pagamento per una quota non inferiore al 5% e non superiore al 10% dei posti letto complessivi.

All’ art. 35 viene riconosciuto al personale dirigente del ruolo sanitario il diritto di esercitare le attività libero-professionali ambulatoriali, con estensione ai dirigenti delle disposizioni di cui al D.P.R. n° 761/1979 relative allo svolgimento della libera professione da parte del personale medico, in costanza di ricovero ed in regime ambulatoriale, nell’ ambito dei servizi , presidi e strutture dell’ azienda.

Sulla scia delle disposizioni succitate si pone l’ art. 15 duodecies introdotto nel D.Lgs. n° 502/1992 dal D.Lgs. n° 254/2000, che affida alle regioni il compito di predisporre un programma volto alla realizzazione di strutture per l’ attività libero-professionale, finanziato con D.M. 8.6.2001, con comminatoria dell’ intervento di commissari “ ad acta” per le Regioni che – senza giustificato motivo – non avessero provveduto in conformità.

Nel prosieguo, deve rilevarsi che il Legislatore reitera espressamente le cause di incompatibilità di cui alla norma presupposta del 1991 ( art.1, co. 5°, della L. n° 662/1996 ) disponendo che il personale medico dipendente dell’ S.S.N. è tenuto ad optare fra la libera professione extramuraria e quella intramuraria, attesa la totale inconciliabilità fra le stesse.

A chi opta per l’ extramuraria per un periodo minimo triennale è inibito lo svolgimento della stessa presso strutture sanitarie pubbliche benché diverse da quelle di appartenenza e finanche presso strutture private accreditate. Di converso, a chi opta per l’ intramuraria vengono accordati un trattamento economico aggiuntivo, un regime fiscale assimilato a quello applicabile al rapporto di lavoro dipendente, l’ acquisizione di un titolo preferenziale per il conferimento di incarichi implicanti direzioni di struttura o per l’ accesso agli incarichi dirigenziali del ruolo sanitario di secondo livello.

In attuazione della delega di cui alla Legge n° 662/1996, viene poi adottato il D.M. 28.02.1997 che regolamenta l’ attività libero-professionale del personale medico e delle altre professionalità della dirigenza del ruolo sanitario.

Dal decreto ministeriale, peraltro, si evince anche la nozione dell’ istituto, tale intendendosi l’ attività che il personale di cui sopra esercita al di fuori del normale orario di servizio, in regime ambulatoriale, di “ day hospital “ o di ricovero in favore o su libera scelta dell’ assistito e con oneri a carico dello stesso o di assicurazioni o fondi sanitari integrativi. Nella intramuraria vengono ricomprese – con il D.P.C.M. 27.03.2000 – le attività di diagnostica strumentale e di laboratorio ed il “ day surgery”.

A ciò aggiungasi che il D.M. 31.07.1997 detta le linee guida organizzative di detta attività specificando che la stessa può articolarsi sotto forma di attività specialistica ambulatoriale, individualmente svolta, per pazienti non ricoverati ovvero in regime di ricovero ordinario per specialità mediche ovvero in regime di ricovero ordinario e per specialità chirurgiche con individuazione dell’ equipe oltrechè ( giusta la modifica di cui all’ art. 15 quinquies del D.Lgs. n° 502/1992 e D.Lgs. n° 254/2000 ) a livello ambulatoriale presso lo studio professionale del medico ( conformemente a quanto prescritto dal D.P.C.M. 27.03.2000 ).

Tuttavia, tale ultima ipotesi viene espressamente circoscritta a situazioni di carenze di strutture e di spazi idonei alle necessità connesse allo svolgimento della attività libero-professionale, all’ esistenza di eventuali divieti specifici posti dalle aziende sanitarie con riferimento a conflitti di interesse ovvero posti dalle regioni in ragione alle esigenze locali.

La Riforma Sanitaria Ter di cui al D.Lgs. n° 229/1999 si inserisce nell’ alveo dei precedenti provvedimenti normativi sancendo l’ irreversibilità dell’ opzione per il rapporto di lavoro esclusivo tale da non consentire il ritorno al rapporto di lavoro non esclusivo .

Il 14 marzo 2000 era il termine entro cui doveva intervenire la comunicazione dei dirigenti in punto opzione per l’ esclusività o meno del rapporto ( ex art. 1 D.Lgs. n° 49/2000 ).

A fronte della esclusività del rapporto lavorativo viene ammessa l’ attività libero-professionale intramuraria articolata secondo varie modalità di svolgimento, giammai implicante un volume di prestazioni superiore a quello assicurato per l’ attività istituzionale, sottoposta a verifica ed i cui proventi da attribuire ai dirigenti sanitari sono fissati dal Direttore Generale in relazione alle previsioni dei C.C.N.L..

In sede di contrattazione collettiva nazionale è fatto obbligo di assicurare la prevalenza dei compiti istituzionali rispetto alla libera professione.

L’ esclusività è presupposto ineliminabile per l’ ottenimento degli incarichi di direzione di struttura semplice o complessa ( a seconda che si tratti di articolazione organizzativa per la quale è prevista responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche o finanziarie ovvero che si verta in ipotesi di dipartimenti e di unità operative individuate secondo i criteri di cui all’ atto di indirizzo e di coordinamento previsto nell’ ambito della procedura di accreditamento ) e costituisce titolo preferenziale per il conferimento di incarichi di docenza, di ricerca, per i corsi di aggiornamento e per i comandi.

Altresì, il rapporto di lavoro esclusivo viene remunerato con la corresponsione della indennità di esclusività.

Su tale assetto normativo di riferimento, interviene la recente riforma di cui alla Legge 26 maggio 2004, n° 138 di conversione con modificazioni del Decreto-Legge 29 marzo 2004, n° 81, recante interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica ( cosiddette “emergenze sanitarie “ ), pubblicata nella G.U. n° 125 del 29 maggio 2004.

La legge succitata segue, quindi, cronologicamente, alle riforme di cui alla Legge n° 833/1978 istitutiva dell’ S.S.N. , di cui al D.Lgs. n° 502/1992 di aziendalizzazione ed al D.Lgs. n°229/1999.

La Riforma Bindi ha sicuramente alcuni meriti indiscutibili quali quelli di essere riuscita ad attribuire maggiore importanza ai distretti e di avere introdotto il concetto di “ appropriatezza” come elemento regolatore della spesa.

Di converso, alla prova dei fatti, si è rivelata un insuccesso nel tentativo ( fallito ) di limitare la logica aziendalista , nonché nel voler apporre una serie di vincoli eccessivamente rigidi alla libera professione intra ed extra- moenia del personale medico.

Occorre evidenziare che, successivamente al D.Lgs. n° 229/1999, interviene la Legge Cost. n° 3/2001, la quale introduce la legislazione concorrente con lo Stato in materia di salute e l’ autonomia finanziaria regionale di entrata e di spesa. Inoltre, l’ Accordo Stato-Regioni dell’ 8 agosto 2001 incrementa le risorse finanziarie da destinare alle Regioni; sancisce la copertura dei disavanzi di gestione da parte delle regioni stessa ed,infine, impegna il Governo a definire i LEA ( livelli essenziali di assistenza ).

Allo stato, il Servizio Sanitario, tuttavia, pare in bilico fra sottofinanziamento e devoluzione; la spesa sanitaria ha un andamento esponenziale; il ritardo nei trasferimenti erariali Stato-Regione è conclamato.

Venendo alla disamina del provvedimento, si rileva che l’ art. 2 Septies della Legge n° 138/2004 ha sostituito il 4° comma dell’ art. 15 Quater del D.Lgs. n° 502/1992 prevedendo la possibilità per i medici di optare, su richiesta da presentare entro il 30 novembre di ciascun anno, per il rapporto di lavoro non esclusivo, con effetto dal 1° gennaio dell’ anno successivo. Le Regioni hanno la facoltà di stabilire una cadenza temporale più breve. Chi mantiene l’ esclusività del rapporto non perde i benefici economici trattandosi di indennità di esclusività e non di indennità di irreversibilità.

La non esclusività del rapporto di lavoro non preclude la direzione di strutture semplici e complesse ossia il primariato.

Ordunque, chi non sarà in esclusiva non ha titolo all’ indennità, ma, comunque, potrà ottenere incarichi di dirigenza apicale.

In sostanza, si introduce il meccanismo della piena reversibilità dell’ opzione sull’ esclusiva dei dirigenti sanitari. Ergo: si cancella l’ irreversibilità dell’ opzione intra ed extramoenia.

Detta cancellazione, peraltro, non risulta essere stata oggetto di concertazione con le Regioni. Difatti, la “ blindatura “ del decreto ponendovi la fiducia in una materia siffatta che avrebbe richiesto il coinvolgimento effettivo delle Regioni, non è scevra da conseguenze.

Quindi, ciascun medico potrà scegliere, di anno in anno, se prestare la propria opera esclusivamente per per il S.S.N. ivi compresa la “intramoenia” oppure se svolgere l’ attività privata al di fuori del servizio pubblico.

Ciò significa che l’ esclusività si serba, seppure modificabile a cadenza annuale.

A ciò aggiungasi la portata delle modifiche sulle regole relative alle cariche direttive delle strutture sanitarie implicanti che ben potranno diventare primari anche quei medici privi di un rapporto di esclusività con il S.S.N..

La Riforma presenta alcuni evidenti profili di criticità, fermo restando che, nel concreto , dovranno essere valutate le effettive conseguenze del nuovo meccanismo in relazione all’ aumento ovvero alla diminuzione dei medici in esclusività, nonché le ripercussioni finanziarie in capo alle Regioni.

Ipotizzare, quindi, la reale portata delle innovazioni normative è arduo, essendo coinvolte plurime variabili.

Le Regioni attualmente si fanno già carico di una quota della esclusività che avrebbe dovuto essere finanziata con dei risparmi di spesa ( di fatto, spesso, ipotetici ). Se il numero dei medici in rapporto esclusivo dovesse subire un decremento, l’ onere regionale si ridurrà, ma ben difficilmente potranno esserci avanzi.

In particolare, si rileva che la nuova disciplina per l’ attività libero-professionale dei medici rischia di svuotare i canoni di trasparenza e di buona organizzazione dei servizi e di aumentare di fatto le conflittualità nei rapporti fra Comparto e Dirigenza.

Per inciso, la possibilità per gli extramoenisti di accedere alla responsabilità di strutture complesse potrebbe tradursi in un effetto discorsivo nella sistematica dei rapporti pubblico-privato, favorendo le strutture private che sarebbero messe in condizione di potersi avvalere di personale avente il primariato in pubbliche strutture così utilizzando il prestigio ed indubbi vantaggi alla propria immagine che ciò comporta , incrementando contestualmente i propri guadagni.

La libera professione in “intramoenia “, peraltro, diviene meno accessibile rispetto al pregresso regime. Seppure essa è stata spesso accusata di non aver sortito gli effetti sperati ( fra i quali principalmente quello legato alla riduzione delle liste di attesa ), va tenuto in debita considerazione che la sua applicazione è risultata, di sovente, inadeguata rispetto a quelle che erano le intenzioni del Legislatore.

L’ esclusività del rapporto non si realizza in modo completo, laddove non sono stati creati gli spazi appositi, in cui i professionisti potevano praticare la professione intramuraria. Ciò non ha sempre permesso un accesso facilitato ai servizi con conseguente diminuzione delle liste di attesa.

E’ palese, quindi, che il mancato conseguimento degli obiettivi che con tale istituto si intendeva ottenere è spesso dipeso da una sua applicazione quantomeno discutibile. Ecco perché non si è mai riusciti ad uguagliare il costo dell’ intramoenia a quello della esclusività del rapporto. D’ altro canto, l’ “intramoenia “ ha sicuramente delle positive connotazioni in ordine al contenimento dei compensi entro determinati volumi di attività ed assicurato l’ osservanza degli obblighi fiscali.

Giova rammentare che, statisticamente, su 100 medici, 70 percepiscono solo lo stipendio, 25 guadagnano con la libera professione una media variabile fra i 500 ed i 10.000 euro lordi l’ anno e solo 5 guadagnano importi maggiori.

Non appaiono, dunque, infondate le preoccupazioni di chi teme che la Riforma amplii le possibilità di incrementare i guadagni proprio in favore di quel 5% dei medici, mentre la stragrande restante maggioranza della categoria potrebbe incontrare serie difficoltà nell’ espletamento della “intramoenia “, non essendo peregrina l’ ipotesi per cui , se l’ extramoenia è liberalizzata con un’ opzione pienamente reversibile, pare logico ritenere che le Amministrazioni saranno riottose nell’ agevolarne l’ estensione. Ovviamente, ciò anche alla luce del fatto che la programmazione degli spazi “ intramoenia” da parte delle aziende diviene operazione sommamente a difficile, stante l’ alea della scelta annuale a favore della esclusività.

In ogni caso, la problematica di maggior rilievo che si dovrà affrontare attiene alla programmazione ed ai controlli nelle aziende sanitarie: programmazione che diviene a rischio, atteso che un tale sistema complica la gestione e la programmazione della organizzazione della azienda, dovendo quest’ ultima tener conto annualmente degli eventuali mutamenti di opzione dei Dirigenti.

Ecco perché se è vero che la scelta del legislatore del 1999 sulla irreversibilità dell’ opzione si è rivelata troppo rigida, era, peraltro, possibile ottenere una flessibilizzazione attenuata ancorando il cambio di opzione ad un parametro temporale meno breve, ristretto e ravvicinato ( ad esempio: quello della scadenza del contratto ) .

Anche se le legittime istanze di aumentare la flessibilizzazione nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato sono sempre più avvertite ( e ciò sulla falsariga dei postulati di cui alla Riforma del Mercato del lavoro di cui alla Legge n° 30/2003 e di cui al D.Lgs. n° 276/2003 – cosiddetta “Riforma Biagi” – perantro inapplicabile al settore pubblico) , non si può prescindere dalla specificità del Servizio Pubblico ed, in particolare, da quelle proprie dell’ S.S.N. , giammai dovendosi dimenticare che la contrattualizzazione del rapporto di lavoro non equivale a mera privatizzazione, atteso che il datore di lavoro rimane un soggetto pubblico , seppure aziendalizzato.

L’ esclusività come istituto si serba , ma viene ridimensionato ad una sorta di “ stop and go” continuo, svincolato da ogni elementare principio di programmazione aziendale .

E’ di palmare evidenza, difatti, che la gestione aziendale non risulta affatto facilitata se i dipendenti medici possono esercitare il proprio diritto di opzione ogni anno. E non si programma adeguatamente se la flessibilità è eccessiva ( anche in ragione della circostanza che è abbastanza discutibile che un dipendente possa determinarsi sua sponte su quale tipo di rapporto lo lega alla azienda ). Perciò, la reversibilità annuale, rendendo difficile la programmazione, può incidere in misura non indifferente sui bilanci aziendali.

E per gli oneri diretti ed indiretti della Riforma è tutto da verificare se le Regioni saranno in grado di poterli sostenere.

In disparte, poi, che la concessione della piena reversibilità del rapporto di lavoro ai medici pubblici e la possibilità di attribuire i primariati agli extramoenisti comporta un nuovo ostacolo al sollecito avvio delle trattative per il rinnovo contrattuale di un contratto oramai scaduto da tempo, atteso che il Comitato di Settore dovrà riformulare l’ atto di indirizzo con i lunghi tempi tecnici che tale operazione comporta.

Gli stessi sostenitori della Riforma hanno già precisato che il regime della piena reversibilità dell’ opzione potrà essere modificato prefissando un termine di minor brevità ( biennale-triennale ). Ma il vero punto dolente della questione rimane quello per cui la valutazione della congruità del termine assegnato non può giammai prescindere dal sistema di programmazione e di controllo che deve informare l’ attività di ciascuna azienda, esigenza oggi ancor più pressante in ragione dei forti disavanzi della spesa sanitaria che affliggono le Regioni in misura più o meno rilevante ed i cui fattori ad alta criticità, come è noto, si serbano quello della spesa farmaceutica e quello della spesa per il costo del personale.

Francaviglia Rosa

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