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LA RESPONSABILITA' DEL PRODUTTORE DI SIGARETTE IN ITALIA, FRANCIA E STATI UNITI D'AMERICA |
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di Luisa Nava |
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Indice
SEZIONE I
LO SCENARIO GIURIDICO ALL'ALBA DELLA RIFORMA COMUNITARIA.
SOMMARIO : 1. Introduzione. 2. Le teorie contrattuali sulla responsabilità del fabbricante : a) La dottrina precedente e successiva all'adozione del Code Napoléon; b) La giurisprudenza ; c) L'action directe. 3. Le teorie extracontrattuali sulla responsabilità del fabbricante. 4. I recenti sviluppi giurisprudenziali. 5. La responsabilità da informazioni inesatte. 6. La garanzia per i vizi nascosti.
1. INTRODUZIONE.
L'esperienza francese sulla responsabilità del produttore mostra che oltralpe ci si è spinti più in là nella tutela del danneggiato rispetto a quanto è avvenuto in Italia : innanzitutto sono state oggetto di analisi ed applicazione le norme del Code Civil dedicate alla vendita e ai fatti illeciti, mentre lo sforzo congiunto della dottrina e della giurisprudenza contribuiva a colmare quel vuoto legislativo che invece ancora esisteva in Italia prima che entrasse in vigore la direttiva 85/374.
In Francia infatti si era riusciti ad adattare gli strumenti messi a disposizione dal diritto civile tradizionale al fenomeno della proliferazione dei danni come risultato della produzione di massa.
Quindi, prima di analizzare la normativa comunitaria, è opportuno passare in rassegna le teorie che riconducono la responsabilità del fabbricante alla matrice contrattuale ed extracontrattuale, con un accenno ai recenti sviluppi giurisprudenziali. [1] Da ultimo saranno trattati due istituti molto importanti nell'ambito della responsabilità del produttore, vale a dire la responsabilità da informazioni inesatte e la garanzia per i vizi nascosti.
2. LE TEORIE CONTRATTUALI SULLA RESPONSABILITA' DEL FABBRICANTE.
A) LA DOTTRINA PRECEDENTE E SUCCESSIVA ALL'ADOZIONE DEL CODE NAPOLEON.
La circolazione di prodotti difettosi, in ogni ordinamento giuridico, ha posto innanzitutto dei problemi di responsabilità contrattuale e solo in un secondo momento ha interessato l'ambito extracontrattuale.
La consegna da parte del venditore di merci dannose è un'ipotesi tipica di adempimento del contratto (cioè di adempimento dell'obbligazione posta a carico dell'alienante di "far avere la cosa" al compratore in "modo utile"). La consegna di cose difettose ovvero inadatte all'uso cui le vuole adibire il compratore rappresenta allora un'ipotesi di consegna di cosa diversa dalla pattuita e di consegna di cosa priva delle qualità che si reputano essenziali. Essa lede gli interessi economici dell'acquirente, sia sotto il profilo del conseguimento di certe utilità, derivanti dall'impiego della cosa, sia sotto il profilo del "valore intrinseco" della cosa, diminuito dalla presenza di difetti.
Il danno subito dal consumatore rappresenta una delle voci che compongono il rischio inerente al contratto di vendita e che deve essere distribuito tra i contraenti secondo criteri previsti dalla legge, dagli usi o da pattuizioni autonome degli interessati. Ne deriva quindi che l'acquisto di prodotti dannosi rientra perfettamente nell'ambito della disciplina della garanzia per vizi della cosa.
Nel suo trattato sulla vendita Pothier indica con precisione il contenuto della garanzia, che consiste nella responsabilità in cui incorre il venditore che abbia consegnato all'acquirente una cosa affetta da vizi. Il venditore infatti deve consegnare una cosa "idonea all'uso", immune da vizi o difetti, mentre il trasferimento di una cosa viziata è tale da "rendre ou presque inutile, ou meme quelquefois nuisible l'usage pour le quel cette chose est dans le commerce". E' comunque compito degli usi di commercio, degli usi locali e delle regole consuetudinarie della vendita di identificare e selezionare i vizi che determinano la responsabilità del venditore. Inoltre secondo Pothier i vizi non devono essere noti all'acquirente, non devono essere oggetto di clausole di esclusione della garanzia pattuite concordemente dalle parti, né devono essere sorti in tempo successivo alla conclusione della vendita.
Poiché la disparità di potere contrattuale delle parti può essere notevole se una di esse è un commerciante, un soggetto, cioè, professionalmente dedito ai commerci, Pothier avverte che "il venditore non deve approfittare del poco senno che il compratore dimostra nell'acquisto della cosa". Ed è proprio per ristabilire l'equilibrio tra le parti che egli riserva un particolare regime di responsabilità al "venditore professionale" o al "fabbricante". Infatti è sul venditore professionale o sul fabbricante che grava il rischio dei danni sofferti dal compratore per i vizi (occulti) della merce. Il principio su cui si basa tale regola è il seguente : chi ha maggior esperienza la deve usare ; se non lo fa, anche involontariamente, la sua esperienza si trasforma in un grave svantaggio per la controparte, del quale non gli è consentito avvalersi.
L'imperizia del commerciante e del fabbricante diventa "colpa" che a lui si può liberamente imputare, "non dovendo alcuno esercitare una professione pubblicamente, se non è provvisto di tutte le nozioni necessarie per esercitarla". Si tratta dunque di una regola generale che trova nel campo della vendita un'applicazione specifica.
La regola così enunciata individua una responsabilità che il commerciante e il fabbricante sono tenuti ad accollarsi dal momento che esercitano una professione che coinvolge un certo margine di rischio ; l'accenno all'organizzazione d'impresa (si potrebbe persino parlare di "assunzione del rischio d'impresa") si riferisce a un tema quanto mai attuale.
Il sistema estremamente equilibrato del Pothier non trova però un riscontro puntuale all'interno del Code Napoléon. Basta infatti considerare gli artt. 1645 e 1646 per averne una conferma. [2] L'art. 1645 prevede che "Si le vendeur connaissait les vices de la chose, il est tenu, outre la restitution du prix qu'il en a reçu, de tous les dommages et intérets envers l'acheteur", mentre l'art. 1646 dispone che se il venditore ignorava i vizi della cosa egli è tenuto alla semplice restituzione del prezzo oltre al rimborso delle "frais occasionnées par la vente". Questi due articoli offrono quindi una tutela molto scarsa al consumatore, che può ottenere solo i danni risentiti a causa dei vizi della cosa solo se prova la malafede del venditore.
E' quindi intervenuta molto opportunamente la dottrina, che ha proposto due correttivi : a) innanzitutto un'interpretazione estensiva del termine "frais" (spese), non più riferito solo all'insieme delle somme sborsate dal compratore per effetto dell'esistenza dei vizi, ma anche come comprensivo di tutte le somme versate a causa dei danni arrecategli dalla cosa (quindi sinonimo di danni) ; b) inoltre presumere la malafede del venditore. [3]
B) LA GIURISPRUDENZA.
Gli orientamenti evolutivi proposti dalla dottrina non hanno tardato ad affermarsi anche in giurisprudenza, dove peraltro gia una decisione della Chambre des requetes del 25 ottobre 1925 aveva anticipato questo indirizzo. [4]
Quel precedente venne in seguito seguito da numerose altre corti. E' diventata famosa una pronuncia della Corte d'Appello di Nimes del 25 aprile 1960 [5], nota come caso del pane tossico. Un fornaio si era rifornito di farina da una società di mugnai che per errore nella preparazione del prodotto aveva consegnato un quantitativo avariato che aveva provocato la morte di un'intera famiglia, oltre alla morte dei familiari del mugnaio stesso, il quale agiva per ottenere il risarcimento dei danni dai produttori.
In seguito le corti ebbero l'occasione di applicare ancora l'art. 1645, come nel caso in cui venne imputato al venditore professionale il rischio connesso con la vendita di cose difettose delle quali egli, per la natura dell'attività esercitata, si presume debba conoscere l'esatta consistenza e la presenza di eventuali vizi occulti, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni sofferti dal compratore per i vizi della cosa (Cass. Civ., 28/11/1966 e Cass. Civ. 17/5/1965).
L'art. 1645 ha però portato anche a dei risultati insoddisfacenti, vale a dire alla condanna del rivenditore a fronte della deresponsabilizzazione del fabbricante. A tal proposito è istruttivo considerare due condanne, la prima della Cassazione in data 22/6/1971 e la seconda, sempre della Cassazione, del 23/6/1971, nell'ambito dello stesso caso.Questi i fatti :era esplosa una bottiglia di birra proprio nel momento in cui il dettagliante la consegnava alla cliente, la quale si era gravemente ferita e lo conveniva in giudizio per ottenere la condanna al risarcimento. Il dettagliante chiamava in garanzia il fabbricante delle bottiglie, innescando un secondo e distinto procedimento ; nel procedimento principale il rivenditore veniva condannato : "la qualità professionale ... lo avrebbe dovuto spingere a prendere delle precauzioni speciali tanto nel corso del trasporto delle bottiglie che al momento della consegna e ... queste precauzioni non sono state prese nonostante il caldo che infieriva il giorno dell'incidente".
Nel secondo procedimento invece la Cassazione decideva in tal senso : "il fabbricante non è tenuto a garanzia verso il dettagliante, se non quando si prova che la cosa a questo consegnata presentava vizi e difetti rilevanti nella causazione del danno", ciò non poteva più formare oggetto di alcuna istruzione probatoria essendosi distrutta la bottiglia incriminata.
Come già anticipato sopra, questo orientamento è stato fortemente criticato perché contrario alla volontà del legislatore e perché il problema della circolazione dei prodotti difettosi viene risolto solo nella fase finale del processo di fabbricazione e distribuzione e di conseguenza non tiene adeguatamente conto della responsabilità di tutti i soggetti coinvolti nella catena distributiva.
Le tendenze espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza non sono solo dei semplici correttivi, bensì fondano delle vere e proprie norme. Alla distinzione tra venditore di "buona fede" e venditore di "mala fede" si sostituisce la distinzione tra "venditore occasionale" e "venditore professionale". Entrambi hanno degli obblighi verso l'acquirente anche se il loro contenuto varia a seconda che l'operazione di vendita sia isolata, oppure sia un atto normale dell'attività imprenditoriale esercitata dal dante causa..
Per quanto riguarda gli interessi tutelati, bisogna segnalare l'estensione del significato di "garanzia", che non comprende più soltanto i danni "economici" relativi all'impiego della cosa, ma anche i danni all'integrità fisica del compratore. Con l'espressione "obligation de securité" ci si riferisce invece ad un altro concetto. Non è il venditore di mala fede che deve garantire al compratore l'innocuità della cosa e che deve reintegrarlo di tutti i danni che essa gli ha provocato, bensì è il venditore professionale che deve garantire la circolazione di prodotti sicuri. Quest'ultimo deve controllare minuziosamente i prodotti che lasciano la fabbrica e se riscontra dei danni deve eliminarli. Si tratta in sotanza di osservare delle basilari regole di diligenza professionale per garantire al pubblico il consumo di prodotti di buona qualità. La mancata osservanza di tali regole fa nascere in capo al venditore professionale una "faute", cioè una "colpa in senso oggettivo".
Nel sistema di responsabilità dell'impresa esistono altre ipotesi in cui l'impresa risponde per colpa, come quando, ad esempio, viene violata l'obligation générale de prudence. Ne costituisce un esempio l'obbligo di informazione che il fabbricante ha nei confronti del compratore per la circolazione di prodotti, non pericolosi, né difettosi, che possono però essere fonte di danno per chi soffra di allergie oppure non sia in grado di usarli nel modo corretto. Allo stesso modo anche l'acquirente può tenere un comportamento colposo quando impiega la cosa senza osservare scrupolosamente le istruzioni e le avvertenze che il fabbricante ha avuto cura di segnalare nel materiale informativo accluso al prodotto. [6]
C) L'ACTION DIRECTE.
Da quanto sopra riportato emerge con chiarezza che le norme sulla compravendita non permettono di risolvere in maniera veloce e soddisfacente il problema della responsabilità derivante dalla circolazione di prodotti difettosi. Tali norme consentono solo varie azioni di garanzia a catena, dall'acquirente finale a ritroso, fino ad arrivare, nella migliore delle ipotesi, al produttore iniziale.
E' proprio per porre rimedio a queste lacune che la dottrina ha elaborato la teoria dell'action directe, accreditata in seguito dalla giurisprudenza.
In base a tale azione, il compratore danneggiato può rivolgersi direttamente al venditore originario, cioè all'impresa. L'azione è diretta perché pone in contatto diretto il venditore originario e l'ultimo acquirente.
Poiché tale azione è stata elaborata dalla dottrina, è opportuno considerare al suo interno un contributo molto significativo : quello di Savatier.Egli ha affermato che :"In casi di vendite successive la dottrina si colloca nell'ottica del creditore, quindi in un'ottica strettamente personale. E conclude, di solito, con l'ammettere che l'ultimo acquirente può esperire l'azione diretta nei confronti del suo debitore ... L'acquirente intermediario ha trasmesso all'acquirente finale insieme con la cosa tutti i diritti che gli provengono dalla proprietà della cosa ... Ciò significa che ciascuno dei venditori successivi si considera come se avesse trasmesso all'acquirente la garanzia che a lui derivava dal precedente contratto con il quale aveva acquistato la cosa da rivendere ... ".
Contro tale approccio si è invece espresso Overstake, il quale ha evidenziato come la tesi dell'action directe è discriminatoria nei confronti dei consumatori non acquirenti. Ecco le sue parole :" Numerose sono le obiezioni che si possono sollevare ad una costruzione della responsabilità del fabbricante sul terreno contrattuale. Tra di esse la più rilevante riguarda il fatto che ... la responsabilità contrattuale non consente di risarcire il danno a tutte le vittime, perché lascia da parte la categoria di consumatori che non hanno contrattato direttamente col fabbricante ... Si può trattare ad esempio di membri della famiglia dell'acquirente o di suoi amici".
Prima di concludere sull'action directe è però necessario riportare una sentenza della Cassazione del 4/4/1963 nella quale i giudici avevano invece pienamente dato applicazione a tale azione [7], recependo gli indirizzi della dottrina maggioritaria di allora. [8]
3. LE TEORIE EXTRACONTRATTUALI SULLA RESPONSABILITA' DEL FABBRICANTE.
Dopo aver passato in rassegna le teorie che riconducono il tema della responsabilità del produttore in ambito contrattuale, è giunto ora il momento di considerare il contributo di quelle teorie che collocano invece tale tema in ambito extracontrattuale.
Nonostante siano trascorsi quasi due secoli dalla compilazione del Code Napoléon, si può ancora dire che "viviamo tuttora sotto i principi direttivi cui si ispirarono i redattori del Code" e che "si resta ancora dominati dalla grande regola che non si ha responsabilità civile senza colpa".
Il sistema francese dell'illecito non offre quindi particolari vantaggi al consumatore perché l'azione promossa da chi è terzo, nei confronti delle parti (venditore e acquirente) tra le quali è avvenuto il trasferimento del prodotto difettoso, continua ad essere fondata sulla colpa dell'agente. In più dottrina e giurisprudenza escludono che il compratore possa cumulare azione contrattuale ed azione extracontrattuale. L'acquirente che non abbia proposto entro il bref délai stabilito dall'art. 1648 c.c. le azioni di garanzia, non potrà neppure far ricorso alle regole di responsabilità aquiliana per ottenere dal venditore il risarcimento del danno. Questa regola infatti discrimina l'acquirente dal non-acquirente e comporta, nello specifico, che i familiari, gli ospiti, i dipendenti del compratore sono considerati "terzi" e quindi devono agire verso il venditore o il fabbricante sulla base di azioni extracontrattuali.
In tema di prova il consumatore deve fornire tutte le indicazioni che consentano di accertare l'esistenza di errori o negligenze a carico dell'impresa. Nel caso di vizi di fabbricazione e di progettazione il consumatore deve provare la negligenza dell'impresa, consistente nell'inosservanza di leggi e regolamenti che prescrivono direttive in ordine alla composizione dei prodotti, alla percentuale dei singoli ingredienti, ai processi di fabbricazione da seguire, ecc. Il consumatore dovrà anche indicare se l'impresa ha compiuto omissioni colpose nel fabbricare un prodotto senza adottare quelle misure di sicurezza che avrebbero potuto prevenire il difetto e, quindi, il danno.
Alla luce di quanto appena detto le probabilità di ottenere una sentenza favorevole, per il consumatore medio, sono piuttosto scarse. E' proprio per questo motivo che la giurisprudenza e la dottrina sono intervenute utilizzando le tecniche della presunzione di colpa dell'agente e della interpretazione estensiva degli art. 1384.1 c.c. che consentono di accollare all'impresa una responsabilità oggettiva.
In presenza di eventi dannosi di cui sia acccertata la dipendenza da difetti insiti nel prodotto si afferma che le circostanze in cui si è verificato il danno, la presenza del difetto, la diligenza nell'uso sono tutte prove della colpa dell'impresa (una colpa semplicemente "virtuale").
Alla colpa è anche da ricondurre la tendenza volta ad imputare al fabbricante un obbligo di renseignement di tutti i pericoli nei quali possa per avventura incorrere il consumatore facendo uso della cosa. L'obligation de renseignement trova pertanto un terreno particolarmente favorevole in tema di tutela del consumatore. Sottratta alla disciplina della garanzia per i vizi, dove inizialmente si era radicata, dal momento che essa, in astratto, sorge per tutti i prodotti avviati al mercato, non essendo circoscritta ai soli prodotti intrinsecamente pericolosi, tale obligation va acquistando uno spazio autonomo.
La dottrina e la giurisprudenza sono del parere che tale obbligo grava solo su determinate categorie di persone (volta a volta venditori professionali o fabbricanti) mentre ne ritiene indenne altre categorie (profani e dettaglianti). Se nel rapporto tra produttore e consumatore si inserisce infatti un terzo, l'obbligazione non si estingue in capo al primo, né si trasferisce in capo all'intermediario in quanto il fabbricante deve comunque informare l'intermediario sui modi di impiego e sulle controindicazioni che costituiscono la base degli avvertimenti che a sua volta l'intermediario è tenuto a dare all'utente finale.
La dottrina e la giurisprudenza non sono però concordi sulla natura giuridica di tale obbligo.
Poiché il più delle volte esso nasce da un contratto di compravendita, una tesi largamente accreditata afferma che ha natura contrattuale ; una parte della dottrina, sottolineando il fatto che tra impresa e consumatore, nel mercato odierno, non possono esistere concreti rapporti diretti, che solo il fabbricante è in grado di conoscere le tecniche di produzione della merce, e possiede quel patrimonio di nozioni e informazioni che costituiscono la base necessaria per poter dare al pubblico ogni opportuno avvertimento e che, infine, solo la conoscenza della struttura intrinseca del prodotto può render consapevoli anche dei pericoli che l'uso del prodotto presenta, riconduce tale obbligo al principio dell'alterum non leadere. Secondo tale principio "doit etre considéré d'une façon générale comme responsable (...) celui qui (...) ne renseigne pas son prochain par le danger qu'il court" per cui l'obbligo di informazione viene quindi ad identificarsi con un dovere di comportamento la cui violazione configura un illecito aquiliano. [9]
La colpa non è servita solo alla dottrina e alla giurisprudenza per accollare all'impresa il rischio della circolazione di prodotti difettosi (presunzione di colpa), ma anche per interpretare estensivamente l'art.1384.1 al fine di imputare all'impresa una responsabilità di natura oggettiva.
L'art. 1384/1 dispone che "On est responsable non seulement du dommage que l'on cause par son propre fait, mais encore de celui qui est causé par le fait des personnes dont on doit répondre, ou des choses que l'on a sous la garde". La giurisprudenza ha distinto tra custodia materiale e custodia giuridica (garde materielle e garde juridique) : la prima spetta al soggetto che materialmente detiene la cosa, la seconda al soggetto che formalmente esercita un potere di controllo su di essa per cui se la cosa arreca un danno al consumatore e l'impresa è ancora proprietaria del prodotto, l'impresa ha la garde juridique ed è responsabile ex art. 1384/1.
La conseguenza che ne è derivata è stata la seguente : la regola di responsabilità per colpa è diventata generale e ha portato ad addossare al fabbricante doveri di diligenza professionale di vario genere. [10]
Considerata assai poco rilevante dai primi commentatori del Code, la norma diviene oggetto di una vera e propria "decouverte" quando, nei primi anni del secolo, risulta necessario reperire nelle fonti normative un fondamento giuridico a quelle teorie che tendono ad affermare la responsabilità oggettiva per rischio d'impresa.
Di fronte a numerose ipotesi nelle quali un'applicazione meccanica dell'art. 1384.1 c.c. secondo criteri oggettivi creerebbe situazioni inique, la dottrina introduce una serie di distinzioni che complicano però i problemi di responsabilità per custodia. Si distingue una "garde juridique" da una "garde matérielle" e una "garde de la structure" da una "garde du comportement".
Applicata con successo in vari settori industriali, la regola che rende il custode responsabile oggettivamente dei danni causati dalla cosa è utile per trasferire dal consumatore danneggiato ad altri soggetti (volta a volta il gardien, il proprietario, il fabbricante) il pregiudizio da lui risentito. La giurisprudenza e la dottrina sono infatti concordi nel ritenere il gardien responsabile dei danni, anche se essi sono provocati da vizi intrinseci della cosa, e che da tale responsabilità non ci si può esonerare, neppure attribuendo la presenza dei vizi al "caso fortuito".
Per quanto riguarda invece la distinzione tra "garde de la structure" e "garde du comportement", nella misura in cui si stabilisce che nella "garde de la structure" (danni provocati da un vizio intrinseco della cosa) risponde chi ha la proprietà della cosa, chi ne trae profitto, ne discende che è il fabbricante ad essere responsabile della cosa, sebbene essa non sia più sotto la sua "garde", ma sia utilizzata da altri.
Poiché questa regola, di costruzione giurisprudenziale, non trova riscontri nel Code, è stata giustificata rilevando che nell'art. 1384.1 c.c. devono individuarsi due diversi principi : il primo riguarda la responsabilità del custode, precisandone la colpa presunta per i danni provocati dalla cosa, mentre il secondo crea una presunzione di responsabilità del proprietario della cosa, facendo ricadere su di lui quasi una specie di "garanzia per i vizi".
Queste regole non sempre conducono ad ottenere dei risultati apprezzabili ; nel caso del difetto di fabbricazione non è infatti opportuno che il rischio ricada sul gardien piuttosto che sul fabbricante.
Il sistema della responsabilità per le cose in custodia non è comunque organizzato in modo razionale. Solo nell' ipotesi che il fabbricante abbia conservato la proprietà della cosa è possibile far ricadere la responsabilità sull'impresa, mentre in tutte le altre ipotesi (che sono le più correnti, visto che il consumatore, di solito, utilizza il prodotto solo dopo averlo acquistato o dopo che altri lo hanno acquistato dall'impresa, o dall'intermediario) non sarà possibile risalire fino all'impresa ma il giudizio di responsabilità si fermerà al gardien. Occorrerà quindi un altro giudizio, promosso dal gardien nei confronti del fabbricante (sulla base dell'ordinaria responsabilità per colpa) per trasferire definitivamente sull'impresa il rischio creato dalla circolazione di prodotti difettosi.
In sintesi quindi il modello di disciplina della responsabilità dell'impresa elaborato dalla giurisprudenza e dalla dottrina non risulta idoneo a tutelare in maniera soddisfacente il consumatore. [11]
I ragionamenti dei giudici appena esposti sono sicuramente troppo artificiosi ; oggi fortunatamente la situazione appare molto diversa, come emerge dalle sentenze degli anni '90, di cui al prossimo paragrafo.
4. I RECENTI SVILUPPI GIURISPRUDENZIALI.
Per capire qual'è la direzione in cui si è mossa nell'ultimo decennio la giurisprudenza francese è sufficiente considerare due sentenze, una del 20/3/1989 e l'altra del 17/1/1995.
La prima ha statuito che il venditore è vincolato da un'obbligazione di garanzia distinta da quella attinente ai vizi occulti, mentre la seconda, della Cour de Cassation, è direttamente ispirata alla direttiva comunitaria del 1985. Ecco i fatti : uno scolaro aveva riportato un danno utilizzando un cerchio acquistato dalla scuola, nel cortile della scuola stessa. La Corte ha così deciso :" Il venditore professionale è tenuto a consegnare prodotti esenti da qualsiasi vizio e difetto di fabbricazione tale da creare un pericolo per le persone o per i beni ; egli ne è responsabile tanto nei riguardi di terzi che nei riguardi dell'acquirente".
A questo punto è necessario puntualizzare quali sono state le conseguenze sul piano interpretativo per il diritto francese dopo questa decisione :
a) L'obbligazione di garanzia incombe sul venditore professionale, espressione che comprende non soltanto l'ultimo venditore, ma anche tutti i venditori successivi rispetto al fabbricante, incluso quest'ultimo. La vittima ha dunque la scelta di esercitare la propria azione di responsabilità contro uno qualsiasi di costoro, con l'onere di provare che il convenuto non ha adempiuto alla propria obbligazione di sicurezza ;
b) La responsabilità è la stessa, a prescindere dalla qualità della vittima. Essa può essere invocata sia dagli utenti professionali sia dagli utenti consumatori. Essa può essere invocata anche dai terzi, superando in tal modo qualsiasi distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, conformemente alla direttiva del 1985 ;
c) L'obbligazione di sicurezza è ormai distinta dalla garanzia per vizi occulti prevista dagli artt. 1641 e ss. del c.c. La vittima non è tenuta ad agire entro il breve termine previsto dall'art. 1648 visto che l'obbligazione è nata in occasione dell'attività commerciale del venditore e l'azione di responsabilità si prescrive pertanto in dieci anni (Art. 189 bis Codice del Consumo) ;
d) La responsabilità è una conseguenza del difetto della cosa. La vittima deve provare il difetto, il danno e il nesso di causalità. Non deve provare la colpa, che del resto sarebbe impossibile nella maggioranza dei casi. Il difetto della cosa non sempre va attribuito ad una colpa del fabbricante, perché talvolta dipende dai venditori non fabbricanti. Sul venditore professionale grava quindi una responsabilità oggettiva, fondata sul rischio. Si tratta di un'obbligazione di risultato, dove l'obbligazione consiste nel consegnare prodotti immuni da difetti, non a garantire l'assenza di danni ;
e) La Corte di Cassazione definisce il difetto come "Vizio o difetto di fabbricazione di natura tale da creare un pericolo per le persone o per i beni". Questo significa che il difetto deve essere inerente al prodotto stesso ; una mancanza di informazioni sul pericolo o un'insufficienza di imballaggio non sono sufficienti a rendere il prodotto difettoso. Inoltre la vittima deve provare che il difetto è anteriore alla vendita, e spesso ciò è praticamente impossibile ;
f) La responsabilità copre non soltanto i danni causati all'integrità delle persone (morte, malattie), ma anche quei danni causati ai beni diversi dal prodotto difettoso stesso (l'esplosione di un televisore può devastare un appartamento) ;
g) La giurisprudenza francese non ha ancora chiarito quali siano le cause di esonero dalla responsabilità del venditore. In astratto sono ipotizzabili tre ipotesi : una causa di forza maggiore che ha costretto il venditore a mettere sul mercato un prodotto difettoso ; la colpa della vittima e i rischi da sviluppo. La prima ipotesi è praticamente fantascientifica ; la seconda è fattibile e comporterebbe una riduzione / esonero dalla responsabilità a seconda che la vittima abbia contribuito alla sopravvenienza del danno oppure sia stata la sola a provocarlo ; infine la terza ipotesi è poco probabile che si configuri nelle corti francesi visto che i giudici transalpini affermano da più di trent'anni che il venditore professionale è presunto in modo assoluto conoscere i vizi della cosa che vende. [12]
5. LA RESPONSABILITA' DA INFORMAZIONI INESATTE.
La Francia sembra l'approdo ideale nell'ambito della vicenda della responsabilità da informazioni inesatte perché quel sistema pare offrire le migliori condizioni per risolvere i relativi problemi.
Il riavvicinamento tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontratttuale, caldamente promosso dalla dottrina che vorrebbe l'unificazione del loro regime normativo, trova nel settore della responsabilità civile il modo di attuarsi grazie alla tradizionale configurazione dell'obbligazione nascente da un vero e proprio contratto di informazione come obbligazione c.d. "di mezzi" (obligation de moyens) : la quale, se inadempiuta, obbliga il debitore al risarcimento del danno soltanto qualora il creditore sia in grado di provare la colpa del debitore stesso, né più né meno di quanto accade secondo la regola generale dettata dall'art. 1382 c.c. in tema di responsabilità extracontrattuale.
Questa regola generale sembra, almeno a prima vista, assicurare un'indifferenziata tutela a chiunque sia stato danneggiato da un'informazione inesatta colpevolmente posta in circolazione : Pothier sosteneva che "tutto è così semplice" e che "secondo la configurazione tradizionale, la responsabilità implica l'esistenza di tre fattori : a) una colpa (faute)... ; b) un danno ; c) un nesso di causa e effetto tra colpa e danno".
Tuttavia le cose non sono poi così semplici neppure nel sistema francese.
Infatti un controllo della "ingiustizia" del danno, pur non esplicitamente richiesto dal legislatore francese, è sempre stato più o meno consapevolamente affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Pothier affermava che "anche se imprudentemente e temerariamente io ti avessi detto che Pietro, a cui ti avevo consigliato di fare un prestito, era una persona solvibile, perché tale lo credevo senza tuttavia essermi informato sulla sua solvibilità, io non sarei obbligato", a meno che "il consiglio non fosse stato dato in malafede" : nel qual caso "vi è un dolo, che obbliga a risarcirti i danni subiti per il prestito fatto".
La dottrina e la giurisprudenza francesi sono state profondamente influenzate dall'affermazione sopra riportata, che sembra inoltre aver frenato l'espansione della responsabilità da informazioni inesatte. I due soli casi, tra quelli noti, di chiaro superamento della soglia della malafede riguardano fattispecie di informazioni carenti in pubblicazioni destinate al grande pubblico ; e tale superamento viene giustificato, nel primo caso, in virtù delle regole professionali che esprimono "esigenze di informazione oggettiva" ; nel secondo caso, in considerazione delle conseguenze dell'omessa informazione, consistenti in gravi danni alla persona.
Nel primo caso (affaire Branly), uno storico nello scrivere per l'Almanach populaire (anno 1939) un saggio sulla storia della "Telegrafia senza fili"(Historique de la T. S. F.) aveva omesso di ricordare i contributi - pur riconosciuti come determinanti dallo stesso Marconi - di E. Branly, al quale non andavano le proprie simpatie ; i giudici di merito l'avevano ritenuto non responsabile (dei danni lamentati dagli eredi di Branly) per l'accertata mancanza di "malizia e intenzione di nuocere". Il parere della Cour de Cassation andava invece nel senso opposto : nella sentenza del 27/5/51 si legge che "l'informazione carente, anche se non determinata da malizia o intenzione di nuocere, comporta la responsabilità dello scrittore, a cui si rimprovera di non essersi comportato come uno storico prudente e consapevole dei diritti di obiettività che professionalmente gli incombevano".
Il superamento della soglia della malafede è molto più evidente nel secondo caso, in cui la colpa che viene riconosciuta dal Tribunale di Parigi agli editori (oltre che all'autore) di una guida pratica ("Frutti e piante commestibili") va ben al di là della faute lourde di cui può parlarsi nel primo caso, per rasentare i confini della responsabilità oggettiva. Nella sentenza del 26/5/86 agli editori viene rimproverato di "non aver preso le precauzioni necessarie per evitare le conseguenze della negligenza dell'autore", e di aver così "creato una situazione pericolosa diffondendo con leggerezza un'opera di divulgazione contenente gravi lacune". La lacuna "fatale" era stata la mancata distinzione della "carota selvatica" (presentata come commestibile anche cruda) dalla cicuta acquatica : mangiando per errore la quale, una giovane lettrice aveva rischiato di morire (sorte, questa, che era toccata a una sua parente). Il libro in questione, infatti, era stato pubblicato in Germania e poi tradotto e pubblicato in Francia. Alla condanna dell'editore francese a un franco a titolo di risarcimento del danno morale si era aggiunta la responsabilità in solido dell'editore tedesco, chiamato in garanzia, nonché dell'autore, a cui veniva imputata "negligenza e leggerezza".
La massima enunciata da Pothier, unita ai due casi sopra riportati, rappresentano le basi attorno ai quali, nel diritto applicato francese, la responsabilità da informazione comincia a costruirsi poco alla volta.
Confrontandoli si intuisce la linea di demarcazione tra l'area dell'irresponsabilità e l'area della responsabilità.
Alla responsabilità si applica il diritto comune degli artt. 1382 ss. del c.c. quanto ai danni causati a terzi, e gli artt. 1137 o 1147 dello stesso codice nei rapporti fra contraenti. E ciò avviene senza che ne derivino rilevanti differenze di trattamento normativo : è significativo, al riguardo, che entrambe le sentenze citate si riferiscano, sul versante extracontrattuale, a una faute quasi-délictuelle ; e che il Tribunale di Parigi metta sullo stesso piano tale faute, imputata all'editore tedesco, e quella contrattuale, adossata all'editore francese.
Alla responsabilità contrattuale per inadempimento di un'obbligazione c.d. di mezzi sembra corrispondere una responsabilità extracontrattule per faute lourde. Quando l'informazione comincia a divenire (o a confluire in un) "prodotto", la responsabilità contrattuale tende a sua volta a trasformarsi in responsabilità da inadempimento di un'obbligazione c.d. di risultato, mentre la responsabilità extracontrattuale tende a divenire oggettiva. Se poi, come nel caso della cicuta si verificano danni alle persone, si apre la prospettiva di una possibile confluenza di tali responsabilità nella speciale categoria unificante della responsabilità per danno da prodotti difettosi, risultante dalla direttiva comunitaria del 25 luglio 1985, di cui alla prossima sezione. [13]
6. LA GARANZIA PER I VIZI NASCOSTI.
Prima di analizzare la direttiva n. 374 del luglio 1985 è indispensabile trattare un ultimo aspetto del tema della responsabilità del produttore, vale a dire la garanzia per i vizi nascosti.
Bisogna innanzitutto ricordare che sul venditore del prodotto gravano due importanti obbligazioni ex art. 1603 c.c., ossia quella di consegnare la cosa e di garantire il bene che vende. La prima obbligazione consiste nel far acquisire all'acquirente il possesso della cosa venduta, la quale deve essere conforme alla sua destinazione ; la giurisprudenza ha poi individuato due ulteriori obbligazioni ad essa accessorie, vale a dire di informazione e di consiglio per quanto riguarda le caratteristiche e la destinazione del prodotto, la sua utilizzazione o le precauzioni da adottarsi e, in secondo luogo, un'obligation de sécurité. Infatti il fabbricante e il venditore di un prodotto devono informare l'utilizzatore sui rischi che comporta l'impiego del bene ; la violazione di tale obligation de sécurité dà luogo ad una responsabilità oggettiva che è, a seconda della posizione rivestita dal danneggiato, responsabilità contrattuale o extracontrattuale. [14] Il fondamento legale di tale prescrizione si trova negli artt. 1382 e 1147 c.c., interpretati in base alla direttiva CEE n. 85-374 del 25 luglio 1985.
L'obbligazione di garanzia invece ha natura essenzialmente legale e consiste nel garantire all'acquirente che la cosa non presenta dei vizi nascosti che la rendano inidonea all'uso per il quale è stata creata (artt. 1641 ss. c.c.). Il venditore professionale è presunto conoscere i vizi della cosa che vende. A tale obbligazione legale che non può essere soppressa, il venditore può aggiungere un'obbligazione contrattuale di garanzia, limitata nella sua estensione. Va sottolineato che tali obbligazioni si trasmettono automaticamente con la cosa in caso di vendite successive e possono di conseguenza essere invocate dall'acquirente finale nei confronti del fabbricante o di qualsiasi soggetto della catena di commercializzazione. Tali obbligazioni sono fatte oggetto di un'interpretazione rigida nell'ambito delle vendite tra professionisti, mentre sono valutate diversamente nelle vendite tra privati. [15]
NOTE
[1] Alpa-Bessone "La responsabilità del produttore", IV ed., Giuffré, 1999, p. 153.
[2] G. Alpa "Responsabilità dell'impresa e tutela del consumatore", Milano, Giuffré, 1975, pp. 122-125.
[3] Alpa-Bessone "La responsabilità del produttore", IV ed., Giuffré, 1999, p. 153.
[4] "La Corte ... sul secondo motivo, valutando la violazione degli artt. 1646 cod. civ. e 7 L.20 aprile 1810 - . Atteso che a buon diritto la sentenza impugnata ha condannato la Società Rolland-Plian a garantire il Berchet per la condanna al risarcimento dei danni pronunciata contro di lui a vantaggio dei terzi, vittime dell'incidente provocato dall'impiego della vettura che questa società gli aveva venduto ; che non è esatto ritenere - come si è fatto nella domanda - che il venditore di buona fede di cosa affetta da vizio occulto non sia tenuto nei confronti dell'acquirente che al rimborso del prezzo e delle spese del contratto ; che la risoluzione della vendita deve per quanto possibile rimettere l'acquirente nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se il contratto non fosse esistito ; che, senza dubbio, non è possibile accollargli i dommages-intérets in ragione del mancato conseguimento dei vantaggi o dei benefici che egli poteva legittimamente sperare (di conseguire),
ma che è senz'altro giusto che le spese rese necessarie dalla vendita, in special modo le somme da lui spese inutilmente o da lui pagate in seguito alla condanna, e in ordine alla riparazione del pregiudizio causato dalla cosa venduta, gli siano rimborsate unitamente al prezzo dal venditore ; - ne consegue che decidendo come ha fatto, la Corte d'Appello di Lione, la cui sentenza è regolarmente motivata, non ha violato alcuna norma esaminata dalla domanda. Per questi motivi si rigetta".
[5] "Atteso che ... gli aventi diritto delle persone decedute domandano alla Corte di poter fondare la loro azione sul terreno della responsabilità contrattuale ; atteso che è chiaro che Briand (il fornaio) ignorava la natura tossica del pane venduto ; e che la responsabilità che su di lui incombe nei confronti degli acquirenti è dettata dall'art. 1646 del Code Civil, secondo il quale "se il venditore ignorava i vizi della cosa, sarà tenuto a restituirne il prezzo e a rimborsare all'acquirente le spese causate dalla vendita" ; atteso che una giurisprudenza ben consolidata ammette che l'espressione "spese causate dalla vendita" deve essere intesa nel senso più lato : che l'obbligazione di garanzia, gravante sul venditore che ignori i vizi della cosa, comporta la rifusione di tutte le spese riferite alla vendita, cioè i danni provocati dalla cosa venduta, se essa è stata utilizzata per l'uso al quale fu destinata ; e che queste spese sono dovute dal venditore, per quanto onerose possano essere ... ; che secondo questa evoluzione giurisprudenziale si può affermare che il venditore debba riparare il danno, in modo da rimettere l'acquirente nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se la vendita non fosse mai avvenuta ... Per questi motivi ..., il fornaio Briand viene condannato al risarcimento di tutti i danni provocati dalla vendita del pane tossico".
[6] G. Alpa "Responsabilità dell'impresa e tutela del consumatore", Milano, Giuffré, 1975, pp. 212-216.
[7] "Atteso che si censura la sentenza appellata per aver accolto il ricorso in garanzia promosso dal Sylvestre contro la Société Entreprise Moderne de Canalisations, il fatto che - secondo quanto si sostiene - in assenza di ogni rapporto giuridico tra questi due soggetti, non si poteva intentare un'azione diretta da parte del subacquirente nei confronti del venditore originario, (...) -.Ma atteso che la garanzia, dovuta dal venditore per i vizi occulti, essendo inerente allo stesso oggetto della vendita, appartiene all'acquirente, in qualità di detentore della cosa, in virtù di un diritto che gli spetta e che a lui deriva dal contratto ; che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che il subacquirente possa "proporre l'azione redibitoria direttamente nei confronti del venditore originario (...), per questi motivi (...) si rigetta il ricorso".
[8] Alpa-Bessone "La responsabilità del produttore", IV ed., Giuffré, 1999, pp. 156-157.
[9] G. Alpa "Responsabilità dell'impresa e tutela del consumatore", Milano, Giuffré, 1975, pp. 341-349.
[10] Alpa-Bessone "La responsabilità del produttore", IV ed., Giuffré, 1999, pp. 157-158.
[11] G. Alpa "Responsabilità dell'impresa e tutela del consumatore", Milano, Giuffré, 1975, pp. 350-357.
[12] Alpa-Bessone "La responsabilità del produttore", IV ed., Giuffré, 1999, pp. 159-160.
[13] Busnelli-Patti "Danno e responsabilità civile",Torino, Giappichelli, 1997, pp. 225-229.
[14] Rivista "Diritto ed economia dell'assicurazione", 1996, saggio "Responsabilità del produttore e rischio di sviluppo : oltre la lettera della dir. 85/374/CEE" di D. Cerini, p. 33.
[15] www.jurisques.com, cabinet d'avocats, Jean-François Carlot, "Responsabilité du fait des produits defectueux", del 1/2/2002.
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