*** Responsabilità delle strutture sanitarie per danni cagionati agli utenti Corte d’Appello di Catanzaro Sentenza n. 298/04
Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano La Corte d’Appello di Catanzaro I Sezione Civile Composta da: -dott. Giuseppe Vitale Presidente -dott. Alberto N. Filardo Consigliere rel. -dott.ssa Antonella E. Rizzo Consigliere ha pronunciato la seguente
sentenza
nella causa civile iscritta al 373/95 R. G. C., a cui sono riunite le cause nn. 399/95, 413/95 e 437/95 R. G. C., vertente TRA SG e SMR, quali eredi di SN, elettivamente domiciliati a Catanzaro, presso lo studio dell’avv. ***, rappresentati e difesi dall’avv. *** in virtù di mandato a margine dell’atto di appello, APPELLANTI E SF e SR, quali eredi di SN elettivamente domiciliati a Catanzaro, presso lo studio dell’avv. ***, rappresentati e difesi dall’avv. *** in virtù di mandato a margine dell’atto di appello, APPELLANTI E VMT, quale erede di SN, elettivamente domiciliata a Catanzaro, presso lo studio dell’avv. ***, rappresentata e difesa dagli avv.ti *** e *** in virtù di mandato a margine dell’atto di appello, APPELLANTE NONCHE’ La S. r. l. “Casa di Cura prof. GS”, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Catanzaro, presso lo studio dell’avv. ***, rappresentata e difesa dall’avv. *** in virtù di mandato a margine dell’atto di appello, APPELLANTE CONTRO FE e DLF in proprio e nella qualità di eredi di FL, nonché FO e FT, nella qualità di eredi di FL, elettivamente domiciliati a Catanzaro, presso lo studio dell’avv. ***, rappresentati e difesi dall’avv. *** in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione, APPELLATI
CONCLUSIONI. Per SG e SMR: “…rigettarsi la domanda attrice stante la sua manifesta infondatezza in fatto ed in diritto. In via subordinata e salvo gravame riconoscersi la carenza di legittimazione passiva del dr. SN e quindi dei suoi eredi aventi causa, convenuti nel giudizio di I grado, trattandosi, per altro, di questione rilevabile d’ufficio attenendo al rapporto processuale. Ancora in via subordinata e salvo Gravame statuire che la morte della piccola FL non è conseguenza delle lesioni anche ove queste fossero ascrivibili a colpa del sanitario e dell’equipe sanitaria della Casa di Cura S. In ultimo Subordine, nella denegata, contestata ed impugnata ipotesi in cui gli eredi del compianto dr. NS, e quindi gli odierni appellanti, fossero riconosciuti responsabili di alcunchè, voler riportare la liquidazione dei danni ad equità procedendo a nuova liquidazione nei limiti delle voci risarcitorie effettivamente e legalmente dovute”.
Per SF e SR: “accogliere il presente gravame e, per l’effetto, annullare l’appellata sentenza pronunciata dal Tribunale Civile di Cosenza n. 658/95, statuendo, in riforma della medesima, il rigetto di ogni avversa domanda siccome inammissibile, improponibile, infondata e, in ogni caso, non provata in fatto e in diritto; condannare gli appellati al pagamento delle spese e competenze del doppio grado di giudizio”.
Per VMT: “…rigettare tutte le domande siccome infondate in fatto ed in diritto o, in subordinata e denegata ipotesi, ridurle e contenerle nei limiti di giustizia; il tutto con vittoria nelle spese e competenze del doppio grado di giudizio o, in subordine, con la compensazione delle stesse”.
Per la S. r. l. Casa di Cura prof. SG: “…in via pregiudiziale, per i motivi specificati nella premessa del gravame, riconoscere e statuire la nullità, invalidità ed inopponibilità dell’impugnata sentenza alla Società concludente, nonché la carenza di legittimazione passiva di quest’ultima in ordine ad ogni pretesa degli appellati, ovvero, in subordine, l’estinzione per prescrizione di ogni avverso diritto, azione e ragione; gradatamente, nel merito, accogliere il presente gravame e, per l’effetto, annullare l’appellata sentenza pronunciata dal Tribunale Civile di Cosenza n. 658/95, statuendo in riforma della medesima il rigetto di ogni avversa domanda siccome inammissibile, improponibile, infondata e, in ogni caso, non provata in fatto e in diritto;……condannare gli appellati al pagamento delle spese e competenze del presente grado di giudizio”.
Per gli appellati: “…rigettare il proposto gravame confermando la gravata sentenza. Con vittoria di spese e competenze anche di questo grado del giudizio da distrarre”.
In fatto. Il 26.6.1981 la signora DLF fu ricoverata presso la Casa di Cura Prof. GS di Cosenza ove, a termine della terza gravidanza, diede alla luce una neonata a cui venne dato il nome di L. I genitori della piccola, preoccupati per la scarsa vitalità e le difficoltà di nutrizione della stessa, richiesero l’intervento di un pediatra, ma tale specialista non era previsto nell’organico della clinica. A quarantotto ore dalla nascita, venne interpellato il dott. M, un pediatra esterno, che, visitata la neonata, ne consigliò l’immediato ricovero presso il reparto di neonatologia dell’Ospedale Civile dell’Annunziata di Cosenza. L rimase presso la predetta struttura fino al 22.7.81, per poi essere avviata verso la Clinica Universitaria della Sapienza di Roma, divisione di pediatria, con una diagnosi di “sindrome neurologica post-asfittica ipotonica in neonato a termine”. Nel reparto di pediatria di Roma la bimba rimase dal 23.7.81 al 6.8.81 e dal 24.8.81 al 25.8.81 (con una diagnosi di “sindrome comiziale”) e, durante il ricovero, venne sottoposta a numerosi accertamenti. Seguì, a distanza di un anno (dal I.6.82 al 4.6.82), altro ricovero presso l’Istituto “Giannina Gaslini” di Genova, ove venne formulata una diagnosi di “sindrome convulsiva in cerebropatia di genesi verosimilmente perinatale – tetraparesi distonica” sostanzialmente confermativa di quella già formulata dai medici della neonatologia di Cosenza. Con atto notificato il 13.2.1984, i coniugi FE e DLF, in proprio e nella qualità di genitori e legali rappresentanti della figlia L, citarono la Casa di Cura Prof. SG, deducendo che le gravissime lesioni riportate dalla rappresentata erano riconducibili a colpa dei sanitari della clinica privata e chiedendo il risarcimento dei danni in relazione all’invalidità totale e permanente della minore, all’assistenza medica e paramedica continuativa, al pregiudizio irreparabile alla vita di relazione, alle sofferenze patite e future, quantificati nella misura di lire 1.000.000.000. Si costituì, nell’interesse della casa di cura, il signor SN, contestando le deduzioni di controparte ed affermando che la bambina, alla nascita, non presentava alcun “segno clinico tale da indurre i sanitari a pensare ad affezioni patologiche e giustificare quindi uno stato di allarme e la necessità ed urgenza di un riconero ospedaliero”; nella comparsa costitutiva il S sostenne che le lesioni lamentate, se esistenti, avrebbero dovute essere ricondotte a fattori “che nulla hanno a che vedere con l’evento del parto o la fase post parto”. Il processo venne, quindi, istruito con acquisizione di documentazione medica sullo stato di salute di FL, con espletamento di prova testimoniale e di consulenza tecnica d’ufficio. Alla prima udienza successiva al deposito della relazione di consulenza (7.3.1986), la difesa del convenuto eccepì la nullità dell’elaborato per violazione delle norme sul contraddittorio. Poi, a seguito della morte di SN, la causa venne interrotta. Il giudizio proseguì nei confronti degli eredi di quest’ultimo, SG, SMR, SF, SR e VMT. Il G. I. dispose, con provvedimento del 24.10.91, un supplemento di consulenza per consentire ai cc. tt. uu. di rivalutare il caso in esame, alla luce delle critiche formulate dai periti di parte. A seguito del decesso di FL, avvenuto il 9.1.95, il giudiziò fu portato avanti dagli eredi FE, DLF, FO, FT. Con sentenza n. 658 del 10.5/7.6/1995 il Tribunale di Cosenza accolse le domande di parte attrice e condannò i convenuti, in solido, al pagamento della somma di lire 810.750.000 a favore degli eredi di FL (di cui lire 378.000.000 per danno biologico da invalidità permanente, lire 232.750.000 per danno patrimoniale da lucro cessante, lire 200.000.000 per danno morale) nonché della somma di lire 675.000.000 a favore di FE e DLF (di cui lire 100.000.000 per danno alla vita di relazione, lire 400.000.000 per danno morale, lire 150.000.000 per danno emergente, lire 25.000.000 per danni patrimoniali futuri), oltre interessi legali dalla sentenza. Con la predetta decisione, i giudici di primo grado, dopo aver qualificato l’azione proposta, riconducendola ad un’ipotesi di responsabilità contrattuale, e dopo aver riconosciuto esistente il diritto al risarcimento del danno anche in capo al nascituro, verificarono la responsabilità della casa di cura sulla scorta di parte delle testimonianze ammesse e delle consulenze tecniche d’ufficio.
Avverso detta decisione hanno proposto distinti appelli gli eredi di SN e la neo costituita S. r. l. Casa di Cura Prof. GS. In particolare: -SG e SMR, con l’atto notificato il 13.7.95, hanno censurato la valutazione delle risultanze istruttorie effettuata dal Tribunale, segnalando numerose incongruenze della consulenza tecnica e l’esistenza di dichiarazioni testimoniali di segno opposto a quelle valorizzate in motivazione; hanno sostenuto, inoltre, la “carenza di legittimazione passiva del dott. NS quale proprietario della Casa di Cura G. S” e l’infondatezza delle pretese di controparte evidenziando: che al titolare della clinica non poteva essere addebitato alcun inadempimento né una responsabilità per culpa in eligendo o in vigilando; che non vi era prova che la morte della F fosse conseguenza delle lesioni subite nel periodo perinatale; che la liquidazione dei danni era illogica ed arbitraria in quanto riconosceva delle voci di danno non dimostrate, segnatamente il danno biologico e il danno morale a favore di una minore incapace di avvertire le proprie condizioni, e quello morale a favore dei genitori della medesima, in assenza di una posizione legittimante e di prova sulla compromissione del loro stato di salute psico-fisica; che la predetta liquidazione applicava dei parametri di valutazione non utilizzabili e, comunque, errati o incompleti; che la determinazione del danno patrimoniale era frutto di un errore di calcolo. -SF e SR, con l’atto notificato il 26.7.95, hanno ribadito l’eccezione di nullità della c. t. u., già proposta in primo grado, e ne hanno, comunque, dedotto l’inattendibilità, non avendo i consulenti esaminato la possibile incidenza, nella patologia della F, di cause genetiche, di forme acquisite, di forme ereditarie, di errori del metabolismo, di forme degenerative del sistema nervoso centrale, di malattie infettive, di cause dismetaboliche, di distrofia muscolare; hanno prospettato che l’azione di controparte, erroneamente qualificata contrattuale ma di chiara natura extracontrattuale, non era confortata dalla prova della mancanza di diligenza del professionista chiamato ad operare e dell’esistenza di un nesso causale tra il comportamento di quest’ultimo e le lesioni lamentate; hanno sostenuto l’insussistenza di colpa grave a carico della casa di cura, la carenza di legittimazione della minore, la non riconducibilità della morte della F alle lesioni subite in periodo perinatale, la carenza di elementi di prova in ordine alla sussistenza ed all’entità dei danni; hanno segnalato il vizio di ultrapetizione con riferimento alla pronuncia sul danno biologico da invalidità permanente, esclusivamente per omessa valutazione dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa, nonché a quella sui danni futuri; hanno contestato, infine, il metodo seguito per la liquidazione dei predetti danni. -La signora VMT, con l’atto notificato il 26.7.95, ha ripetuto l’eccezione di nullità della c. t. u. di primo grado e la questione relativa all’inattendibilità dei risultati cui erano pervenuti i consulenti; ha dedotto l’infondatezza delle pretese di controparte, a causa dell’assoluta carenza di prova in ordine alla responsabilità dei sanitari e della casa di cura e della imprevedibilità del danno; ha criticato le modalità di determinazione dei danni, segnalando che quelli morali non potevano competere, iure proprio, ai parenti del danneggiato. -La S. r. l. “Casa di Cura Prof. GS”, con l’atto notificato il 12.9.95, ha formulato gli stessi motivi di impugnazione proposti da SF e SR, aggiungendo che la sentenza gravata doveva considerarsi nulla per violazione delle regole sul contraddittorio, derivante dal fatto che, in primo grado, non era stata citata in giudizio, pur essendosi costituita in società, nelle more del processo, in forza di atto pubblico notar L del 5.1.93 rep. n. 28428; ha prospettato, inoltre, l’inopponibilità della sentenza nei suoi confronti e la prescrizione dei diritti degli appellati. Si sono costituiti con comparsa gli appellati, contestando le deduzioni delle controparti ed eccependo la tardività dell’impugnazione proposta da VMT nei confronti di FO e FT. La Corte d’Appello, con decisione non definitiva n. 649 del 3.11/9.12/1997, ha dichiarato “la sentenza impugnata opponibile alla S. r. l. Casa di Cura G.S” e la “ritualità dell’atto di appello proposto da VMT nei confronti di FO e T”; con separata ordinanza ha disposto la prosecuzione del giudizio e il rinnovo della consulenza tecnica a cura del prof. GM. Successivamente, la Corte, con provvedimento dell’1.3.2002, ha disposto una nuova consulenza, affidando l’incarico ad un collegio di tecnici. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 17.2.2004.
In diritto. La sentenza non definitiva n. 649/97, emessa da questa Corte in data 3.11/9.12/1997, individua la S. r. l. Casa di Cura G.S quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, superando eventuali perplessità in ordine alla partecipazione della medesima al presente giudizio ed alla regolarità del contraddittorio instaurato. La soluzione adottata deve essere, tuttavia, completata con la precisazione che la segnalata successione è, in concreto, frutto della trasformazione, operata con atto pubblico notar L. di Cosenza del 5.1.93, rep. n. 284284 (cfr. doc. in atti), della società di fatto, che gestiva la casa di cura dopo la morte del SN, in società di capitali. Sempre preliminarmente appare opportuno esaminare l’eccezione di prescrizione dei diritti degli appellati, avanzata dalla S. r. l. Casa di Cura S. L’eccezione, proposta per la prima volta in appello, è inammissibile perché genericamente formulata, senza alcuna indicazione atta a renderne comprensibili gli estremi ed individuare i termini di riferimento; risulta, peraltro, infondata, tanto se rapportata alla prescrizione ordinaria che a quella quinquennale, posto che gli attori avviarono la procedura contenziosa, nei confronti del dante causa della parte che la ha sollevata, a distanza di soli due anni e otto mesi dal fatto lesivo. Il Tribunale di Cosenza, nella decisione gravata, ha premesso che i coniugi F-DL si erano lamentati del fatto che la parte convenuta non avesse fornito “con diligenza e competenza, le prestazioni necessarie che, accettando il ricovero, si era impegnata a dare”, per evidenziare la natura contrattuale dell’azione proposta; poi, attraverso il risarcimento dei danni patrimoniali, iure proprio, anche a favore di FE che, quale coniuge della partoriente e genitore della neonata, non era certamente parte del rapporto negoziale, e mediante il risarcimento dei danni morali, derivanti dal reato di lesioni colpose, a favore di tutti gli attori, ha, implicitamente, riconosciuto la sussistenza anche di una responsabilità aquiliana dei S. La qualificazione dell’azione, oggetto di specifiche censure negli atti di impugnazione, non ha avuto, quindi, nessuna rilevanza sulla pronuncia finale. Comunque, è frutto di un errore di valutazione su cui la Corte può incidere, pure in vista di un risultato diverso da quello auspicato dagli appellanti, per via dell’effetto devolutivo del gravame. Atteso che il concorso tra le diverse forme di responsabilità deve ritenersi generalmente ammissibile in presenza di un fatto che, in astratto, si ponga come contemporaneamente lesivo, non soltanto dei diritti derivanti da un contratto, ma anche dei diritti spettanti alla persona offesa indipendentemente dal contratto stesso (cfr. Cass. n. 6233/99), e posto che la scelta della forma di tutela compete esclusivamente al soggetto interessato, sempre ferma restando la possibile valutazione di infondatezza della domanda (o delle domande) in relazione all’eventuale insussistenza del tipo di lesione denunciata (aquilliana o contrattuale) o del danno, deve osservarsi che, nel caso di specie, l’atto di citazione notificato il 13.2.1984, già contemplava una sommaria esposizione di fatti implicanti tanto l’illecito contrattuale della Casa di Cura S che l’illecito extracontrattuale degli operatori intervenuti durante il parto della DL e, ex art. 2049 C. C., dell’impresa alle cui dipendenze prestavano attività; inoltre, in sede di precisazione delle conclusioni, è stata formulata una richiesta espressamente rivolta a far dichiarare “la clinica convenuta……contrattualmente ovvero extracontrattualmente responsabile di tutti i danni”, in assenza di osservazioni delle controparti. L’opzione interpretativa del primo giudice, oltre che non completamente coerente con la decisione di merito adottata (e da questa superata), non può che risultare viziata, in punto di fatto, per il travisamento del significato delle espressioni utilizzate dagli attori, ed in punto di diritto, per l’arbitraria connotazione del contenuto della domanda pur in assenza di un’incompatibilità tra le diverse responsabilità. Rimodellati, in tal modo, i termini della domanda introduttiva del giudizio e della materia del contendere, è giocoforza ribadire che gli aventi causa da SN sono chiamati a rispondere, tanto per la violazione del principio generale del neminem laedere, che per l’inadempimento delle obbligazioni assunte con il ricovero della DL. E se, per il primo dei menzionati profili, non sembrano sussistere problemi per riconoscere una posizione soggettiva tutelabile dei coniugi F-DL e della figlia L, quest’ultima anche per le lesioni subite in conseguenza di fatti accaduti prima della nascita, nei limiti in cui può essere accertato un rapporto di causalità tra il comportamento colposo ed il danno che ne sia derivato (cfr. Cass. N. 11503/93), sotto il secondo profilo occorre considerare che, anche nell’ipotesi in esame, come nella generalità dei casi analoghi, il rapporto tra la struttura sanitaria e la partoriente trae origine, al momento dell’ingresso in clinica, da un contratto atipico, a forma libera, che non necessita di particolari manifestazioni di volontà e “che non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera (somministrazione di vitto e alloggio), ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e del personale paramedico” per l’assistenza della paziente durante e dopo il parto, nonché “nell’apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze” (cfr. Cass. SS. UU. n. 9556/02). Occorre, anche, precisare che, nel complesso delle obbligazioni dedotte nel contratto, rientra anche quella accessoria, specificamente rivolta alla tutela del neonato, di effettuare, con “la dovuta diligenza e prudenza, tutte quelle prestazioni necessarie al feto ed al neonato, sì da garantirne la nascita, evitandogli, nei limiti consentiti dalla scienza medica, qualsiasi possibile danno”, di guisa che debba essere riconosciuta direttamente al soggetto, che con la nascita acquista la capacità giuridica, la possibilità di agire “per far valere la responsabilità contrattuale per l’inadempimento delle obbligazioni accessorie, cui il contraente sia tenuto in forza del contratto stipulato col genitore o con terzi, a garanzia di un suo specifico interesse” (cfr. Cass. N. 11503/93 e la teoria del “contratto con effetti protettivi a favore di terzi”).
Gli appellanti, con separati motivi di impugnazione, hanno eccepito la nullità della consulenza tecnica espletata dai proff. S e C, ipotizzando una violazione del diritto di difesa, e hanno censurato l’esame del materiale probatorio effettuata dal primo giudice, prospettando l’insussistenza di elementi sufficienti per dimostrare la responsabilità della clinica. La questione merita approfondimento. Per quel che concerne la nullità della c. t. u. deve rilevarsi che l’eccezione è stata decisa dal Tribunale con ordinanza del 24.10.88; le parti, omettendo qualsiasi riferimento alle pregeresse deduzioni in sede di precisazione delle conclusioni, vi hanno implicitamente rinunciato cosicché la riproposizione dell’eccezione tra i motivi di gravame è divenuta inammissibile. Peraltro la questione, nei termini in cui è stata prospettata, risulta infondata, atteso che, dopo il regolare avvio del procedimento incidentale di accertamento tecnico con l’incontro del 2.12.85 (debitamente comunicato a tutti gli interessati), i consulenti incaricati non svolsero alcuna attività di indagine diretta, a cui le parti avrebbero avuto diritto di partecipare, ma si limitarono ad acquisire dati provenienti da laboratori specialistici verso cui avevano indirizzato il soggetto leso.
Per quanto riguarda la valutazione delle prove è necessario tenere in considerazione quanto segue: a) esistono in atti due copie della cartella clinica n. 782, relativa al ricovero della signora DLF presso la clinica S: - la prima, rilasciata in data 20.7.1982 è regolarmente firmata e timbrata e riporta: “Anamnesi: riferisce i comuni esantemi dell’infanzia. Menarca a 13 anni, cicli successivi regolari. Non ricorda nessuna malattia degna di nota. E’ alla terza gravidanza, ultima 1975. x-x normali, figli viventi e sani. Ultime mestruazioni 7.9.80. Si ricovera per travaglio di parto. 26/6/81 assistenza al parto. Espulsione spontanea di un feto di sesso femminile vivo e vitale di Kg. 3,500. Secondamento normale. Colpoperineografia. Dott. S – Dott. M”. - La seconda, non timbrata e non firmata, riporta, in aggiunta a quanto prima indicato: “genitali di pluripara, addome globoso per gravidanza a termine, vagina contenente liquido amniotico. Collo dilatato 3 cm circa. BCF presente” e contiene in allegato la fotocopia di un foglio di registrazione della temperatura e della terapia, la fotocopia di un tracciato cardiotocografico e tre fotocopie di risultati di analisi del sangue e delle urine, rilasciate dal laboratorio del dott. V il 26.1.1981 (cinque mesi prima del ricovero). Entrambe le copie, oltre a fornire scarse informazioni sulle modalità di svolgimento del parto e sulle condizioni della neonata (manca, tra l’altro, la verifica dell’APGAR ad un minuto), rappresentano un comune dato non veritiero, presumibilmente ripreso dall’originale, relativo alla presenza in clinica del dott. S durante la notte tra il 25 ed il 26 giugno 1981 (circostanza esclusa dai testi e dalle stesse parti), nonché un’indicazione del peso della bambina in Kg. 3,500, non attendibile per le ragioni che saranno di qui a poco specificate; la seconda non può essere tenuta in alcuna considerazione per la mancanza di attestazione di autenticità e per l’evidente alterazione del contenuto, ingiustificatamente diverso da quello della copia autentica del 20.7.82 (peraltro gli allegati relativi alle analisi cliniche sono del gennaio 81 –5 mesi prima del ricovero- e gli altri, relativi alla registrazione della temperatura ed al tracciato cardiotocografico, non sono siglati da alcun medico).
b) La documentazione prodotta dalle parti o acquisita dai consulenti comprende, tra le altre cose, le cartelle cliniche relative al ricovero presso il reparto di neonatologia dell’Ospedale Civile dell’Annunziata di Cosenza dal 28.6.81 al 23.7.81, presso la Clinica Pediatrica dell’Università di Roma dal 23.7.81 al 24.8.81 e presso l’Istituto “Giannina Gaslini” di Genova dall’1.6.82 al 4.6.82. Quella relativa al ricovero il reparto di neonatologia dell’Annunziata, avvenuto a quarantotto ore dalla nascita, riporta una diagnosi di “sindrome neurologica post-asfittica in neonata a termine (41 settimane)” ed i seguenti dati: -al momento dell’ingresso nella struttura (ore 10,10 del 28.6.81)- peso alla nascita gr. 4.000; peso alla I visita gr. 3.530; lunghezza cm. 54; circ. cranica cm 35,5; circ. toracica cm. 33,5; condizioni generali discrete; colorito roseo con facies ecchimotica; idratazione scarsa; scheletro lesioni non evidenziabili; fontanelle e suture F. A. cm. 2x2; occhi in asse; orecchie normoconformate; otofaringe non schisi; cuore: frequenza 118, toni ritmici e validi; apparato respiratorio: frequenza 40, buona la penetrazione d’aria; addome trattabile; fegato nei limiti, milza nei limiti; genitali femminili; ano pervio; pianto valido; tono muscolare buono; reattività discreta; reazione di suzione +--; reazione di prensione plantare ++--; reazione di prensione palmare +---; riflesso di moro presente e completo; -in data 1.7.81- esame neurologico con risultato “decisamente patologico”; -in data 22.7.81-condizioni leggermente migliorate. Riflesso della suzione migliorato. Riflessi di prensione deboli, moro incompleto. Tono muscolare leggermente diminuito. Quadro toracico negativo. -un peso di: 3.530 gr. al III giorno di vita; di 3.460 gr. al IV; di 3.500 gr. al V; di 3.540 al VI; di 3.570 gr. al VII; di 3.560 gr. all’VIII; di 3.520 gr. al IX; di 3.430 gr. al X; di 3.490 gr. all’XI; di 3.450 gr. al XII; di 3.500 gr. al XIII; di 3.480 gr. al XIV; di 3.500 gr. al XV; di 3.500 gr. al XVI; di 3.570 gr. al XVII. Quella relativa al periodo di osservazione presso la clinica universitaria di Roma riporta una diagnosi di “sindrome comiziale con idrocefalo comunicante” e una segnalazione di “sindrome post-asfittica ipotonica neonatale………nessun accrescimento e grave difficoltà nell’alimentazione”. Quella relativa al ricovero del I.6.82 presso l’Istituto “Giannina Gaslini” di Genova conferma la diagnosi di “sindrome convulsiva in cerebropatia di genesi verosimilmente perinatale (tetraparesi distonica)”. La predetta documentazione non è stata contestata ed assume rilevante valore probatorio attesa l’autorevolezza delle fonti (strutture di notoria serietà e di fama europea), il periodo “non sospetto” in cui fu redatta, di molto antecedente all’instaurazione del procedimento contenzioso, e la sostanziale convergenza delle valutazioni cliniche in essa riportate; un unica precisazione appare necessaria con riferimento all’indicazione “moro presente e completo” apposta all’ingresso nella struttura pubblica di Cosenza il 28.6.81: tale indicazione è, presumibilmente, frutto di un errore materiale, facilmente individuabile ponendo attenzione al fatto che, all’epoca, le reazioni di prensione plantare risultavano insufficienti (lo dimostrano i segni ++--) ed il riflesso di moro viene specificato incompleto sia all’esito della visita neurologica del I.7.81 sia alla data del 22.7.81.
c) Le dichiarazioni rese da D’AD, PL, GM e IE appaiono concordanti e puntuali, provengono da soggetti completamente disinteressati (ad eccezione della I, nonna della F e, come tale, emotivamente coinvolta nella vicenda) e descrivono lo stato della neonata –scura in volto, priva di significative manifestazioni vitali, incapace di piangere e di attaccarsi al seno, apparentemente senza vita - in particolare: la D’A-“la bambina ha più volte cambiato il colorito del volto che diveniva violaceo………la bambina, dal momento in cui è stata portata nella stanza, venerdì notte e sino alla domenica mattina, non ha mai pianto e dormiva. Non ha mai bevuto sebbene la mamma l’avvicinasse al seno. La bambina non ha bevuto nemmeno acqua”; la P-“allorchè la bambina venne portata nella camera, ricordo che la stessa si presentava scura in volto. La stessa per tutto il periodo in cui rimasi nella clinica, due o tre giorni, non ebbe mai a piangere né a bere latte o acqua perché non riusciva ad ingoiare, e stava sempre addormentata”; la I-“la bambina…era assolutamente scura in volto e nelle mani nonché infreddolita………si presentava addormentata………avvicinò al seno la bambina ma questa non succhiò sì come non succhiò neppure successivamente agli altri tentativi che vennero fatti”; il dott. M-“appena vidi la bambina mi resi conto delle gravissime condizioni in cui versava, tanto da avere il sospetto del suo decesso. Più in particolare si presentava estremamente pallida; ho ascoltato con il fonendoscopio il battito cardiaco che ho appena percepito; ho provato a somministrare un po’ d’acqua con il cucchiaino ma la bambina non è riuscita ad ingoiare. A questo punto ho invitato le persone che avevano accompagnato la bambina a recarsi non in clinica ma direttamente all’ospedale”;- in termini perfettamente compatibili con il quadro decisamente “patologico” riscontrato dai medici dell’Ospedale Civile Annunziata di Cosenza, ove la medesima venne ricoverata a circa quarantotto ore dalla nascita, e con la diagnosi riportata nella cartella clinica rilasciata dallo stesso presidio ospedaliero “sindrome neurologica post-asfittica ipotonica in neonato a termine”. Al contrario, le dichiarazioni rese da MA –sanitario di turno che prestò l’assistenza al parto-, da PM e VA –ostetriche che assistettero al parto- e da DLR –puericultrice della clinica-, provengono da soggetti interessati alla vicenda perché corresponsabili (tranne la DL) dei danni subiti dalla neonata e comunque legati da rapporto di lavoro (tranne la V) con la casa di cura citata in giudizio, descrivono ciò che generalmente avveniva durante il ricovero delle pazienti, senza fornire alcuna indicazione specifica di quello che accadde in occasione della nascita della piccola L (le dichiarazioni sono costellate da frequenti “non ricordo” e da valutazioni del genere -è stato un parto normale perché se vi fossero state complicazioni me lo sarei ricordato-; in relazione all’utilizzazione di apparecchiatura idonea a monitorare con continuità il battito cardiaco fetale la P afferma “in clinica vi è anche un monitor mobile per controllare i battiti cardiaci fetali, che viene sempre utilizzato. Alla signora DL non so se venne però applicato il monitor fisso a cintura –cioè quello che registra i battiti trascrivendoli sul tracciato-, oppure quello mobile, portatile, senza cintura e senza registrazione”; la V “venne anche applicato il monitor per misurare i battiti cardiaci ma non ricordo che tipo fosse”), comunque, offrono una rappresentazione di normalità del parto e dello stato della neonata assolutamente incompatibile con quanto, a distanza di poche ore, avrebbe accertato, prima il dott. M, pediatra libero professionista interpellato dai genitori di L, poi l’equipe sanitaria dell’ospedale cittadino, con autonoma valutazione. La predetta incompatibilità tra la prospettata normalità della situazione della bambina dopo la nascita e il grave stato di salute verificato all’ingresso della piccola nel reparto di neonatologia dell’Annunziata, inspiegabile dal punto di vista logico oltre che da quello medico-scientifico attesa la prossimità temporale tra i fatti e l’insussistenza di patologie acute di rapidissima evoluzione (mai accertate dai sanitari che si occuparono del caso), dimostra l’inattendibilità oggettiva dei testi addotti dalla parte convenuta, mentre la posizione di dipendenza di M, P e DL rispetto alla parte convenuta e la situazione di potenziale corresponsabilità dei predetti e della V in riferimento ai danni cagionati ai F-DL, rappresentano il motivo della mancanza di serenità e di obiettività degli stessi testi e ne evidenziano l’inattendibilità soggettiva.
d) I professori S e C dell’Università di Napoli, nella c. t. u. del 5.3.86, hanno concluso affermando che la “kinesipatia enecefalica ed insufficienza mentale di grado profondo da encefalopatia perinatale” totalmente invalidante riscontrata è derivata da “una sofferenza fetale neonatale secondaria e diminuito apporto di ossigeno” insorta durante il travaglio. La consulenza è stata oggetto di “osservazioni critiche” da parte dei periti proff. AF, dell’Università Cattolica di Roma, e CR, dell’Università di Ancona, i quali hanno sottolineato: -che “nel corso dell’assai breve travaglio non sono stati registrati indici di sofferenza fetale”, essendo il liquido amniotico descritto come limpido, il battito cardiaco fetale registrato con il cardiotocografo normale e il parto “precipitoso” e non “distocico”; -che “in un certo numero di neonati si riscontrano lesioni cerebrali delle quali è difficile individuare la causa. Questa può risalire a molteplici fattori che hanno agito al momento della fecondazione (fattori genetici), durante la gravidanza, durante il parto”; -che lesioni del tipo riscontrato nella F possono derivare da toxoplasmosi prenatale, da malattia da cytomegalovirus, da rosolia. I consulenti d’ufficio, in una relazione suppletiva depositata il 6.5.92, in risposta ai chiarimenti sollecitati dal Tribunale a seguito delle note critiche formulate dai periti di parte, hanno precisato: che la condizione di encefalopatia perinatale a carico della F “non è ascrivibile a fattori genetici per la documentata normalità del cariotipo e per l’assenza di un quadro clinico patognomico delle affezioni cromosomopatiche”; che, inoltre, non è riportabile ad una malattia infettiva materna, trasmessa al prodotto del concepimento in utero, per due ragioni: “le indagini virologiche espletate sia presso l’Istituto di Pediatria dell’Università di Roma che presso l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Napoli consentono di escludere un titolo immunologico probante per una pregressa infezione da parte degli agenti patogeni citati nella relazione del dott. C (virus rosolia, cytomegalovirus, toxoplasma). La paziente………non presenta una connotazione sindromica che orienti per taluno dei quadri clinici relativi alle predette affezioni (idrocefalo, calcificazioni endocraniche, corioretinite, cardiopatia congenita, etc.)”. Hanno, infine, evidenziato che la causa della encelofapatia perinatale è “rappresentata da protratta ipossia-ischemia dell’encefalo al cui determinismo hanno concorso due fattori coesistenti e ben documentati, costituiti da: irregolarità del travaglio (parto precipitoso); macrosomia del corpo mobile”. Nel corso del giudizio d’appello altre critiche alla relazione dei c. t. u. sono state formulate: -dal prof. DP, dell’Università di Roma, che, in due scritti del luglio 95 e del febbraio 96, ha sostenuto che la patologia della F avrebbe potuto avere origine da forme ereditarie (neonatali, della prima infanzia, infantili, dell’adulto), da errori del metabolismo (amminocidopatie, sfingolipidosi, mucopolisaccaridosi, mucolipidosi, oligosaccaridosi, glicogenosi, pelizaesu-merzbacher disease, van bogaert disease, encefalomielopatia subacuta necrosante, ataxia-telangectasia, distrofia neuroaxsonal, wilson’s disease), da forme degenerative del sistema nervoso centrale (malattie degenerative prevalenti del neurone motore cortico spinale e del motoneurone periferico spini-bulbare, malattie degenerative prevalenti del neurone motore pontico spinale di uno o ambedue i lati, eredoatassie, malattie degenerative prevalenti del pallido, malattie degenerative prevalenti dello striato, malattie degenerative prevalenti della substantia nigra, dello striato e del cervelletto, malattie degenerative prevalenti della formazione reticolare, tegmento e tetto del mesencefalo, malformazioni congenite del snc), da forme acquisite (prenatali, perinatali), da forme postatali. -Dai proff. B e CP, dell’Università di Roma, che hanno concluso aderendo alle deduzioni del prof. DP e affermando che “l’assistenza e le prestazioni svolte nei riguardi della neonata dal personale medico e paramedico della Casa di Cura S debbono ritenersi congrue e corrette”. -Dal prof. R, dell’Università di Catanzaro, che ha concluso “nel caso in esame non essendovi, nelle consulenze visionate (in atti), dati che forniscano elementi in termini di assoluta certezza o elevata probabilità circa la noxa patogena determinante il complesso patologico a prevalente manifestazione neurologica presentato dalla neonata, non si ritiene corretto evidenziare profili di responsabilità colposa a carico dei sanitari della casa di Cura S di Cosenza.” Sono state, inoltre, espletate due nuove relazioni tecniche d’ufficio sui soli dati documentali disponibili, essendo la F, nel frattempo, deceduta. Nella prima, il prof. M, dell’Università di Firenze, ha confermato la cerebropatia totalmente invalidante sussistente fin dalla nascita e ha verificato che il collasso cardiocircolatorio che provocò la morte del soggetto rappresenta la conseguenza di tale grave patologia -“la devastante lesione cerebrale non solo non le permetteva una vita psichica, ma addirittura ne comprometteva ogni possibilità relazionale. Abbiamo documentati nella sua breve esistenza, nei numerosi ricoveri, delle difficoltà nell’alimentazione per la disfagia e i disturbi respiratori per il ristagno delle secrezioni. Se a questo si aggiungono tutte le sindromi convulsive, epilettogene e le ripercussioni negative che sui diversi organi ed apparati si determinano per la lesione encefalica in toto, con il coinvolgimento dell’attività psichica, motoria, sensoriale, neurogena, etc., si comprende che la precoce morte non può che relazionarsi strettamente alla lesione cerebrale. A conferma di questo c’è poi l’esperienza clinica di forme simili, in cui raramente si raggiunge l’età adulta, proprio per l’importante ruolo che riveste l’organizzazione cerebrale nel controllo e nel mantenimento anche delle funzioni vitali”-; ha, poi, esposto le difficoltà esistenti nell’individuare la causa delle lesioni da cerebropatia perinatale in assenza elementi di certezza, stante la molteplicità di fattori da indagare -“se si escludono infatti i casi assolutamente tipici – e sono i più rari -, le lesioni della cerebropatia perinatale sono spesso del tutto aspecifiche e comuni a più forme a diversa etiologia………”- e ha concluso riconducendo la cerebropatia al periodo precedente al ricovero in clinica -“La presumibile epoca di insorgenza della cerebropatia della quale è risultata affetta FL è da far risalire in un periodo precedente al suo ricovero in clinica, durante l’evoluzione della gravidanza………”-. Nella seconda i proff. G, C e M, dell’Università di Ancona, hanno affermato “non si può escludere che la cerebropatia sia insorta durante la gravidanza (pag. 17 della consulenza)………l’eventuale insorgenza della cerebropatia in corso di travaglio di parto è altamente improbabile (pag. 18)………la lesione cerebrale non può essere insorta dopo il parto………l’encefalopatia non è riportabile ad una malattia infettiva materna trasmessa al prodotto del concepimento in utero (pag. 20)………” ed hanno concluso “gli elementi a disposizione non sono sufficienti per giungere a conclusioni definitive e certe e il rischio è quello di non giungere ad alcuna conclusione. Non si può pensare in generale di raggiungere la certezza, ma solo delle ipotesi più o meno corrispondenti alla realtà. L’unica cosa certa è che il danno non può dirsi successivo o conseguente al parto.” Orbene, le valutazioni elaborate dai periti di parte prendono spunto da dati che non possono essere ritenuti rispondenti alla realtà, quali quelli sulla rilevazione del battito cardiaco fetale, sul peso corporeo della bimba e sulla normalità del parto, riportati nella copia non firmata e non timbrata della cartella clinica della Casa di Cura S (consulenze F, R e R), e rappresentano una serie di ipotesi di studio teoriche non sviluppate sul caso specifico (le consulenze DP, B e CP segnalano un rilevante numero di cause potenzialmente determinanti lesioni perinatali senza precisarne la compatibilità con il caso di specie alla luce dei dati anamnestici disponibili). La relazione del prof. M può essere ritenuta sufficientemente attendibile nella parte in cui, prendendo le mosse da una diagnosi certa di cerebropatia di rilevante entità (non contestata sotto il profilo del tipo di malattia accertata) e dalle conoscenze mediche in materia, spiega, con procedimento logico e adeguatamente motivato, l’evoluzione della patologia fino all’esito mortale. Non appare, invece, condivisibile nelle conclusioni generali, in quanto riconduce l’insorgenza delle lesioni al periodo di gravidanza, in contrasto con quanto desumibile dalle prove raccolte in primo grado (cfr. quanto prima detto in ordine al valore della documentazione allegata agli atti e delle testimonianze) e, in particolare: omettendo di valutare l’incidenza della verificata macrosomia del corpo mobile associata alla velocità del parto; considerando credibili tutti i dati riportati nella copia della cartella clinica non timbrata e non firmata rilasciata dalla clinica S (tra cui il peso alla nascita, la regolarità del parto, il controllo del BCF mediante apparecchiatura cardiotocografica) e le dichiarazioni delle ostetriche V e P; ritenendo, presuntivamente, che il travaglio abbia avuto un decorso normale sul presupposto indimostrato che, se vi fossero stati segni di sofferenza fetale, il personale presente li avrebbe prontamente rilevati. Anche l’elaborato dei proff. G, C e M si basa su una serie di elementi che in precedenza si è avuto modo di confutare o di ritenere inverosimili (precisamente quelli riportati nelle due copie della cartella clinica rilasciate dalla Casa di Cura S sul peso della neonata, sulla regolarità del parto, sulle cure prestate etc.) e giunge a delle conclusioni palesemente contraddittorie perché, se, da un lato, afferma che “gli elementi a disposizione non sono sufficienti per giungere a conclusioni definitive e certe” non si vede come possa poi escludere, con estrema disinvoltura, una relazione tra le lesioni ed il parto. Invece, la soluzione proposta dai proff. S e C (nella relazione originaria e nel supplemento depositato il 6.5.92) è frutto di un procedimento di indubbio valore scientifico, basato sull’osservazione diretta della bambina, su un’attenta valutazione dei dati anamnestici, sugli elementi offerti dalle cartelle cliniche non alterate (dell’Ospedale di Cosenza, dell’Università di Roma, dell’Istituto Gaslini di Genova) allegate agli atti e dagli accertamenti specialistici (cardiologici, neurologici, ortopedici, genetici, psichiatrici) effettuati nel corso degli anni. In particolare, completamente condivisibile appare il ragionamento seguito per individuare il momento e la causa della patologia, sostanzialmente confermato dalle precise diagnosi formulate dai centri di pediatria ove la F fu ricoverata dopo la nascita (del cui valore si è già detto), dalla microcrania o microcefalia verificata il I.6.82, al momento dell’ingresso nell’istituto Gaslini di Genova, e in data 14.11.86, al momento di esecuzione della TAC effettuata a Caserta, sintomatica di un deficit derivante da ipossia neonatale (nella c. t. u. è riferito “un quadro tipico di tenue ipodensità dell’encefalo (sintomo di malacia) con secondaria dilatazione dei ventricoli (per atrofia del tessuto nervoso)”. E non deve meravigliare che si possa ritenere corretta la diagnosi di “irregolarità del travaglio” associata a “macrosomia del corpo mobile”, fondata sull’indicazione del peso corporeo della F di gr. 4.000 alla nascita, tratto dalle cartelle cliniche dell’Ospedale Civile dell’Annunziata, della Clinica Pediatrica dell’Università di Roma e dell’Istituto Gaslini, e non su quello di gr. 3.500 riportato sulla copia della cartella rilasciata dalla Casa di Cura S. In merito, è bene evidenziare che il peso di 3.500 gr., indicato dai sanitari della clinica S, deve ritenersi errato per difetto in quanto è palesemente incompatibile con il peso riscontrato a distanza di quarantotto ore e nei giorni successivi dal personale dell’Annunziata (3.530 gr. al III giorno di vita; di 3.460 gr. al IV; di 3.500 gr. al V; di 3.540 al VI; di 3.570 gr. al VII; di 3.560 gr. all’VIII; di 3.520 gr. al IX; di 3.430 gr. al X; di 3.490 gr. all’XI; di 3.450 gr. al XII; di 3.500 gr. al XIII; di 3.480 gr. al XIV; di 3.500 gr. al XV; di 3.500 gr. al XVI; di 3.570 gr. al XVII) nonostante la bimba avesse subito il naturale calo fisiologico delle prime ore di vita e fosse rimasta per due giorni senza significativo apporto di liquidi e di nutrimento (cfr. testimonianze I, D’A, P e indicazione di disidratazione riportata nella cartella clinica dell’Annunziata). Mentre l’irregolarità del travaglio è desumibile dalla durata complessiva del medesimo –4/4,30 ore-, inferiore a quella indicata come normale per una pluripara –da 5 a 7,30 ore- come confermato anche a pagina 7 della relazione (osservazioni critiche) dei proff. F e R, periti di parte convenuta nel giudizio di primo grado e, indirettamente, dimostrato dalla “facies ecchimotica” descritta dai medici dell’Annunziata e dalla colpoperineografia (cfr. copia cartella clinica S) praticata alla DL in assenza di episiotomia (quindi per lacerazioni “da sforzo” dei tessuti). Condivisibile appare, inoltre, il procedimento seguito per la verifica dell’inesistenza di patologie di derivazione genetica, cromosomica, virale, dismetabolica, teratogena basato, si ripete, su diretta osservazione del soggetto leso, su una scrupolosa anamnesi e sui dati offerti da accertamenti specialistici, genetici e da analisi virologiche; sul punto illuminante il parere del prof. D, direttore del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia – Sezione di Genetica Medica dell’Università “La Sapienza” di Roma: “E’ ben noto (e lo era anche negli anni 80) che centinaia di condizioni e cause, molte delle quali ereditarie, si possono associare a danni cerebrali. Nell’avventurarsi per questa complessa tematica, tuttavia, non si possono lasciare da parte i dati anamnestici, soprattutto quando è noto che sono sufficienti pochi secondi di ipossia perinatale per causare danni cerebrali del tutto simili a quelli presenti in L e, più importante, quando la tipologia delle lesioni rilevate dalle indagini strumentali, a chi conosce la materia, non dà spazio ad interpretazioni diverse da quelle certificate senza reticenza dai radiologi e dai medici che operavano nelle divisioni specialistiche presso le quali la bambina è stata a lungo osservata, valutata, studiata, indagata e seguita. E’ abbastanza presuntuoso il tentativo di cambiare una diagnosi, che non è stata ricopiata tra un ricovero e l’altro, ma che di volta in volta è stata riverificata e confermata in base all’obiettività dei fatti, semplicemente esaminando a posteriori cartelle cliniche spesso scarne o compilate frettolosamente. Le poche cose che ogni medico farebbe bene a non dimenticare nella sua professione, sono il partire sempre da anamnesi accurata (e in questo caso ci sono molteplici elementi che non autorizzano altre spiegazioni), e il non ignorare la peculiarità di certe indagini strumentali (in questo caso il risultato della TAC non dà adito a nessun dubbio o a nessuna diagnosi differenziale, se non quella di una patologia acquisita, cosa che a 20 anni di distanza continua ad essere non opinabile. Un punto centrale di questa annosa vicenda è l’ipotesi che è stata avanzata, di una possibile causa genetica del danno cerebrale. Per questo è utile riesaminare alcuni passaggi delle memorie del prof. DP. Inizierei con quella del luglio 1995, quando commentando le conclusioni dei periti C e S, venivano richiamate alcune delle più recenti acquisizioni della genetica che hanno dimostrato come patologie considerate in passato conseguenti a traumi da parto abbiano trovato un più preciso inquadramento etiopatogenetico, dimostrando il ruolo di primo piano acquisito dal condizionamento genetico. Il perito fa riferimento alle patologie cromosomiche e multifattoriali, che si sono affiancate a quelle mendelliane. Si può essere anche d’accordo sulla prima parte dell’affermazione. Circa le cause multifattoriali, in grado di dare danni di questo tipo, sarei personalmente lieto se il perito volesse essere più preciso su questo punto, dato che questo aspetto non fa parte del mio bagaglio culturale. L’elenco delle malattie che poi viene allegato alla memoria difensiva è un vero e proprio non senso, perché riguarda una lista di condizioni ben note agli esperti di area e che non hanno niente a che fare con il quadro di Loredana (solo per citare pochi esempi le aminoacidopatie, le sfingolipidosi, le mucopolisaccaridosi, ecc.). Non si capisce perché, e con quale finalità, siano stati chiamati in causa quadri clinici che ben pochi inesperti potrebbero confondere con quello della bambina. D’altra parte, volendo seguire fino in fondo il pensiero del perito-genetista, se è vero che ci sono stati tutti progressi ai quali fa riferimento, invece che rilasciare una lista di malattie (peraltro molto incompleta), sarebbe stato allora più utile che ci chiarisse di quale patologia genetica fosse affetta Loredana. Nel fare questo sforzo, non ci si dovrebbe comunque dimenticare di fare riferimento all’anamnesi degli eventi accaduti attorno alla nascita e ben ricostruibili attraverso tante testimonianze indipendenti, nonché alla peculiarità di quel quadro TAC………Un ultimo cenno alla disamina degli effetti teratogeni. Posso essere d’accordo con il perito sull’eterogeneità delle cause esogene, in grado di produrre un danno cerebrale. Peccato che il prof. DP abbia dimenticato che in questi casi o l’effetto è sindromico con lesioni multisistemiche (quindi anche fuori del sistema nervoso) oppure le lesioni sono di tipo diverso, rispetto a quanto riportato dalle indagini strumentali effettuate su Loredana. A pag. 8 il Prof. DP disserta sui riarrangiamenti cromosomici criptici che potrebbero non essere stati rilevati dal cariotipo standard analizzato a Napoli. Dal punto di vista teorico, ancora una volta si può essere d’accordo. Dal punto di vista pratico no, in maniera assoluta. Chi, come lo scrivente (e molti altri) ha raccolto un’ampia casistica di questo tipo, sa che l’ipotesi avrebbe senso solo in presenza di un effetto fenotipo sindromico, assente in L………In conclusione l’ipotesi di una causa genetica nel danno cerebrale di LF non è suffragata né da dati obiettivi, né dall’evoluzione e dalla storia naturale della malattia, né dai rilievi anamnestici e testimoniali”.
Dal complesso degli elementi istruttori fin qui esaminati può, quindi, ritenersi provato: -che la DL, durante la notte tra il 25 ed il 26 giugno 1981, fu seguita dal dott. M e dall’ostetrica P, dipendenti della clinica S; -che il BCF non venne rilevato mediante cardiotocografo, altrimenti l’operazione sarebbe stata registrata e il tracciato apparirebbe tra gli allegati della copia della cartella clinica n. 782, conforme all’originale, firmata e timbrata, rilasciata il 20.7.82 (a oltre un anno dal fatto); -che il parto avvenne, per via naturale, in circa 4/4,30 ore; -che la bimba, alla nascita, pesava gr. 4.000, e non gr. 3.500 come erroneamente registrato dalla casa di cura S (vedi verifica di compatibilità con altri dati registrati presso l’ospedale civile di Cosenza prima effettuata); -che la bimba era cianotica, fredda e priva di significative manifestazioni di vitalità (cfr. testimonianze I, D’A, P e M); -che per quarantotto ore la neonata non fu nutrita (cfr. testimonianze I, D’A, P e M nonché indicazione “disidratata” nella cartella clinica dell’Ospedale Civile); -che, solo per iniziativa personale dei F, la bimba fu portata a visita da un pediatra (il dott. M) e, su consiglio di quest’ultimo, immediatamente ricoverata presso la neonatologia dell’Annunziata di Cosenza (cfr. testimonianze I, D’A, P, M e cartella clinica del presidio ospedaliero); -che venne riscontrata a carico della piccola una “sindrome neurologica post-asfittica in neonata a termine” (cfr. cartella clinica dell’Annunziata); -che tale diagnosi venne sostanzialmente confermata in occasione dei successivi ricoveri presso la Clinica Pediatrica dell’Università di Roma e presso l’Istituto Giannina Gaslini di Genova (cfr. cartelle cliniche relative ai predetti ricoveri); -che la malattia fu totalmente invalidante (cfr. relazioni S-C e M nonché cartelle cliniche di Cosenza, Roma e Genova); -che la lesione fu il risultato di una sofferenza fetale, determinata dal concorso di due fattori coesistenti e ben documentati, costituiti da irregolarità del travaglio (parto precipitoso) e macrosomia del corpo mobile (cfr. relazioni S e C e osservazioni D) e fu aggravata, nel decorso, dalla mancanza di assistenza nei primi due giorni di vita (cfr. testimonianze I, P, D’A, M e cartella clinica dell’Annunziata); -che non concorsero all’evento cause di origine genetica, cromosomica, virale, infettiva, metabolica, teratogena (cfr. relazioni S-C e D); -che la cerebropatia accertata condusse alla morte FL dopo tredici anni di sofferenze e di vita pressocchè vegetativa (cfr. consulenza M, nella parte ritenuta attendibile).
Agevole, a questo punto, la verifica dei termini di responsabilità della parte originariamente convenuta in primo grado, dante causa degli appellanti. In vero, il mancato utilizzo di apparecchiatura idonea a rilevare con continuità il BCF impedì di valutare la sofferenza fetale in atto e, indirettamente, contribuì ad orientare la scelta dell’operatore verso il parto naturale anziché verso il taglio cesareo che avrebbe, certamente, evitato l’ipossia (cfr. relazioni S e C) e il danno cerebrale irreversibile con ritardati esiti letali; la sconcertante inerzia osservata dal personale medico e paramedico della casa di cura che, nonostante la bimba continuasse a presentare evidenti segni di anormalità, che avrebbero dovuto allarmare e consigliare il ricovero immediato presso un reparto di neonatologia, non fecero alcunchè, aggravò la situazione in atto, accelerandone il decorso e aumentando le sofferenze della piccola L e dei congiunti (la testimonianza del dott. M fornisce la chiara immagine del dramma che i F stavano vivendo “appena vidi la bambina mi resi conto delle gravissime condizioni in cui versava, tanto da avere il sospetto del suo decesso. Più in particolare si presentava estremamente pallida; ho ascoltato con il fonendoscopio il battito cardiaco che ho appena percepito; ho provato a somministrare un po’ d’acqua con il cucchiaino ma la bambina non è riuscita ad ingoiare. A questo punto ho invitato le persone che avevano accompagnato la bambina a recarsi non in clinica ma direttamente all’ospedale”). Nell’occasione, la condotta del personale della casa di cura fu, decisamente, caratterizzata da colpa derivante da negligenza (omessa assistenza, mancata rilevazione del BCF etc.) e da imperizia (scelta del parto naturale in luogo del cesareo). Orbene, l’aver offerto una prestazione professionale incompleta e inadeguata, assolutamente carente sotto il profilo dell’assistenza al parto e delle cure che la neonata avrebbe dovuto ricevere alla nascita e immediatamente dopo, costituisce evidente violazione degli obblighi contrattuali assunti con il ricovero della DL, nei limiti già precisati in precedenza; mentre, l’aver cagionato alla F, per colpa di propri dipendenti, le gravissime lesioni che, dopo una breve vita, l’avrebbero portata alla morte, integra violazione del generale principio del neminem laedere (art. 2043 e 2049 C. C.). Peraltro, non avendo gli appellanti dimostrato che la prestazione richiesta implicasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e, comunque, non risultando “la scelta imperita” frutto di un procedimento di particolare impegno professionale (la limitazione di responsabilità ex art. 2236 C. C. attiene esclusivamente alla “perizia” cfr. Cass. N. 4852/99 e non alla “diligenza”), i S devono essere considerati tenuti a rispondere per i danni cagionati anche per colpa lieve (ex art. 1176 II comma C. C., cfr. Cass. n. 4852/1999), cosicchè non appare di alcuna utilità un’eventuale indagine sulla gradazione della colpa.
Venendo ai profili risarcitori della vicenda, le molteplici censure formulate dagli appellanti, sommariamente riportate nella esposizione del “fatto”, impongono un breve riesame della questione. Preliminare, sul punto, è la correzione degli errori materiali in cui è incorso il primo giudice, in parte segnalati dagli appellanti, i quali hanno prontamente evidenziato che lo sviluppo del calcolo per la quantificazione del lucro cessante porta ad un risultato di 7.758.450.000 di lire in luogo de 232.750.000 indicati in sentenza, e, comunque, emendabili d’ufficio. Tali errori si concretano in “meri errori di calcolo matematico” e riguardano anche la determinazione del danno biologico a favore della minore, oltre che quella del danno da perdita della capacità lavorativa, di cui i S hanno sottolineato l’assurdità negli atti di gravame; appaiono realizzati attraverso un calcolo che, se effettuato correttamente, sulla scorta dei parametri indicati dallo stesso giudicante (pensione sociale lire 18.000.000, coefficiente di capitalizzazione 0,100x21.000, coefficiente relativo allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa 0,821x0,25), conduce al risultato di lire 37.800.000.000 (trentasettemiliardiottocentomilioni-18.000.000 x 3 x 0,100 x 21.000) per la prima voce e di lire 7.758.450.000 (settemiliardisettecentocinquantottomilion-quattrocentocinquantamila-18.000.000 x 3 x 0,100 x 21.000 x 0,821 x 0,25), per la seconda voce (risultato che, si badi bene, non rappresenta un multiplo della cifra sbagliata e, pertanto, non può essere frutto della semplice omessa applicazione di un parametro). Non è revocabile in dubbio che la quantificazione dei predetti danni, nel risultato emendato dagli errori materiali, sia viziata ma, tale aspetto, che sarà di qui a poco esaminato, riguarda il procedimento logico-giuridico o i parametri di valutazione utilizzati e attiene al merito della controversia mentre, ciò che qui interessa, ai fini della decisione definitiva, è affermare l’inesistenza di un eventuale giudicato interno sulla determinazione dei danni in lire 378.000.000 ed in lire 232.750.000, altrimenti formatosi per effetto della mancata proposizione di appello incidentale, e rilevare la conseguente “elevazione” a oltre 38 miliardi dei limiti di intervento del giudice del gravame, anche se appare già importante il limite di 7.758.450.000 indicato dalle stesse parti appellanti. E questo, senza che si possa introdurre alcuna questione sul superamento delle indicazioni formulate dagli attori in primo grado in sede di precisazione delle conclusioni, posto che le parti soccombenti, pur nella consapevolezza del’errore, hanno espressamente riferito il vizio di ultrapetizione alla pronuncia sul danno biologico da invalidità permanente, limitatamente all’omessa valutazione dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa, ed alla pronuncia sui danni futuri da diminuzione di contributi patrimoniali ed utilità economiche.
Occorre, poi, evidenziare che la Corte di Cassazione, con le sentenze nn. 8827/8828 del 31.5.2003, la cui motivazione è stata in parte ripresa dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 233/03, e con la sentenza n. 19057 del 12.12.2003, ha definitivamente sancito il superamento della concezione del danno biologico, derivante dalla lesione all’integrità psichica e fisica della persona, come figura del danno patrimoniale, ricollocandolo, insieme al danno “esistenziale” da lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona diversi dal diritto alla salute, nell’ambito dell’art. 2059 C. C. (già comprendente quello morale soggettivo). La distinzione operata dal Tribunale –danno biologico da invalidità permanente-danno patrimoniale da lucro cessante da totale privazione della capacità lavorativa- risulta concettualmente sbagliata, in quanto non considera che la riduzione della capacità lavorativa “generica”, intesa come potenziale attitudine all’attività produttiva da parte di un soggetto che non svolge attività produttiva di reddito, né sia in procinto di svolgerla, rappresenta uno degli aspetti peculiari dello stesso danno biologico e non il lucro cessante di natura patrimoniale; non si pone, inoltre, in linea con la predetta interpretazione giurisprudenziale. Ora, il risarcimento del danno biologico in tutte le sue componenti essenziali (tra cui lesa capacità lavorativa, ridotta vita di relazione, compromesso stato di salute), in conseguenza delle lesioni subite fin dalla nascita per negligenza ed imperizia dei dipendenti della Casa di Cura S, non può essere negato alla FL, così come non può esserle negato il diritto al risarcimento del danno morale soggettivo, inteso come “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima” diverso dalla lesione alla sfera psico-fisica della persona, direttamente discendente da un fatto riconducibile al reato di lesioni colpose gravissime. Mentre, la deduzione della difesa dei S in ordine alla preunta incapacità della minore di percepire la gravità delle proprie condizioni, appare priva di pregio in quanto, per un verso, non pone in dubbio l’oggettiva sussistenza di una lesione dei diritti della persona di rango costituzionale (alla salute, al normale sviluppo psico-fisico, all’esplicazione delle attività lavorative etc.) e, per altro verso, non trova riscontro negli accertamenti tecnici effettuati (ove i medici si esprimono in termini di invalidità e non di “incapacità di soffrire”). Nel caso di specie, in cui la bambina è sopravvisuta per oltre tredici anni all’evento lesivo, il diritto al risarcimento costituisce un “bene” già entrato nel patrimonio del soggetto leso prima del decesso, certamente trasmissibile iure successionis, cosicchè può essere riconosciuto a favore degli eredi costituitisi in giudizio (cfr. tra le tante, Cass. N. 3549/2004; Cass. N. 11169/1994; Cass. N. 10271/1995; Cass. N. 1704/1997; Cass. N. 9470/1997; Cass. N. 1131/1999).
Il metodo utilizzato dal Tribunale per la quantificazione del danno biologico, oltre che portatore di risultati inaccettabili (lire 37.800.000.000 + lire 7.758.450.000), risulta inadeguato, perché non caratterizza la stima in relazione al caso concreto (cfr. fra le tante Cass. N. 4852/1999) e non rapporta i valori di cui R. D. n. 1403/1922 all’aumentata durata media della vita umana nel corso del XXI secolo (di 44 anni nel 1922 – cfr. Cass. N. 12124/2003); si rivela, inoltre, arbitrario in quanto utilizza il triplo della pensione sociale come parametro di riferimento (cfr. Cass. N. 6632/1997; Cass. N. 8344/1996; Cass. N. 9835/1996; Cass. n. 5134/98; Cass. n. 11532/98; Cass. n. 5271/95; Cass. n. 9835/96; Cass. n. 5005/96; Cass. n. 4236/97)). Reputa la Corte che il risarcimento debba essere rideterminato sulla base dei parametri indicati nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Cosenza dal I.10.99 (adottate e costantemente utilizzate da questo ufficio fin dal 2000), da “personalizzare” in relazione al caso concreto (fra le tante Cass. N. 4852/1999). Considerato che la FL è rimasta invalida al 100% dalla nascita con una inabilità permanente di media durata, la base di calcolo è offerta dal prodotto tra il valore a punto previsto dalle predette tabelle, rapportato alla data del 10.5.95 di redazione della sentenza di primo grado, pari ad euro 4.351,92 (euro 4.906,34 alla data del I.10.99, devalutati in relazione al coefficiente medio di svalutazione nel quadriennio 95/99 secondo i dati ISTAT-FOI, pari all’11,3%), con la percentuale di invalidità – 100%- e con il coefficiente di 1,7 relativo all’età del soggetto al momento dell’evento (0 anni), con un risultato di euro 739.826,4 (euro 4.351,92 x 100 x 1,7 = 739.826,4). La qualità della vita quotidiana della minore, connotata da ripetute sofferenze e dalla necessità di continua assistenza per un tempo sufficiente ad avvertirne appieno i disagi, la decadenza delle facoltà psico-fisiche, la severità delle lesioni subite, tanto gravi da avere avuto esito letale, rappresentano elementi che, globalmente considerati, conducono a ritenere equo un aumento di tale somma in misura del 30%; detto aumento può essere interamente compensato dalla diminuzione della quantificazione, discendente dal fatto che il soggetto è vissuto per un numero di anni (dal 26.6.81 al 9.1.95) inferiore alla durata media della vita umana, pur senza trascurare la significativa ampiezza dello spazio temporale intercorrente tra l’evento invalidante e la conseguente morte, il notorio maggior disagio avvertibile nei momenti immediatamente successivi all’evento dannoso o nel breve-medio periodo, la fondamentale importanza del periodo dell’infanzia e dell’adoloscenza nello sviluppo dell’individuo (cfr. sulla rilevanza della durata della vita del soggetto leso Cass. N. 3549/2004; Cass. N. 19057/2003; Cass. N. 7632/2003; Cass. N. 489/1999; Cass. N. 3561/1998). Per quel che concerne il danno morale da fatto reato la quantificazione può essere equitativamente effettuata, tenuto anche conto delle modalità del fatto lesivo, dell’entità e della durata della sofferenza provocata, in misura pari ad 1/4 del biologico (cfr. sulla legittimità del metodo Cass. N. 134/1998); in assenza di impugnazione incidentale, la pronuncia del Tribunale per euro 103.291,37, seppur ingiustificatamente inferiore a quanto indicato (739.826,4 x 1/4 = euro 184.956,6), deve essere confermata. La somma complessiva pari ad euro 843.117,77 (739.826,4 + 103.291,37), contemplando debiti di valore non ancora estinti, deve essere rapportata alla data della presente pronuncia mediante applicazione del coefficiente del 22,8% (equivalente alla variazione dei prezzi al consumo dal 10.5.95 al 5.4.2004 secondo i dati ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati- c.d. FOI) con un risultato pari ad euro unmilionetrentacinquemilatrecentoquarantot-to/62 (€ 1.035.348,62).
Il fatto lesivo fin qui preso in considerazione presenta indubbi caratteri di plurioffensività in quanto incide, in via immediata, su posizioni differenziate di soggetti diversi (cfr. Cass. SS. UU. N. 9556/2002). In particolare può riconoscersi una specifica compromissione del diritto, costituzionalmente garantito – artt. 2, 29 e 30, all’integrità del rapporto parentale, “all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia” (cfr. Cass. N. 12124/2003) proprio dei genitori della minore, distinto da quel pregiudizio alla salute, non riconosciuto in primo grado perché non provato, e distinto da tutte le altre posizioni soggettive del soggetto principale della lesione. Lesione che, nell’ipotesi in esame, realizza un danno prevedibile posto che, fin dal momento del ricovero della DL per il parto, il nucleo familiare della medesima appariva già percepibile in tutta la sua (futura) estensione, e facilmente individuabile e circoscrivibile in relazione alla effettiva compromissione del rapporto parentale in riferimento al periodo di sopravvivenza dell’inabile ed alla durata media della vita umana. Attesa l’intensità della lesione e la serietà e durata delle conseguenze nell’ambito della vita di relazione dei componenti della famiglia F-DL (non ultima la necessità di accudire la piccola L senza soluzione di continuità) la quantificazione operata dal Tribunale in misura pari a lire 50.000.000 - € 25.822,84 - per ciascun genitore, può essere confermata. Tale somma, rappresentando debiti di valore non estinti, deve essere “attualizzata” mediante applicazione del coefficinete di rivalutazione della lira ISTAT-FOI del 22,8% e portata ad € 31.710,44 per ciascun genitore (tot. = € 63.420,88). Il ragionamento appena proposto in tema di danno biologico a favore dei genitori del soggetto leso può essere utilizzato anche per quel che riguarda il danno morale a favore dei congiunti della vittima, con la precisazione che, per tale aspetto, deve tenersi conto anche del dolore per la morte della bambina cagionata dalle lesioni subite in epoca perinatale. Il danno, comunque, appare correttamente determinato dal giudice di primo grado in lire 200.000.000 -€ 103.291,37- per ciascun genitore, in relazione alla sofferenza derivante “dall’aver visto quotidianamente la propria figlia ridotta ad un essere impotente………cui si è aggiunto quello della prematura scomparsa”. Anche tale somma, rappresentando debiti di valore non estinti, deve essere “attualizzata” mediante applicazione del coefficinete di rivalutazione della lira ISTAT-FOI del 22,8% e portata ad € 126.841,4 per ciascun genitore (tot. = € 253.682,8).
Il Tribunale di Cosenza, senza alcuna motivazione, ha negato gli interessi compensativi decorrenti dalla data dell’evento lesivo (26.6.1981), limitandosi a concedere gli interessi legali dalla sentenza al saldo. La decisione non è stata oggetto di impugnazione incidentale e non può che essere, sul punto, confermata.
In parziale accoglimento degli appelli principali deve essere, invece, riformata la pronuncia in ordine ai danni patrimoniali. In vero il danno emergente derivante da esborsi per cure, assistenza e viaggi, pur se presumibilmente sofferto, non è stato per nulla dimostrato. Il danno futuro, indicato in lire 25.000.000, relativo alla perdita o diminuzione di contributi patrimoniali o di utilità economiche che “sia in relazione ai precetti normativi (artt. 315, 433, 230 bis C. C.), che per la pratica di vita improntata a regole etico-sociali di solidarietà familiare e di costume………il soggetto prematuramente venuto meno avrebbe apportato alla stregua di una valutazione che faccia ricorso anche alle presunzioni ed ai dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza” (cfr. sentenza gravata pag. 33), non compete atteso che, la totale invalidità fin dalla nascita e la morte in tenera età hanno, di fatto, reso impossibile qualsiasi attività della bimba a vantaggio del suo nucleo familiare.
Deve essere, infine, segnalata l’assoluta inconsistenza giuridica del motivo di gravame attinente all’omessa applicazione dell’art. 752 C. C.; la disposizione citata riguarda la ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi ma non esclude che i successori debbano solidalmente rispondere dei debiti del loro dante causa nei confronti dei terzi.
Conseguentemente, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, gli appellanti devono essere condannati al pagamento di euro 1.035.348,62 a favore di FE, DLF, FO e FT e di euro 317.103,68 a favore di FE e DLF, oltre interessi legali dalla decisione. La parziale soccombenza delle parti impugnanti nel presente grado di giudizio consente di confermare la pronuncia sulle spese di primo grado, di porre definitivamente a carico dei medesimi le spese delle consulenze e di condannarli al pagamento dei due terzi di quelle del giudizio di impugnazione, liquidate in complessivi euro 24.200,00, di cui euro 18.500,00 per onorario, euro 3.500,00 per diritti ed euro 2.200,00 per spese, oltre IVA e CAP, da distrarsi a favore del procuratore delle parti appellate.
P. Q. M.
La Corte d’Appello di Catanzaro, definitivamente pronunciando, a seguito di sentenza non definitiva di questa Corte n. 649 del 3.11/9.12/1997, sull’appello proposto da SG e SMR con atto notificato il 13.7.95, da SF e SR con atto notificato il 26.7.95, da VMT con atto notificato il 26.7.95 e dalla s. r. l. Casa di Cura Prof. GS, in persona del legale rappresentante, con atto notificato il 12.9.95, nei confronti di FE, DLF, FO e FT, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: 1) in parziale riforma dell’impugnata sentenza condanna SG, SMR, SF, SR, VMT e dalla s. r. l. Casa di Cura Prof. GS, in persona del legale rappresentante, al pagamento, in solido, di euro unmilionetrentacinquemilatrecentoquarantot-to e centesimi sessantadue –1.035.348,62- a favore di FE, DLF, FO e FT, nonché di euro trecentodiciasettemilacentotre e centesimi sessantotto – 317.103,68- a favore di FE e DLF, oltre interessi legali dalla presente pronuncia; 2) conferma la pronuncia relativa alle spese del primo grado di giudizio; 3) pone definitivamente a carico degli appellanti le spese di consulenza; 4) condanna gli appellanti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 24.200,00, di cui euro 18.500,00 per onorario, euro 3.500,00 per diritti ed euro 2.200,00 per spese, oltre IVA e CAP, compensate per un terzo, distratte a favore del procuratore delle parti appellate. Così deciso a Catanzaro, nella camera di consiglio della prima sezione civile del 5.4.2004. Il Consigliere estensore. Dott. Alberto Nicola Filardo
Il Presidente Dott. Giuseppe Vitale Sentenza n. 298/04 pubblicata il 7.5.2004 |
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