*** La tolleranza non può essere considerata un mero corollario dei diritti di libertà inerente la natura umana ovvero un puro atteggiamento morale che testimoni l’ evoluzione sociale e politica di una nazione, ma deve essere autonomamente qualificata e tutelata come diritto soggettivo, attraverso idonei strumenti nazionali ed internazionali. Il valore della tolleranza deve rappresentare un’ educazione degli individui all’ applicazione ed al rispetto dei diritti dell’ uomo, generato dalla coscienza della fratellanza umana. Già nella Bibbia si raccomandava il rispetto per lo straniero ed il valore etico del riconoscimento della dignità umana[1]. Ma è nell’evoluzione storica del diritto di libertà religiosa che si può giungere a cogliere l’ esigenza di codificare il c.d. diritto alla “diversità”. Nel XVII secolo, sulla scorta dell’ elaborazione sistematica del giusnaturalismo, si definiva il concetto di Nazione e di Stato e si affermava l’ esigenza di una dipendenza comune tra gli uomini per realizzare la salvezza della vita e del bene comune. Nel pensiero di Thomas Hobbes, infatti, la “mutua dipendenza” tra gli uomini assume un valore pubblico e John Locke nella sua “Lettera sulla tolleranza”, dopo avere sottolineato che tutte le religioni umane hanno il diritto di essere professate liberamente, afferma che “nessuno è legato dalla natura ad una chiesa od ad una setta particolare, ma ognuno si unisce volontariamente alla società nella quale egli crede di avere trovato quella professione di fede o quel culto che più risponde ai dettami della propria coscienza”[2] Fu proprio il pensiero illuminista inglese che formulò il concetto di tolleranza in connessione al concetto di società; l’ illuminismo francese lo pose alla base di una radicale riforma sociale e statale, premonitrice del moderno Stato laico. Nel fermento innovativo seguito alla Rivoluzione francese, la “Dichiarazione dei diritti dell’ uomo e del cittadino” del 1789, all’ art.10, affermò per la prima volta che “nessuno può essere inquietato per le sue opinioni, nemmeno per quelle religiose, purché la loro manifestazione non turbi l’ ordine stabilito dalla legge”[3]. Il valore della tolleranza trovava in tale norma la sua prima definizione quale diritto soggettivo:l’ individualismo divenne così il superamento della concezione organica dello Stato assoluto, che si poneva come un’entità al di sopra degli individui e di cui il sovrano era l’ espressione unificante ed accentratrice[4]. L’ art. 10 della “Dichiarazione dei diritti dell’ uomo e del cittadino” del 1789 si correlava strettamente con l’ art. 2 della medesima Dichiarazione, nel quale si postulava la nascita della tutela giuridica dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’ uomo, posti in seguito alla base della Costituzione francese e di altre Costituzioni anche fuori dell’ Europa. Il generale principio di “fraternità” trovava in tal modo la sua specificazione sicuramente nel diritto alla tolleranza, anche con riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero e delle opinioni religiose. Ma successivamente, nell’ evoluzione borghese del concetto di Stato, il principio di fratellanza o tolleranza, divenne alternativamente corollario del principio di libertà oppure di quello di uguaglianza. Erano questi i prodromi di quella crisi della cultura liberale di fine ottocento a causa della quale il principio di tolleranza venne a subire delle profonde alterazioni in relazioni alle nascenti teorie statocratiche. Tale principio infatti , proprio per la sua funzione strumentale ed integrativa,venne facilmente esautorato dalle ideologie totalitarie che ebbero nel novecento la loro più ampia espressione nell’ ideologia nazista ed in quella comunista.
La Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo del 10 dicembre 1948 ed il diritto alla fraternità-tolleranza.
Alla fine della seconda guerra mondiale, nel fermento di idee che seguì l’ orrore e lo sgomento per la conoscenza dei misfatti nazisti, si posero le basi per la nascita di quell’ umanesimo integrale che proponeva la nascita di una “città fraterna”, nel quale l’ uomo fosse libero dalle prevaricazioni sociali ed economiche[5]. Il diritto alla tolleranza, la cui fondamentale necessità era in quel momento ampiamente compresa , trovò il suo spazio nella Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo del 1948, all’ art.18, in cui si affermava che ogni persona è centro d’ imputazione del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e religione. L’ affermazione di tale diritto implica, peraltro la libertà-facoltà di cambiare religione o convinzione,nonché la libertà di manifestare la propria religione o convinzione, individualmente o com’unitariamente, in pubblico ed in privato attraverso l’insegnamento, le pratiche, il culto e la partecipazioni ai riti. I pilastri fondamentali della Dichiarazione universale del 1948 furono senza dubbio i diritti “naturali” della persona, ma non si riuscì in sostanza a svincolare l’ individuo dalla sua soggezione allo Stato ed alla sua appartenenza territoriale. Il risultato raggiunto fu invero quello di teorizzare i fattori di unificazione della società internazionale, ma gli Stati recepirono con estrema difficoltà le implicazione connesse all’ art. 18 della Dichiarazione Universale. Fu necessario, infatti, attendere sino al 21 dicembre 1965 perché si predisponesse da parte dell’ ONU la Convenzione internazionale sull’ eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale , all’ interno della quale era disciplinata la tutela del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di opinione e di espressione. Risulta evidente che il diritto alla tolleranza in quella sede ha indubbiamente assunto il connotato di principio ispiratore di tutta la citata convenzione. Successivamente, il 16 dicembre 1966, furono adottati da parte dell’ ONU due specifici Patti al fine di rendere maggiormente vincolante l’ osservanza dei diritti fondamentali dell’ uomo da parte degli Stati membri, anche attraverso l’esercizio del diritto di petizione (ad un Comitato dei diritti dell’uomo avente carattere sopranazionale) concesso alle vittime delle violazioni dei diritti dell’uomo e parimenti nel riconoscimento del diritto dei gruppi e dei popoli oppressi a ribellarsi contro i regimi dispotici. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, ai fini di una sua più efficace applicazione venne adattata alle diverse realtà geografiche e geopolitiche, per cui si determinò una forma di “regionalizzazione” dei diritti fondamentali attraverso specifici strumenti normativi internazionali. In tale ottica si collocano per restare in ambito europeo la Convenzione europea dei diritti dell’ uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 ,cui sono correlabili l’ Atto finale di Helsinki dell’ agosto 1975, la Dichiarazione sull’ intolleranza adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 14 maggio 1981,la Dichiarazione sulla libertà di espressione ed informazione adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’ Europa il 29 aprile 1982 ed ,in ultimo ,la raccomandazione n. R(87)8 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’ Europa agli Stati membri- relativa all’ obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio- adottata il 9 aprile 1987.
La Convenzione Europea dei diritti dell’ uomo del 4 novembre 1950 ed il diritto alla tolleranza.
La Convenzione europea dei diritti dell’ uomo ha assunto immediatamente un valore giuridico fondamentale, per il semplice fatto che con essa non ci si limita a denunciare principi programmatici. Difatti, non solo si prevede un obbligo astratto per gli Stati di tutelare l’ applicazione ed il rispetto di specifici diritti, ma si predispone una vera e propria tutela giurisdizionale delle stese posizioni giuridiche soggettive attive. In base a questo sistema giurisdizionale di controllo sopranazionale (con il preliminare filtro della Commissione Europea dei diritti dell’ Uomo) la Corte Europea dei diritti dell’ uomo ed il comitato dei Ministri del Consiglio d’ Europa hanno il potere di emettere decisioni o condanne vincolanti a carico degli Stati firmatari in tema di lesioni dei diritti fondamentali, in seguito ad una procedura contenziosa promossa nei loro confronti dalle singole persone o gruppi od organizzazioni non governative. Nell’ attuazione della tutela giurisdizionale dei diritti dell’ uomo, infatti, ad ogni individuo ( o gruppi di individui) che ritenesse leso un proprio fondamentale diritto -sia pure dopo avere esaurito le vie (interne) di ricorso giurisdizionale- si è riconosciuto il potere di chiamare lo Stato sul banco degli imputati. Per avviare tale procedura( internazionale) a carico dello Stato, è sufficiente una semplice lettera-denuncia, inviata per posta dall’ individuo alla Commissione Europea dei Diritti dell’ Uomo a Strasburgo. Nel preambolo della Convenzione europea dei diritti dell’ uomo si impone agli stati firmatari di prendere delle misure atte a garantire ed assicurare la tutela collettiva dei diritti della Convenzione. Tale garanzia “collettiva” si identifica sicuramente nel divieto per gli Stati di porre in essere condotte positivamente violativi della Convenzione, ma anche nel divieto di adottare comportamenti omissivi che consentano a terzi di violare le norme della Convenzione[6]. Dal punto di vista sostanziale e per il tema oggetto della nostra disamina, la Convenzione europea ha previsto , non solo il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione (art.9), non solo il diritto (art.10) alla libertà di espressione (art.10), non solo il diritto alla libertà di riunione pacifica e di associazione, ma soprattutto ha codificato all’ art. 14 il principio di non discriminazione degli individui nel godimento di tutti i diritti della Convenzione. Con l’ art. 14 la Convenzione ha dato uno specifico spazio normativo al più generale diritto alla tolleranza , considerata il tessuto connettivo degli stessi diritti di libertà in essa contemplati, riconosciuti e protetti. Probabilmente al momento della sua formulazione l’ art. 14 della Convenzione non aveva lo stesso valore fondamentale che ha acquisito progressivamente nell’ evoluzione interpretativa da parte dei teorici e degli operatori del diritto. Per cui, dopo più di cinquant’anni dalla sua stesura, appare necessario rileggere la Convenzione ed i suoi articoli alla luce delle tragiche sfide politiche,giuridiche e culturali che l’ odierno insorgere di terribili fenomeni criminali transnazionali quali il terrorismo di matrice fondamentalista pone non solo al nostro Continente ma all’ intero Universo delle Nazioni libere e civili. Secondo la più avveduta dottrina[7] l’ art.14 della Convenzione non tutelerebbe solo un generico diritto di eguaglianza , ma imporrebbe agli Stati “il dovere di garantire a ciascun individuo l’ esercizio dei suoi diritti a condizioni di parità con altre persone e “vietando ogni disparità giuridica che possa essere qualificata discriminatoria”[8]. Il diritto alla tolleranza od alla non discriminazione ,trova tradizionalmente il suo ambito di applicazione in relazione all’ applicazione in relazione alla garanzia dei diritti di libertà religiosa. La Corte europea dei diritti dell’ uomo, nella sua funzione di suprema garante dei diritti dell’ uomo, ha affrontato il problema della tutela del diritto di libertà religiosa sotto il profilo della tutela individuale e dell’ appartenenza ad un credo di minoranza. Alla luce della Convenzione Europea , appare chiaro che i singoli Stati devono realizzare pienamente la loro laicità, senza partecipare a specifiche scelte religiose, culturali od ideologiche , pur tutelando la specificità storica del proprio patrimonio religioso, nel quadro di una laicità autentica e depurata da forzati “laicismi”. Un problema di particolare importanza è rappresentato dalla presenza negli Stati europei di molteplici sette religiose di eterogenea tradizione religiosa. Ed è in relazione alla loro penetrazione nel tessuto connettivo della nostra società che si pongono non facili problemi in ordine alla realizzazione del principio di non discriminazione[9] Già nel 1984 il Parlamento europeo, con la relazione Cotrrel , si era occupato della diffusione delle sette e dei nuovi movimenti religiosi e nel 1993 l’ Assemblea parlamentare del Consiglio d’ Europa con la raccomandazione 1202 aveva fissato le linee essenziali per la realizzazione della tolleranza religiosa in una società democratica, affermando che l’ Europa occidentale “ha elaborato un modello di democrazia laica in seno alle quali diverse religioni sono per principio tollerate”[10]. Tuttavia la stesso sistema di “società aperta” –per usare un’espressione cara al politologo e filosofo del diritto Karl Popper- allo stato attuale appare profondamente in crisi ,minato dal paradosso tipico del liberalismo giuridico: è doveroso o meno predisporre sul piano del diritto delle misure restrittive della libertà di manifestazione del credo religioso, filosofico od ideologico di coloro che opponendosi -anche con una violenza meramente verbale- al valore della tolleranza minano le basi della pacifica convivenza dei popoli civili e dei loro consociati? In altri termini è lecito -se non addirittura doveroso- essere “intolleranti” nei confronti di ogni forma di “intolleranza”? L’ eliminazione di questa aporia giuridica è alla base delle soluzioni giuridiche e politiche che le tragiche sfide della quotidianità internazionale e nazionale impongono alla nostra weltanschauung. La frequenza e la virulenza di ripetuti- se non propriamente seriali- manifestazioni di intolleranza dimostrano una sempre maggiore arroganza di gruppi contro altri gruppi, contentativi di prevaricazione e di annullamento dell’ avversario. Incombe quindi alla Comunità internazionale ed alle singole Realtà statuali l’obbligo di predisporre gli strumenti atti a proporre – se non addirittura imporre (?!)- una cultura giuridica e politica incentranta sul diritto alla tolleranza, al fine di realizzare la costruzione di un nuovo ordine mondiale che respinga ogni connivenza anche se marginale con qualsivoglia fenomeno- più o meno strutturato- di integralismo o discriminazione.
Note:
* Relazione dell’ Autore al Convegno organizzato dalla Lega Mediterranea per la Libertà Religiosa sul tema “ Il futuro di Dio: i diritti delle religioni nell’era della globalizzazion.e” svoltosi a Palermo il 21.06.2002. L’Autore- nella stesura del presente saggio- ha volontariamente mantenuto lo stile schiettamente divulgativo della prolusione esposta in quella sede.
[1] Lev. 19:34; Deut. 22:1-4; Mt. 5:44 [2] J. LOCKE, Lettera sulla tolleranza , Ed. La Nuova Italia, 1990; MANICAS P.T., Storia e filosofia delle scienze sociali, Ed. Lucarini,1987 [3] G. TAMAGNI, Rivoluzione francese e diritti dell’ uomo, alcuni pro e conto, Ed. Macchi, 1988 [4] E. BURKE, << Speech on the Economic Reform>>, (1980), in Works, volume II,London,1906, pag. 357 [5] J. MARITAIN, I diritti dell’ uomo e la legge naturale, Milano, 1977 [6] Sotto quest’ ultimo aspetto , in particolare, la Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo ha affermato che: “ […] gli Stati rispondono nei confronti degli organi della Convenzione anche per i comportamenti di soggetti privati e ciò perché, in base ai principi generali riconosciuti dal diritto internazionale , l’ obbligo dello Stato comporta l’impegno di evitare violazioni da parte di qualsiasi soggetto che operi nell’ ambito dell’ ordinamento interno (sentenza 13.08.1981 Young, James e Webster contro regno Unito)”. [7] Cfr. per tutti:; R. MONACO, “La libertà religiosa nella convenzione europea dei diritti dell’ uomo” in Studi in memoria di P. Gismondi, Milano, 1992, vol. II, pag. 33 e ss. [8] J.MARTINEZ- TORRON, “La giurisprudenza degli organi di Strasburgo sulla libertà religiosa” in Riv.int. dei diritti dell’uomo,- Mag-Ag 1993. [9] Rapporto del Sudan al Comitato dei diritti dell’ uomo del 10.7.1991 avente ad oggetto “Considerazioni sul Crimine di apostasia previsto dal codice penale sudanese”. [10] J. ROBERT, Atti conclusivi del Seminario dedicato ai nuovi movimenti religiosi, Parma 9-11 maggio 1988; Assemblea Parlamentare del Consiglio d’ Europa, Rapporto sulle sette ed i nuovi movimenti religiosi (1991), doc 6535; M. DEL RE , Nuovi idoli,nuovi dei,culti e sette emergenti di tutto il mondo. Guru, santoni,manipolatori di anime,Ed Gremese,1988 .Si segnala infine che, in occasione dell’ anno(1995) delle Nazioni Unite per la tolleranza, la Commissione italiana nazionale per l’UNESCO ha tenuto una “Conferenza Internazionale su Tolleranza e Legge” (Siena 8-10 aprile 1995). |
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