inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2002

I Tribunali Amministrativi Regionali dopo la riforma del Titolo V della Co

stituzione

Di Salvatore Veneziano 
Consigliere del T.A.R. Sicilia - Palermo

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1. La promulgazione, a seguito dell’esito referendario, della l. cost. 24.10.2001 n. 3, recante modifiche al Titolo V della Costituzione, impone una verifica delle conseguenze che la sua entrata in vigore comporta per l’ordinamento della Giustizia Amministrativa e, più in particolare, per i Tribunali Amministrativi Regionali, anche in vista di eventuali riforme “applicative” del nuovo ordinamento costituzionale.

Ad una prima, sommaria, lettura potrebbe ritenersi che nulla sia cambiato rispetto al previgente quadro costituzionale; ed invero il nuovo articolo 117, co. 2, lett. l), riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa”, mentre l’articolo 125 ha testualmente ribadito la preesistente norma relativa alla istituzione nelle regioni di “organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica”.

Una considerazione meramente “letterale” delle nuove norme costituzionali potrebbe, quindi, indurre alla conclusione di una sostanziale “indifferenza” dell’ordinamento della Giustizia Amministrativa rispetto alla  riforma costituzionale, le ripercussioni della quale saranno meramente funzionali, nel senso dell’accrescimento e della riqualificazione del contenzioso di primo grado decentrato (nel senso di contenzioso non attribuito alla competenza del T.A.R. Lazio), in conseguenza del potenziamento ed ampliamento delle funzioni legislative, regolamentari ed amministrative di Regioni ed enti locali.

È, invece, mio avviso che una lettura “sistematica” di tali previsioni - sia con riferimento al contesto fortemente innovativo in senso federalista della riforma costituzionale, che in relazione ad altre norme costituzionali recentemente modificate quali l’art. 111, co. 1 e 2, (l. cost. 23.11.1999, n. 2) - inducano a ritenere che il nuovo panorama costituzionale vada nel senso non solo del definitivo radicamento dell’ordinamento della Giustizia Amministrativa nell’ambito dell’ordinamento statale, ma anche dell’accrescimento delle garanzie di autonomia ed indipendenza che devono presiedere all’esercizio della funzione giurisdizionale amministrativa, parallelamente al processo di sua “mutazione genetica” in atto, quanto meno, a partire dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80/1998.

Credo sia, infatti, di immediata percezione - da parte di tutti gli osservatori - il processo di trasformazione delle forme di tutela concretamente offerte dalla Giustizia Amministrativa: dalla tradizionale tutela “strumentale” – finalizzata ad assicurare il rispetto degli interessi legittimi e, quindi, a conseguire in via diretta il corretto esercizio dell’interesse pubblico e solo in via indiretta la soddisfazione dell’interesse privato – alla nuova tutela “finale” – capace di garantire al cittadino il conseguimento del bene della vita richiesto, della concreta utilità che l’ordinamento giuridico gli garantisce nei confronti della p.A. -.

Detto processo di trasformazione, che trova lontana origine nei tentativi giurisprudenziali di assicurare un sempre maggiore tasso di effettività alle decisioni del giudice amministrativo, è oggi sancito dall’attribuzione di rilevanti ambiti di giurisdizione esclusiva (artt. 33 e 34 D.Lgs. n. 80/1998, come sostituiti dall’art. 7 l. n. 205/2000, e art. 6 l. n. 205/2000) e del potere di pronunziare la condanna dell’amm.ne al risarcimento dei danni ingiustamente subiti dal privato (art. 35 D.Lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7 l. n. 205/2000), nonché dalla predisposizione di strumenti probatori finalizzati all’accesso al fatto controverso (C.T.U. ex art. 35, co. 3, cit. e art. 16 l. n. 205/2000), di strumenti esecutivi per garantire l’adeguamento della p.A. alle misure cautelari ed alle sentenze di primo grado (artt. 3 e 10 l. n. 205/2000) e di strumenti processuali aventi natura monitoria e provvisionale, per conseguire la sollecita realizzazione dei diritti di natura patrimoniale nelle materie di giurisdizione esclusiva (art. 8 l. n. 205/2000).

La rilevata trasformazione della Giustizia Amministrativa induce, a mio avviso, a far ritenere per acquisita nel vigente ordinamento giuridico una sostanziale “equiparazione funzionale” della giustizia amministrativa rispetto alla giustizia ordinaria (civile) in ragione della analoga idoneità ad assicurare una tutela “finale” al privato rispetto a “beni della vita” di primaria rilevanza e della attitudine della Giustizia Amministrativa a concorrere – insieme all’A.G.O., e forse addirittura in modo prevalente in virtù dell’attribuzione di giurisdizione esclusiva in tema di “servizi pubblici” e di “uso del territorio” – a garantire il concreto rispetto di quei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, ai quali l’art. 117, co. 2, lett. m) Cost., attribuisce la funzione di evitare che l’introduzione del federalismo possa determinare intollerabili sperequazioni civili e sociali tra le varie regioni.

Risultano, così, coerenti con tale nuova collocazione della Giustizia Amministrativa nell’ordinamento – in quanto ne costituiscono contemporaneamente conseguenza e conferma – sia la sostanziale equi-considerazione della giustizia ordinaria e della giustizia amministrativa nell’ambito dell’ordinamento statale, operata dalla citata lett. l) del co. 2 del nuovo art. 117 Cost., che la prescrizione di regole omogenee in tema di giusto processo e di terzietà ed imparzialità del giudice, operata dai co. 1 e 2 del nuovo art. 111 Cost..

In conclusione, mi sembra che il nuovo quadro costituzionale imponga al legislatore ordinario, che si accinga ad intervenire sul sistema della Giustizia Amministrativa, di operare in ogni caso una lettura in chiave espansiva, ed una rivitalizzazione, del co. 2 dell’art. 108 Cost. - che prescrive (tra l’altro) che “la legge (dello Stato, n.d.r.) assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali” – del quale la Corte Costituzionale sembra, invece, avere recentemente privilegiato una lettura riduttiva e finalizzata alla legittimazione dello status quo (da ultimo, ord. n. 434/2001).

 

2. Se tali sono i principi desumibili dalle due recenti riforme costituzionali citate, nonchè dalle linee evolutive “interne” della G.A., credo non possano esservi dubbi in ordine al fatto che essi debbano trovare piena e completa attuazione anche con riferimento ai Tribunali Amministrativi Regionali, parte dell’unitario sistema della G.A., integrati con il Consiglio di Stato, anche se ad esso non perfettamente omogenei.

Mi riferisco, in particolare, alle ipotesi – che non risultano essere state ancora formalizzate, ma che circolano in ambienti ministeriali e che, in ogni caso, costituiscono oggetto di riflessione e dibattito sia in dottrina che all’interno alla magistratura amministrativa – di attribuzione ai TT.AA.RR. di funzioni consultive locali (in favore dell’amministrazione regionale e/o in sede decisoria di eventuali ricorsi straordinari al Presidente della Regione) e/o di loro integrazione con componenti di designazione, o provenienza, regionale.

Sono, a mio avviso, di ostacolo alla realizzazione di siffatte ipotesi alcune considerazioni di ordine sia politico-istituzionale che strettamente giuridico:

            Con riferimento all’eventuale attribuzione di funzioni consultive ai TT.AA.RR.[1]

Appare difficile immaginare che Amministrazioni regionali politicamente caratterizzate da forti “impulsi” autonomistici vogliano, o comunque accettino di, affidare funzioni consultive e/o decisionali in sede amministrativa, relative a materie di propria esclusiva competenza legislativa, regolamentare e amministrativa, ad organi comunque appartenenti all’ordinamento statale, e tali destinati a rimanere. A tal riguardo, non risulta che le regioni abbiano, a suo tempo, accolto con particolare entusiasmo la facoltà di avvalersi delle funzioni dell’Avvocatura dello Stato, loro attribuita dall’art. 10 l. 3.04.1979 n. 103.

Esclusa l’ipotesi che l’attribuzione delle funzioni in argomento possa direttamente avvenire in virtù di norme legislative regionali, sembra estremamente macchinoso ipotizzare un meccanismo composto da una previsione legislativa statale che autorizzi le regioni – ove lo ritengano – ad avvalersi dei TT.AA.RR.; ne discenderebbe una situazione potenzialmente diversificata da regione a regione, suscettibile di inconvenienti e disomogeneità tali da incidere negativamente sull’esercizio delle stesse funzioni giurisdizionali.

Sul piano della opportunità politica, inoltre, appare quanto meno incomprensibile che – in nome del medesimo principio del “giusto processo” – contemporaneamente si operi per separare le carriere requirenti e giudicanti presso l’A.G.O. e per affidare funzioni consultive al G.A..

Senza volere in questa sede riprendere l’annosa polemica in ordine alla compatibilità costituzionale con i principi del “giusto processo” della tradizionale compresenza nel Consiglio di Stato di funzioni consultive e funzioni giurisdizionali – compresenza comunque recepita dalla Costituzione, nella sua originaria stesura – appare, invece, lecito dubitare della stessa legittimità costituzionale (art. 111, co. 2) di una odierna attribuzione di nuove funzioni consultive in favore di amministrazioni ad organi giurisdizionali innanzi ai quali quelle stesse amministrazioni saranno parti abituali.

Con riferimento alla integrazione dei TT.AA.RR. con componenti di designazione, o provenienza, regionale[2].

Pur non potendosi in linea di principio escludere l’astratta percorribilità di tale ipotesi, per altro non nuova nell’ordinamento, essa appare dissonante rispetto alla già rilevata riaffermazione della natura statuale della giurisdizione amministrativa e della, conseguente, attribuzione alla legislazione statale della relativa disciplina ordinamentale e funzionale; inoltre, una eventuale diversificazione della composizione degli organi giurisdizionali in ragione della natura della controversia (finalizzata all’eventuale predisposizione di collegi “misti” per la decisione delle sole controversie “regionali”) finirebbe con l’infrangere la stessa unitarietà della Giurisdizione Amministrativa.

In considerazione della sostanziale unitarietà del plesso giurisdizionale amministrativo, sia pure distinto nelle sue componenti dei TT.AA.RR. e del Consiglio di Stato, non sarebbe facilmente comprensibile la presenza di componenti di estrazione regionale solo presso i primi, e non anche presso il secondo, ove verrebbero decisi in grado di appello le controversie già oggetto di esame da parte di collegi a composizione mista.

Ancora, in ragione della rilevata “equiparazione funzionale” tra A.G.O. e G.A. nel quadro costituzionale, non sembra facilmente comprensibile l’introduzione di una soluzione così diversificata quanto a forme di reclutamento, ove non ci si limitasse ad ipotesi, qualitativamente e quantitativamente, assimilabili a quelle di cui al co. 3 dell’art. 106 Cost..

In ogni caso, qualsiasi sistema di acceso di componenti c.d. “laici” agli organi della giurisdizione amministrativa non potrebbe prescindere dal:

garantire rigorosi requisiti di accesso;

recidere qualsiasi vincolo di “appartenenza” o “derivazione” rispetto all’ente di designazione;

imporre specifiche incompatibilità con l’eventuale esercizio di ulteriori attività e, più in generale, tutti gli obblighi ed i doveri inerenti allo status di magistrato amministrativo;

estendere le garanzie di autonomia ed indipendenza assicurate ai magistrati togati.

 

3. Ulteriore profilo meritevole di una qualche riflessione appare quello relativo alla articolazione degli organi giurisdizionali amministrativi ed alle loro competenze.

In particolare, se l’art. 125 Cost. continua a fissare nella circoscrizione regionale l’ambito di competenza territoriale dei TT.AA.RR. (salva l’eventuale istituzione di qualche sezione staccata), ed a prescriverne la natura di organi di primo grado, la strutturazione del Consiglio di Stato rimane suscettibile di modificazione con legge ordinaria; appare, così, astrattamente configurabile una articolazione decentrata del grado di appello in sezioni aventi competenza su base “macroregionale”, con potenziamento delle funzioni di indirizzo unitario dell’Adunanza Plenaria.

Maggiore attenzione merita invece – anche in considerazione dell’esistenza di precedenti iniziative legislative in tal senso – l’eventuale ipotesi di introdurre ambiti di giurisdizione amministrativa in unico grado in capo al Consiglio di Stato[3].

Sebbene non ignori l’orientamento della Corte Costituzionale – secondo il quale il principio del doppio grado di giudizio non gode di una garanzia costituzionale, neppure nell’ambito del giudizio amministrativo ove l’art. 125 Cost. comporterebbe soltanto l'impossibilità di attribuire ai T.A.R. competenze giurisdizionali in unico grado, ma non anche che il Consiglio di Stato debba essere solo giudice di secondo grado – non posso fare a meno di rilevare che:

la ordinanza n. 395/1988, che ha espressamente formulato detto principio, si è solo apparentemente posta in una linea di continuità giurisprudenziale; in realtà essa è andata in sostanziale difformità da un precedente orientamento della Corte (sent. nn. 62/1981 e 8/1982) che sembrava, invece, riconoscere le peculiarità del giudizio amministrativo affermando la costituzionalizzazione del doppio grado ex art. 125 Cost.;

la stessa ordinanza non sembra avere adeguatamente valutato la circostanza che le sentenze del Consiglio di Stato sono sottratte alla possibilità di ricorso in Cassazione per violazione di legge, circostanza – al contrario – espressamente richiamata dalla sentenza n. 62/1981;

la eventuale, attribuzione di competenze in unico grado al Consiglio di Stato, in assenza anche dell’ordinario ricorso in Cassazione per violazione di legge, sembra restringere eccessivamente l’ambito del diritto di difesa ex art. 24 Cost., tanto più in considerazione della già richiamata “equiparazione funzionale” tra A.G.O. e G.A. nel quadro costituzionale e dell’avvenuto trasferimento al G.A. di posizioni giuridiche soggettive e controversie in precedenza devolute all’A.G.O., ed ivi garantite da ben tre gradi di giudizio. Appare, quindi, lecito dubitare che una siffatta ipotesi possa essere accettata dalla parte più avvertita e consapevole della dottrina e del foro[4].

SALVATORE VENEZIANO

Consigliere del T.A.R. Sicilia - Palermo


Note:

· Testo della comunicazione orale al Convegno di Studi “La funzione amministrativa e il suo giudice alla luce delle recenti modifiche della Costituzione”, tenutosi a Roma il 22 febbraio 2002.

[1] Per una approfondita disamina delle problematiche inerenti all’eventuale realizzazione di siffatta ipotesi, alla luce dell’esperienza siciliana, si rinvia all’intervento del cons. Salamone al Convegno di Studi “La Giustizia amministrativa tra nuovo modello regionale e modello federale”, tenutosi a Palermo 30 – 31 ottobre 2000, gli atti del quale sono stati pubblicati nella collana “Quaderni del Consiglio di Stato”, Torino, 2002.

[2] Per una disamina delle problematiche inerenti all’eventuale realizzazione di siffatta ipotesi, alla luce anche delle esperienze siciliana e trentina, si rinvia agli interventi del pres. Giacchetti, dei prof.ri Sorrentino e Raimondi e del sen. Boato al Convegno di Studi “La Giustizia amministrativa tra nuovo modello regionale e modello federale”, tenutosi a Palermo 30 – 31 ottobre 2000, gli atti del quale sono stati pubblicati nella collana “Quaderni del Consiglio di Stato”, Torino, 2002.

[3] In tema, F. Sorrentino, “Il doppio grado nel giudizio amministrativo” in Scritti in onore di Alberto Predieri, tomo II, pagg. 1385 e segg., Milano, 1996.

[4] In tema, A. Proto Pisani, “Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?”, in Foro It., 2001, parte V, coll. 21 e segg..