Appalto e responsabilità civile

sentenza 04/11/10
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Quale principio di diritto generale, la responsabilità del committente per danni derivati a terzi dall’appalto non si basa soltanto sull’art. 2049 c.c., secondo cui la particolare autonomia contrattuale di cui gode l’appaltatore esclude la possibilità di configurare in genere la esistenza di un rapporto di preposizione che giustificherebbe la responsabilità del committente stesso (il quale non risponde, quindi, normalmente, dei danni cagionati a terzi dall’appaltatore), ma si basa, in talune ipotesi, sulla clausola generale dell’art.2043 c.c.; e cioè sulla c.d. colpa “in eligendo”, potendo il committente essere eccezionalmente corresponsabile in via diretta con l’appaltatore per i danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’appalto.

 

N. 07635/2010 REG.SEN.

N. 02030/2005 REG.RIC.

N. 01963/2008 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)


ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 2030 del 2005, proposto da:
comune di Bitonto, rappresentato e difeso dall’avv. *************, con domicilio eletto presso ************ in Roma, via L. Mantegazza 24;

contro

Ministero per i beni e le attività’ culturali, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Siciliano Costruzioni S.r.l.;
Montagna ***************, rappresentato e difeso dagli avv. ***************** e *********************, con domicilio eletto presso **************** in Roma, via Gramsci, 20;

 

sul ricorso numero di registro generale 1963 del 2008, proposto da:
comune di Bitonto, rappresentato e difeso dall’avv. *************, con domicilio eletto presso ************ in Roma, via L. Mantegazza 24;

contro

Ministero per i beni e le attività’ culturali;
Siciliano Costruzioni Srl, rappresentato e difeso dagli avv. **************, *************** e ****************, con domicilio eletto presso ***************** in Roma, via Casilina 1748;

per la riforma, previa sospensione dell’esecuzione,

quanto al ricorso n. 2030 del 2005:

della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari: Sezione III n. 00155/2005, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE NON AUTORIZZATA DI IMMOBILE DICHIARATO DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO.

quanto al ricorso n. 1963 del 2008:

della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari: Sezione III n. 01148/2007, resa tra le parti, concernente SANZIONE PECUNIARIA PER DEMOLIZIONE DI CHIESA MEDIEVALE..

 

Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visto l’appello incidentale della s.r.l. *********************;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2010, relatore il Cons. ***************, uditi per le parti gli avvocati ********* (per l’avv. *****) e Veneziano nonché l’ avvocato dello Stato ******.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con decreto del direttore generale per i beni architettonici e il paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali in data 9.7.2004 veniva irrogata, nei confronti della società ********************* s.r.l. e del comune di Bitonto, la sanzione pecuniaria di € 516.456,9 in applicazione dell’art. 160 del D. Lgs. 22.1.2004, n. 42 per la totale demolizione, senza autorizzazione, della “chiesetta rupestre di S. Aneta”, ubicata in agro di Bitonto, sottoposta a vincolo storico-artistico con D.M. in data 2.10.1992.

2. Tale decreto veniva impugnato – con ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, tra cui la nota della Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio della Puglia 12.7.2004 n. 514 relativa alla comunicazione d’avvio del procedimento per l’irrogazione della sanzione pecuniaria predetta – con due distinti ricorsi, proposti innanzi al T.a.r della Puglia, Bari, dal comune di Bitonto, da una parte, e dalla società *********************, dall’altra.

Il primo di essi (n. 2357 del 2004), avanzato dal comune anzidetto e affidato a plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, veniva respinto con sentenza n. 155/2005, resa in forma abbreviata. dall’adito T.a.r. .

Con il secondo ricorso (n.2474 del 2004), proposto dalla s.r.l. ********************* – affidataria di lavori di allargamento della strada provinciale ******* – Molfetta, eseguiti per conto del comune di Bitonto nell’ambito delle opere di urbanizzazione del P.I.P., di zona D1, e riguardanti, tra l’altro, il suolo in contrada S. Aneta, già appartenente al sig. ************************ (in catasto al foglio 37 p.lla 779, derivante dal frazionamento della p.lla 661, quest’ultima derivata a sua volta dal frazionamento della originaria p.lla 236) – venivano impugnati gli stessi atti sopra descritti, in quanto ritenuti illegittimi per violazione e falsa applicazione dell’art. 160 D.Lgs. n. 42/2004 ed eccesso di potere sotto più profili.

Anche tale ricorso era respinto dal T.a.r. della Puglia, Bari Sez. III, con sentenza n.1148 del 2007, “salvo il riconoscimento dell’errore di calcolo della misura complessiva della sanzione, come indicata in € 516.456,9 anziché nella diversa somma di € 468.811,20”.

3. Avverso la predetta sentenza n.155/2005 ha proposto appello – con richiesta di sospensiva – il comune di Bitonto (n.2030 del 2005), il quale, in estrema sintesi, ha dedotto: che sarebbe contraddittoria e irrazionale la gravata pronuncia, perché, in particolare, la sanzione pecuniaria contestata non sarebbe sorretta dalla necessaria indicazione delle ragioni di fatto e di diritto a base dell’asserita responsabilità del comune stesso; che, allo stato, non vi sarebbero state prove in ordine all’addebitabilità del fatto illecito alla società appaltatrice dei lavori sopra menzionati, diversamente da quanto presupposto dall’Amministrazione statale e statuito dal T.a.r.; che il comune medesimo non si sarebbe potuto ritenere, comunque, responsabile dell’accaduto, in quanto all’epoca dei fatti che avevano determinato l’adozione degli atti impugnati in primo grado, non era proprietario del bene vincolato e non ne aveva la materiale disponibilità; che, infine, il decreto impugnato sarebbe contestabile anche nella parte concernente la concreta determinazione del “quantum” della sanzione pecuniaria irrogata.

Nelle conclusioni il comune di Bitonto ha chiesto l’accoglimento dell’appello con conseguente riforma della sentenza impugnata ed annullamento degli atti contestati in primo grado.

Ricostituitosi il contraddittorio nell’attuale fase giudiziale, il sig. ************************ ha replicato, con un’articolata memoria, ai motivi dell’appello, concludendo per la reiezione del gravame, dopo avere chiesto la propria estromissione del giudizio, essendo stato “impropriamente” coinvolto nella controversia de qua dal Comune ricorrente.

Anche la parte appellante ha depositato memorie, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Con ordinanza in data 16.5.2005 l’istanza cautelare è stata accolta e, per l’effetto, è stata sospesa l’efficacia della gravata pronuncia.

4. Avverso l’altra sentenza del T.a.r. della Puglia, Bari, (n.1148 del 2007), il comune di Bitonto ha proposto, previa sua sospensione, un ulteriore appello (n.1963 del 2008), prospettando, a sostegno del gravame, censure in gran parte analoghe a quelle formulate nel precedente appello.

Più precisamente, l’ente appellante ha dedotto, in sintesi: che, mancando ogni prova circa la contestata demolizione del bene vincolato da parte della soc. *********************, la sanzione irrogata, in assenza di prove circa la effettiva sussistenza di fatti materiali e del relativo autore, non avrebbe potuto trovare giustificazione in un mero sospetto di qualsivoglia condotta illecita; che il T.a.r. avrebbe colmato l’evidente difetto di motivazione del provvedimento impugnato fornendo la presunta giustificazione della sanzione, con diretto apprezzamento dei fatti e degli elementi istruttori; che sarebbe erronea la statuizione della gravata decisione secondo cui “il complesso degli elementi fattuali implica(va) l’inevitabile riconducibilità delle operazioni di spianamento del suolo e delle emergenze esistenti sul medesimo soggetto munito di mezzi meccanici necessari e altresì interessato alla realizzazione del sottofondo funzionale a successivi lavori”, soggetto identificabile con la società appaltatrice dell’opera pubblica”, atteso che nella specie sarebbero stati valutati dai primi giudici soltanto meri elementi indiziari; che, infine, la concreta determinazione della misura della sanzione irrogata sarebbe stata illegittima sotto più profili, come denunciato in primo grado.

Il comune ricorrente ha concluso, quindi, per l’accoglimento del proposto gravame, con conseguente riforma della sentenza impugnata e annullamento dei provvedimenti impugnati in prime cure.

4.1. Avverso la stessa sentenza n. 1148/2007 del T.a.r. Puglia, Bari, ha interposto appello incidentale la s.r.l. *********************, che ne ha chiesto l’annullamento, dopo avere dedotto i seguenti motivi: “violazione delle norme sul procedimento; errores in judicando; difetto di motivazione; contraddittorietà; perplessità; inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto; travisamento; sviamento; ingiustizia manifesta; irrazionalità”. La medesima società ha pure riproposto i motivi già formulati nel giudizio di primo grado, ossia; “violazione e falsa applicazione dell’art.160 D.Lgs. n.42/2003; eccesso di potere (per errore sui presupposti di fatto e di diritto e conseguente travisamento; difetto di istruttoria e di motivazione)”.

Ha sostenuto, in sintesi, l’appellante incidentale l’erroneità della sentenza impugnata per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle indicate nell’appello principale, evidenziando, in particolare, che la gravata pronuncia sarebbe fondata “sulla indimostrata asserzione della responsabilità della Siciliano Costruzioni s.r.l. e dell’avvenuta distruzione del bene storico-artistico tutelato”, circostanza questa che non aveva “trovato alcun concreto riscontro”, e chiedendo, nelle conclusioni, l’annullamento della contestata decisione.

Alla camera di consiglio del 6 maggio 2008 l’esame dell’istanza di sospensione è stata rinviata al merito.

5. Con pronuncia interlocutoria n.1824/2010 in data 31.3.2010 questo Consiglio di Stato, Sezione VI – dopo avere riunito i ricorsi in appello n.2030 del 2005 e n. 1963 del 2008, sopra specificati, ai fini di un’unica decisione, essendo soggettivamente ed oggettivamente connessi – ha ritenuto, in via preliminare, che, ai fini del decidere, fosse necessario acquisire dall’Amministrazione per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Bari e Foggia, una relazione che indicasse, con ogni altro atto o chiarimento ritenuto utile ai fini della soluzione della controversia, le eventuali risultanze in esito al procedimento penale nei confronti delle otto persone indagate, alle quali era stato inviato – come da comunicazione della Soprintendenza predetta n.5232 del 12.9.2006, depositata agli atti di causa – apposito avviso di garanzia, in quanto ritenute responsabili a vario titolo: di “concorso in danneggiamento e demolizione di un monumento sottoposto a vincolo, con l’aggravamento dell’occultazione dei conci rinvenienti dall’abbattimento”; per aver “omesso di sottoporre alla Soprintendenza ai beni architettonici della Puglia i progetti esecutivi delle opere a realizzarsi nella zona vincolata”; “omesso la denuncia di trasferimento di proprietà dei beni sottoposti a vincolo al Ministero per i beni e le attività culturali” e, infine,”per falso in atto pubblico”, secondo quanto specificamente segnalato dalla Regione Carabinieri Puglia, Reparto territoriale di Bari con nota n.010880/B/ set/2005.

In relazione a tale decisione istruttoria, l’Amministrazione per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia, ha trasmesso, in data 24.5.2010, alla Segreteria della Sezione una nota con la quale è stato comunicato che il Comando Nucleo Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, avente sede presso la Soprintendenza medesima, aveva fatto presente che il procedimento penale n.1343/03 RGNR istruito dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari “era allo stato ancora nella fase delle indagini preliminari”.

Con ulteriori memorie le parti hanno, successivamente, ribadito le rispettive tesi e conclusioni.

6. I ricorsi in esame, come sopra riuniti, infine, sono stati assunti in decisone nella pubblica udienza dell’8 giugno 2010.

DIRITTO

1 Costituisce l’oggetto della controversia in esame, riferita ai sopra indicati appelli già riuniti con decisione n. 1824 del 2010, le sentenze in epigrafe specificate del T.a.r. della Puglia, sede di Bari, con le quali sono stati respinti i ricorsi proposti dal comune di Bitonto e dalla società ********************* s.r.l. avverso il decreto del direttore generale per i beni architettonici e il paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali in data 9.7.2004, volto ad irrogare, nei confronti della società. e del comune anzidetti, la sanzione pecuniaria di € 516.456,9 in applicazione dell’art. 160 del D. Lgs. 22.1. 2004, n. 42 per la totale demolizione senza autorizzazione di un immobile (“chiesetta rupestre di S. Aneta”), sito nel territorio comunale di Bitonto e sottoposto a vincolo storico-artistico in data. 2.10.1992.

Decreto ministeriale che era stato, appunto, contestato dalle parti ricorrenti, unitamente ad ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, compresa la nota della Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio della Puglia n. 514 del 12.2004, di comunicazione dell’avvio del procedimento per l’irrogazione della sanzione suddetta nei confronti del comune di Bitonto e della s.r.l. *********************, affidataria dei lavori di allargamento della strada provinciale ******* -Molfetta, (eseguiti per conto del detto comune nell’ambito delle opere di urbanizzazione del P.I.P., di zona D1, e riguardanti, tra l’altro, il suolo in contrada S. Aneta, in catasto al foglio 37 p.lla 779, derivante da frazionamento, alla partita 6999, della p.lla 661, derivata s sua volta dal frazionamento della originaria p.lla 236 (p.lla 661, su cui si trovavano appunto i ruderi della chiesetta rupestre in questione, inclusa, insieme ad altre aree già appartenenti al sig. ************************, nel piano di espropriazione a causa di pubblica utilità per il completamento delle opere di urbanizzazione nell’indicato ******).

2. Prima di prendere in considerazione i singoli rilievi mossi negli appelli in esame, giova far presente che i ruderi della “chiesetta rupestre di S. Aneta” erano stati sottoposti a vincolo diretto con D.M. in data 2.6.1992 e che l‘area pertinenziale relativa (di forma quadrata, con m. 40 di lunghezza. per ogni lato) era stata, con altro D.M. in pari data, assoggettato a vincolo indiretto, risultando dalla documentazione allegata ai detti decreti, che, oltre ai ruderi accennati – costituiti dalla parte absidale limitata da un arcata e da due pareti laterali – era stata assoggettato a vincolo l’intero terreno circostante (confinante con la residua parte della particella n. 236 – poi n.661- , con la particella 125 e con la strada provinciale ******* – Molfetta).

Infatti, come evidenziato dal T.a.r., almeno una parte della fascia della particella n. 661, sottoposta ad espropriazione per l’allargamento della menzionata strada provinciale, coincideva con l’area pertinenziale del bene culturale di cui trattasi sottoposta al vincolo indiretto; peraltro, dal piano particellare di esproprio (in scala 1:2000), depositato agli atti del giudizio, risultava che la particella 661 (già 236) era interessata alla procedura ablatoria per una fascia dell’estensione di 350 mq., con la sua intera lunghezza sul fronte strada, che comprendeva anche la porzione (di 40 ml. di lunghezza e 40 ml. di profondità) dell’area di pertinenza del bene culturale assoggettata al vincolo indiretto; in ogni caso, la menzionata chiesetta risultava individuata pure (con apposito segno grafico e indicazione “chiesa rurale di S. Aneto sec. XII”), nella planimetria catastale con viabilità di piano particolareggiato di esecuzione in scala 1:1000 tavola 2, risalente all’ottobre 1999.

In definitiva dalla documentazione predetta emergono elementi di indubbio valore e che appaiono determinanti ai fini dell’esame dei rilievi mossi dal comune di Bitonto; mentre – atteso il maggior dettaglio della scala di rappresentazione (1:100) e della specificità delle funzioni della planimetria catastale – nessuna valida indicazione nel senso della pregressa intervenuta demolizione in epoca anteriore all’avvio dei lavori di allargamento della strada provinciale, può trarsi, come correttamente osservato dai primi giudici, dalla circostanza che la “chiesetta rupestre” in questione non fosse evidenziata nella più generica rappresentazione grafica, in scala maggiore, di cui al rilievo aerofotogrammetrico dell’anno 2000 o, addirittura, in quella, di ancor minore dettaglio del successivo rilievo aerofotogrammetrico del 2004, posteriore, comunque, alla distruzione del bene culturale in questione, sicché deve concludersi che la documentazione prodotta dal comune di Bitonto appare certamente non idonea a sostenere la tesi esposta di una demolizione avvenuta precedentemente ad opera d’ignoti in periodo anteriore agli anni 2000 o 2004.

D’altra parte, quanto sostenuto dal comune ricorrente (e anche dall’appellante incidentale) appare chiaramente smentito dal telegramma-denuncia in data 28.8.2002 del Dirigente dell’ufficio tecnico comunale, che presuppone la cognizione da parte del medesimo della esistenza nell’area in questione dei menzionati ruderi della chiesetta di S. Aneta, telegramma con cui viene denunciata, appunto, l’avvenuta demolizione del bene culturale in questione, con contestazione e sospensione delle opere, e che conferma indirettamente che, almeno al momento del verbale di consegna del 23.7.2002, i “ruderi” in parola erano ancora esistenti nell’area in cui dovevano eseguirsi i lavori appaltati alla società *********************.

3. Ciò posto, il Collegio, analizzando la vicenda oggetto della controversia – da valutare allo stato degli atti, di per sé comunque sufficienti ai fini della decisione nonostante che dall’eseguita istruttoria non si siano potuti trarre gli ulteriori elementi richiesti all’Amministrazione ai fini di una più approfondita cognizione del quadro fattuale – può passare all’esame dei singoli motivi posti a sostegno dei ricorsi in epigrafe indicati.

In proposito, le censure svolte dal comune appellante e dalla società appellante incidentale, dirette ad inficiare le statuizioni dei primi giudici, possono così sintetizzarsi:

a) sarebbe contraddittoria e irrazionale la gravata pronuncia, perché, in particolare, la sanzione pecuniaria contestata sarebbe priva della necessaria indicazione delle ragioni di fatto e di diritto a base dell’asserita responsabilità del comune stesso; peraltro il T.a.r. avrebbe colmato l’evidente difetto di motivazione del provvedimento impugnato fornendo la presunta giustificazione della sanzione, con diretto apprezzamento dei fatti e degli elementi istruttori, valicando così i confini del proprio sindacato giurisdizionale; b) sarebbero mancate nella specie adeguate prove in ordine all’addebitabilità del fatto illecito alla società appaltatrice dei lavori sopra menzionati, diversamente da quanto presupposto dall’Amministrazione statale e statuito dal T.a.r.; più specificamente non vi sarebbe stata alcuna prova in ordine al fatto che la contestata demolizione del bene vincolato fosse stata compiuta dalla società ********************* s.r.l., né, d’altronde, sarebbe stato chiarito nel provvedimento impugnato sulla base di quali elementi di fatto l’Amministrazione avesse ritenuto di addebitare la responsabilità dell’illecito alla società anzidetta;

c) il comune di Bitonto non si sarebbe potuto ritenere, comunque, responsabile dell’accaduto, in quanto all’epoca dei fatti che avevano dato luogo all’adozione degli atti impugnati in primo grado, non era proprietario del bene vincolato e non ne aveva la materiale disponibilità;

d) sarebbe, peraltro, erronea la statuizione della gravata decisione secondo cui “il complesso degli elementi fattuali implica(va) l’inevitabile riconducibilità delle operazioni di spianamento del suolo e delle emergenze esistenti sul medesimo a soggetto munito di mezzi meccanici necessari e altresì interessato alla realizzazione del sottofondo funzionale a successivi lavori e tale soggetto non poteva che identificarsi con la società appaltatrice dell’opera pubblica”;

e) la concreta determinazione della misura della sanzione irrogata, infine, sarebbe illegittima sotto più profili, come denunciato in primo grado, in particolare il decreto impugnato sarebbe contestabile nella parte concernente la concreta determinazione del “quantum” della sanzione pecuniaria irrogata, avendo l’Amministrazione statale “arbitrariamente e in violazione dell’art.160 del D.Lgs. n.42/2004 aggiunto alla sanzione (valore della cosa perduta) il costo di ricostruzione integrale dell’immobile demolito”.

4. Le censure, come sopra riassunte, non possono essere condivise.

4.1. Innanzi tutto va rilevato, in linea generale, che la responsabilità del committente (nella specie il comune di Bitonto) per danni derivati a terzi dall’appalto non si basa soltanto sull’art. 2049 c.c., secondo cui la particolare autonomia contrattuale di cui gode l’appaltatore esclude la possibilità di configurare in genere la esistenza di un rapporto di preposizione che giustificherebbe la responsabilità del committente stesso (il quale non risponde, quindi, normalmente, dei danni cagionati a terzi dall’appaltatore), ma si basa, in talune ipotesi, come appunto quella in esame, sulla clausola generale dell’art.2043 c.c.; e cioè sulla c.d. colpa “in eligendo”, potendo il committente essere eccezionalmente corresponsabile in via diretta con l’appaltatore per i danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’appalto.

In applicazione di tale principio, di cui va tenuto conto nell’esame, in particolare, dei rilievi mossi ai punti 3 a) e 3 b) che precedono, deve ritenersi, dunque, effettivamente sussistente nella specie la responsabilità riconosciuta in capo al comune di Bitonto dall’Amministrazione statale e, poi, dai primi giudici in conseguenza dei danni derivati a terzi in sede di esecuzione dell’appalto affidato, a seguito di apposita gara, alla s.r.l. *********************, dallo stesso comune.

Va rilevato, inoltre, che il comune ricorrente, nell’escludere la propria responsabilità quale stazione appaltante, non sembra contestare, in effetti, che la distruzione della “chiesetta rupestre S.Aneta”, assoggettata a vincolo storico-artistico, sia stata determinata dalla società appaltatrice suddetta, ritenuta nel ricorso originario“responsabile materiale della demolizione contestata”, avendo operato “senza alcun collegamento con il progetto delle opere da eseguire” e avendo invaso l’area in cui si trovava il bene vincolato con i propri mezzi meccanici (si veda al riguardo, in particolare, la denuncia di demolizione del Dirigente dell’ufficio tecnico comunale del 28.8.2002, con contestazione e sospensione delle opere, denuncia che dà pure dimostrazione che poco prima di quel momento i “ruderi” in parola erano ancora esistenti nell’area in cui venivano svolti i lavori appaltati alla società *********************).

Circostanza questa che, peraltro, non fa venir meno la responsabilità dell’ente appaltante per la violazione del principio del “neminem laedere”, il quale incombe, come sopra accennato, sul comune di Bitonto, quale stazione che nella specie ha conferito l’esecuzione delle opere di allargamento stradale in area adiacente a quella in cui era situato il bene vincolato (si veda al riguardo, in particolare, il verbale di consegna dei lavori in data 23.7.2008 alla s.r.l. ********************* in cui il comune anzidetto assume vari obblighi), affidandolo in definitiva ad una impresa poi risultata inidonea ad eseguire i lavori stessi senza determinare danni gravissimi al patrimonio culturale di che trattasi, responsabilità “in eligendo”, quindi, esistente in capo all’ente medesimo per il danno verificatosi al patrimonio indisponibile dello Stato, in conseguenza del mancato suo necessario controllo prima e nel corso dell’esecuzione dei lavori nei confronti della società predetta, controllo nella specie ancor più indispensabile a causa del pregio particolare del bene oggetto di tutela.

Il comune ricorrente non può dunque validamente sostenere nel caso in esame la mancanza di ogni sua responsabilità per il fatto che la distruzione del bene vincolato di cui trattasi sarebbe derivato dalla occupazione abusiva del suolo su cui sorgeva la “chiesetta rupestre di S.Aneta”, suolo che non era interessato dal progetto approvato; e ciò in quanto lo stato dei luoghi nel caso in esame imponeva certamente, come evidenziato dal T.a.r., l’attenzione massima da parte dell’ente stesso nel segnalare preventivamente all’impresa appaltatrice la presenza, nella zona di esecuzione dei lavori in questione, del detto bene vincolato..

Quanto alla doglianza prospettata al suddetto punto 3 a), il Collegio deve osservare, peraltro, come non sia censurabile la contestata sentenza, in quanto il provvedimento impugnato in prime cure risulta adeguatamente motivato, indicando chiaramente il titolo di responsabilità a cui l’ente odierno appellante era chiamato a rispondere, ossia il richiamo all’art.160, comma 4, del D.Lgs n. 42/2004, secondo cui, qualora non sia possibile la reintegrazione del bene protetto, il responsabile deve corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla stessa; dal che la conseguenza che va ritenuto privo di fondamento il rilievo, ribadito negli attuali appelli, relativo all’asserita contraddittorietà e l’illogicità, perché, in particolare, la contestata sanzione pecuniaria non sarebbe sorretta dalla necessaria indicazione delle ragioni di fatto e di diritto a base dell’asserita responsabilità del Comune stesso.

Pertanto, vanno disattese, in conclusione, entrambe le censure dedotte ai punti 3 a) e 3 b) sopra specificati .

4.2. Circa l’assunto che il comune di Bitonto non era ancora proprietario del bene al momento della demolizione (avendo stipulato solo in data 24.10.2002 l’atto pubblico di cessione volontaria, in epoca quindi successiva alla denuncia di demolizione del 28.8.2002), sicché non vi sarebbe alcuna responsabilità a suo carico (v. punto 3 c che precede), il Collegio deve ritenere che anch’esso sia privo di pregio.

Infatti, quanto al titolo di proprietà, il bene vincolato di cui trattasi, al momento della sua demolizione, risultava già acquisito, come evidenziato dal T.a.r., al patrimonio comunale, essendosi perfezionata (con delibera 23.7.2001 n.243, dichiarata urgente il 24.7.2001, della G.M.- ove veniva indicata specificamente la particella 661 sopra menzionata – a seguito della quale è stato corrisposto al sig. Montagna l’acconto dell’80% sul prezzo di cessione volontaria) la cessione bonaria, ai sensi dell’art.12, L.. 21.10.1971, n.865, del suolo interessato dall’allargamento stradale in questione da parte del proprietario espropriando sig. ************************; cessione volontaria attraverso cui è stato consentito dal legislatore, in materia di espropriazione di per pubblica utilità, la sostituzione dell’intervento autoritativo della P.A. con uno strumento di carattere negoziale.

Ne deriva che la delibera di G.M. sopra menzionata è atto certamente idoneo a manifestare l’accettazione della proposta di cessione volontaria del suolo da parte del sig. Montagna perché proveniente da organo che poteva impegnare validamente il comune di Bitonto, per cui è proprio da quel momento che il comune stesso è divenuto proprietario del bene, essendo il successivo atto pubblico meramente riproduttivo dell’accordo contrattuale di cui alla detta deliberazione.

La responsabilità dell’amministrazione comunale, in ogni caso, sussisteva qualunque fosse il titolo del suo possesso, essendo destinatari dell’art..160 cit., come ricordato dai primi giudici, tutti coloro che hanno un rapporto qualificato con il bene vincolato e potendo quindi l’Amministrazione statale ordinare la riduzione in pristino a “chiunque” trasgredisse le disposizioni contenute nella legge stessa; sicché destinatari del provvedimento di riduzione in pristino, a causa dell’ampiezza della formula usata dal legislatore, devono ritenersi tutti coloro che hanno un rapporto qualificato col bene, siano essi proprietari, possessori o detentori dei terreni stessi.

Sulla base delle considerazioni che precedono, non è suscettibile, quindi, di positiva valutazione nemmeno il motivo ora esaminato, di cui al punto 3 c) sopra specificato.

4.3. In relazione, poi, al rilievo con cui si deduce nuovamente l’illegittimità della concreta determinazione della misura della sanzione irrogata, in particolare perché il decreto impugnato sarebbe contestabile nella parte concernente la concreta determinazione del “quantum” della sanzione pecuniaria irrogata (v motivo sopra indicato alla lett.3 e)), il Collegio deve rilevare che, trattandosi di espressione di esercizio di discrezionalità tecnica, essa può essere contestata soltanto per irragionevolezza e illogicità, vizi questi non presenti nel caso in questione, e che comunque, la sanzione irrogata nella specie appare congrua in relazione alla lesione arrecata al patrimonio statale nei limiti indicati dal Giudice di primo grado.

Non sussiste, pertanto, nel caso in esame il rilievo prospettato da parte appellante secondo cui l’operato dell’Amministrazione si sarebbe svolto “arbitrariamente e in violazione dell’art.160 del D.Lgs. n.42/2004”, non avendo pregio l’assunto riferito all’entità della sanzione pecuniaria, determinata, come osservato dal Giudice di prime cure, in funzione del costo ipotetico di ricostruzione dell’immobile distrutto e del valore della cosa perduta ragguagliata al valore non inferiore di edificio realizzabile al suo posto, salva la rettificazione della misura della sanzione operata dallo stesso Giudice.

4. 5. Infine, prendendo in considerazione la censura di cui al punto 3 d) summenzionato, il Collegio deve rilevare che, appare evidente, dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio, che la s.r.l. Siciliano costruzioni aveva ottenuto la consegna dei lavori nel giorno 23.7.2002 (come dall’apposito verbale sopra specificato) ed era da quel momento responsabile dell’intera esecuzione dei lavori da svolgere nell’intera area assegnata.

Il fatto constatato e contestato, dopo circa un mese dopo tale consegna, dal direttore dell’ufficio tecnico comunale, con telegramma del 28.8.2002, con riguardo alla distruzione della chiesetta rupestre in questione, dunque, non può che essere considerato imputabile e comunque rientrante nell’ambito della sfera di responsabilità dell’impresa esecutrice dei lavori, oltre che in quella del comune appaltante (a titolo, in particolare di colpa “in eligendo” e di omesso controllo); e ciò a prescindere dall’accertamento puntuale dei fatti imputabili ai singoli soggetti in ordine ai quali risultano ancora in fase preliminare gli accertamenti di cui al relativo procedimento penale.

Da ciò, dunque, l’ascrivibilità nella specie alla società ********************* del fatto addebitato e posto alla base del decreto d’irrogazione della sanzione pecuniaria, essendo esso basato su risultanze di assoluto rilievo, quali, come già evidenziato dal Giudice di prime cure: l’invio della nota telegrafica in data 28.8. 2002, con cui dirigente comunale summenzionato, nel denunciare l’intervenuta demolizione della chiesetta rupestre alla Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio della Puglia, la contestava direttamente e senza alcun indugio all’impresa esecutrice dell’appalto, sospendendo l’esecuzione delle opere in corso; la relazione dei funzionari della Soprintendenza in data 30.8.2002, relativa all’esito del sopralluogo svoltosi alla presenza anche di un vigile urbano, relazione in cui si faceva presente, tra l’altro, che, oltre alla evidente demolizione, risultavano portate via “le macerie e quindi tutto il materiale demolito, lasciando sul terreno i segni di ruote cingolate in manovra con abbassamento della quota di calpestio di almeno 60 cm.” e si evidenziava, altresì,che “i pochi materiali lapidei superstiti di grosse dimensioni e di notevole peso erano semiricoperti dal terreno rimosso”; infine, la documentazione fotografica (unita alla medesima relazione) da cui emergeva il completo “spianamento” del suolo a confine con la strada provinciale, e quindi sia dell’area pertinenziale del bene culturale di cui trattasi che dell’area di sedime della menzionata chiesa rurale in questione.

In definitiva, gli elementi anzidetti, come sottolineato dal T.a.r., rendono ragione delle modalità di verificazione dei fatti, ricollegandoli ad evidenti operazioni, con mezzi meccanici, di spianamento del suolo e delle emergenze insistenti sul medesimo, preparatorie rispetto ai lavori di allargamento della strada provinciale *******-Molfetta, come del pari è significativo che lo spianamento non presenta soluzioni di continuità lungo il fronte della strada, laddove l’abbassamento della quota di campagna pure si ricollega in modo inequivoco alle esigenze dei lavori di ampliamento dell’opera pubblica e di preparazione del suo sottofondo.

Elementi questi che – come correttamente ritenuto dai primi giudici con argomentazioni che le censure mosse al riguardo negli odierni appelli non appaiono scalfire – implicano la riconducibilità delle operazioni di spianamento del suolo e delle emergenze insistenti sul medesimo soggetto munito dei mezzi meccanici necessari e altresì interessato alla realizzazione della sistemazione del sottofondo funzionale a successivi lavori, soggetto questo da identificarsi nella stessa società appaltatrice dell’opera pubblica esistente “in loco”.

5.. In conclusione, il Collegio deve ritenere che le statuizioni delle sentenze appellate non siano inficiate dai rilievi mossi nei ricorsi del comune di Bitonto e in quello incidentale della soc. ********************* e che, di conseguenza, esse debbano ottenere conferma, unitamente alla pronuncia di estromissione dal giudizio del sig. Montagna.

Gli appelli in esame devono essere, pertanto, respinti, con conseguente conferma delle impugnate sentenze.

Quanto alle spese del giudizio, sussistono giusti motivi, in relazione alla particolarità della controversia, per disporne, tra le parti in causa, la integrale compensazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione VI, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe specificati, così dispone:

– respinge gli appelli principali, come sopra riuniti, del comune di Bitonto;

– respinge l’appello incidentale della s.r.l. *********************;

– compensa integralmente, tra le parti, le spese di giudizio;

– ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2010 con l’intervento dei Signori:

*****************, Presidente

**************, Consigliere

************************, Consigliere

*******************, Consigliere

***************, ***********, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/10/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

sentenza

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