La sottile differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente negli incidenti stradali

Redazione 01/10/18
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Il principio di soggettività (nullum crimen sine culpa) impone per l’imputazione del fatto al soggetto, oltre all’elemento oggettivo, l’individuazione dell’elemento psicologico. Difatti, per la concezione normativa il fatto risulta rimproverabile nell’ipotesi in cui l’atteggiamento sia giudicato antidoveroso della volontà.
La colpevolezza assume una duplice funzione: la prima fondante del potere punitivo, postula la retribuzione, proporzionata al male commesso dal soggetto, quale parametro della rimproverabilità dello stesso e la sottostante libertà del soggetto di agire diversamente; la seconda funzione, qualificata come politico-garantista, assume un connotato di salvaguardia di quei confini limite imposti all’ordinamento contro ogni strumentalizzazione per fini utilitaristici di politica criminale.
Il principio di colpevolezza è stato costituzionalmente accolto all’art. 27 Cost, così imponendo un divieto della responsabilità per fatto altrui, escludendo nello specifico una responsabilità oggettiva e da ultimo, dichiarando penalmente rilevante e sanzionabile esclusivamente l’ atteggiamento che venga esternalizzato.
Per l’accertamento dell’elemento soggettivo è opportuno verificare la coesistenza di tre elementi: la conoscenza o conoscibilità del precetto normativo; l’imputabilità del fatto al soggetto; infine, il dolo e la colpa.
Quanto alla conoscenza o conoscibilità del precetto, essa si presume essere relativa. Difatti, la Corte costituzionale, con una pronuncia cardine, ha reinterpretato il dogma dell’inescusabilità assoluta, di cui all’art. 5 c.p., considerandolo altamente repressivo e in violazione dei dettami costituzionali di cui all’art. 27 Cost. La sentenza de qua ha, dunque, ammesso la scusabilità dell’ignoranza inevitabile. Tale assunto viene così provato alla luce di criteri: oggettivi puri, ovvero di cause di impossibilità di conoscenza legale; criteri misti, in cui in circostanze particolari si è formata la deliberazione criminosa; infine, si richiedere la spersonalizzazione dell’errore, quale error juris. Alla luce di quanto sopra detto, pertanto, non si ritiene scusabile l’ignoranza preordinata o volontaria.
L’altro elemento costitutivo del principio di soggettività risulta essere l’imputabilità di cui agli artt. 42 co 1 e 86 c.p., in cui un fatto è imputabile al soggetto qualora, al momento in cui l’ha commesso, era capace di intendere e volere.
L’art. 42 c.p. introduce il concetto di suitas, ovvero della signoria della volontà, dell’agire umano, con cui il soggetto agente si rivela al mondo esterno, libero nelle sue scelte e non mosso da nessun altro input (come viceversa era sostenuto dalla Scuola classica). Suitas intesa come coscienza e volontà, non solo reale, ma anche potenziale, dovendo considerarsi attribuibili al soggetto anche quelle condotte, che pur non traendo origine da un impulso cosciente potevano e dovevano essere impedite con un minimo sforzo.
In merito a questa questione, le scienze hanno provato nell’esperienza quotidiana, come la volontà possa essere domata dal soggetto attraverso i suoi poteri di impulso e inibizione. Nella specie, all’interno degli stessi atti automatici si distinguono: gli atti impedibili dalla volontà, mediante un arresto; dagli atti non impedibili, poiché si svolgono al di fuori del potere di controllo del soggetto, come gli atti che la coscienza non avverte o comunque che vengono determinati da una forza fisica o psichica superiore al potere del singolo.
Pertanto, la suitas viene identificata come “l’appartenenza” della condotta al soggetto. La stessa si ritiene esclusa nell’ipotesi in cui vi sia un’incoscienza indipendente dalla volontà, una forza maggiore o un costringimento fisico.
L’ ulteriore elemento costitutivo è indicato all’art. 43 c.p., il quale scinde in due ipotesi irriducibili, sotto il profilo naturalistico, il concetto di coscienza e volontà. Da un lato, rileva un’effettiva estrinsecazione di impulsi coscienti, i quali costituiscono una realtà naturalistica e psicologica, dall’altro, una potenziale estrinsecazione di impulsi inibitori formanti un dato ipotetico-normativo.
Questi due diversi stadi della suitas costituiscono rispettivamente il dolo e la colpa.
Il dolo, per sua natura ex art 43 co 1 c.p., è “secondo l’intenzione”, ovvero il soggetto mira a raggiungere un dato evento che si realizza e compie secondo le sue volontà; al contrario, la colpa viene definita “contro l’intenzione” ex art 43 co 3 c.p., nel senso che l’evento finale non è comunque voluto e, dunque, si scontra con la volontà interna del soggetto.
I due diversi elementi psicologici del reato, benchè sufficientemente distinti dal codice, incontrano un momento di difficile differenziazione nel rapporto esistente tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Dapprima, occorrerà muoversi evidenziandone gli elementi costitutivi. Partendo dall’idea di dolo in generale, quale elemento psicologico composto da rappresentazione e volontà, si diversifica il dolo eventuale in cui, vi è la rappresentazione della concreta possibilità della realizzazione del fatto, con accettazione del rischio (e, dunque la volizione) di esso. Quest’ultimo elemento, ovvero l’accettazione del rischio da parte del soggetto, viene considerato il punto di rottura rispetto alla colpa cosciente, nel senso che seppur per colpa si intende una non intenzionalità nella realizzazione dell’evento, si definisce “cosciente”, poiché il soggetto si rappresenta la possibilità del verificarsi dell’evento, come conseguenza concreta dell’inosservanza della regola cautelare, ma confida nel fatto che l’evento non si realizzerà (non volizione). Per quest’ultima ragione la colpa cosciente assume un suo autonomo connotato, tanto da venire codificata quale circostanza aggravante comune all’art. 61 co 1 n. 3 c.p.
Come nel dolo eventuale, anche nella colpa cosciente, il soggetto si rappresenta la possibilità del verificarsi dell’evento, ma mentre nella prima ipotesi il reo permane nella convinzione, o anche solo nel dubbio, che l’evento possa verificarsi, accettandone il rischio, nella seconda ipotesi ha il preciso intento che non si verifichi. Ciò a riguardo della compresenza di fattori esterni, quali la possibilità di reagire per tempo alla forza imposta e di fattori propri, quali le capacità o attitudini che caratterizzano il singolo.
Dunque, mentre nel dolo eventuale, il soggetto avrebbe comunque agito, anche se avesse avuto la sicurezza che l’evento si sarebbe verificato, nella colpa cosciente, seppur il soggetto si rappresenti la possibilità della realizzazione dell’evento, consapevolmente si affida alla probabilità statistica che nulla possa accadere, così nel senso che se avesse avuto la alternativa della non verificazione dell’evento si sarebbe astenuto dall’azione. Pertanto, nella colpa cosciente non vi è alcuna accettazione del rischio, ma tra la volontà ed evento esiste un rapporto di contraddizione di controvolontà, che risulta propria della colpa.
È dunque nella accettazione o meno del rischio che si sostanzia il distinguo tra dolo eventuale e la colpa cosciente.

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L’omicidio stradale

Il tema è stato estremamente dibattuto in materia stradale, tanto che lo stesso legislatore, con la recente legge n. 41 del 2016, ha introdotto all’art. 589 bis c.p una nuova figura di reato: l’omicidio stradale. L’intervento normativo è il risultato di un’impellente esigenza di reprimere una serie ripetuta di illeciti commessi su strada.
In riferimento all’incidente stradale, derivante da una guida imprudente, la Corte di Cassazione ha rilevato che l’elemento psicologico preferibile sia quello della colpa cosciente al dolo eventuale. La differenza dunque tra prevedibilità e previsione ai fini del dolo, ha messo in evidenza come l’imprudenza, nella colpa con previsione, sia diversa dall’accettazione del rischio connesso ad una condotta pericolosa, e la diversa valutazione risiede nella propria capacità di controllo del decorso causale. Ciò nel senso che in entrambe le ipotesi il soggetto configura la realizzazione dell’evento, ma relativamente al dolo eventuale è certo di poterlo neutralizzare, mentre in merito alla colpa cosciente agisce a costo di realizzarlo.
È lo stesso art. 589 bis c.p. a punire, con la reclusione, chiunque con “colpa” cagioni la morte di una persona, violando le norme sulla circolazione stradale.
Tale pena si applica indifferentemente sia che il soggetto agente risulti in uno normale stato psicofisico sia che si trovi in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica, derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
In riferimento a un normale stato psicofisico, la norma sanziona, in egual misura, il conducente nell’ipotesi in cui: superi i limiti di velocità; attraversi un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circoli contromano; da ultimo, ponga in essere delle manovre, siano esse di soprasso sia di inversione del senso di marcia, tali da causare la morte ex art 589 bis co 5 n. 1-3 c.p.
Quanto al soggetto che si pone alla guida di un veicolo in stato di ebrezza o di alterazione psico-fisica è comunque punito a titolo di colpa, non saranno, dunque, applicabili le disposizioni di cui agli artt. 91 ss. c.p., se non limitatamente ai casi di caso fortuito o forza maggiore.
L’intervento legislativo dimostra lo sfavore verso un inquadramento di tali fatti nell’ambito dell’omicidio doloso, pur non potendosi escludere che, in determinate situazioni, la condotta di guida del conducente ubriaco o sotto l’azione di sostanze stupefacenti possa consentire di configurare il dolo eventuale, quando l’agente, consapevole del proprio stato alterato, accetti il rischio di verificarsi dell’evento incidente quale risultato della sua azione. Occorre soffermarsi su quest’ultimo punto relativo all’ubriachezza volontaria.
Gli artt. 87 e 92 c.p. disciplinano l’ipotesi in cui il soggetto si ponga volontariamente nella situazione di alternazione psicofisica al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa, la cosiddetta actio libera in causa. Il disposto, rubricato rispettivamente ”stato preordinato di incapacità d’intere e volere” e “ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata”, risulta essere l’elemento a contrasto con quanto sino ad ora detto.
Ugualmente il soggetto sarà punibile a titolo di dolo eventuale, nell’ipotesi in cui ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso ex art 111 c.p.

La giurisprudenza di legittimità

Di recente, la giurisprudenza di legittimità ha operato un cambio di rotta nelle ipotesi di incidenti stradali causati da scelte macroscopicamente azzardate del conducente. La vicenda è quella di un uomo alla guida sotto l’effetto di alcol e droga che stava fuggendo per sottrarsi al controllo della polizia. Durante la fuga provocava la morte di un pedone che stava attraversando la strada. Il conducente del veicolo pur essendosi accorto dell’ imminente attraversamento del pedone, proseguiva in quella determinata traiettoria. Nel caso di specie, il conducente veniva condannato per omicidio volontario sorretto da dolo eventuale.
La Suprema Corte ha statuito che nel caso di incidenti mortali, il punto dirimente sta nel dimostrare che il conducente che li ha causati abbia consapevolmente accettato il rischio di uccidere qualcuno, in conseguenza della sua guida sconsiderata. Nella risoluzione del caso, venivano impiegate le formule di Frank con cui si afferma l’esistenza del dolo eventuale rispettivamente: se è presumibile che il soggetto avrebbe ugualmente agito, se si fosse rappresentato l’evento lesivo conseguenza della sua azione; ovvero, se il soggetto si sia raffigurato il verificarsi delle due ipotesi di reato e abbia comunque agito.
In conclusione, se dunque dottrina e giurisprudenza da un lato e legislatore dall’altro hanno accolto l’idea di imputazione per colpa, non possono però rifiutare la possibilità di accogliere il caso limite di dolo eventuale, come ipotesi, sebben sussidiaria e minima rispetto al dolo, esistente.

 

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