Anche la Corte di Giustizia si pronuncia sul dies a quo della prescrizione dell’azione per il risarcimento danni da inadempimento di direttiva comunitaria

Redazione 23/05/11
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Con la sent. 10813/2011, la Sezione III della Cassazione, pronunciandosi in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione europea relativamente alla tutela dei diritti conferiti da una direttiva non trasposta, ha confermato l’obbligo di risarcimento del danno a carico dello Stato membro inadempiente in favore dei soggetti interessati dalla direttiva non self-executing per il mancato acquisto della titolarità dei diritti che sarebbero derivati da una tempestiva attuazione della direttiva medesima, contestualmente precisando che la prescrizione decennale della relativa azione non corre in ipotesi di mancato recepimento, perché la condotta di inadempimento statuale cagiona l’obbligo risarcitorio de die in die. Viceversa, il termine di prescrizione decennale inizia a decorrere dal giorno in cui è entrata in vigore la normativa italiana di recepimento, distinguendosi ulteriormente per il caso di successivo adempimento parziale.

Dopo appena un giorno dal deposito della detta sentenza, anche la Corte di Giustizia, con sentenza del 19 maggio 2011 resa nella causa C-452/09, è intervenuta sulla questione della prescrizione del risarcimento del danno derivante da scorretta trasposizione di una direttiva nel diritto nazionale.

La decisione della Corte di Giustizia è stata provocata da un quesito pregiudiziale della Corte d’appello di Firenze sulla vexata quaestio dei medici specializzati e specializzandi in relazione alla direttiva 82/76/CEE e, in particolare, sul rapporto tra effettività dei diritti e prescrizione.

Sul punto, La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha assunto un atteggiamento più rigoroso, riconoscendo che il termine di prescrizione nelle azioni di risarcimento può essere opposto anche nei casi in cui lo Stato inadempiente non abbia ancora recepito la direttiva nel momento in cui i titolari del diritto propongono il ricorso. Nella prospettiva della Corte, pertanto, il diritto dell’Unione non osta a che uno Stato membro eccepisca la scadenza di un termine di prescrizione a fronte di un’azione giurisdizionale proposta da un singolo per ottenere la tutela dei diritti conferiti da una direttiva, anche qualora tale Stato non l’abbia correttamente trasposta, a condizione che, con il suo comportamento, esso non sia stato all’origine della tardività del ricorso, privando il ricorrente della possibilità di far valere tempestivamente innanzi ai giudici nazionali i diritti che gli spettano in forza della direttiva (Anna Costagliola).

 

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