I “knowledge commons” e la produzione di beni immateriali nella società digitale.

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SOMMARIO: 1.Esclusione digitale e knowledge commons. 2. Copyright e copyleft. 3.I beni immateriali. Il diritto d’autore e la tutelabilità dei software. 4.Il caso C-70/10: Scarlet Extended SA contro Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs SCRL (SABAM). Il sistema peer to peer.

1.Esclusione digitale e knowledge commons.

L’impossibilità di accedere tramite modalità semplificate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, penalizza ampi settori della popolazione mondiale ed emerge nella problematica della c.d. esclusione digitale.

Ciò che maggiormente aggrava questa condizione è costituito dall’importanza che il fattore <<knowledge>> ha assunto nell’attuale società digitale, caratterizzata dall’introduzione e dalla diffusione di nuove tecnologie telematiche utili a un migliore utilizzo della rete, intesa come strumento di condivisione rapida della conoscenza e dell’informazione in tutti i suoi aspetti.

Per mezzo della diffusione altrettanto rapida di strumenti informatici quali computer e dispositivi mobili, la società digitale è in grado di creare contatti immediati tra tutti, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.

Per tale ragione, l’ordinamento comunitario è indirizzato sempre più verso nuove concezioni di intendere il territorio e lo spazio, puntando a una modificazione delle esperienze sociali ma soprattutto delle esperienze di distribuzione delle informazioni.

Secondo l’esperienza giuridico-economica internazionale, per <<knowledge commons>> s’intende l’insieme di dati e informazioni il cui contenuto risulta di proprietà “comune”, ossia messo a disposizione della scienza comune e del sapere di tutti coloro che giungono ad esso, soprattutto sulle piattaforme informative messe a disposizione sul web.

Più soggetti, dunque, nel campo delle risorse digitali, possono accedere liberamente agli stessi contenuti condivisi sulla rete, a prescindere dalla qualità e/o dalla quantità del materiale.

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Quest’opera è molto utile per un professionista che si trovi, per ragioni di lavoro, a tutelare i propri clienti, creatori o utilizzatori di opere originali, dall’uso indebito su Internet del proprio lavoro, all’interno di siti, blog o social network.Il volume offre spunti e conoscenze utilissime per non confondere i piani di protezione e utilizzo della proprietà intellettuale, aiuta a comprendere come si è arrivati a inventare forme di sfruttamento e diritti nuovi, per evitare di interrompere il continuo processo creativo di Internet, che si alimenta prevalentemente grazie alla condivisione delle idee.L’Autore intende pertanto fornire al professionista gli strumenti utili per realizzare il bilanciamento tra i diversi interessi che la rete coinvolge, riconoscendone i vantaggi ma anche i pericoli.Daniele Marongiu, insegna informatica giuridica all’Università di Cagliari, dove è ricercatore in Diritto Amministrativo nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. Collabora con le Università di Castilla La Mancha (Toledo) e di Santiago de Compostela. Si occupa, sia in ambito accademico che extra-accademico, di ricerca, didattica e formazione sulle tematiche del diritto di Internet, dell’amministrazione digitale, della trasparenza istituzionale e dei profili giuridici connessi all’innovazione tecnologica. Su questi temi ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali. Ha al suo attivo più di trenta pubblicazioni, fra cui i libri “L’attività amministrativa automatizzata” (2005), “Il governo dell’informatica pubblica” (2007), “Organizzazione e diritto di Internet” (2013).

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  1. Copyright e copyleft.

Si tratta allora, secondo una prima analisi, di un problema relativo ai prodotti del sapere messi a disposizione di tutti e con questi condivisi, nel senso, inoltre, di una rivisitazione della loro disciplina normativa, data l’inarrestabile diffusione del libero accesso a tipologie di contenuti che, quasi come in un rapporto di contenente a contenuto, hanno assunto anch’essi il carattere di contenuti “liberi”.

Per cercare di organizzare e disciplinare i knowledge commons, infatti, si è puntato a realizzare uno schema utile soprattutto ai domini relativi ai diritti d’autore, come ad esempio relativamente ai contenuti resi disponibili da <<Wikipedia>>, considerata un “media” di libero contenuto e accesso, dato che chiunque, tramite una semplice connessione al relativo sito web, ha la possibilità di caricare informazioni ma al contempo anche di prenderne conoscenza, appropriandosene.

E’ fondamentale, altresì, mantenere distinti i concetti di informazione e knowledge commons, ai fini di una attenta e precisa analisi di questi ultimi.

Infatti l’utilizzo dei knowledge commons sottintende la completa e libera accessibilità all’informazione, nel senso di farla propria trasformandola in conoscenza del proprio sapere.

Per questo motivo il sempre più ricorrente utilizzo dei knowledge commons ha fatto sì che il tradizionale diritto d’autore, o copyright, fosse sostituito dal <<copyleft>>, in modo tale da non dovere ottenere licenza d’uso alcuna, usufruendo della condivisione dei knowledge commons.

Esprimendosi, allora, con il termine copyleft ci si riferisce all’accordo secondo il quale possono essere utilizzati software, oppure opere artistiche, modificati e distribuiti liberamente, a condizione che tutto ciò che ne derivi sia vincolato dalle condizioni che regolano il medesimo copyleft.

Gli utilizzi più frequenti che si rifanno al principio di copyleft sono dati dalle licenze <<G.N.U. Software (General Public Licences)>>, come <<G.P.L., L.G.P.L. e G.F.D.L.>> della Free Software Foundation, e le licenze <<C.C. (licenze Creative Commons)>>, caratterizzate dal fatto che il software che rilasciano, può essere usato e ampliato da chiunque e dalla peculiarità del copyleft come via di mezzo tra il copyright completo (full copyright) ed il pubblico dominio (public domain).

I numeri che indicano gli utilizzi di licenze creative commons sono infatti sempre maggiori, traendo il vantaggio di mettere a disposizione di altre persone il ri-utilizzo della propria opera intellettuale.

Chiaramente la licenza creative commons permette anche l’apposizione di determinate clausole, in qualche modo limitative, quali ad esempio “alcuni diritti sono riservati” oppure “solo per uso non commerciale” o dalla clausola <<share-alike>>, (clausola che permette la distribuzione di prodotti derivati dall’opera soggetta a copyleft, solo mediante licenza autentica).

Le licenze creative commons e knowledge commons, accrescono dunque, sempre di più la loro presenza nell’ambito dei diritti d’opera, dato che la maggior parte di knowledge commons sono liberamente accessibili e ri-utilizzabili per realizzare la visione di una rappresentazione della conoscenza globale e accessibile.

Con ciò non si intende che il tradizionale diritto d’autore, secondo cui tutti i diritti sono riservati all’autore, risulti sopraffatto. Su di esso, difatti, viene costruito il principio di esistenza di knowledge e creative commons, in modo tale da rendere disponibili i contenuti per l’uso da parte di diversi utenti.

Se, infatti, venisse disapplicata la legge sul diritto d’autore, il principio di libero e ampio rilascio al pubblico non potrebbe funzionare.

A questa conclusione si giunge soprattutto perchè è fondamentale, nella società digitale, intesa come società avente ad oggetto la conoscenza digitale come risorsa strategica, il controllo dei codici che consentono di organizzare e decodificare mutevoli contenuti.

Si tratta, però, di un controllo che ricade sulla produzione, accumulazione e circolazione di informazioni, distribuito non omogeneamente, e che crea, dunque, nuove discriminazioni e nuovi conflitti nell’ambito dell’accesso alla conoscenza.

Risulta necessario, allora, stabilire un’uguaglianza alla base di questa problematica che prevede un trattamento uguale per tutti i soggetti che attingono risorse di conoscenza, anche per sfruttare al meglio i servizi resi disponibili.

Questo trattamento di uguaglianza, legato all’accesso alla conoscenza, dovrebbe permettere un pratico usufruire delle risorse utilizzate a tal fine, facendo sì che vengano sviluppate le capacità di ogni utente a tale scopo.

Si assiste, quindi, al passaggio da un tipo di società che si occupa della produzione di beni materiali ad un tipo di società il cui scopo mira alla produzione, all’accumulazione e alla circolazione di informazioni e prodotti del sapere, soprattutto digitali, visti come merce direttamente scambiabile e commerciabile.

La rete internet diviene allora il terreno più fertile per lo scambio di questa tipologia di prodotti, costituendo un nuovo schema regolamentare e imponendo al legislatore la disciplina di questi ultimi, facendoli rientrare nella più vasta categoria dei beni immateriali.

 

3.I beni immateriali. Il diritto d’autore e la tutelabilità dei software.

I beni immateriali sono costituiti da tutti quei beni incorporei che, riconosciuti dall’ordinamento giuridico perchè oggetto di tutela specifica, acquisiscono la natura di beni giuridici.

In tal modo le creazioni intellettuali che vengono pubblicate, brevettate o utilizzate, acquisiscono un valore economico non in quanto tali ma proprio grazie alla loro “commerciabilità”, separando dapprincipio la creazione intellettuale dal supporto materiale in cui è incorporata.

Mentre, difatti, la categoria dei beni materiali include cose tangibili, la categoria dei beni immateriali comprende segni distintivi ed opere dell’ingegno, soltanto incorporati su supporti materiali ma non anch’essi materiali.

Tra le creazioni intellettuali tutelate dall’ordinamento, sono disciplinate anche le invenzioni ed i modelli industriali.

Le opere dell’ingegno riguardano le idee creative in campo culturale e possono essere sfruttate economicamente perchè tutelate dal diritto d’autore ai sensi del d. lgs. 15 Gennaio 2016, n. 8 e della L. 28 Dicembre 2015, n. 208 modificativi della Legge 22 Aprile 1941, n. 633, recante <<Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio>>.[1]

Il diritto d’autore, o copyright, infatti, ha come oggetto di tutela gli elementi dell’opera dell’ingegno che hanno carattere rappresentativo e non la sola idea da cui originano.

L’autore dell’opera, dunque, diventa centro di imputazione di diritti di natura morale e patrimoniale, acquisendo, rispettivamente, il diritto di essere riconosciuto come ideatore dell’opera e il diritto di riprodurre la stessa in più esemplari ma anche di poter trascriverla, rappresentarla, pubblicizzarla, distribuirla o elaborarla.

Il diritto d’autore è però soggetto ad un termine di prescrizione di un settantennio dalla morte dell’autore, anche nel caso in cui l’opera venga resa nota dopo la sua morte.

Tale diritto viene riconosciuto non solo agli autori di opere creative artistiche bensì anche agli sviluppatori di programmi e di sistemi banche dati per per personal computers.

In tale ambito la dottrina fa inevitabilmente rientrare il dibattito che ha come oggetto la tutelabilità del software, in cui non può essere tutelata la mera idea, ma anche l’estrinsecazione della stessa nel prodotto-risultato finale dell’elaborazione informatica.

Anche in questa ipotesi sorgono diritti di natura morale e patrimoniale per le ragioni precedentemente accennate.

Ai sensi dell’art. 52 della Convenzione sulla concessione di brevetti europei, rubricato “Invenzioni brevettabili”, <<I brevetti europei sono concessi per le invenzioni in ogni campo tecnologico, a condizione che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale. Non sono considerate invenzioni ai sensi del paragrafo 1 in particolare: [..] c) i piani, principi e metodi per attività intellettuali, per giochi o per attività commerciali, come pure i programmi informatici>>.[2]

I software, dunque, se non ritenuti innovativi rispetto allo status dei prodotti della stessa natura tecnica in commercio, non possono essere ritenuti invenzioni e quindi non possono rientrare nella categoria dei beni immateriali.

Si possono far rientrare nella categoria dei beni immateriali, invece, anche i beni personalissimi, nonostante difettino del requisito della patrimonialità.

I beni immateriali possono costituire autonomo oggetto di proprietà ma anche di altri diritti, ai sensi dell’art. 54, L. 218/95, recante Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.[3]

 

4.Il caso C-70/10: Scarlet Extended SA contro Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs SCRL (SABAM). Il sistema peer to peer.

Così come accennato, l’opera dell’ingegno si ritrova incorporata in un supporto materiale che la veicola, come ad esempio nel caso delle arti figurative.

Ne consegue che qualora l’autore dell’opera non sia anche il proprietario del supporto materiale in cui l’opera è incorporata, quest’ultimo, in forza del suo diritto reale, potrà alienare l’intera opera a titolo oneroso o a titolo gratuito.

Qualora, invece, l’opera non sia stata concessa ad un internet service provider, ma per mezzo di questo, contra legem, senza rilascio di autorizzazione alcuna,  sia stata riprodotta ed elaborata dai suoi utenti, risulta non semplice la soluzione relativa all’applicazione della disciplina più adeguata.

La terza sezione della Corte di Giustizia Europea ha emanato, il 13 Gennaio 2012, una sentenza relativa al caso C-70/10, Scarlet Extended SA v Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs SCRL (SABAM).

In Belgio, uno degli internet service provider del Paese, è stato citato in giudizio dalla Società SABAM, la quale riteneva che gli utenti dell’ISP Scarlet, scaricassero illegalmente, senza pagare, opere non solo protette da copyright ma anche ricomprese nel “catalogo SABAM”.

La società denunciante chiedeva al Tribunale di Bruxelles di ordinare al provider l’adozione di un sistema di filtraggio in via preventiva, piuttosto che repressiva, per impedire ai propri utenti di scaricare illegalmente le opere soggette a copyright.

Il sistema di filtraggio che il provider Scarlet avrebbe dovuto adottare, su richiesta della SABAM, avrebbe dovuto inibire i sistemi di peer to peer degli utenti dell’ISP,[4] nell’invio o nella ricezione di opere protette da diritto d’autore, contenute nel catalogo della società belga.[5]

Affinché questo meccanismo di filtraggio fosse messo in atto, però, sarebbe stato necessario per il provider, approntare un sistema di analisi dei pacchetti in transito, per riconoscere e differenziare i download e gli upload leciti da quelli illeciti.

Il 29 Giugno 2007, il Tribunale di Bruxelles, accoglieva in primo grado le richieste della SABAM, ordinando al provider Scarlet di impedire ai propri utenti l’invio e/o la ricezione di dati musicali soggetti a copyright e di proprietà SABAM.

Scarlet, dunque, proponeva appello contro la decisione di primo grado, sottolinenando che per rispettare tale ordine, il provider sarebbe andato incontro ad innumerevoli difficoltà di ordine tecnico, censurando altresì la contraddittorietà tra la decisione assunta dal Tribunale di prima istanza con le norme contenute nella direttiva 2000/31/CE e violando, inoltre, la normativa europea in materia di protezione dei dati personali e di confidenzialità delle comunicazioni.

La Corte d’Appello, pertanto, rimetteva la questione alla Corte di Giustizia, chiedendo di valutare <<se il sistema normativo europeo (direttive 2001/29/CE, 2004/48/CE, 1995/45/CE, 2000/31/CE e 2002/58/CE) consenta agli Stati membri di recepire le norme comunitarie con una formulazione tale da consentire al giudice nazionale di ordinare ai prestatori di servizi della società dell’informazione (i cui servizi vengano utilizzati da terzi per violare le norme sul diritto d’autore) di predisporre – per tutti i suoi utenti, in astratto, a tempo indeterminato e in modo preventivo – misure tecniche atte a filtrare le comunicazioni in entrata e in uscita e, in particolare, quelle relative all’uso di sistemi di peer to peer e, conseguentemente, una volta individuate le “comunicazioni” illecite bloccarne il trasferimento>> e <<se il giudice nazionale possa o meno adottare una decisione che imponga al provider di apprestare tale sistema di filtraggio a prescindere da una valutazione relativa al bilanciamento degli interessi tutelati e, in sostanza, del principio di proporzionalità della misura imposta>>.

La Corte di Giustizia europea, sancendo l’inviolabilità del principio ex art. 15, direttiva 2000/31/CE,[6] secondo cui <<il prestatore di servizi della società dell’informazione non ha un generale obbligo di vigilanza sui dati originati ed immessi in rete dai suoi clienti>>, ha stabilito che l’ordine imposto a Scarlet di apprestare il meccanismo di filtraggio dei sistemi peer to peer dei suoi utenti, è illegittimo.

La stessa Corte, inoltre, ha fatto rilevare come il filtraggio imposto agli utenti di Scarlet costituirebbe una limitazione gravosa della libertà imprenditoriale dato che si dovrebbe provvedere ad un sistema di filtraggio del tipo <<deep packet inspection>>.

Altresì “verrebbero violati i principi di proporzionalità e giusto bilanciamento degli interessi in gioco”.

Per quanto riguarda la questione subordinata, rimessa dalla Corte d’Appello di Bruxelles alla Corte di giustizia Europea, questa richiamando la sentenza del 29 Gennaio 2008, Productores de Musica de Espana (Pro.Musica.E.) contro Telefonica de Espana (SAU),  ha ribadito che <<nel contesto delle misure adottate dalle autorità amministrative e giudiziarie nazionali a protezione degli interessi dei titolari del diritto d’autore occorre valutare anche la giusta protezione dei diritti fondamentali degli individui interessati dall’apprestamento di tali misure di filtraggio>>.

In conclusione, dunque, <<non si può ingiungere ad un ISP di apprestare il sistema di filtraggio>> come quello oggetto di richiesta della società SABAM.

Tutto ciò comporta che, data la natura giuridica vincolante della decisione assunta dall’organo di giustizia europea, i giudici dei Paesi aderenti all’Unione Europea, sono tenuti a disapplicare la normativa nazionale vigente ove contrasti palesemente con la predetta decisione.

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Note

[1] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/1/22/16G00011/sg; https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/12/30/15G00222/sg.

[2] Art. 52, Convenzione sul brevetto europeo, riveduta a Monaco il 29 novembre 2000 (CBE 2000): (1) I brevetti europei sono concessi per le invenzioni in ogni campo tecnologico, a condizione che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale. (2) Non sono considerate invenzioni ai sensi del paragrafo 1 in particolare: a)  le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici; b)  le creazioni estetiche; c)  i piani, principi e metodi per attività intellettuali, per giochi o per attività commerciali, come pure i programmi informatici; d)  le presentazioni di informazioni; (3) Il paragrafo 2 esclude la brevettabilità degli oggetti o delle attività che vi sono enumerati soltanto nella misura in cui la domanda di brevetto europeo o il brevetto europeo concerna uno solo di tali oggetti o attività, considerati come tali.

[3] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1995/06/03/095G0256/sg.

[4] ISP, internet service provider. Società che consente l’accesso sul web agli utilizzatori.

[5] I sistemi peer to peer (forma abbreviata P2P), consentono la creazione di una rete in cui server e client non godono di esclusività dato che ogni dispositivo collegato alla rete stessa riveste la funzione sia di client che di server.

[6] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32000L0031&from=ET.

Alessandra Scaffidi

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