*** Sommario: 1) Premessa; 2) accertamento del fumus boni juris e del periculum in mora; 3) efficacia esecutiva del lodo arbitrale e poteri di sospensione del G.E.; 4) competenza del Giudice dell’esecuzione nella fase del “merito” a conoscere l’accertamento dell’esistenza di un contratto di locazione?; 5) considerazioni finali: questioni processuali sul passaggio dal rito ordinario a quello locatizio ex art. 447 bis e 426 c.p.c.
1) Premessa. La peculiarità dell’Ordinanza in esame, riportata in calce, emessa dal Giudice dell’esecuzione adito da una delle parti in contesa, consiste principalmente nella ritenuta competenza non solo in merito alla conferma della già dichiarata sospensione dell’efficacia di un lodo arbitrale, in considerazione delle non semplici - ed anzi controvertibili motivazioni espresse, soprattutto nella parte concernente l’esistenza o meno del fumus e dello stesso periculum - ma anche in relazione all’<auto-attribuzione> della competenza a decidere nel merito dell’insorta controversia, peraltro attinente ad un rapporto di locazione, ed in quanto tale, riservata nel rito alla cognizione funzionale del Giudice delle Locazioni. In particolare, a fronte di una intricata questione attinente all’esistenza di un autonomo contratto di locazione stipulato da un custode giudiziario nominato dal P.M. in sede penale, prima ancora che disquisire in ordine alla validità o meno del contratto - ed a monte, sull’esistenza o meno in concreto del predetto titolo - si supera con relativa facilità ogni questione, fondandola sulla ritenuta competenza a conoscere dell’esistenza o meno di un titolo esecutivo azionabile. Ma, a ben vedere, il problema si pone piuttosto anche in termini di sussistenza della giurisdizione in merito alla richiesta di sospensione di un lodo arbitrale, da un lato quella riservata per legge alla competente Corte di Appello, e, dall’altro, la questione “aperta” concernente l’efficacia esecutiva “in itinere” del lodo, laddove quest’ultimo venga comunque azionato nelle more della definitiva conferma del provvedimento di sospensione dello stesso. Altro aspetto degno di interesse, è sotteso allo stesso iter procedimentale seguito dal Giudicante, nell’enunciare le opportune statuizioni in ordine alla prosecuzione del giudizio nel merito, trattandosi pur sempre di controversia attratta nell’ambito del procedimento speciale di cui all’art. 447 bis c.p.c. nonostante fosse stata iniziata nelle forme dell’opposizione ordinaria all’esecuzione. In particolare, si pone ancora una volta l’annoso dubbio concernente la validità degli atti compiuti secondo la “tempistica” processuale del rito ordinario, che, com’è noto, diverge notevolmente rispetto a quella tipica del processo speciale vigente in tema locatizio, fin dall’introduzione della domanda, con riferimento sia alla forma (introduzione della domanda con ricorso anziché citazione) che al rispetto dei termini, cadenzati in modo differente. Proprio tale ultimo rilievo assume nella pratica una sempre maggiore ed importante connotazione, considerate tutte le possibili conseguenze a seconda della tesi sostenuta (ad es. in tema di inizio del giudizio di merito al termine della fase cautelare, conclusasi positivamente per il ricorrente). Delle due l’una: se il rito adottato nella fase sommaria è stato quello ordinario, nonostante la controversia rientri nell’ambito della competenza funzionale del Giudice delle “Locazioni” - come nella fattispecie in esame - l’inizio del giudizio di merito a seconda dello strumento prescelto (ricorso o citazione) potrà comportare importanti ed essenziali implicazioni ai fini della tempestività dell’introduzione del giudizio, con possibili ripercussioni anche sul piano del diritto sostanziale. (a mero titolo d’esempio, si pensi ad un’eccezione ex art. 669 terdecies c.p.c. sollevata dalla parte resistente, nell’ipotesi innanzi considerata, in cui iniziato il giudizio con la sola notifica dell’atto di citazione, quest’ultimo non sia stato anche depositato nel termine perentorio di cui all’art. 669 octies c.p.c.). 2) accertamento del fumus boni juris e del periculum in mora. E’ bene precisare subito come in assenza di specifiche indicazioni contenute nell'art. 830 c.p.c., i presupposti per la sospensione dell'esecutività del lodo arbitrale oggetto di impugnazione vanno desunti dall'art. 373 c.p.c. e, dunque, è necessaria l’esistenza di un grave ed irreparabile danno. Infatti, in tema di azione inibitoria, la sospensione dell'esecuzione del lodo risponde certamente ai parametri di cui all'art. 373 c.p.c. piuttosto che a quelli indicati dall'art. 283 c.p.c. per cui, conseguentemente, la pronuncia sull'istanza di sospensione è collegata ad una attenta e prudente valutazione circa la sussistenza di un danno grave ed irreparabile che deriva all'istante dall'esecuzione del lodo. Quindi, nell'ambito di tale giudizio, non potrebbe essere operata nessuna delibazione sommaria sulla fondatezza o meno dell'impugnazione, con riferimento al merito della controversia de quo, come puntualmente e scrupolosamente rilevato dal giudicante adito. Purtuttavia, esiste una rilevante corrente dottrinale che, sarebbe propensa a ritenere come ai fini della corretto esame dell’intera fattispecie considerata dinanzi al Giudice investito della questione, debba necessariamente assumere quale ulteriore componente d’indagine ai fini decisori in ordine alla valutazione dei "gravi motivi" di cui all'art. 283 c.p.c. ai fini della statuizione in relazione alla richiesta di sospensione dell'esecutività del lodo arbitrale, anche le prospettive circa la fondatezza dell'impugnativa proposta avverso il Lodo. In verità, il potere di sospensione dell'esecutività del lodo impugnato, previsto dall'art. 830 c.p.c., non può essere ritenuto svincolato da ogni criterio direttivo, il quale a sua volta, non può che essere rinvenuto da un lato nel "fumus boni juris" e dall'altro nell’esistenza del grave ed irreparabile danno (periculum) entrambi, da vagliarsi attentamente, caso per caso. Inoltre, il provvedimento, con il quale il giudice dell'esecuzione dinanzi al quale pende opposizione avverso l’esecutività del lodo arbitrale, ai sensi dell'art. 830 comma 2 c.p.c., accoglie o respinge l'istanza di sospensione dell'esecuzione del lodo medesimo, ha carattere ordinatorio, non decisorio, in quanto opera in via del tutto cautelare e temporanea, senza definire in tutto od in parte la controversia, nè comunque incidere sui diritti delle parti, e, pertanto, non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 cost. A sostegno di detta impostazione, lo stesso G.E. si è preoccupato di menzionare detti concetti - rimarcandoli - in diversi punto dell’Ordinanza, nella parte motiva. 3) efficacia esecutiva del lodo arbitrale e poteri di sospensione del G.E. Preliminarmente, si precisa che l'opposizione, deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione (e non come opposizione agli atti esecutivi) allorquando risulta diretta a contestare l’idoneità del titolo posto a fondamento dell'esecuzione affinché quest’ultimo possa essere considerato dotato dell'efficacia esecutiva, e, non quindi a denunciare sic et simpliciter meramente dei vizi formali, i quali, non escluderebbero l’esistenza del titolo e non inciderebbero sul diritto della parte a procedere all'esecuzione. Orbene, tanto premesso, con riguardo all'art. 826 c.p.c. deve osservarsi, che, proposta l'impugnazione della decisione arbitrale - come è avvenuto nella fattispecie - la competenza a decidere sulla richiesta di impugnativa del lodo spettava al giudice del gravame identificato nella Corte di appello territorialmente competente, che pure ebbe ad esprimersi con decreto emesso inaudita altera parte in ordine alla pronuncia della sospensione del lodo impugnato, salvo decisione in merito alla definitiva esistenza dei presupposti per statuire in ordine al fumus ed al periculum posti a base dei gravi motivi contemplati dalla normativa attuale. Relativamente alla tesi prospettata, deve poi
considerarsi che il provvedimento di sospensione della esecutorietà del decreto
ex art. 825 c.p.c. e quello di imposizione di una cauzione sono stati emessi ai
sensi dell'art. 618 c.p.c. e quindi in via strumentale rispetto alla decisione
sull'opposizione agli atti esecutivi secondo la qualificazione data dal
Tribunale. Pertanto la decisione arbitrale, così formata, viene a costituire necessariamente un atto complesso, risultante dal lodo propriamente detto, e, dal decreto di esecutività dell’Autorità Giudiziaria competente. Ne consegue che l'opposizione che trae motivo dalla irregolarità del decreto emesso, si sostanzia in un’eccezione di incompletezza del processo formativo del titolo esecutivo, per difetto di un elemento che ne condiziona l'esistenza, per cui la stessa è chiaramente configurabile come un’opposizione all'esecuzione, e, non un'opposizione agli atti esecutivi, essendo diretta a contestare la circostanza che il titolo posto a fondamento dell'esecuzione abbia i requisiti indispensabili per essere azionato nel procedimento, e, quindi, dotato dell'efficacia esecutiva (e non invece a denunziare semplicemente vizi dei forma, che, come già detto, non escludono l'esistenza del titolo, e, conseguentemente, non incidono sul diritto della parte istante a procedere all'esecuzione). 4) competenza del Giudice dell’esecuzione nella fase del “merito” a conoscere l’accertamento dell’esistenza di un contratto di locazione? Nella ipotesi di opposizione alla esecuzione proposta dopo che questa sia iniziata, ai sensi del comma 2 dell'art. 615 c.p.c., il giudice dell'esecuzione, ove la causa non rientra nella competenza dell'ufficio giudiziario al quale appartiene, è competente limitatamente alla prima fase, e quindi per l'esercizio dei poteri ordinatori di direzione del processo, dovendo invece rimettere la cognizione del merito al giudice competente, e, ove si tratti di rapporto la cui cognizione sia riservata al giudice del lavoro, a quest'ultimo giudice. Infatti, l'opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c., mentre abilita, senz'altro, il giudice dell'esecuzione a provvedere sull'istanza di sospensione, nel merito, deve essere conosciuta dal giudice competente, per decidere in ordine alla particolare materia trattata: il Tribunale ordinario quale Giudice funzionalmente competente per le cause in materia di Locazione. 5) considerazioni finali: questioni processuali sul passaggio dal rito ordinario a quello locatizio ex art. 447 bis e 426 c.p.c. La complessa Ordinanza emessa dal G.E. del Tribunale di Salerno, si segnala oltre che per i pregevoli passi volti ad analizzare la propria competenza, unitamente alla stessa fondatezza del fumus e del periculum così come addotti dalla ricorrente, anche per l’inquadramento della fattispecie de quo, iniziata con un’ordinario rito di opposizione all’esecuzione in sede civile, nel statuire ex art. 426 c.p.c. il passaggio al c.d. rito speciale, essendo inevitabilmente attratta nell’ambito della competenza funzionale del Giudice delle Locazioni. Infatti, con la legge 353-1990 si è introdotto un vero e proprio rito speciale delle locazioni, conformato su quello del lavoro, realizzata sostanzialmente con la tecnica, giudicata in dottrina alquanto discutibile, del rinvio limitato ad alcune norme del rito del lavoro - art. 447 bis c.p.c. - in relazione alle quali, si rende necessario disporre il mutamento del rito ogni qualvolta che trattasi di controversia inerente la suddetta materia. Sul punto, è opportuno partire dal 5° co. dell'art. 40 c.p.c. il quale disciplina l'ipotesi in cui la causa venga trattata con un rito diverso rispetto a quello da applicarsi ai sensi del 3° co. Per l’autorevole e maggioritaria dottrina, la violazione di tale norma non comporterebbe alcuna sanzione di nullità, ma imporrebbe al giudice di provvedere, con ordinanza, al mutamento del rito, secondo le disposizioni contenute negli artt. 426, 427 e 439 c.p.c., alle quali espressamente il comma in esame rinvia. Tanto, partendo anche dalla constatazione che una siffatta violazione potrebbe essere rilevata d’ufficio anche in grado di appello (l'art. 439 c.p.c., dettato a proposito del giudizio di appello rinvia a sua volta alle due norme citate). Ne deriva quindi, che gli atti compiuti, rispettivamente dalle parti e dal giudice nel corso del procedimento svoltosi con un rito rilevatosi successivamente errato in relazione alla competenza funzionale per materia del Tribunale, non sarebbero per questa stessa circostanza nulli, sicché gli stessi non dovrebbero essere rinnovati dopo che il giudice ha disposto il mutamento del rito, e, nel caso in cui il mutamento venga ordinato in grado di appello, non si avrebbe annullamento della sentenza, con conseguente rimessione della causa al giudice di primo grado, ovvero la rinnovazione degli stessi atti davanti al giudice di secondo grado, ma soltanto la conversione del rito errato con quello appropriato. E’ quindi ovvio come una conclusione di tal genere, non possa prescindere dall’affermare la piena validità ed efficacia - sotto ogni profilo, stante anche il principio di conservazione degli atti, vigente anche in ambito processuale – degli atti e dell’attività espletata secondo le norme ed i principi propri del rito applicato fino all’intervenuto mutamento ex art. 426 c.p.c. Quid juris per le decadenze e le preclusioni verificatesi secondo le norme proprie del rito speciale, nelle more della sua applicazione? In particolare, potrebbe verificarsi che un giudizio iniziato con il rito ordinario (sbagliato) per essere la materia funzionalmente delegata alla cognizione del giudice secondo il rito speciale, possa dar luogo ad eccezioni di decadenza o comunque preclusive di atti ed attività con gravissime ripercussioni sull’intero processo. In particolare, si pensi ad una controversia iniziata con il rito ordinario a seguito di una domanda cautelare accolta ante causam, - anziché con quello speciale, ed alle gravi conseguenze che deriverebbero dall’applicazione ex tunc di tale ultimo rito, prima ancora della pronuncia del provvedimento giudiziale ex art. 426 c.p.c. Infatti, ove dovesse propendersi per tale ultima soluzione, si avrebbe ad esempio nell’ipotesi considerata la declaratoria di inefficacia della misura già concessa ove non ritenuta rispettosa della disposizione dell’art. 669 octies c.p.c. (inizio del giudizio di merito entro il termine perentorio di trenta giorni). Infatti, diverse sono le differenze dei due riti, uno (inizia con la notifica dell’atto di citazione alla controparte, momento che segna il dies a quo della lite) l’altro con il deposito del ricorso in Cancelleria, che a sua volta segna l’inizio della controversia caratterizzata dalla sua cognizione dinanzi al Tribunale adito, e, solo in un secondo momento, a seguito dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti, con la conoscenza alla parte resistente. Tanto, poiché radicalmente diversi sono i principi informatori delle due azioni e delle procedure insite rispetto alle prime: l’una permeata da aspetti pubblicistici, stante la natura collettiva del bene della vita che si intende tutelare, e, l’altra da aspetti per così dire tipici degli interessi afferenti allo jus privatorum ed in quanto tali, meritevoli di essere portati direttamente ed immediatamente alla conoscenza della controparte. Orbene, a ben vedere, poiché evidenti sono le strutture dei riti considerati (e la natura degli interessi tutelati), non può che considerarsi la piena validità degli atti compiuti, anche sotto il profilo della salvezza delle decadenze verificatesi secondo il rito c.d. giusto, deponendo in tal senso almeno due ordini di ragioni: la prima basata sulla indubbia valenza del disposto normativo dell’art. 426 c.p.c. dal quale non possono certo farsi discendere effetti retroattivi, men che mai pregiudizievoli per gli interessi delle parti, e la seconda, in relazione alla “tipologia” del rito adottato ab origine, sia pure erroneamente. L'assunto posto a fondamento della questione, che, trattandosi di controversia rientrante nella competenza funzionale del Giudice delle Locazioni, la relativa azione avrebbe dovuto essere proposta con "ricorso" da depositarsi in cancelleria nel termine perentorio indicato dalla Legge o dal Magistrato, sarebbe stata fondata solo ove ad emettere il relativo provvedimento fosse stato il Tribunale quale giudice funzionalmente competente per le cause di Locazione. Infatti, a seguito della entrata in vigore dell’art. 447 bis c.p.c. il giudizio vertente sulla materia innanzi considerata, deve essere introdotto con le forme proprie del rito del lavoro, e cioè con ricorso - artt. 414 e 415 c.p.c. - da depositarsi nella cancelleria del Tribunale, entro il termine perentorio indicato dalla norma di legge considerata nel singolo caso specifico, ovvero dal Tribunale stesso, con la conseguenza che il giudizio proposto con atto di citazione notificato entro il detto termine ma depositato successivamente, dovrebbe considerarsi tardivo. Quando trattasi, invece, come nel caso in
esame, di opposizione iniziata nelle forme ordinarie, sia pure con inosservanza
della regola sulla competenza in materia di controversie di lavoro, il giudizio
stesso dovrà essere considerato ritualmente e tempestivamente proposto, salvo
il successivo mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. disposto dal Tribunale. In attesa di un intervento legislativo chiarificatore, quindi, non resta che prendere atto di una attuale incertezza della situazione, laddove ci si spinga al “limite” di una evidente conflittualità tra i diversi riti presi in considerazione: ordinario e speciale, sia pure nelle rispettive fasi applicative. Vito Amendolagine Avvocato
TRIBUNALE DI SALERNO Quarta Sezione Civile Ufficio esecuzioni mobiliari Il Giudice dell’esecuzione letti gli atti della procedura esecutiva a margine indicata e sciogliendo la riserva formulata all’esito dell’udienza del 09.06.2003; rilevato che è prodotto decreto di sospensione dell’esecutività del lodo arbitrale su cui si fonda l’esecuzione (decreto del Presidente della Corte di Appello di Bari in data 4.6.2003 n…….) peraltro limitato nel tempo al giorno 10 c.m., sicché non si è in grado di stabilire se esso sia o meno stato confermato dal Collegio dinanzi al quale è stato impugnato il lodo; ritenuto, al solo fine di valutare la sussistenza o meno dei gravi motivi in base ai quali sospendere l’esecuzione che: non rileverebbe giammai il periculum, in quanto qualunque esecuzione in base ad un titolo esecutivo giudiziale provvisorio comporta di per sé l’assoggettamento del debitore ad una diminuzione patrimoniale, la quale ultima però è del tutto conforme a legge, siccome estrinsecazione della potestà della controparte di agire appunto in base ad un titolo provvisorio, mentre la valutazione del periculum influisce esclusivamente sulla domanda c.d. di inibitoria dispiegata al giudice della cognizione e precisamente delle impugnazioni avverso il titolo esecutivo; il motivo dell’inesistenza di un titolo esecutivo va conosciuto certamente dal giudice dell’esecuzione, a dispetto delle preoccupazioni dell’opposto, in quanto esso costituisce ordinario argomento di contestazione dell’an debeatur ed anzi resta devoluto esclusivamente appunto al giudice dell’esecuzione, da definirsi come istituzionalmente unico competente a stabilire, una volta iniziata la procedura esecutiva, se essa sia o meno sorretta da un titolo; peraltro, il lodo appare sufficientemente chiaro (sia ben chiaro, se non altro prima facie ed ai limitati fini della disamina dell’istanza di sospensione, e quindi senza pregiudizio della finale decisione all’esito della fase di merito della presente opposizione) sia nel porre in testa ad una delle due parti, cioè alla …..un vero e proprio obbligo di rilascio, sia, conseguentemente, un diritto di credito della …..a conseguire il rilascio stesso; Tuttavia, il motivo sulla sussistenza di un nuovo titolo a detenere pare invece integrare un fumus boni juris in favore dell’opponente (sempre - beninteso - prima facie ed ai limitati fini della disamina dell’istanza di sospensione; e quindi senza pregiudizio della finale decisione all’esito della fase di merito della presente opposizione); Infatti, la presenza di un contratto di locazione stipulato dal custode pro tempore nominato dal Pubblico Ministero del procedimento penale nei cui corso era stato sequestrato il complesso immobiliare di cui si tratta può considerarsi ostativa alla prosecuzione dell’esecuzione, potendo in astratto argomentarsi per la possibilità di qualificare detto contratto come titolo autonomo a detenere, in capo alla ….; a tanto almeno fino a quando il contratto stesso non sia posto nel nulla, o in via principale con autonoma azione, ovvero in via riconvenzionale, ad esempio quale opposto in un’opposizione ad esecuzione; la questione non può ritenersi affrontata e tanto meno risolta od assorbita dal lodo arbitrale, sul punto carente di giurisdizione dovendo ritenersi gli arbitri: i quali, per la verità, effettivamente fanno riferimento (e per la verità, non si vede come potrebbero fare altrimenti) ad obblighi di restituzione derivanti dai contratti che contenevano le clausole compromissorie su cui l’arbitrato stesso si fondava; contratti ai quali non può in alcun modo ricondursi quello stipulato dal custode giudiziario e dalla …..; agli atti compiuti dal custode giudiziario in sede penale potrebbe trovare applicazione, invero, per analogia la disciplina civilistica in ordine alla legittimità ed opponibilità dei contratti stipulati dal custode, sicché - non risultando alcuna formale contestazione di questa - l’autorizzazione a suo tempo concessa dall’autorità giudiziaria penale dovrebbe fondare a sufficienza (sempre in via di prima approssimazione) l’opponibilità del contratto alle parti del processo penale medesimo, se non ai terzi; tutte le censure che l’opposta muove al contratto (pagg. 14 es. della sua memoria) contengono invero argomenti per fondare una pronuncia costitutiva di risoluzione o una declaratoria di inefficacia, ma non possono bastare, dinanzi al dato formale dell’esistenza del contratto, ad inficiarne tout court l’operatività e l’efficacia: non la contestazione sui presupposti dell’istanza di autorizzazione (che, ripetesi, non consta essere stata contestata in sede penale); non il lamentato conflitto di interessi del custode giudiziario pro tempore, motivo di mera annullabilità del negozio; non la tesi sull’interrelazione tra la durata del contratto e quella del solo sequestro penale, la quale, dinanzi alla chiara diversa previsione contrattuale, dovrebbe essere oggetto di una esplicita riconvenzionale, non il dedotto eccesso dei poteri del custode nel sequestro preventivo rispetto alle disposizioni di cui all’art. 321 cod. proc.pen. involgendo anche in tal caso una contestazione dei presupposti del contratto e del provvedimento reso in sede penale, che non è consentita al giudice dell’esecuzione (tanto meno civile), non la tesi della non estensione degli effetti del contratto, la quale ultima invece discende normalmente dalla ritualità della stipula dello stesso e può essere fatta valere sia ex art. 615, sia ex art. 619 (almeno secondo una tesi interpretativa, peraltro non prevalente) cod.proc.civ.; anche l’ordine, eventualmente conseguito in sede penale al momento del dissequestro (con provvedimento indicato dall’opposta come sub 12 nella produzione di parte, ma di non facile reperibilità) di restituzione alla …..del bene già oggetto di sequestro e poi di contratto di locazione, non può essere eseguito in sede civile, ma ben potrà l’avente diritto instare, in sede penale, per l’esecuzione in quella sede, sempre che persino il giudice penale possa tralasciare l’esistenza di un formale e - almeno in apparenza - valido contratto di locazione ritualmente autorizzato proprio nel corso del procedimento penale stesso, nonché gli effetti che ne derivano; non rilevano le doglianze in rito sull’incompletezza del ricorso, in quanto solo con il passaggio alla fase di merito (dopo la valutazione delle istanze cautelari) si maturano le relative preclusioni e vigono le relative prescrizioni, sanzionate da specifiche nullità; non convince la tesi della devoluzione per implicito al Collegio arbitrale anche della questione relativa al nuovo contratto: a parte i forti dubbi sulla stessa configurabilità di una clausola compromissoria implicita, una delle parti del nuovo contratto non avrebbe mai potuto aderirvi, visto che si trattava del custode nominato in sede di sequestro preventivo penale; ritenuto, in sostanza, che l’istanza di sospensione non possa essere che accolta, con conferma peraltro - per la carenza di fumus su almeno due aspetti o questioni fondamentali pure poste a base dell’opposizione - dell’imposta cauzione; sicché il decreto di sospensione va confermato anche ex art. 625 cod.,proc.civ.; ritenuto, quanto alla fase di merito, che si tratta di opposizione ad esecuzione fondata almeno in parte su un titolo locatizio, in quanto parte opponente deduce la presenza e l’opponibilità di un suo autonomo titolo a detenere, costituito da un contratto di locazione: sicché deve provvedersi, quanto al prosieguo dell’opposizione, ex art. 447 bis cod.proc.civ. con le modalità meglio descritte in dispositivo; considerato, al riguardo, che la peculiarità della materia e l’urgenza di provvedere in rapporto anche all’utilizzo del bene impongono una trattazione assai celere; ritenuto che sulla scorta della cauzione dovrà provvedersi oramai soltanto con la sentenza che in primo grado definirà la presente opposizione; p. q. m. 1. letti gli artt. 616 s. e 625 cod.proc.civ. conferma il decreto di sospensione concesso inaudita altera parte e accoglie in via definitiva l’istanza di sospensione dell’esecuzione, come identificata nella procedura iscritta al n….con la cauzione imposta nel decreto medesimo; 2. letto l’art. 447 bis cod.proc.civ. rimette quanto alla presente opposizione, le parti per il merito dinanzi a sé, quale giudice istruttore civile, all’udienza di cognizione di mercoledì….. con onere al ricorrente - o alla più diligente tra le parti - di iscrivere la causa a ruolo generale contenzioso mediante copia del ricorso introduttivo, del verbale di causa e del presente provvedimento entro il nono giorno antecedente la detta udienza; 3. letti gli artt. 447 bis e 426 cod.proc.civ. fissa alle parti termine perentorio per la proposizione di istanza o memorie integrative, fino al quinto giorno antecedente detta udienza.Si comunichi con urgenza alle parti costituite. Salerno, 12.06.2003 Il Giudice dell’esecuzione in funzione di giudice dell’opposizione (dr. Franco De Stefano) depositata in cancelleria il 12.06.2003
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