Annotazioni sul concetto di interesse collettivo dei consumatori

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Abstract

 Il presente lavoro muove dall’esigenza di far luce sulla natura degli interessi collettivi dei consumatori, premessa logicamente necessaria per la costruzione di un impianto processuale che assicuri l’effettività della tutela. L’autrice partendo dall’analisi strutturale degli interessi collettivi in generale, per poi soffermarsi sulla specifica ipotesi degli interessi collettivi dei consumatori, giunge alla conclusione che quest’ultimi non appartengono all’astratta collettività dei consumatori, ma configurano diritti spettanti al singolo consumatore, seppur qualificati in maniera diversa rispetto ai diritti soggettivi classici: diritti che si connotano per la loro generalità, che vanno al di là di uno specifico rapporto contrattuale con il produttore di beni o servizi, e che si caratterizzano per il loro essere conformi e concorrenti, talché il soddisfacimento di un soggetto è al tempo stesso  soddisfacimento anche per tutti gli altri componenti della categoria.

 

SOMMARIO: 1. Rilievi critici sul concetto di interesse collettivo come quid diverso dagli interessi individuali; 2. Gli interessi collettivi come posizioni giuridiche individuali; 3. Gli interessi collettivi dei consumatori nel codice del consumo; 4. Segue. Gli interessi collettivi dei consumatori come diritti individuali-collettivi.

 

 1. Rilievi critici sul concetto di interesse collettivo come quid diverso dagli interessi individuali.

A distanza di più di un secolo da quando cominciò a prospettarsi all’attenzione della dottrina il problema delle situazioni sostanziali a carattere superindividuale[1], che ha poi suscitato una grande attrattiva a partire dagli anni Settanta[2], persiste tuttora una certa nebulosità, che fa sì che non se ne riesca a cogliere appieno la portata.

La percezione del fenomeno degli interessi collettivi risulta per lo più viziata dal pregiudizio ideologico che la riferibilità di una situazione di vantaggio a favore di soggetti di difficile individuazione comporti un’astrazione dai soggetti di riferimento per divenire interesse della collettività, concepita quale soggetto d’interesse avulso dai membri della stessa[3].

Ora, per poter costruire un impianto processuale che sappia rispondere alle esigenze di tutela appartenenti a questa tipologia di interessi, bisogna anzitutto sgombrare il campo da possibili forme devianti dalla corretta percezione del fenomeno, quale il pensare al collettivo come a un quid del tutto diverso e sovraordinato all’individuale, distogliendo così l’attenzione dal protagonista effettivo del fenomeno collettivo, cioè dalla persona, a cui gli interessi, anche se a rilevanza superindividuale non cessano mai di appartenere[4].

Tale valutazione si ricava già su un piano pregiuridico del collettivo (che evoca naturalmente l’idea del gruppo), poiché la condivisione di un medesimo interesse, quale ad esempio un interesse di natura economica, religiosa, ambientale o di qualunque altra natura, che determina il sorgere di un gruppo con una specifica fisionomia – ancorché sprovvisto di un preciso riconoscimento giuridico – comporta la necessità di strumenti di raccordo delle attività dei singoli e delle iniziative dirette al perseguimento dell’interesse comune, ma non comporta il venir meno della titolarità in capo ai singoli componenti degli interessi coincidenti a favore del gruppo, inteso come qualcosa di differenziato rispetto ad essi.

Ugualmente l’indivisibilità del bene, fulcro di diverse ricostruzioni, non può assurgere ad elemento connotante il concetto di interesse collettivo[5]. Sebbene, infatti, vi siano aspirazioni verso lo stesso bene e il suo conseguimento le soddisfa parimenti, ciò non vuol dire che non si abbiano interessi collettivi anche verso beni divisibili, collettivamente perseguibili. 

Invero, alla base del fenomeno vi sono posizioni giuridiche sostanziali individuali che nascono indipendentemente l’una dall’altra, accomunate da un nesso relazionale, ovverosia la circostanza che una medesima condotta contra ius è idonea a comprometterle tutte e che un unico comportamento doveroso o un unico provvedimento giudiziale è atto a soddisfarle tutte.

La circostanza che la lesione di una situazione giuridica non esclusiva comporti, inevitabilmente, la lesione di tutti i soggetti appartenenti alla categoria – titolari delle medesime posizioni di vantaggio – e che i rimedi giurisdizionali apprestati a tutela di interessi collettivi (provvedimenti di tipo inibitorio[6]) si manifestino idonei a soddisfare congiuntamente, in un’unica soluzione, tutti gli interessati[7], non determina una metamorfosi della struttura formale dei sottostanti interessi individuali.

L’interesse collettivo rappresenta la dimensione sovraindividuale che assumono ex necesse talune nuove posizioni giuridicamente rilevanti, caratterizzate dall’essere conformi e compatibili[8].

È quindi di rilievo preminente non considerare l’interesse collettivo un tertium genus rispetto alle tradizionali situazioni giuridiche o una figura autonoma rispetto alle sottostanti situazioni individuali, ma una categoria dogmatica strumentale alla tutela di esse[9], che rende effettiva la tutela giurisdizionale di situazioni non strettamente individuali di cui il singolo è comunque titolare[10], mediante l’estensione della legittimazione ad agire agli enti esponenziali.

La polverizzazione del referente non può portare alla conclusione che l’interesse collettivo non sia anche un interesse individuale.

Esso va pur sempre ricondotto nell’ambito di una posizione di vantaggio riconosciuta dall’ordinamento[11], la cui valenza collettiva viene contemplata dal legislatore, incidendo su profili di peculiare interesse per il processualcivilista come l’estensione della legittimazione ad agire, l’individuazione dei limiti soggettivi del giudicato, il coordinamento tra l’azione proposta dall’ente e le eventuali azioni individuali, il tipo di provvedimento adottabile nonché l’eseguibilità forzata dello stesso. Pertanto, l’idoneità di un medesimo fatto lesivo a pregiudicare l’interesse giuridicamente rilevante dei diversi titolari ha principalmente un rilievo sul piano rimediale e meno sul piano dell’inquadramento nelle categorie giuridico-processuali.

 

2. Gli interessi collettivi come posizioni giuridiche individuali.

 La diffusa tendenza a negare il carattere di diritto soggettivo agli interessi collettivi è determinata dal fatto che nello stabilire quali posizioni di vantaggio, attribuibili al soggetto, possono essere qualificate diritto soggettivo è usuale il ricorso a quelle caratteristiche del diritto soggettivo che se possono andar bene per situazioni di tipo più tradizionale, difficilmente saranno riscontrabili nelle nuove situazioni.

Così, l’esclusività del diritto soggettivo, che in una prima accezione comporta la negazione del potere di tutti i consociati di concorrere al godimento del bene oggetto del diritto, e in una più specifica accezione comporta l’appartenenza solo ad una determinata persona del contenuto del diritto soggettivo, è un elemento che non contraddistingue necessariamente la relazione che si crea tra soggetto e bene. Il bene, che è un bene immateriale, appartiene al soggetto in quanto rivesta un particolare status, ma allo stesso tempo appartiene a tutti i componenti del gruppo.

Parimenti difficile risulta il riscontro della disponibilità, che si traduce nella codificazione nel concetto di esercizio del diritto, alludendo con questo concetto contestualmente alla attività (materiale) di fruizione del bene che costituisce l’oggetto del diritto e alla pretesa, concretamente formulata anche giudiziariamente, nei confronti del soggetto passivo del rapporto.

Stessa considerazione va fatta, ad esempio, per l’elemento della patrimonialità, considerato carattere essenziale del diritto di proprietà, sul modello del quale è stato costruito il diritto soggettivo, ma anche del diritto di credito, come previsto dall’art. 1174 c.c. (la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica), patrimonialità che è poi anche intesa come disponibilità o trasferibilità[12].

A dire il vero limitarsi alla ricerca dei tradizionali indici rivelatori del diritto soggettivo rispetto alle situazioni giuridiche qualificate interessi collettivi può risultare un lavoro vano. E d’altronde, come autorevolmente evidenziato da Enrico Allorio, il diritto soggettivo è «una nozione di comodo, cui si dà contenuto e si attribuiscono confini, che (….) rispondono a un utile intento sistematico».

Alla stregua dell’ordinamento giuridico moderno il diritto soggettivo di certo cambia volto, e a ciò contribuiscono i precetti costituzionali che hanno ampliato il concetto di dignità e hanno posto clausole generali, come i diritti inviolabili dell’uomo, il cui contenuto viene progressivamente adattato dalla giurisprudenza alla evoluzione della società, ai valori emergenti della stessa.

Si tratta per lo più di interessi rispondenti a nuove istanze sociali, per lungo tempo privi di riconoscimento sostanziale e processuale o solo marginalmente tutelati, e divenuti nel corso dell’ultimo ventennio oggetto di riconoscimenti da parte del legislatore italiano, sospinto principalmente da una feconda azione delle istituzioni comunitarie. Si pensi alla tutela dei consumatori, alla tutela dell’ambiente, alla tutela antidiscriminatoria, che attualmente costituiscono gli ambiti, unitamente alla tutela in materia di repressione antisindacale, in cui si rinvengono delle norme a rilievo processuale per la tutela degli interessi collettivi, essendo il nostro sistema privo di una disciplina unitaria delle situazioni sostanziali a rilevanza collettiva. In questi ambiti il legislatore ha riconosciuto e tutelato nuove situazioni soggettive individuali a rilevanza collettiva, realizzando al tempo stesso un ampliamento della tutela sul versante individuale e sul versante collettivo.

La questione di notevole rilievo processuale posta dalle figure di interesse collettivo, disciplinate dal nostro ordinamento, è se essi concretano un diritto soggettivo o un interesse legittimo ascrivibile al singolo individuo – sia pure considerato quale membro di una classe – o se si è soltanto voluto riconoscere sul piano sostanziale l’interesse degli enti esponenziali, con la conseguenza della loro esclusiva  legittimazione ad agire.

La nozione tradizionale di diritto soggettivo come potere della volontà[13], garantito da pretese o interesse giuridicamente protetto, appartiene ad un contesto ormai mutato, risulta pertanto difficile avvalersi della stessa nozione in funzione ordinante rispetto a quelle nuove posizioni di vantaggio, frutto delle rinnovate esigenze della società attuali. Ciò non vuol dire tralasciare la nozione di diritto soggettivo, ma diviene necessaria una estensione dello schema concettuale del diritto soggettivo, non più racchiuso tra i ristretti argini del volontarismo e dell’utilitarismo. Sicché, se per diritto soggettivo intendiamo genericamente l’interesse del soggetto in funzione del quale è stabilito un obbligo comportamentale, sarà possibile riconoscerne l’esistenza anche a fronte di quelle situazioni dotate del carattere di serialità, ma comunque ascrivibili al singolo individuo, sia pure quale membro di una categoria di soggetti.

È emblematico in tal senso l’art. 1 della L. 281/98, ora trasfuso nell’art. 2 del codice del consumo, rubricato Diritti dei consumatori, ivi il legislatore nel promuovere gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, riconosce quali loro diritti fondamentali oltre a diritti tradizionalmente riconosciuti dall’ordinamento, quale il diritto alla salute, diritti nuovi come il diritto all’informazione adeguata e alla corretta pubblicità, il diritto alla sicurezza, il diritto alla qualità dei prodotti e dei servizi, oltre ad ulteriori diritti[14]. Qui, sebbene la figura del singolo consumatore o utente sia determinata rispetto alla classe delle persone fisiche che acquistino o utilizzino beni o servizi per scopi non riferibili all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, la legge tutela l’interesse che vanta ogni componente della classe: è la salute, la sicurezza, il diritto ad una corretta pubblicità, etc., di ogni singolo consumatore ad essere tutelata.

In assenza di corrispondenti disposizione negli altri settori normativi coinvolgenti interessi collettivi, risulta, invece, di impatto meno immediato il riconoscimento di situazioni giuridiche di vantaggio quale esito di una nuova sensibilità culturale. A ciò contribuisce anche il modo in cui è strutturata la disciplina processuale, infatti l’attribuzione espressa della legittimazione ad agire ai soli enti esponenziali appare conseguenza dell’irrilevanza della situazione oggetto di tutela sul piano individuale.  

Tuttavia, trincerarsi dietro l’attribuzione della legittimazione ai soli enti esponenziali per negare apoditticamente l’emersione di nuovi diritti, frutto della naturale evoluzione della società, ed affermare l’esistenza di un diritto appartente alla collettività, inteso come soggetto che si astrae dai singoli soggetti di riferimento, è conseguenza di un approccio di stampo tradizionalista che può essere fuorviante ai fini di una riflessione sull’esistenza o meno di veri e propri diritti appartenenti al singolo individuo.

Così in tema di ambiente non è peregrina l’idea di un diritto del singolo come diritto della personalità, desumibile da diverse norme costituzionali (artt. 2, 3, 9, 41 e 42 Cost.), e sebbene a tale idea si oppongano difficoltà derivanti dal fatto che i tradizionali diritti della personalità hanno ad oggetto beni direttamente inerenti alla persona è anche vero che l’ambiente è un bene strettamente inerente all’uomo, in quanto indispensabile al suo benessere[15]. Peraltro, possono annoverarsi alcune sentenze della Cassazione penale ove è stato affermato che in tema di reati contro l’ambiente la legittimazione processuale appartiene ai soggetti pubblici, in nome dell’ambiente come interesse pubblico, ma anche alla persona singola o associata, in nome dell’ambiente come diritto soggettivo fondamentale di ogni uomo[16].

Parimenti, in tema di tutela antidiscriminatoria deve ritenersi che gli individui abbiano un diritto soggettivo – anch’esso di matrice costituzionale – a non subire comportamenti discriminatori posti in atto per motivi di sesso, razza, origine etnica, religione, handicap, orientamento sessuale, e che tale diritto non possa non riconoscersi per il sol fatto che spesso nei casi di discriminazione collettiva le persone lese dalla discriminazione non siano individuabili in modo diretto ed immediato, facendo discendere da ciò che gli interessi collettivi alla repressione dei comportamenti discriminatori abbiano un ambito non coincidente pienamente con l’interesse individuale del singolo. Invero, anche in quest’ambito deve ritenersi che il legislatore si è preoccupato di tutelare i loro interessi in forma individuale ed anche in forma collettiva, e per via dell’allargamento della legittimazione ad agire ha fatto sì di rendere più efficace la tutela di situazioni che altrimenti rischierebbero di rimanere prive di tutela giurisdizionale.

 

3. Gli interessi collettivi dei consumatori nel codice del consumo.

Fatte queste considerazioni di ordine generale sul concetto di interesse collettivo, l’attenzione sarà rivolta alla specifica ipotesi degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti.

Ben si comprende che l’individuazione circa la natura degli interessi collettivi dei consumatori occupa un ruolo di primaria importanza, poiché si riflette sulla ricostruzione della disciplina processualcivilistica in tema di tutela dei consumatori, e segnatamente dell’art. 140 del codice del consumo che delinea una tutela di tipo inibitorio[17]. A tal fine si rende anzitutto necessario l’inquadramento delle situazioni contemplate dall’art. 2 del codice del consumo (Diritti dei consumatori), il cui contenuto era prima oggetto dell’art. 1 della L. 281/98 (Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), che a sua volta riprendeva, in qualche misura, l’elenco dei diritti della Risoluzione CEE del 1975, costituente in ambito comunitario uno dei primi testi rivolti alla protezione dei consumatori.

L’art. 2, comma 2, cod. cons. stabilisce espressamente che ai consumatori e agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti: alla tutela della salute; alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità; all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. Sono poi contemplate altre situazioni in termini promozionali: diritto all’educazione del consumo, alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti.

Il legislatore ha così preso in considerazione, oltre a diritti tradizionalmente riconosciuti dall’ordinamento e che non pongono alcun dubbio sul loro inquadramento come diritti soggettivi, degli interessi ascrivibili all’individuo nella sua qualità di consumatore o utente, indubbiamente nuovi rispetto al prototipo tradizionale dei diritti soggettivi[18]. Sicché, se non vi è alcuna difficoltà ad affermare che la tutela alla salute costituisca un diritto individuale di carattere assoluto, protetto già a livello costituzionale, o che vi sia un diritto individuale alla correttezza e alla trasparenza nei rapporti contrattuali, tale immediatezza viene però meno nel volgere l’attenzione alle altre situazioni contemplate dall’art. 2 del codice del consumo.

 In effetti, la diffusa tendenza a negare il carattere di diritto soggettivo alle predette situazioni è determinata dal fatto che nello stabilire quali posizioni di vantaggio, attribuibili al soggetto, possono essere qualificate diritto soggettivo è usuale il ricorso a quelle caratteristiche del diritto soggettivo che se possono andar bene per situazioni di tipo più tradizionale, difficilmente saranno riscontrabili in queste nuove situazioni.

Per comprendere se le suddette situazioni giuridiche configurino dei diritti ascrivibili ad ogni singolo consumatore potrebbe forse esser proficuo, quale metodo di lavoro, verificare se nel caso del loro mancato riconoscimento da parte del legislatore come interessi collettivi, tutelabili per via delle associazioni qualificate rappresentative ai sensi dell’art. 137 cod. cons., si abbia un vuoto di tutela o se si abbiano comunque delle forme di tutela, sebbene diverse da quelle offerte dal processo civile, ad esempio offerte da altri settori del diritto che dettino delle regole al riguardo, o dalle Autorità indipendenti, o se invece possa ricavarsi un ampliamento delle possibilità di tutela in precedenza assicurate dall’ordinamento al singolo consumatore.

È anzitutto da rilevare che i diritti presi in considerazione dall’art. 2 cod. cons. erano per lo più già riconosciuti da una precedente normativa[19], dunque l’espressa previsione può essere interpretata come attribuzione di rilevanza giuridica generale a situazioni di particolare rilievo per i consumatori, a prescindere dagli specifici settori del rapporto di consumo.

In primo luogo viene riconosciuto come fondamentale il diritto alla tutela della salute. Rispetto a tale diritto, protetto già dall’art. 32 della Costituzione come interesse della collettività e diritto individuale di carattere assoluto, possiamo ad esempio chiederci se: nell’ipotesi in cui non fosse riconosciuta la legittimazione alle associazioni dei consumatori di agire in giudizio per chiedere il ritiro dal mercato di un prodotto nocivo, i consumatori potrebbero avere tutela in altro modo? Il singolo individuo, abituale consumatore di quel determinato prodotto, solo a fronte di un suo apprezzabile pregiudizio potrà rivolgersi al giudice ordinario?

Posto che l’immissione sul mercato di prodotti nocivi configura un illecito penale, il codice penale delinea infatti dagli articoli 439 e seguenti i delitti contro la salute pubblica, segnatamente l’art. 444 c.p. disciplina l’ipotesi criminosa del commercio di sostanze alimentari nocive, l’art. 442 c.p. il commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate, l’art. 443 il commercio o somministrazione di medicinali guasti e l’art. 452 c.p. i delitti colposi contro la salute pubblica – ipotesi criminose per la cui sussistenza non è necessario che le sostanze alimentari abbiano idoneità ad esporre effettivamente a pericolo la salute pubblica, ma non occorre che il nocumento abbia realmente a verificarsi – il singolo consumatore potrà informare un ufficiale di polizia giudiziaria o il pubblico ministero.

Un altro campo che, ad esempio, si presta particolarmente ad eventuali danni alla salute è rappresentato dai prodotti cosmetici. Al riguardo l’art. 7 della legge 11 ottobre 1986 n. 713 (Norme per l’attuazione delle direttive della Comunità economica europea sulla produzione e la vendita dei prodotti cosmetici) prevede una responsabilità penale di chi detiene o pone in commercio dei prodotti cosmetici che nelle normali condizioni di impiego possono essere dannosi alla salute.

Quanto al diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi, di certo l’immissione sul mercato di un prodotto difettoso è un danno potenziale per ciascun consumatore, e già nel pericolo di un danno concreto vi è la lesione del diritto alla sicurezza del consumatore. L’art 109 cod. cons. (Sorveglianza del mercato) prevede infatti la possibilità per i consumatori di presentare reclami alle amministrazioni pubbliche competenti a controllare che i prodotti immessi sul mercato siano sicuri e l’art. 112 cod. cons. (Sanzioni) prevede una responsabilità penale del produttore o del distributore che immette sul mercato prodotti pericolosi in violazione dell’ordine di ritiro dal mercato o dell’obbligo di informazione dei consumatori circa i rischi presentati.

Ci si pone, allora, l’interrogativo circa la possibilità o meno per il singolo consumatore di un determinato prodotto di promuovere l’azione inibitoria avverso la diffusione sul mercato del prodotto difettoso. Con la conseguenza, in caso di risposta negativa, che se nessuna associazione dei consumatori agisca per il richiamo del prodotto, il diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti del consumatore possa rimanere insoddisfatto. Analoghe osservazioni possono esser fatte anche sul diritto ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, sul diritto all’esercizio di pratiche commerciali secondo principi di buona fede correttezza e lealtà, sul diritto alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali e sul diritto all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.

Vero è che, in caso di inerzia delle associazioni legittimate all’azione inibitoria del comportamento lesivo, il singolo consumatore non è totalmente sprovvisto di tutela, poiché in molti settori normativi sono già offerte forme di tutele alternative al processo civile, si pensi in particolare alle funzioni attribuite in materia di tutela dei consumatori all’Autorità Garante della concorrenza e del mercato[20]. E proprio il fatto che l’ordinamento abbia apprestato anche altre forme di tutela per alcune di queste nuove situazioni[21] può esser letto nel senso di un riconoscimento dell’esistenza di nuove situazioni giuridiche sostanziali. Ne discende allora che esse devono essere tutelabili anche davanti al giudice nel rispetto del diritto di azione di cui all’art. 24 Cost[22].

Pertanto, un consumatore di un determinato prodotto ben potrebbe adire un giudice civile, in presenza dell’interesse ad agire, per far accertare la nocività o il difetto del prodotto e chiedere al giudice il ritiro dal mercato del prodotto. La scarsa probabilità poi che il singolo consumatore, mosso da «individualismo altruistico»[23], agisca in via inibitoria a tutela dei nuovi diritti non implica che non potrebbe farlo e tampoco che ci sia un vuoto di tutela nel caso in cui le associazione non agiscano[24].

 

4. Segue. Gli interessi collettivi dei consumatori come diritti individuali-collettivi.

Nell’attuale corporate society, contraddistinta dalla contrattazione e produzione di massa e dalla conseguente massificazione dei consumi, irrompono nuovi diritti: esito logico di una rinnovata coscienza sociale e giuridica. Tali diritti, ora contemplati in via generale dal legislatore italiano, vanno al di là di una prospettiva meramente patrimonialistica della relazione giuridica e si caratterizzano per il loro essere conformi e concorrenti, di talché il soddisfacimento di un consumatore implica naturalmente il soddisfacimento anche degli altri appartenenti alla categoria.

La diffusione dell’elevata quantità di prodotti o servizi sul mercato comporta che, nell’ipotesi di una condotta illecita imprenditoriale, la lesione dei nuovi diritti non può che essere un danno plurale[25]. Nondimeno, si tratta di diritti che appartengono ad ogni consumatore o utente, e non all’astratta collettività dei consumatori. É vero, semmai, che configurano una moltitudine di posizioni soggettive che si caratterizzano per un danno indifferenziato e che per la loro debolezza possono essere tutelate più efficacemente da un ente esponenziale, ma ciò non si traduce nel venir meno del carattere dell’individualità delle singole posizioni[26]. Sarebbe, quindi, forse più corretto parlare di diritti individuali-collettivi piuttosto che di interessi collettivi dei consumatori, atteso che non configurano qualcosa di diverso rispetto alle sottostanti situazioni giuridiche sostanziali dei consumatori. D’altra parte, nel momento in cui gli interessi dei consumatori divengono oggetto di protezione da parte dell’ordinamento giuridico, assumono lo status di diritti e, specificatamente, di diritti fondamentali come si preoccupa di definirli il nostro legislatore. 

Le principali argomentazioni della dottrina circa la non configurabilità degli interessi collettivi come diritti soggettivi muovono dall’errato presupposto che la lesione del singolo si abbia solo nel momento in cui il singolo abbia subito un pregiudizio apprezzabile a seguito della condotta illecita, non concretandosi fino a quel momento la lesione di un diritto[27]. In queste ricostruzioni vi è però un errore di impostazione che scaturisce dal confondere due piani, ovvero il piano dei nuovi diritti riconosciuti dal legislatore con il piano dei diritti tradizionali[28], che indipendentemente dal riconoscimento operato dal legislatore trovano già tutela giudiziale, ponendo semmai altri problemi, come la gestione di controversie collettive risarcitorie o restitutorie. E, in particolare, si confonde il profilo della risarcibilità con il profilo dell’illecito, come se soltanto il pregiudizio elevasse la situazione in diritto del singolo consumatore. Una interpretazione di tal specie è frutto della confusione del profilo della risarcibilità dell’eventuale pregiudizio arrecato da una condotta giuridica illecita con la determinazione dell’interesse per la cui tutela viene imposto l’obbligo sul piano sostanziale. Si tratta di profili che sono invece distinti[29].

Il diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi, o ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, o all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà etc., non viene ad esistenza a seguito di un danno apprezzabile che si radica nella condotta illecita del professionista, il diritto del consumatore c’è già, e la sua lesione avviene al di là del fatto che il consumatore abbia subito un pregiudizio economicamente apprezzabile a causa della violazione di un obbligo comportamentale. Per essere più chiari: il diritto non viene ad esistenza quando, ad esempio, a seguito di una pratica commerciale scorretta, il singolo abbia stipulato un contratto o abbia acquistato un prodotto che altrimenti non avrebbe acquistato, ma nel momento in cui il professionista abbia operato contra ius si concreta la lesione di uno dei nuovi diritti del consumatore. Il singolo è già “danneggiato” nel momento in cui il professionista non metta in atto il comportamento previsto da una norma del codice del consumo come doveroso, essendo destinatario degli obblighi sostanziali stabiliti dalle norme.

Lo strumento processuale predisposto dal legislatore per il “danno” così inteso è la tutela inibitoria[30], volta a contrastare – mediante l’ordine di cessazione della condotta e di ripristino della situazione in modo conforme al diritto[31] – l’illecito che colpisca i diritti contemplati dall’art. 2 cod. cons. e le altre situazioni soggettive contemplate nelle materie disciplinate dal codice[32]. In realtà, il rimedio inibitorio/ripristinatorio è connaturato alla tutela giurisdizionale dei diritti individuali-collettivi dei consumatori[33].

In considerazione poi della difficoltà di tutela di tali diritti e della loro dimensione sovraindividuale, al fine di rafforzarne la tutela il legislatore ha attribuito la legittimazione all’esercizio dell’azione inibitoria anche agli enti esponenziali dei consumatori[34], in quanto soggetti più forti rispetto al singolo consumatore, che è in una situazione di debolezza rispetto all’impresa, per la quale tra l’altro la posta in gioco nella controversia è di valore indubbiamente superiore rispetto al singolo, e quindi pronta ad investire nella controversia tutte le risorse necessarie[35]. Pertanto, l’attribuzione espressa della legittimazione alle associazioni rappresentative dei consumatori non va letta come entificazione dei diritti dei consumatori, ma come meccanismo atto a innalzare la tutela effettiva di posizioni di vantaggio appartenenti al singolo consumatore, seppure non esclusivamente ascrivibili allo stesso.

 

 

[1] Nella seconda metà dell’Ottocento, a seguito del mutamento del sistema economico in senso capitalistico, del rapido sviluppo dell’industria, in alcuni settori dell’ordinamento – diritto processuale del lavoro e giustizia amministrativa – si è mostrata una particolare sensibilità ad avviare i primi tentativi di affermazione degli interessi collettivi come nuovi interessi di natura sostanziale, necessitanti di tutela. Tra le prime riflessioni dottrinali in materia di interessi collettivi riveste particolare rilievo uno studio di BONAUDI E., La tutela degli interessi collettivi, Milano, 1911.

[2] Sul tema generale degli interessi collettivi e diffusi con riferimento agli anni Settanta, tra i tanti contributi cfr. PROTO PISANI A., Appunti preliminari per lo studio sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi- Atti del Convegno di studio (Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova, 1976, 267 ss.; CAPPELLETTI M., Formazioni sociali e interessi di gruppo, in Riv. dir. proc., 1975, 390; DENTI V., Le azioni a tutela degli interessi collettivi,in Riv. dir. proc., 1975, 361 ss.; COSTANTINO G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi davanti al giudice civile, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 223 ss.; VIGORITI V., Interessi collettivi e processo, Milano, 1979, 58; CORASANITI A., La tutela degli interessi diffusi davanti al giudice ordinario, in Riv. dir. proc.,1978; GIANNINI M.S., La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 23 ss.; GRASSO E., Gli interessi della collettività e l’azione collettiva, in Riv. dir. proc., 1983, 24 ss.

[3] Tale pregiudizio ideologico è probabilmente un riflesso dottrinario della concezione elaborata da Cesarini Sforza e Carnelutti sull’interesse collettivo come sintesi degli interessi individuale: l’interesse collettivo ha struttura unitaria, è sintesi e combinazione indivisibile di tutti gli interessi singoli che lo compongono; cfr. CESARINI SFORZA W., Preliminari sul diritto collettivo (1936), in Il diritto dei privati, Milano 1963, 107; CARNELUTTI F., Teoria del regolamento collettivo del lavoro, Padova, 1936, 139-140; BARASSI L., Diritto sindacale e corporativo, Milano, 1934, 108 ss., il quale sebbene ritenga che i titolari degli interessi collettivi siano i componenti della categoria, rileva che «questi interessi sono raggruppati in una sintesi astratta e tipica; la quale finisce con riferirsi alla professione, alla categoria non concepita nell’analisi di ciascun interesse individuale».

[4] Cfr., VIGORITI V., Interessi collettivi e processo, Milano, 1979, 58.

[5] La dottrina brasiliana, influenzata dalla dottrina italiana degli anni Settanta sul concetto di interesse collettivo, considera, unitamente all’aspetto soggettivo (titolarità del diritto di una collettività composta da soggetti non individuati ma individuabili), l’aspetto oggettivo dell’indivisibilità del diritto sostanziale, cioè l’impossibilità della sua divisione in frazioni attribuibili individualmente a ciascuno degli interessati, la nota caratterizzante dei diritti collettivi. BARBOSA MOREIRA J., A tutela jurisdicional dos interesses coletivos ou difusos, in Temas de Direito Processual Civil, 1984, tercera série, 174, osserva che «tra gli interessati si instaura una unione così salda, che la soddisfazione di uno implica necessariamente la soddisfazione di tutti, e reciprocamente, la lesione a un membro del gruppo è ipso facto, lesione all’intera collettività»; nello stesso senso PELLEGRINI GRINOVER A., Azioni collettive per la difesa dell’ambiente e dei consumatori, in Riv. dir. proc., 1988, 708; GIDI A., Derechos difusos, colectivos e individuales homogéneos, in La tutela de los derechos difusos, colectivos e individuales homogéneos. Hacia un código modelo para iberoamerica, GIDI A. – FERRER MAC-GREGOR E., (Coordinadores), Città del Messico, 2003, 25 ss.

[6] Cfr. art. 28, comma 1, Stat. Lav.; art. 37 e art. 140 Codice del consumo; art. 38 D.Lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità). Ai provvedimenti inibitori, con i quali è ordinata la cessazione della condotta illecita ed è vietata per il futuro la reiterazione della condotta, possono poi accompagnarsi altri provvedimenti diretti alla soddisfazione congiunta di tutti gli appartenenti alla categoria, come le condanne all’adozione di misure idonee a rimuovere gli effetti dannosi delle violazioni e l’ordine di pubblicazione del provvedimento in uno o più quotidiani.

[7] Anche i provvedimenti collettivi di tipo risarcitorio, volti alla riparazione del danno sofferto dai singoli componenti della classe, laddove siano accompagnati dal risarcimento del danno punitivo, potrebbero considerarsi provvedimenti a tutela di interessi collettivi, poiché in tal modo apportano un diretto vantaggio alla classe dei soggetti danneggiati.

[8] DONZELLI R, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, 2008, 270 ss., individua l’interesse collettivo come insieme di interessi individuali legati da una tipica relazione di concorrenza: interessi compatibili (il realizzarsi di un interesse non esclude il realizzarsi di un altro interesse) e concorrenti (il soddisfacimento dell’uno comporta necessariamente il soddisfacimento dell’altro). Secondo l’A. la contrapposizione tra interessi individuali e interessi collettivi è fuorviante, poiché in entrambi i fenomeni si ha a che fare, con interessi che – in quanto tali – non possono che essere individuali, ossia appartenenti all’individuo; e ritiene più corretto per differenziare, distinguere tra interessi (individuali) esclusivi e interessi (individuali) collettivi.

[9] MENCHINI S., La tutela giurisdizionale dei diritti individuali omogenei: aspetti critici e prospettive ricostruttive, Le azioni seriali, in Quaderni de «Il giusto processo» civile, 2008, 55 ss., osserva che «l’interesse collettivo non costituisce l’oggetto del processo; esso ha un ruolo meramente strumentale, in quanto consente l’accesso alla tutela; dunque, essendo fatto costitutivo della legittimazione ad agire, è semplicemente situazione legittimante l’esercizio dell’azione».

[10] Diverso il pensiero di CAPPELLETTI M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1975, 367 e 372, secondo il quale «gli interessi collettivi, seppure costituiscono una realtà innegabile e grandeggiante delle società odierne, sfuggono tuttavia a precise definizioni e si sottraggono agli schemi tradizionali ai quali noi giuristi, e in particolare noi processualisti, siamo stati abituati»; «la nostra epoca…porta prepotentemente alla ribalta nuovi interessi “diffusi”, nuovi diritti e doveri che, senza essere pubblici nel senso tradizionale della parola, sono però “collettivi”: di essi nessuno è “titolare”, allo stesso tempo che tutti, o tutti i membri di un dato gruppo, classe, o categoria, ne sono titolari».

[11] VIGORITI V., Interessi collettivi e processo, cit., 59 ss., ritiene che sia configurabile in capo a ciascun membro della collettività un diritto soggettivo ed esclude che sia possibile qualificare il rapporto tra i componenti della collettività e il soggetto obbligato come una situazione di vantaggio unica con più titolari, avente per oggetto un unico bene giuridico. Secondo l’Autore «si può parlare di un solo interesse in senso traslato, a significare la rilevanza, anche sul piano positivo, della dimensione collettiva, sempre avendo presente che si tratta in realtà di un’aggregazione fra situazioni soggettive riconosciute dalla legge ai singoli individui e coordinate al raggiungimento di uno scopo comune…situazioni che presentano sul piano sostanziale una pluralità di posizioni di vantaggio di contenuto uguale e ugualmente orientate, ma fra loro autonome e facenti capo a soggetti diversi».

[12] DONZELLI, R., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., 317 nota 25, 322, rileva che se per rientrare nel novero dei diritti soggettivi tutte le situazioni sostanziali debbano presentare i caratteri della esclusività, disponibilità, patrimonialità e assolutezza, bisognerebbe allora escludere tanto i diritti indisponibili, quanto le situazioni che si configurano in contitolarità di più soggetti o che si presentano secondo uno schema di reciproca concorrenza, nelle quali la volontà di un soggetto non appare decisiva, né sul fronte della disponibilità del diritto, né sul fronte della sua tutela giurisdizionale, tuttavia le formule lessicali impiegate dal diritto positivo si riferiscono espressamente al «diritto soggettivo».

[13] Secondo la nota formula definitoria di WINDSCHEID B., Diritto delle pandette, Torino, 1902, I, 1, 169 ss., il diritto soggettivo è «una potestà o signoria della volontà impartita dall’ordine giuridico».

[14] Per una panoramica generale sull’evoluzione del diritto dei consumatori, tra i tanti ALPA G., Diritto privato dei consumi, Bologna, 1986; ID., Il diritto dei consumatori, Roma, 2003; ID., Art. 2, Diritti dei consumatori, in Codice del consumo, Commentario, a cura di Alpa G. e Rossi Carleo L., Napoli 2005, 31 ss.     

[15] Cfr. DI COLA L., La tutela dell’ambiente, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2003, 294 ss.

[16] Cass. Pen. 20 gennaio 1983, commentata da ALPA G., Pubblico e privato nel danno ambientale, 1987, 687 ss; Cass. Pen. 19 giugno 1996, in Danno ambientale, 1997, 681 ss.; 19 novembre 1996, in Diritto penale e processo, 1997, 590 ss., ivi la Suprema Corte afferma che «…la Costituzione della Repubblica Italiana nei suoi principi fondamentali recepisce una concezione “aperta” dei diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nella formazione sociale ove si svolge la sua personalità, nel senso che non è stabilito un “numerus clausus”, ma è riconosciuto quel che la società produce di sensibilità e cultura…la nostra Costituzione tutela non solo la salute ed il patrimonio naturale e culturale della Nazione, ma riconosce e garantisce l’ambiente come diritto fondamentale della persona umana e consente a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela di questo diritto. Alla luce di questi principi proprio perché nel danno ambientale è inscindibile la offesa ai valori naturali e culturali e la contestuale lesione dei valori umani e sociali di ogni persona, la legittimazione processuale non spetta solo ai soggetti pubblici…ma anche alla persona singola o associata (in nome dell’ambiente come diritto soggettivo fondamentale di ogni uomo). La difficoltà di differenziazione della componente individuale non equivale ad inesistenza ed è superabile in termini giuridici una misura cautelare oppure il ripristino, ove possibile, della situazione dei luoghi (sanzione che ha una portata generale)…..».

[17] L’art. 140 cod. cons. (Procedura) dispone che «I soggetti di cui all’articolo 139 sono legittimati nei casi ivi previsti ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare misure idonee a correggere od eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale, nei casi in cui la pubblicazione del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.».

[18] Cfr. PAGNI I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (prime riflessioni sull’art. 3, L. 30.7.1998, n. 281), in La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (L. 30 luglio 1998 n. 281), Napoli, 2000, 127 ss.

[19] Così il diritto del consumatore alla tutela della salute e alla sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi, previsto dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 (attuativo della direttiva CEE n. 85/374), che regola la responsabilità del produttore; dal d.l. 25 gennaio 1992, n. 73, riguardante i prodotti che possono nuocere la salute o la sicurezza dei consumatori (attuativo della direttiva CEE n. 87/357); dal d.l. 17 marzo 1995, n. 115, sulla sicurezza generale dei prodotti (attuativo della direttiva CEE 92/59); dal d.lgs 74/92 sulla pubblicità ingannevole (attuativo della direttiva CEE n.84/450); dalla l. 6 febbraio 1996, n. 52 (attuativa della direttiva CEE n. 93/13) che ha introdotto gli artt. 1469 bis ss. sul diritto del consumatore alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali.

[20] Istituita con la legge 10 ottobre 1990 n. 287, nasce come autorità di garanzia con il compito di esercitare un’attività di inibizione e repressione di condotte antigiuridiche, funzionale alla salvaguardia della struttura concorrenziale dei mercati. Sulle funzioni svolte dall’Autorità in materia di tutela del consumatore, si veda MINERVINI V., L’Autorità Garante della concorrenza e del mercato quale Autorità di tutela del consumatore: verso una nuova forma di regolazione dei mercati, in Riv. dir. comm., 4/2010; VERARDI C.M., La tutela dell’interesse collettivo dei consumatori alla lealtà e veridicità del messaggio pubblicitario davanti al giudice, alle authorities ed all’autodisciplina pubblicitaria, in CAPPONI B. – GASPARINETTI M.- VERARDI C.M., La tutela collettiva dei consumatori, Profili di diritto sostanziale e processuale, Napoli 1995, 45 ss.

[21] L’art. 27 cod. cons. dispone che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti. Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria. A titolo esemplificativo, ai sensi dell’art. 6 cod. cons., tutti i prodotti commercializzati sul territorio nazionale, devono riportare sulle etichette o sulle confezioni delle precise indicazioni in lingua italiana, come la denominazione legale del prodotto, nome, sede legale del produttore, istruzioni, eventuali precauzioni e destinazione d’uso, ove utile ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto. Nell’ipotesi in cui siano posti in vendita dei prodotti privi delle adeguate informazioni o non riportino le informazioni in lingua italiana (il cui commercio ai sensi dell’art. 11 cod. cons. è vietato) si configura una ipotesi di pubblicità ingannevole, e il singolo consumatore potrà rivolgere domanda all’Autorità Garante affinchè siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole.

[22] Taluni hanno sostenuto che autorità amministrative quali le Autorità indipendenti, sarebbero organi più idonei alla tutela di tali posizioni giuridiche, tuttavia in virtù dell’art. 24 Cost. se si configurano come diritti soggettivi non possono essere sottratti all’organo giurisdizionale.

[23] L’efficace ossimoro è di TARUFFO M., Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di Lanfranchi, Torino 2003, 65.

[24] Sul punto mi permetto di rinviare a DI SALVO C., Sulla legittimazione all’azione collettiva inibitoria: associazioni rappresentative dei consumatori, singolo consumatore e altri organismi, di prossima pubblicazione in Diritto & Diritti – www.diritto.it.

[25] DELLA BIANCA N., Illecito antitrust e la tutela collettiva dei consumatori, in Resp. civ. e prev., 2009, nota 6, 24, in riferimento alla qualifica da parte della dottrina del danno come danno sociale, osserva che sia il termine «danno» che «lesione» non devono essere intesi in senso tecnico-giuridico, avvicinandosi piuttosto al concetto di «pericolo».

[26] Interpretazione che sembra confermata dalla definizione degli interessi collettivi dei consumatori come «interessi di un numero di consumatori che sono stati o potrebbero essere danneggiati da un’infrazione» contenuta nell’art. 67 ter lett. i) c.d.c., relativa alla disciplina sulla «Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori», introdotta con il d.lgs 23 ottobre 2007, n. 221 e inserita nella sezione IV-bis del codice del consumo.

[27] Recentemente, CAPONI R., Modelli europei di tutela collettiva nel processo civile: esperienze tedesca e italiana a confronto, in Le azioni seriali, a cura di Menchini S., in Quaderni del Il Giusto processo civile, Napoli, 2008, 129-130. Secondo l’Autore il singolo consumatore non ha un diritto soggettivo individuale alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali in generale. Il consumatore è titolare di tali diritti solo in relazione allo specifico rapporto contrattuale di cui è parte (analogamente in riferimento agli altri diritti previsti dall’art. 2, comma 2°); solo in tale veste può subire una lesione o una minaccia di lesione suscettibile di essere apprezzata in modo specifico, diretto e attuale, e può agire in giudizio per la tutela di un proprio diritto.

[28] Cfr. DONZELLI R, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., 400, il quale osserva: «Come poter parlare, infatti, di diritto soggettivo riguardo agli strumenti di tutela degli interessi collettivi muovendo dalla concezione secondo cui il diritto soggettivo è la situazione del soggetto la cui volontà è decisiva per l’esistenza dell’obbligo, o il potere di volere riconosciuto al soggetto per la tutela dei suoi interessi, o l’appartenenza del bene della vita, o la possibilità di agire entro i limiti segnati dal diritto oggettivo, ecc. Muovendosi lungo questa linea di pensiero in cui il diritto soggettivo appare come un quid legato al soggetto che ne è titolare, è naturale avvertire una certa difficoltà di ricostruzione allorché il soggetto titolare non sia più ben individuato o propriamente indeterminato. Se invece si parte dall’obbligo e ci si avvede che sul piano sostanziale non c’è spazio per la rilevanza di ulteriori elementi strutturali di natura attiva attribuiti in titolarità ai soggetti destinatari della tutela offerta tramite l’imposizione dell’obbligo, allora la prospettiva si inverte e in posizione di centralità viene a trovarsi l’effetto giuridico, cioè il comportamento doveroso, rispetto al quale che vi siano uno, due, tre o infiniti soggetti interessati all’osservanza del medesimo non crea alcun problema ricostruttivo sul piano formale sostanziale».

[29] Al riguardo DONZELLI R., op. ult. cit., 774 nota 50, rileva che i due profili sono invece sovrapposti dalla dottrina per argomentare l’irrilevanza dell’interesse del singolo membro della collettività alla repressione degli illeciti a lesività differenziata.

[30] Il rimedio è in linea con la direttiva comunitaria 98/27/CE che ha fondato la tutela collettiva dei consumatori sui provvedimenti inibitori. Tale direttiva, avendo subito diverse e sostanziali modifiche, è stata recentemente abrogata dalla Direttiva 2009/22/CE. Ai sensi dell’art. 2 della direttiva i provvedimenti ottenibili con l’azione inibitoria sono:  a) il provvedimento di cessazione o interdizione della violazione; b) il provvedimento di ordine della pubblicazione della decisione; c) il provvedimento di condanna della parte soccombente al versamento di una somma di denaro al Tesoro pubblico o altro beneficiario designato, in caso di mancata esecuzione della decisione entro il termine fissato dagli organi giurisdizionale o dalle autorità amministrative.        

[31] Cfr. DI MAJO A., Forme e tecniche di tutela, in Foro it., 1989, V, c. 141.

[32] Diversamente, con il nuovo meccanismo di tutela processuale dell’azione di classe di cui all’art. 140 bis non sono tutelati i diritti individuali-collettivi, ma i diritti individuali esclusivi dei singoli consumatori, e la dimensione collettiva si limita alla “apparenza” di tutela di un interesse di classe. L’art. 140 bis, comma 2, recita: «L’azione tutela: a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 131 e 1342 del codice civile; b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diritto rapporto contrattuale; c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. Sull’azione di classe, come ridisegnata dall’art. 49 della L. 23 luglio 2009 n. 99, tra i tanti si veda  SANTANGELI F.-PARISI P., Il nuovo strumento di tutela collettiva risarcitoria: l’azione di classe dopo le recenti modifiche all’art. 140-bis cod. cons, in Futuro-Giustizia Azione collettivaMediazione, Torino, 2010. Per un esame della precedente versione dell’azione collettiva risarcitoria, tra tutti, si rinvia a CONSOLO – BONA – BUZZELLI, Obiettivo Class action: l’azione collettiva risarcitoria, Milano, 2008.

[33] PAGNI I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., rileva che «l’inibitoria, per la sua natura di rimedio preventivo e specifico, consente una tutela piena di situazioni soggettive sganciate dallo schema proprietario tradizionale e connesse col diffondersi dei rapporti giuridici e sociali dell’economia di massa, quali sono, appunto i diritti dei consumatori (ma non è diverso il discorso per il diritto alla salute, alla protezione dell’ambiente, ai diritti alla privacy); sicché essa diviene un rimedio alternativo o tutt’al più complementare alla tutela risarcitoria, che risulta particolarmente inadeguata a garantire l’effettiva attuazione dei nuovi diritti, sia per la natura tendenzialmente non patrimoniale dei beni che ne costituiscono l’oggetto, sia per il carattere continuativo o ripetitivo delle condotte lesive, per far fronte alle quali occorre un rimedio rivolto piuttosto al futuro che non al passato»; BELLELLI A, L’inibitoria come strumento generale di tutela contro l’illecito, in Riv. dir. civ., 2004.

[34] Tale elemento ha portato la prevalente dottrina a ritenere che gli enti esponenziali siano titolari di tali situazioni e a perder di vista che gli enti possono far valere solo gli interessi che abbiano già veste di situazione soggettiva giuridicamente rilevante.

[35] Sul consumatore quale «soggetto debole» GIUSSANI A., La tutela degli interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori, in Danno e resp., 1998, 1061, osserva come la nozione di debolezza non implica esclusivamente una valutazione socioeconomica del soggetto ma si riferisce, fra le altre cose, al fatto di essere parte occasionale di una controversia di tipo seriale di fronte ad un avversario che è invece una parte abituale provvista per ciò stesso di consistenti vantaggi strategici.

 

 

 

Di Salvo Cettina

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