Appare, pertanto, congrua la scelta del giudice di prime cure di riconoscere all’appellato un risarcimento pari all’utile presuntivo d’impresa, corrispondente al dieci per cento del prezzo a base d’asta, da dividersi per il numero dei concorrenti che avre

Lazzini Sonia 11/11/10
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Appare, pertanto, congrua la scelta del giudice di prime cure di riconoscere all’appellato un risarcimento pari all’utile presuntivo d’impresa, corrispondente al dieci per cento del prezzo a base d’asta, da dividersi per il numero dei concorrenti che avrebbero potuto partecipare alla gara.

si riconosce nella misura del 10% dell’im-porto a base d’asta, per come eventualmente ribassato dall’offerta dell’impresa interessata, l’entità del guadagno presuntivamente ritratto dall’esecuzione dell’appalto.

Peraltro, come pure rilevato dalla giurisprudenza (cfr., C.d.S., sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012), occorre ancora distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamento escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.

La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio dell’aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta (come nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa).

Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento pari al 10% del valore dell’appalto (come eventualmente ribassato dalla sua offerta), ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto.

Viceversa, quando il ricorrente, come nel caso di specie, allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultante dagli atti della procedura, facendo ricorso a indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente stesso.

Appare, pertanto, congrua la scelta del giudice di prime cure di riconoscere all’appellato un risarcimento pari all’utile presuntivo d’impresa, corrispondente al dieci per cento del prezzo a base d’asta, da dividersi per il numero dei concorrenti che avrebbero potuto partecipare alla gara.

Piuttosto, essendo implicita nella pretesa diretta al riconoscimento di un risarcimento del danno di entità maggiore e trattandosi di debito di valore, all’appellato spetta la rivalutazione monetaria sino alla pubblicazione della presente sentenza; dopo tale data e fino all’effettivo soddisfo, spettano, invece, gli interessi nella misura legale (cfr. C.d.S., sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144 e 23 luglio 2009, n. 4628).

Si legga anche

nel nostro ordinamento, come più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa, esiste un principio di effettiva corrispondenza tra quota di qualificazione, quota di partecipazione all’ATI e quota di esecuzione dei lavori._poichè i lavori sono già stati completati, alla legittima aggiudicataria spetta il risarcimento del danno ingiusto nella forma dell’ “equivalente”_ Non rileva la circostanza che il T.R.G.A. abbia condiviso l’interpretazione della stazione appaltante: la circostanza che il giudice di primo grado abbia dato ragione all’amministrazione con decisione poi ribaltata in appello, non esclude la colpa, sia perché non appare ragionevole dare rilevanza, al fine dell’accertamento dell’elemento soggettivo, ad un fatto successivo rispetto a quello che ha generato l’illecito, sia perché, aderendo ad una simile impostazione, la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile solo nelle ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi di giudizio, finendo così il giudizio di primo grado per essere quello decisivo._ l’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative che dalla cui esecuzione trae utili. _In sede di quantificazione del danno, pertanto, spetterà all’impresa dimostrare, anche mediante l’esibizione all’Amministrazione di libri contabili, di non aver eseguito, nel periodo che sarebbe stato impegnato dall’appalto in questione, altre attività lucrative incompatibili con quella per la cui mancata esecuzione chiede il risarcimento del danno._ Considerato che l’importo dell’offerta presentata dall’A.T.I. ricorrente è pari ad € 8.205.282,00, la somma da liquidarsi a titolo di lucro cessante è pari ad € 246.158,00_

in caso di A.T.I. verticale, è l’impresa che assume il compito di eseguire i lavori scorporabili a dover possedere, per intero, la qualifica a tal fine richiesta dal bando, dato che, diversamente opinando, si ammetterebbe la possibilità che i lavori vengano eseguiti da una impresa priva della richiesta qualificazione_ ***** rilevare che i lavori oggetto della gara risultano ormai già interamente eseguiti dall’A.T.I. aggiudicataria . Il presente giudizio, pertanto, ha ormai ad oggetto soltanto il risarcimento del danno subito dall’A.T.I. ricorrente a causa dell’aggiudicazione illegittima._quali componenti del danno il Consiglio di Stato reputa di poter riconoscere?

Nel caso di specie, quindi, la qualifica di una mandante non poteva essere cumulata con quella della capogruppo, perché quest’ultima, in base all’offerta presentata, non avrebbe in alcun modo partecipato all’esecuzione dei lavori scorporabili per la categoria OS18 (si trattava, infatti, di un’A.T.I. verticale, non di un’A.T.I. mista, né sussistevano i presupposti per invocare il principio dell’avvalimento)._Ne discende che l’ATI controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara perché priva della necessaria qualificazione._ Risulta anche la colpa della stazione appaltante in quanto, come questa Sezione ha in più occasioni sottolineato (cfr., Sez. VI, n. sentenza 9 marzo 2007 n. 1114 e 9 giugno 2008 n. 2751) non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della p.a.. _Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie._Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile._Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata._Nel caso di specie, è stato violato un principio fondamentale relativo alla qualificazione delle imprese in materia di appalti (quello della corrispondenza tra quote di qualificazione e quote di esecuzione) e, pertanto, considerando anche che l’Amministrazione non ha allegato circostanze tali superare la presunzione di colpa che nasce dall’illegittimità, deve ritenersi integrata la prova dell’elemento soggettivo._ Ritenuta la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito si tratta a questo punto di quantificare il danno. In primo luogo deve ribadirsi il consolidato orientamento secondo cui nel caso in cui una impresa lamenti la mancata aggiudicazione di un appalto, non le spettano i costi di partecipazione alla gara._Occorre, infatti, puntualizzare che la partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione come la giurisprudenza ha avuto modo di precisare (Cons. Stato, sez. VI, n. 4435/2002), si colorano come danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Essi, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente. _Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione_ Va invece riconosciuto a titolo di lucro cessante il profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto_Può, ulteriormente, riconoscersi il c.d. danno curriculare specificamente chiesto dall’appellante: come già rilevato da questa Sezione (9 giugno 2008 n. 2751), il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere comunque fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti

Merita di essere segnalata, in tema di risarcimento del danno ingiusto a seguito di illegittima aggiudicazione di una procedura ad evidenza pubblica, la decisione numero 3144 del 21 maggio 2009, emessa dal Consiglio di Stato

<In ordine alla quantificazione di tale danno, l’appellante chiede che esso venga quantificato, applicando il criterio (spesso utilizzato dalla giurisprudenza amministrativa) del 10% del prezzo a base d’asta, ai sensi dell’art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F.

La Sezione ritiene, tuttavia, che il criterio del 10%, se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che una impresa trae dall’esecuzione di un appalto, non possa, tuttavia, essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata.

Come recentemente affermato da questo Consiglio (sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967), il criterio del 10%, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale.

In tal modo il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno.

Appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto; prova desumibile, in primis, dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara>

Ma non solo

< Nel senso che la percentuale del 10% non rappresenti un criterio automatico di quantificazione del danno sembra deporre, del resto, anche l’art. 20, comma 4, d.l. n. 185/2008, convertito dalla l. n 2/2009. Tale norma, con riferimento agli appalti relativi ad investimenti pubblici strategici da individuarsi con successivo d.P.C.M., stabilisce che il risarcimento del danno, possibile solo per equivalente, non possa comunque eccedere la misura del decimo dell’importo delle opere, che sarebbero state seguite se il ricorrente fosse risultato aggiudicatario in base all’offerta economica presentata in gara.

Pur essendo dettata con riferimento ad una particolare tipologia di appalti, tale norma conferma che il 10% non possa essere riconosciuto automaticamente, e che sia possibile quantificare il danno in misura minore. Se ciò vale, per espressa previsione legislativa, nei casi in cui (come accade per gli appalti cui si riferisce la l. n. 2/2009) il risarcimento per equivalente rappresenta l’unico strumento di tutela (essendo espressamente escluso il subentro), si deve ritenere che, a maggior ragione, ciò valga anche quando (come accade negli altri casi) la tutela per equivalente è alternativa (almeno in origine) con la tutela in forma specifica.

Inoltre, il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile.>

Ed ancora

< L’interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un’impresa, va, invero, ben oltre l’interesse all’esecuzione dell’opera in sé, e al relativo incasso. Alla mancata esecuzione di un’opera appaltata si ricollegano, infatti, indiretti nocumenti all’immagine della società ed al suo radicamento nel mercato, per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino su medesimo target di mercato, in modo illegittimo dichiarate aggiudicatarie della gara.

In linea di massima, allora, deve ammettersi che l’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.

Esso, tuttavia, non può essere quantificato, come pretende l’appellante in misura corrispondente al 3% dell’importo dell’appalto, risultando più corretto calcolare come percentuale della somma già liquidata a titolo di lucro cessante, secondo una percentuale destinata a variare in considerazione dell’importanza dell’appalto in questione. Nel caso di specie, il Collegio stima equo riconoscere una somma pari al 5% di quanto liquidato a titolo di lucro cessante.

Alla somma di € 246.158,00 devono aggiungersi, quindi, € 12.307,9 a titolo di danno c.d. curriculare, per un risarcimento complessivo parti ad € 258.465,9.>

ECCO LA SENTENZA DI PRIMO GRADO

Le argomentazioni – secondo cui i punteggi relativi a fatturato, ribasso offerto e tempo di esecuzione del servizio sarebbero stati attribuiti dalla Commissione in modo matematico e proporzionale, e risulterebbero in maniera “pressoché” automatica dalla comparazione delle offerte presentate – risultano infondate, e non supportate da alcun elemento di fatto rinvenibile dagli atti di gara.: in ogni caso, ciò che rileva è che, comunque, non risulta in applicazione di quali criteri – matematici o di automatica applicazione – la commissione abbia effettuato tali comparazioni, ed assegnato i punteggi alle relative voci._ l’operato dell’Amministrazione ha violato l’interesse legittimo della ricorrente ad un corretto svolgimento della gara, al quale era sotteso l’interesse pretensivo al c.d. “bene della vita”, rappresentato, in questo caso, dall’aggiudicazione della gara stessa_ la tutela risarcitoria serve ad assicurare al danneggiato la restitutio in integrum del suo patrimonio e, quindi, a garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’attività illecita.

può un ricorso il ricorso considerarsi inammissibile per carenza di interesse, perché la ricorrente non è in grado di dimostrare che si aggiudicherebbe la gara in caso di accoglimento del ricorso.? Esiste un sufficiente fumus di fondatezza del ricorso , in relazione alla mancata specificazione, sia nella lettera invito che da parte della commissione, di qualsiasi criterio in relazione al quale attribuire il punteggio ai concorrenti, e motivare poi le singole determinazioni? Deciso l’annullamento dell’intera procedura di gara, qual è il parere dell’adito giudice amministrativo avverso la la richiesta di risarcimento del danno presentata dal ricorrente, con riferimento sia al danno emergente (spese sostenute per la partecipazione alla gara), che al lucro cessante (perdita dell’utile di impresa derivante dall’espletazione dei servizi oggetto dell’appalto)?

La prima eccezione non può che essere ritenuta infondata, perché non può dubitarsi del fatto che l’interesse ad agire in tema di impugnazione di atti di gara deve riconoscersi non solo quando dall’annullamento derivi un vantaggio diretto e immediato, ma anche quando, come nella specie, il vantaggio sia successivo ed eventuale, ossia nel caso in cui il chiesto annullamento sia meramente strumentale ad un’ulteriore e rinnovatoria attività della stazione appaltante, in esito alla quale non possa escludersi che il ricorrente resti aggiudicatario_ Nel merito il ricorso è fondato, e va pertanto accolto. Il Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza, teso a consentire un efficace sindacato giurisdizionale sugli atti di gara, secondo cui, in tema di aggiudicazione di un appalto di servizio, il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa solo quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati, ma non quando, come nel caso in esame, sia stata prevista la mera indicazione di un punteggio numerico, perché i criteri di giudizio non sono stati predeterminati in maniera sufficientemente rigida e stringente_ Non a caso, l’art. 67 del D.Lgs. n. 163/2006 (“codice dei contratti pubblici”) prevede che “nelle procedure ristrette,…l’invito a presentare le offerte…contiene, oltre agli elementi specificamente previsti da norme del presente codice, e a quelli ritenuti utili dalle stazioni appaltanti, quanto meno i seguenti elementi: e) i criteri di selezione dell’offerta, se non figurano nel bando di gara; f) in caso di offerta economicamente più vantaggiosa, la ponderazione relativa degli elementi oppure l’ordine decrescente di importanza, se non figurano già nel bando di gara, nel capitolato d’oneri o nel documento descrittivo”._Per tali ragioni, la procedura di gara va quindi annullata._ L’accertata illegittimità dell’aggiudicazione rende necessario verificare se vi siano i presupposti per concedere al ricorrente il richiesto risarcimento dei danni subiti, solo in forma equivalente, visto che il servizio è stato nel frattempo eseguito._Infatti, il risarcimento del danno a favore del partecipante ad una gara pubblica leso dall’aggiudicazione illegittima non è una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa dell’Amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l’illecito ed il danno subito _ Nel caso in esame, a fronte di un adempimento – come quello di indicazione già nell’invito a presentare l’offerta, o di specificazione, da parte della commissione, dei criteri di valutazione dei singoli elementi componenti l’offerta – di facile e doverosa realizzazione, anche in applicazione ed osservanza dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., non risulta di contro apprezzabile alcun elemento riconducibile ad una delle situazioni che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile. _Ne consegue che è ravvisabile l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità di un danno risarcibile, così come sono configurabili anche gli altri requisiti richiesti per il risarcimento del danno._ In particolare, il Collegio ritiene che debba trovare applicazione il parametro di quantificazione individuato dalla giurisprudenza in situazioni analoghe, laddove si è ritenuto che in una gara per un appalto pubblico, ove l’annullamento dell’aggiudicazione intervenga dopo la completa esecuzione del servizio, al ricorrente (cui non sarebbe spettata in via automatica l’aggiudicazione) per il mancato guadagno va riconosciuto un risarcimento pari all’utile presuntivo d’impresa, corrispondente al dieci per cento del prezzo a base d’asta, da dividersi per il numero dei concorrenti che avrebbero potuto partecipare alla rinnovazione della gara

In tema di richiesta del risarcimento del danno da illegittima aggiudicazione, dalla lettura della sentenza numero 644 del 2 aprile 2009, emessa dal Tar Sicilia, Catania, impariamo che:

<Vale a dire che in caso di domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di una pubblica Amministrazione, al fine di stabilire se la fattispecie concreta integri una ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., il giudice deve procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se il danno accertato sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, tale essendo l’interesse indifferentemente tutelato nelle forme del diritto soggettivo, dell’interesse legittimo e dell’interesse di altro tipo, pur se non immediato oggetto di tutela in quanto preso in considerazione dall’ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori; c) accertare sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta dell’Amministrazione; d) stabilire se l’evento dannoso sia riferibile a dolo o colpa dell’Amministrazione, non potendo quest’ultima essere considerata in colpa, di per sé solo, in caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo>

Ma non solo

< Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, infatti, più che accedere direttamente alla colpa – intesa come profilo soggettivo di responsabilità, configurabile quando l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità, secondo quanto affermato da Cass. Civ., Sez. Un., 22 luglio 1999 n. 500 – è indispensabile accedere ad una nozione di tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento, nonchè, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall’Amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali ad essa rimesse, dei precedenti giurisprudenziali, delle condizioni concrete e dell’apporto dato dai privati nel procedimento.>

Ed ancora:

< Pertanto, la responsabilità andrà affermata quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato; viceversa, andrà negata quando l’indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile, per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto>

E per concludere:

< Di solito, il risarcimento per equivalente presuppone l’impraticabilità, come nel caso di specie, della reintegrazione in forma specifica (nella specie, consistente nella sostituzione del danneggiato nel rapporto contrattuale originato dall’aggiudicazione annullata, ormai non più possibile).

Si tratta allora di liquidare concretamente il danno, cioè determinare la misura dell’obbligazione pecuniaria dovuta in sostituzione del bene della vita perduto.

Appare utile, a tal riguardo, rammentare che, in generale, il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione dell’art. 1223 cod. civ., del danno emergente e del lucro cessante, e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo.

Se per la prima voce di danno non si pongono particolari problemi nell’assolvimento dell’onere della prova, perchè è sufficiente documentare le spese sostenute, che in questo caso non sono state provate, per la seconda si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.

Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato deve dimostrare non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.

L’esigenza di ricorrere a criteri presuntivi ed astratti di determinazione del danno è stata avvertita sia dalla giurisprudenza, che ha individuato un preciso canone per la determinazione del pregiudizio connesso alla perdita di un’occasione di successo in una procedura concorsuale, sia dallo stesso legislatore, il quale ha definito, con l’art. 35 del D.Lgs. n. 80/98, un peculiare metodo di liquidazione del danno fondato proprio sulla definizione giudiziale di parametri valutativi indeterminati.

La giurisprudenza amministrativa ha individuato in via equitativa, ex art. 1226 c.c., un riferimento positivo, applicato analogicamente in materia di appalti sia di servizi che di forniture, prima nell’art. 345 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F, e poi nell’art. 122 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, entrambi in materia di lavori pubblici, laddove si quantifica nel 10% del valore dell’appalto l’importo da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’Amministrazione, nella determinazione forfettaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5012).

Più precisamente, ai sensi del citato art. 122, l’utile, determinato nella misura del 10% delle opere non eseguite, va calcolato sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta, e l’ammontare netto dei lavori eseguiti.

Ma nel caso in esame, il ricorrente non ha dimostrato che, se fossero stati individuati con precisione i criteri di aggiudicazione, avrebbe avuto diritto ad avere aggiudicata la gara, ed a conseguire pertanto l’utile necessariamente conseguente alla partecipazione vittoriosa ad una gara d’appalto.

Bensì, ha semplicemente fatto valere la lesione della propria aspettativa (giuridicamente garantita, visto che era stata invitata a parteciparvi), ad avere aggiudicata la gara.

In materia di responsabilità di una pubblica Amministrazione per illegittima aggiudicazione di una gara pubblica, quando il ricorrente allega a sostegno della pretesa risarcitoria solo la perdita di una chance (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto gli spettava, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura, valorizzando tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell’offerta presentata dall’impresa danneggiata (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 15 febbraio 2005 n. 478).>

 

 

A cura di *************


Riportiamo qui di seguito la decisione numero 1236 del 5 ottobre 2010 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

 

N.  1236/10 ********. 

N.     1171     ******** 

ANNO  2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

     Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente

d e c i s i o n e

sul ricorso in appello n. 1171/2009, proposto dal

 

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DELLA PROVINCIA DI ENNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. *************** ed elettivamente domiciliato in Palermo, via D. Trentacoste, n. 89, presso lo studio *******;

c o n t r o

l’ing. CONTROINTERESSATA ********, in proprio e quale legale rappresentante del costituendo R.T.I. “ing. ************************** e ing. ************************ due”, rappresentati e difesi dall’avv. *************é ed elettivamente domiciliati in Palermo, via N. Morello, n. 40, presso lo studio dell’avv. ********************;

e nei confronti di

ALFA ENGINEERING s.r.l. DI PADOVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

della sentenza del T.A.R. Sicilia, sezione staccata di Catania, sez. III, n. 644 del 2 aprile 2009.

     Visto il ricorso, con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale dell’ing. ************************** in proprio e n.q.;

     Visti gli atti tutti del giudizio;

     Relatore, alla pubblica udienza del 12 gennaio 2010, il Consigliere ************;

     Uditi, altresì, l’*************** per il Consorzio appellante e l’avv. *********è per l’ing. ************************** in proprio e n.q.;

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

     1) – Con determinazione del Direttore generale n. 61 del 17 aprile 2008, il Consorzio ASI della Provincia di Enna rendeva nota l’intenzione di provvedere all’affidamento dell’incarico per la redazione di uno studio di fattibilità per la realizzazione dell’infrastruttura logistica di Dittaino, per un importo complessivo della prestazione di € 104.000,00.

     In seguito a detto avviso, con lettera d’invito del 5 agosto 2008, l’ASI avviava una procedura negoziale ristretta, da aggiudicarsi con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, invitando sei gruppi professionali.

     In data 3 novembre 2008, si riuniva la commissione giudicatrice per procedere alla valutazione delle offerte.

     All’esito delle operazioni, la Commissione procedeva alla formulazione della graduatoria nella quale figurava al primo posto la ******à Interporti Siciliani s.p.a. con punti 87.

     Con determinazione del 26 novembre 2008, il Direttore generale del Consorzio aggiudicava il servizio a detta società.

     L’ing. Controinteressata ********, classificatosi al secondo posto con punti 79, impugnava gli atti di gara avanti al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania.

     2) – Con sentenza n. 644 del 2 aprile 2009, il giudice adito accoglieva il ricorso.

     In particolare, detto giudice annullava gli atti di gara per la considerazione che nella specie non risultava in applicazione di quali criteri – matematici o di automatica applicazione – la commissione avesse effettuato le comparazioni e assegnato i punteggi alle relative voci.

     Il T.A.R. passava, quindi, all’esame della richiesta di risarcimento del danno presentata dal ricorrente e, in relazione ad essa, riteneva che dovesse trovare applicazione il parametro di quantificazione in base al quale, ove l’annullamento dell’aggiudicazione intervenga dopo la completa esecuzione del servizio, al ricorrente (cui non sarebbe spettata in via automatica l’aggiudicazione) per il mancato guadagno va riconosciuto un risarcimento pari all’utile presuntivo d’impresa, corrispondente al dieci per cento del prezzo a base d’asta, da dividersi per il numero dei concorrenti che avrebbero potuto partecipare alla rinnovazione della gara.

     3) – La sentenza è stata appellata dal summenzionato Consorzio.

     Ad avviso dell’appellante, erroneamente il T.A.R. ha accolto il gravame, ritenendo infondata la preliminare eccezione sollevata sulla carenza d’interesse del ricorrente. Infatti, come argomentato dall’ap-pellante, l’unico elemento dell’offerta sulla quale poteva esercitarsi una valutazione discrezionale era quello relativo alla c.d. “relazione prestazionale”, atteso che i restanti punti erano stati attribuiti dalla Commissione in modo matematico e proporzionale.

     Orbene, poiché il RTI Controinteressata Giordano aveva conseguito per tale elemento proprio 35 punti, ossia il massimo del punteggio previsto, il ricorrente non aveva la possibilità di ottenere un punteggio maggiore.

     Per contro, il T.A.R. ha ritenuto l’eccezione infondata, perché il Consorzio non avrebbe dato prova con alcun elemento di fatto delle modalità con cui erano stati assegnati i punteggi per gli altri elementi dell’offerta (ribasso economico, offerta temporale e capacità tecnico-professionale).

     Ad avviso dell’appellante, siffatta motivazione è del tutto inadeguata, dato che le operazioni effettuate in sede di valutazione dei suddetti elementi dell’offerta sono di evidente semplicità e comprensibilità (è stato attribuito il massimo punteggio all’offerta “quantitativa-mente” migliore e, in proporzione, un punteggio inferiore alle altre offerte).

     Va, inoltre tenuto conto del fatto che il servizio controverso era di importo piuttosto ridotto (€ 104.000,00) sicché era pienamente giustificata la mancanza di specifiche indicazioni dei criteri di valutazione.

     Quanto alla pretesa risarcitoria, la stessa doveva essere respinta.

     Ciò perché la sentenza ha riconosciuto in capo al ricorrente un danno da perdita di chance, che è stato definito in via forfettaria perché per l’appunto non legato al nesso causale con la vicenda generatrice del preteso danno, non richiesto dal ricorrente che aveva avanzato a suo tempo domanda risarcitoria affatto diversa per le spese di partecipazione (danno emergente) e per la perdita dell’utile d’impresa derivante dallo svolgimento dei servizi oggetto dell’appellato (lucro cessante).

     Infine, ad avviso dell’appellante, i vizi della sentenza impugnata si riflettono sulla parte relativa alla condanna delle spese, non avendo il giudice motivato circa la misura dell’importo al pagamento del quale l’Amministrazione medesima è stata condannata, secondo una misura superiore al preteso danno subito dal ricorrente.

     4) – Resiste all’appello l’intimato ing. Controinteressata ********, il quale ha altresì proposto appello incidentale con riferimento al capo della sentenza relativo al risarcimento del danno.

     L’appellante ha replicato alle argomentazioni dell’appellato nella memoria depositata in vista della pubblica udienza del 12 gennaio 2010, fissata per la decisione del ricorso.

D I R I T T O

     1) – L’appello principale è infondato.

     L’appellante Consorzio ASI della Provincia di Enna fa discendere l’illegittimità della sentenza impugnata dalla circostanza secondo cui i punteggi assegnati non sarebbero stati determinati sulla base di valutazioni discrezionali, ma a seguito di calcoli squisitamente aritmetici e immediatamente comprensibili.

     Tale assunto non può essere condiviso.

     L’unico elemento che si riferisce alle modalità e ai criteri di aggiudicazione della gara per l’affidamento dell’incarico in questione è costituito dal punto n. 15 della lettera di invito che testualmente recita: “Modalità e criteri di aggiudicazione:

     L’aggiudicazione avverrà con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa mediante l’attribuzione alle singole componenti dell’offerta dei seguenti punteggi:

     Prezzo – 20 punti su 100;

     Offerta temporale – 20 punti su 100;

     Requisiti di carattere economico e tecnico professionale – 25 punti su 100.

     Per la valutazione di quest’ultima componente si farà riferimento a quanto dichiarato dai partecipanti in sede di manifestazione di interesse.

     Il Consorzio si riserva di procedere ugualmente all’aggiudica-zione, anche in presenza di un solo partecipante.

     Il Consorzio procederà alla verifica di quanto dichiarato dall’aggiudicatario mediante richiesta di opportuna documentazione”.

     Dal momento che la lettera di invito si era limitata alla mera enunciazione dei parametri e del punteggio connesso a ciascun parametro, era onere della Commissione di gara enunciare i criteri in base ai quali avrebbe effettuato l’attribuzione dei punteggi (cfr. C.d.S. sez. IV, 22 giugno 2006, n. 3851).

     Infatti, in una pubblica gara, il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati.

     In mancanza di criteri ben individuati, come nel caso di specie, deve ritenersi, invece, illegittima l’attribuzione di un punteggio solo numerico alle componenti dell’offerta, senza un’ulteriore motivazione specifica (così C.d.S., sez. V, 6 ottobre 2003, n. 5899).

     La sufficienza della motivazione numerica del giudizio di valutazione emesso dalla commissione di gara è direttamente proporzionale alla specificazione dei criteri.

     Appartiene alla commissione la potestà di fissare i criteri di valutazione delle offerte, se ciò avvenga nel rispetto di quelli stabiliti dal bando, dalla lettera d’invito e dal capitolato, come specificazione e subarticolazione dei medesimi.

     Trattasi di facoltà che diventa obbligo nella misura in cui non si sia in presenza di parametri di giudizio sufficientemente analitici contenuti nel bando.

     Quando i criteri non siano ben individuati e la commissione si sia limitata all’attribuzione di punteggio numerico sulla base di una valutazione effettuata solo su criteri non ulteriormente specificati, sussiste la denunciata carenza di motivazione.

     D’altronde, solo se la valutazione si esprime mediante punteggi rispondenti a sufficienti parametri precostituiti non è richiesta un’ulteriore motivazione (C.d.S., sez. V, 31 ottobre 1992, n. 1118).

     Né può attribuirsi rilevanza alla “relazione esplicativa dell’atti-vità di gara” che il Consorzio appellante ASI ha prodotto nel corso del giudizio di primo grado, trattandosi di documento estraneo agli atti di gara.

     La reiezione dell’appello comporta la conferma della sentenza appellata anche per quanto concerne la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese e degli onorari del giudizio.

     2) – Può, quindi, procedersi all’esame dell’appello incidentale.

     2.1) – La difesa dell’appellante ne ha contestato la ricevibilità, assumendo che non sarebbero stati rispettati i termini processuali di cui agli artt. 22 e 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e all’art. 37 del R.D. 26 giugno 1925, n. 1054.

     L’eccezione è infondata, perché non tiene conto che l’appello in questione rientra nel genus dell’appello incidentale autonomo o improprio.

     Va, pertanto, applicato alla fattispecie in esame il consolidato orientamento del Consiglio di Stato (cfr., di recente, C.d.S., sez. IV, 24 marzo 2010), secondo cui, nel processo amministrativo di legittimità, l’appello incidentale autonomo o improprio ossia, come nel caso di specie, diretto a censurare capi di sentenza diversi da quelli impugnati dal ricorrente principale, essendo sostenuto da un interesse che non dipende dall’impugnativa principale, assume solo la veste formale del gravame incidentale per realizzare il “simultaneus processus”, e va proposto nei termini stabiliti per quello principale, per non essere soggetto né alla disciplina prevista dall’art. 37 r.d. n. 1054 del 1924, né a quella sancita dall’art. 334 c.p.c., ma a quella generale contenuta negli art. 28 l. n. 1034 del 1971 e 327 c.p.c..

     2.2) – Nel merito, il Collegio ritiene che non vi siano valide ragioni per discostarsi dal parametro individuato dal giudice di prime cure ai fini della liquidazione del risarcimento del danno.

     In linea generale, va rilevato che, secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, si riconosce nella misura del 10% dell’im-porto a base d’asta, per come eventualmente ribassato dall’offerta dell’impresa interessata, l’entità del guadagno presuntivamente ritratto dall’esecuzione dell’appalto.

     Peraltro, come pure rilevato dalla giurisprudenza (cfr., C.d.S., sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012), occorre ancora distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamento escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.

     La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio dell’aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta (come nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa).

     Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento pari al 10% del valore dell’appalto (come eventualmente ribassato dalla sua offerta), ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto.

     Viceversa, quando il ricorrente, come nel caso di specie, allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultante dagli atti della procedura, facendo ricorso a indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente stesso.

     Appare, pertanto, congrua la scelta del giudice di prime cure di riconoscere all’appellato un risarcimento pari all’utile presuntivo d’impresa, corrispondente al dieci per cento del prezzo a base d’asta, da dividersi per il numero dei concorrenti che avrebbero potuto partecipare alla gara.

     Piuttosto, essendo implicita nella pretesa diretta al riconoscimento di un risarcimento del danno di entità maggiore e trattandosi di debito di valore, all’appellato spetta la rivalutazione monetaria sino alla pubblicazione della presente sentenza; dopo tale data e fino all’effettivo soddisfo, spettano, invece, gli interessi nella misura legale (cfr. C.d.S., sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144 e 23 luglio 2009, n. 4628).

     3) – In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello principale va respinto, mentre l’appello incidentale va accolto nei sensi e limiti sopra indicati.

     Circa le spese e gli altri oneri di questo grado di giudizio, si ravvisano giusti motivi per compensarli integralmente tra le parti.

P. Q. M.

     Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, così statuisce:

  1. respinge l’appello principale;

  2. accoglie in parte l’appello incidentale.

     Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari del giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Palermo il 12 gennaio 2010, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, riunito in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: *****************************, Presidente f.f., *******’******, ************, estensore, **************, ************, componenti.

F.to: *****************************, Presidente f.f.

F.to: ************, Estensore

F.to: **************, **********

 

Depositata in segreteria

 il  05 ottobre 2010

Lazzini Sonia

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