Furto con strappo: la Consulta conferma la legittimità dell’art. 624-bis c.p.

La Corte costituzionale conferma la legittimità dell’art. 624-bis c.p. sul furto con strappo: analisi dei fatti, delle questioni sollevate e delle motivazioni.

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Corte costituzionale – sentenza n. 171 del 22 settembre 2025

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Indice

1. Dallo scippo al giudizio di legittimità: i casi di Firenze e Milano sul furto con strappo


Il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, era chiamato a giudicare per un caso di rapina aggravata dalla recidiva infraquinquennale, di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen. atteso che l’imputato, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, dopo aver sottratto una collana d’oro a un soggetto che percorreva a piedi una piazza di Firenze strappandogliela dal collo ed essersi subito allontanato di corsa, veniva inseguito e bloccato da un altro soggetto; a quel punto, per assicurarsi il possesso della collana e garantirsi l’impunità, tentava inutilmente di divincolarsi.
Orbene, essendo stato l’autore del reato arrestato per il reato di rapina impropria e presentato al giudice per la convalida dell’arresto e il successivo giudizio direttissimo, l’organo giudicante fiorentino convalidava l’arresto e, previa qualificazione del fatto come furto con strappo ai sensi dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen., procedeva con il rito direttissimo fermo restando che, dopo alcuni rinvii, l’accusato chiedeva proseguirsi con il rito abbreviato, condizionato alla produzione di alcuni documenti e il giudice provvedeva in conformità mentre il pubblico ministero, dal canto suo, chiedeva la sua condanna per il reato di furto con strappo alla pena finale – previo riconoscimento delle attenuanti generiche – di due anni e otto mesi di reclusione e a euro 618 di multa; la difesa chiedeva l’esclusione della contestata recidiva, il riconoscimento delle attenuanti ex art. 62, numeri 4) e 6), cod. pen., e delle attenuanti generiche, con l’applicazione del minimo della pena.
Ordunque, ritiene il Tribunale di Firenze come fosse pacifica la realizzazione, da parte dell’imputato, di un furto con strappo.
Ciò posto, un altro Tribunale, e segnatamente il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, era chiamato a giudicare una persona accusata di avere commesso il delitto di cui agli artt. 624-bis, secondo comma, e 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen..
Segnatamente, a bordo di un treno, durante la fase di arresto del convoglio, l’accusato in questione si impossessava di una catenina d’oro con ciondolo in acquamarina, strappandola dal collo della vittima e dandosi alla fuga, scendendo dal treno ormai fermo, all’interno di una stazione di Milano.
Orbene, l’imputato era stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto per il reato di furto con strappo aggravato, commesso su un mezzo di trasporto pubblico e, dopo che il pubblico ministero, dal canto suo, esercitava l’azione penale con richiesta di giudizio immediato e il giudice per le indagini preliminari emetteva il relativo decreto, l’accusato, a fronte di ciò, chiedeva di procedere nelle forme del rito abbreviato e il giudice milanese, in qualità di giudice dell’udienza preliminare, fissava l’udienza per l’ammissione del rito e l’eventuale discussione.
Tuttavia, dopo l’ammissione al rito abbreviato, il difensore dell’imputato chiedeva al giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen. in relazione al quantum di pena, relativamente al minimo edittale, per violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost.. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025“, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

2. La sfida del Tribunale di Firenze all’art. 624-bis c.p.: la prima questione di legittimità


Il Tribunale di Firenze, in occasione della vicenda giudiziaria richiamata per prima, sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, secondo comma, del codice penale nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
In particolare, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo, dopo avere osservato che l’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. incrimina la condotta di «chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona», e notato che per tale condotta è prevista l’applicazione della pena indicata al primo comma dello stesso articolo in relazione al furto in abitazione, vale a dire la reclusione da quattro a sette anni e la multa da euro 927 a 1.500, faceva altresì presente che, nell’ambito degli ipotetici fatti riconducibili alla fattispecie criminosa in questione, l’episodio sottoposto al suo vaglio giudiziale si sarebbe contraddistinto per la sua lieve entità, deponendo in tal senso plurimi elementi, che venivano rappresentati nei seguenti termini: “Innanzitutto, l’imputato ha operato da solo e l’energia dispiegata per porre in essere il furto era limitata: egli procedeva a piedi e non, ad esempio, a bordo di un motociclo e la persona offesa (un uomo di mezza età e quindi non un minorenne o un soggetto in età avanzata) non ha riportato nessun tipo di conseguenze lesive, neppure in termini di abrasioni. Inoltre, il fatto si è svolto in pieno giorno, in una piazza cittadina, e non di notte in un luogo isolato, ciò che avrebbe potuto comportare effetti pregiudizievoli in capo alla persona offesa in termini psicologici. Oggetto dello scippo è stata una collana che, quand’anche fosse stata di oro, avrebbe avuto un valore relativamente limitato. La collana è stata, in ogni caso, recuperata poco dopo il fatto, per cui non persiste alcun danno residuo sul piano patrimoniale. Il disvalore del fatto oggetto del procedimento sarebbe in definitiva estremamente ridotto”.
Orbene, a fronte di quanto sin qui esposto, per il giudice rimettente, qualora fosse prevista, come da lui auspicato, una fattispecie attenuata per l’ipotesi del fatto di lieve entità, tale circostanza avrebbe potuto senz’altro applicarsi nel caso di specie, fatta salva l’eventuale applicazione delle ulteriori attenuanti evocate dalla difesa sulla base di elementi diversi.
Ciò posto, quanto alla non manifesta infondatezza, secondo il giudice a quo, la disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima nella misura in cui non prevede un’attenuazione del trattamento sanzionatorio del minimo edittale di quattro anni di reclusione, oltre alla multa, in relazione a condotte delittuose che, per quanto conformi al tipo, risultino di gravità assai limitata.
Affermava a tal riguardo il rimettente di essere consapevole che, se una questione simile, inerente all’art. 624-bis, primo comma, cod. pen. (furto in abitazione), era già stata in precedenza sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale e dichiarata inammissibile con la sentenza n. 117 del 2021, a suo avviso, sarebbe stata tuttavia possibile una rivisitazione delle considerazioni svolte alla luce delle successive sentenze di questa Corte n. 86 del 2024 e n. 120 del 2023, con le quali era stata introdotta un’analoga circostanza attenuante, rispettivamente, per i reati di rapina e di estorsione, tenuto conto altresì del fatto che, mentre con riguardo a taluni delitti come il furto, il particolare rigore sanzionatorio è attenuato dalla possibilità di bilanciamento con una circostanza attenuante, nel furto con strappo, viceversa, l’eccezionale asprezza del trattamento sanzionatorio si esprimerebbe già nella cornice edittale di base, sicché l’eventuale riconoscimento delle circostanze attenuanti previste dall’ordinamento – pur possibile – non sarebbe sufficiente a rendere tale eccesso sanzionatorio compatibile con i principi costituzionali, cosicché l’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. violerebbe gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost..
L’estremo rigore del minimo edittale previsto per il predetto reato, del resto, sempre ad avviso di questo giudice a quo, violerebbe il principio di necessaria ragionevolezza nella determinazione della pena, soprattutto se ricollegato alla fondamentale funzione rieducativa che la stessa deve perseguire per espresso dettato costituzionale visto che, in assenza di una previsione specifica che contempli una pena più mite per fatti di entità più lieve – come invece disposto per altre fattispecie – in casi come quello in esame (in cui, per modalità della condotta ed entità dell’offesa, il fatto concretamente realizzato sia di gravità contenuta), non sarebbe possibile adeguare correttamente il trattamento sanzionatorio alla gravità del fatto e alla necessaria rieducazione del suo autore.
Con riguardo all’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen., del resto, la mancata previsione di una fattispecie attenuata per le ipotesi di lieve entità sarebbe censurabile sia in punto di ragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio, sia sotto il più generale profilo del principio di uguaglianza in relazione a quanto previsto per altre condotte delittuose.
In particolare, sotto il primo profilo, a fronte di una cornice edittale che prevede una pena minima di quattro anni di reclusione (oltre a una multa), si stimava irragionevole la mancata previsione di un’attenuazione della pena per i fatti di lieve entità mentre, sotto il secondo profilo, la mancata previsione di una fattispecie attenuata per le ipotesi di lieve entità si stimava lesiva del principio di uguaglianza in relazione a quanto previsto per i reati di rapina e di estorsione visto che le fattispecie del furto con strappo e della rapina propria sarebbero, come rilevato dalla Corte di Cassazione, per così dire, confinanti: nell’ambito di entrambe vi sarebbe l’apprensione di un bene altrui con modalità lato sensu violente, ma i due reati si distinguerebbero in relazione alla direzione della violenza.
La stessa Corte costituzionale, proseguiva il rimettente nel suo ragionamento decisorio, nella sentenza n. 125 del 2016, ha affermato che la distinzione tra la fattispecie incriminatrice del furto con strappo (art. 624-bis, secondo comma, cod. pen.) e quella della rapina (art. 628 cod. pen.) risiederebbe nella diversa direzione della violenza esplicata dall’agente, nel senso che sussisterebbe un furto con strappo quando la violenza sia immediatamente rivolta verso la cosa, e solo indirettamente verso la persona che la detiene, mentre costituirebbe una rapina l’impossessamento della cosa mobile altrui mediante una violenza diretta sulla persona mentre, nel furto con strappo, la vittima risentirebbe della violenza solamente in modo riflesso, come effetto della violenza impiegata sulla cosa per strapparla di mano o di dosso alla persona, mentre nella rapina la violenza alla persona costituirebbe il mezzo attraverso il quale avviene la sottrazione.
Alla luce della citata differenziazione, il reato di rapina sarebbe quindi, per il Tribunale fiorentino, agevolmente individuabile come più grave rispetto al reato di furto con strappo, tanto più se si considera che la stessa maggiore gravità sarebbe individuabile anche per il reato di estorsione, osservando il rimettente a tal riguardo che, se l’attuale imputato avesse esercitato una violenza diretta modesta (e non solo indiretta) contro la persona offesa per impossessarsi del bene, il fatto avrebbe dovuto qualificarsi come rapina (reato più grave), ma avrebbe potuto ritenersi di lieve entità, in considerazione della limitata gravità della violenza, del contesto (in pieno giorno, in una piazza cittadina), dell’oggetto della condotta e del successivo recupero del bene, così come, analogamente, se – dopo la sottrazione mediante strappo – per conseguire il possesso del bene o per assicurarsi l’impunità lo scippatore avesse usato un minimo di violenza o di minaccia nei confronti della persona offesa o di chi lo ha inseguito, si sarebbe configurato il più grave reato di rapina impropria e, in tal caso, l’imputato avrebbe potuto beneficiare della circostanza attenuante introdotta con la sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024 e quindi, paradossalmente, avere un trattamento sanzionatorio più lieve.
In particolare, in caso di rapina attenuata per la lieve entità del fatto, la pena minima irrogabile sarebbe di tre anni e quattro mesi di reclusione oltre alla multa, fatta salva l’applicazione di eventuali ulteriori circostanze attenuanti (ad esempio quella ex art. 62, numero 4, cod. pen. e le circostanze attenuanti generiche), così come un’analoga pena sarebbe applicabile per l’estorsione, riconoscendo la circostanza attenuante della lieve entità mentre, per il furto con strappo che, secondo il rimettente, sarebbe reato meno grave, la pena minima irrogabile è, viceversa, quella di quattro anni di reclusione oltre alla multa, senza considerare le eventuali circostanze attenuanti.
Sarebbe evidente quindi, ad avviso del giudice a quo, l’irragionevolezza della previsione, per un reato più lieve, di un trattamento sanzionatorio più severo rispetto a quello previsto per il reato più grave, tenuto conto altresì del fatto che una simile pena, irragionevole sia sotto il profilo intrinseco, sia in relazione alle fattispecie più gravi di rapina e di estorsione, non potrebbe del resto assolvere alla funzione rieducatrice di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. poiché la pena stessa sarebbe eccessiva e ingiusta, violando il canone della proporzionalità rispetto al fatto di reato posto in essere e in raffronto alle citate fattispecie più gravi. In quanto sproporzionata, essa non potrebbe essere percepita dal condannato come giusta ed esplicare, quindi, la propria funzione rieducativa; al contrario, il condannato non potrebbe che percepirla come irragionevole e non aderire al trattamento rieducativo.
Non sarebbero, infine, percorribili, sempre ad avviso di questo giudice, interpretazioni conformi della disposizione censurata ai parametri costituzionali evocati, essendo chiaro e univoco il dato letterale.

3. Il GUP di Milano e l’attacco ai commi 2 e 3 dell’art. 624-bis c.p.: la seconda questione


In relazione alla seconda vicenda giudiziaria summenzionata, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano sollevava questioni di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., dell’art. 624-bis, commi secondo e terzo, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente un terzo quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
In particolare, per siffatto giudice, codeste questioni sarebbero state rilevanti, vertendo sulla asserita non proporzionalità e irragionevolezza della vigente disciplina normativa in materia di furto con strappo ai sensi dell’art. 624-bis, commi secondo e terzo, cod. pen., per ritenuta violazione dei principi di uguaglianza sostanziale e razionalità di cui all’art. 3 Cost., nonché dei principi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa a cui la pena deve sempre tendere, sanciti dall’art. 27, commi primo e terzo, Cost..
In effetti, per il giudice milanese, la soluzione delle questioni di legittimità costituzionale avrebbe influito direttamente sul giudizio in corso, nel caso in cui lui avesse deciso di condannare l’imputato per le condotte in contestazione, evidenziando al contempo come non fossero percorribili interpretazioni costituzionalmente orientate della disposizione censurata e che l’art. 5 della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa) ha innalzato la pena per il furto con strappo ridisegnando la cornice edittale da un minimo di quattro a un massimo di sette anni, così come non sarebbe stata parimenti percorribile la via della mitigazione del trattamento sanzionatorio attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., atteso come queste non possano assolvere alla funzione di correggere l’eventuale sproporzione dei limiti edittali stabiliti dal legislatore.
Chiarito ciò, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente riteneva come, nel caso di specie, ricorresse la stessa ratio posta a fondamento delle pronunce della Corte costituzionale n. 120 del 2023 (per le ipotesi di estorsione) e n. 86 del 2024 (per il reato di rapina) visto che l’attuale sistema normativo, a seguito delle riforme che si sono verificate negli ultimi anni al fine di inasprire le pene e disincentivare la commissione del reato in esame, prevederebbe una disciplina contrastante con i principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e con quello della finalità rieducativa della pena, ai sensi dell’art. 27, commi primo e terzo, Cost., considerato oltre tutto come sarebbe irragionevole e sproporzionata l’equiparazione del furto con strappo al furto in abitazione, essendo la seconda una fattispecie connotata da maggiore offensività, atteso come la disposizione tuteli anche la sfera del domicilio personale, così come sarebbe allo stesso modo irragionevole la parificazione nel trattamento sanzionatorio, segnatamente nel minimo edittale, delle ipotesi di furto con strappo aggravato a quelli di rapina ed estorsione, caratterizzate da violenza sulla persona dal momento che,
nel caso in esame, sarebbe stato innalzato il limite minimo edittale senza introdurre una “valvola di sicurezza” che permetta al giudice di temperare la sanzione quando l’offensività concreta del fatto di reato non ne giustifichi una punizione così severa posto che l’art. 624-bis cod. pen., nel non prevedere un congruo limite edittale o, quantomeno, la riduzione di pena fino a un terzo, parificherebbe ingiustificatamente situazioni eterogenee, erodendo la discrezionalità del giudice e la possibilità di valorizzare le peculiarità del caso concreto.
Infine, si osservava che la prospettiva di esecuzione di una pena eccessivamente gravosa, come nel caso di specie, sarebbe stata inoltre suscettibile di ingenerare nel condannato la convinzione di essere vittima di un ingiusto sopruso, sentimento che avrebbe vanificato qualunque efficace percorso rieducativo, cui le pene devono sempre tendere.

4. Perché la Corte costituzionale salva il furto con strappo: la motivazione della sentenza n. 171/2025


La Corte costituzionale – dopo avere illustrato le argomentazioni sostenute a fondamento di codeste questioni, stimate non meritevoli di accoglimento le eccezioni sollevate dalla parte costituita, ossia il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, compiuto una breve ricostruzione dell’evoluzione normativa del delitto di furto con strappo (anche semplicemente detto “scippo”) e confrontatasi con la vigente formulazione dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. – considerava le questioni suesposte infondate.
Nel dettaglio, i giudici di legittimità costituzionale ritenevano prima di tutto necessario ricordare come la medesima Consulta abbia progressivamente esteso l’attenuante “indefinita” della lieve entità (o della minore gravità) del fatto a numerose ipotesi di reato per le quali il legislatore ha previsto minimi edittali particolarmente elevati: «al sequestro estorsivo [(sentenza n. 68 del 2012)], al sabotaggio militare (sentenza n. 244 del 2022), all’estorsione (sentenza n. 120 del 2023), alla rapina (sentenza n. 86 del 2024), alla pornografia minorile (sentenza n. 91 del 2024), e da ultimo alla deformazione o sfregio permanente del viso (sentenza n. 83 del 2025)» (sentenza n. 113 del 2025), oltra e essere stato evidenziato, sempre da parte del Giudice delle leggi, che «[o]ltre all’asprezza del minimo edittale, il tratto comune delle fattispecie oggetto di queste pronunce è la latitudine tipica del fatto-reato, tale da abbracciare “episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore”» (sentenza n. 83 del 2025, riferita al reato di deformazione permanente del viso di cui all’art. 583-quinquies cod. pen.).
Oltre a ciò, si faceva altresì presente come lo stesso concetto sia stato ribadito nella sentenza n. 113 del 2025 (a proposito del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 cod. pen.), nella quale si afferma che «la funzione specifica dell’attenuante» è quella «di mitigare una risposta sanzionatoria calibrata dal legislatore con riferimento a un nucleo centrale di tipologie criminose connotate in via generale da elevato disvalore, ma che risulterebbe sproporzionata laddove applicata in relazione a fatti che, pur integrando tutti i requisiti della fattispecie astratta, siano in concreto caratterizzati da un disvalore marcatamente inferiore, collocandosi piuttosto ai margini della fattispecie delittuosa», tenuto conto come sia stato per di più affermato che «nello scrutinio di legittimità costituzionale sulla proporzionalità della pena, assume rilievo centrale la formulazione particolarmente ampia della disposizione censurata, la cui latitudine normativa sia tale da ricomprendere fattispecie significativamente diversificate sul piano criminologico e del tasso di disvalore; e proprio in tali ipotesi è stata sottolineata la necessità di prevedere delle diminuenti al fine di garantire la possibilità di graduare e individualizzare la sanzione rispetto allo specifico disvalore della singola condotta e assicurare il rispetto dei princìpi fissati dagli artt. 3 e 27 Cost. (ex multis, sentenze n. 120 del 2023, n. 244 del 2022, n. 117 del 2021, n. 88 del 2019, n. 106 del 2014 e n. 68 del 2012)» (sentenza n. 91 del 2024 riferita al reato di produzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600-ter cod. pen.).
Nella medesima pronuncia, inoltre, si notava per giunta come la Consulta abbia anche rilevato che «la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto […], può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza».
In effetti, proprio il fatto che la circostanza della lieve entità sia stata introdotta nei reati più disparati, per la Corte, lascia intendere che è proprio la possibilità di individuare delle condotte che in concreto si stacchino in maniera significativa dalla portata offensiva astratta del reato, a rendere costituzionalmente obbligata l’introduzione di tale “valvola di sicurezza”, che permetta di adeguare la pena all’offensività del fatto concreto, secondo i principi di uguaglianza e proporzionalità.
Precisato ciò, a questo punto della disamina, i giudici di legittimità costituzionale reputavano necessario valutare se tale attenuante debba trovare applicazione anche al furto con strappo, ipotizzando le possibili manifestazioni del reato onde verificare la necessità di introdurre una “valvola di sicurezza” per fatti che, pur integrando tutti i requisiti della fattispecie astratta del reato, siano in concreto caratterizzati da un disvalore marcatamente inferiore, collocandosi ai margini della fattispecie delittuosa.
Ebbene, si evidenziava a tal proposito che, secondo la giurisprudenza univoca della Corte di Cassazione, «”lo strappo” di cui all’art. 624[-bis] cod. pen. [è] connotato da un qualche grado di violenza, seppure esercitata sulla cosa e non sulla persona, direttamente finalizzata allo spossessamento del bene» (Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 7 novembre 2024-27 gennaio 2025, n. 2985; nello stesso senso, sezione quinta penale, sentenza 9 giugno-26 ottobre 2016, n. 44976), oltre a essere stato affermato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. «occorre […] che la persona offesa avverta materialmente l’azione violenta diretta sulla res […] Diversamente […] risulterebbe integrato il furto con destrezza» (Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 21 giugno-20 settembre 2022, n. 34740).
Già in passato, inoltre, si notava come la medesima Corte di Cassazione avesse affermato che «lo scippo è un furto che si concreta in un atto violento esercitato su un oggetto il quale viene staccato improvvisamente dalla persona del detentore in modo che questo percepisca la violenza dell’atto» (Corte di Cassazione, sezione seconda, sentenza 24 novembre 1981-8 maggio 1982, n. 4813).
Ebbene, alla luce di tale quadro ermeneutico, per il Giudice delle leggi, emerge, dunque, che nello scippo, l’apprensione del bene altrui da parte del reo si realizza necessariamente con una violenza che deve connotarsi di una certa forza e che il reato è ben definito ed estremamente “compatto” in relazione all’omogeneità della sua portata offensiva, tanto più se si considera che l’intrinseca gravità del furto con strappo è dimostrata dal fatto che tale reato si accompagna sempre a una violenza avvertita dal soggetto scippato e a una intrusione nella sua sfera personale attraverso il contatto con il reo (sia pure mediato dalla res sottratta); inoltre, il furto con strappo presenta profili di pericolosità significativi, dal momento che può facilmente degenerare in un reato più grave e, comunque, determinare ulteriori conseguenze dannose (si pensi al classico esempio della persona che, a seguito dello strappo della borsa o di altro oggetto da parte dello scippatore, cade a terra con potenziali conseguenze per la sua stessa integrità fisica), tali da alimentare una diffusa sensazione di insicurezza e frustrazione che incidono sulla qualità della vita, potendo condizionare le future decisioni dei consociati relative ai propri spostamenti.
È innegabile quindi, per la Corte, che la condotta propria dello “scippo”, in quanto diretta a strappare di mano o di dosso un oggetto che sta a diretto contatto con la persona, e in quanto la violenza è necessariamente percepita dalla vittima, costituisce una intrusione nella sfera personale inviolabile di quest’ultima, intrusione violenta che non si presta a significative gradazioni sul piano dell’offensività.
Del resto, si evidenziava oltre tutto che, come la medesima Consulta aveva avuto già modo di affermare con riguardo alla diversa fattispecie del furto in abitazione (sentenza n. 117 del 2021), anche il furto con strappo è una fattispecie descritta dall’art. 624-bis cod. pen. in termini piuttosto definiti, in cui non sono ipotizzabili in concreto dei fatti che si discostino significativamente dalla portata offensiva della fattispecie astratta.
In altri termini, lo scippo, in virtù della suddetta omogeneità nella sua portata offensiva in concreto, non comprende al suo interno fattispecie diversificate sul piano criminologico e del tasso di disvalore, tali rendere necessario l’accoglimento della questione.
Per la Consulta, occorreva, dunque, evidenziare, a questo punto della disamina, che, relativamente al reato di furto con strappo, non sono ipotizzabili fattispecie concrete «totalmente immun[i] dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza» (sentenza n. 120 del 2023) considerato tra l’altro che gli stessi episodi oggetto dei giudizi a quibus sono caratterizzati da una violenza improvvisa; in entrambi i casi, invero, l’effetto sorpresa è stato sfruttato per sottrarre alla vittima un bene di valore tutt’altro che irrisorio e depongono univocamente nel senso di un diffuso allarme sociale.
Tal che se ne faceva conseguire come non fosse ravvisabile la violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost. con riguardo ai principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena.
Precisato ciò, quanto alla asserita disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi delittuose, si osservava che l’introduzione della attenuante in questione, capace di “personalizzare” la pena adeguandola al disvalore concreto della condotta, in virtù del principio della “personalità” della responsabilità penale, sancito dal primo comma dell’art. 27 Cost., si giustifica per reati quali la rapina e l’estorsione e non anche per il furto con strappo dal momento che, diversamente che per il reato di furto con strappo, nella rapina la violenza non è un elemento essenziale per la sua configurabilità, potendo in alternativa esservi solo una minaccia, che costituisce un quid di minore gravità rispetto a qualsiasi atto di violenza; il reato di rapina racchiude, dunque, al suo interno una serie di condotte alquanto variegate, di gravità più modesta o assai notevole, cosicché per esso ben si giustifica l’attenuante della lieve entità.
Lo stesso ragionamento, d’altronde, per la Corte, può svilupparsi nel raffronto con il reato di estorsione di cui all’art. 629 cod. pen., per il quale, con la ricordata sentenza n. 120 del 2023, è stata introdotta la stessa attenuante della lieve entità: anch’esso include nel proprio ambito applicativo episodi notevolmente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, in particolare per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa, oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa.
Infine, per il Giudice delle leggi, non sembra nemmeno essere pertinente il raffronto con il furto in abitazione, se non altro perché neppure per quest’ultimo reato è prevista la circostanza attenuante della lieve entità del fatto, né si può predicare una irragionevole assimilazione dei reati previsti rispettivamente al primo e al secondo comma dell’art. 624-bis cod. pen. quanto alle pene: se è vero che il furto in abitazione oltre al patrimonio lede l’inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.), il furto con strappo coinvolge nella lesione tipica valori non solo patrimoniali ma anche inerenti all’integrità fisica della persona, fermo restando che le medesime considerazioni venivano stimate valevoli, a fortiori, anche per l’ipotesi aggravata prevista dal terzo comma dell’art. 624-bis cod. pen., che si differenzia dalla fattispecie base solo per l’elemento di maggiore gravità (aggravanti comuni di cui all’art. 61 cod. pen. e quelle specifiche di cui all’art. 625 cod. pen.) che giustifica l’aumento sanzionatorio.
Per la Corte costituzionale, il furto con strappo, dunque, anche nella sua forma aggravata – che non può che determinare una valutazione complessiva dell’offesa in termini di maggiore gravità – non comprende al suo interno fatti connotati da un tasso di disvalore tale da rendere necessaria l’introduzione, da parte della medesima Consulta, della circostanza attenuante della lieve entità, fermo restando come si riteneva comunque doveroso evidenziare il fatto che «la forza “privilegiata” delle aggravanti di cui al combinato disposto degli artt. 624-bis, quarto comma, e 625 cod. pen., cede, non solo di fronte all’attenuante della minore età ex art. 98 cod. pen., ma anche a quella della collaborazione del reo ex art. 625-bis cod. pen., attenuante “ad effetto speciale”, quest’ultima, appositamente introdotta dalla legge n. 128 del 2001, la cui previsione contribuisce all’equilibrio complessivo di una disciplina sanzionatoria pur certamente severa» (sentenza n. 117 del 2021).

5. Dopo la sentenza n. 171/2025: effetti pratici sul furto con strappo ex art. 624-bis c.p.


Fermo restando che l’art. 624-bis, co. 2 e co. 3, cod. pen. prevedono rispettivamente che alla “stessa pena di cui al primo comma (ossia: la pena della reclusione da quattro a sette anni e della multa da euro 927 a euro 1.500 ndr.)  soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona” (così: il comma secondo) e che la “pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61” ” (così: il comma terzo), con la pronuncia qui in commento, la Consulta ha reputato tali precetti normativi non costituzionalmente illegittimi (almeno nei termini prospettati dalle ordinanze succitate)
Tal che ne consegue che, per effetto di siffatta decisione, siffatte previsioni di legge continueranno ad essere applicate, così come è avvenuto sin d’ora.
Questa è dunque in sostanza la novità che connota la decisione qui in commento.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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