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Per potersi avere una violazione punibile ai sensi del D.L.gs 285/92,
la circolazione (dei veicoli, dei pedoni e degli animali) deve avvenire sulle
"strade" (art 1 comma 1 del CdS).
Infatti, l'articolo 1 del D.lgs 30 aprile 1992, n.285 limita l'applicabilità
delle norme del codice alla circolazione sulle strade e l'articolo 2
definisce il concetto di strada, come "area di uso pubblico destinata alla
circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali".
La legge 990/69 introdusse, con l'articolo 1, l'istituto dell'assicurazione
obbligatoria per i veicoli in circolazione su aree di uso pubblico o aree a
queste equiparate, precisando questa definizione all'articolo 2, comma 2,
del suo regolamento d'esecuzione, dove si argomentava che " ... sono equiparate
alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o privata,
aperte alla circolazione del pubblico."
La giurisprudenza è stata sempre improntata a questa definizione, affermando
che, ai fini dell'applicazione delle sanzioni inerenti all'inosservanza
delle norme che regolano la circolazione stradale, si deve far riferimento
non tanto al concetto di proprietà della strada, ma alla sua destinazione (Cass. Civ.
Sez. III 17 aprile 1996, n. 3633).
Si può aggiungere che, per destinazione si intende quella che il soggetto,
con un atto di volontà, implicito od esplicito, ha inteso dare all'area di
sua proprietà; nulla osta alla definizione di area privata se su questa si
svolge di fatto un passaggio abusivo di un numero elevato di veicoli e
di persone, ancorché si evinca facilmente la destinazione dell'area. In
pratica, deve esistere una situazione di accesso di un numero indiscriminato ed
indeterminato di persone che sia giuridicamente lecita.
Un'area (concetto più generale rispetto a quello di strada) privata, aperta
alla libera circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato di
persone, viene equiparata ad un area pubblica (TAR Puglia Sez. II 24 marzo
1994, n. 491); è altresì vero che quando la circolazione all'interno di tali
aree è consentita a particolari categorie di persone, individuate ed
autorizzate dal proprietario, non si può parlare di area pubblica (Cass.
Civ. Sez. III 18 agosto 1995): si pensi ad un piazzale di uno stabilimento,
al quale possono accedere solo gli operai e le persone impegnate
nell'attività o in funzione dell'attività che in questo viene svolta.
Caso ancora diverso è quello dell'esercizio che mette a disposizione il
parcheggio esclusivamente ai clienti; tale volontà deve essere esplicita e
facilmente percepibile da parte di chi intenda accedere all'area, che, in
tale ipotesi, si deve intendere privata e non aperta al pubblico passaggio..
In tutti i casi la pubblicità o meno dell'area deve essere palese e
deducibile, o dalle caratteristiche del luogo, o da opportune strutture atte
a limitarne l'accesso (cancelli, transenne, cartelli, iscrizioni sulla sede
stradale etc.); si tratta comunque di una valutazione da farsi a seconda del
caso specifico e si dovrà far riferimento, come parametro di giudizio, alle
facoltà dell'uomo medio che tenga una condotta diligente. Per essere più
chiari, il fatto che una rampa di accesso ad un garage condominiale
sotterraneo sia di fatto accessibile, perché non chiusa da alcuna barriera
fisica e mancante di una cartellazione di divieto di accesso a persone non
autorizzate, non implica per questo che l'area sia soggetta a uso pubblico,
poiché è evidente che si tratta di un luogo il cui utilizzo è riservato ad
una ristretta categoria di persone (uti singuli); nessuna persona, dotata
del comune discernimento, parcheggerebbe la propria auto all'interno di un
luogo così come descritto, ritenendolo erroneamente un'area pubblica o
comunque aperta al pubblico.
La stessa giurisprudenza espressa dalla cassazione penale (Cass. Pen. Sez.
IV 01 giugno 1990, n.8058) riconosce, ad esempio, natura di carattere
privato alle piazzole di distribuzione di carburante, anche se su di esse si
svolge il passaggio di utenti della strada in numero elevato, in quanto si
configura un transito uti singuli e non uti cives.
E' tuttavia da rilevare che la stessa Sezione, in una sentenza precedente ed
isolata, aveva affermato, al contrario, che le aree destinate alla
distribuzione dei carburanti, ancorché private, sono soggette ad uso
pubblico, poiché, chiunque intenda usufruire dei servizi che su di esse
vengono offerti (anche diversi dall'erogazione del carburante), vi si può
liberamente immettere.
L'interpretazione che più si attaglia alla distinzione de quo, è quella che
si evince dalla sentenza del Trib. Civ. di Milano sez IV del 10 marzo 1986,
secondo la quale un'area di uso privato può considerarsi di uso pubblico se
aperta al transito di veicoli, pedoni, animali senza alcuna limitazione in
ordine al numero o al fine per cui sia consentito l'ingresso. Ne consegue
che non può ritenersi di uso pubblico quell'area privata, anche se in
diretta comunicazione con aree pubbliche, cui possa accedersi solo in
funzione dell'attività o dei servizi che in essa vengono svolti. Si deve
quindi far riferimento alla limitazione soggettiva che esclude la
circolazione indiscriminata della generalità dei veicoli. In più di
un'occasione la Suprema Corte ha infatti richiamato il concetto di
"circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato di persone",
quale criterio atto a determinare l'uso pubblico di un'area.
Per quanto attiene alle norme di comportamento che regolano la circolazione
all'interno delle aree private, sono pienamente applicabili quelle previste
nel codice della strada, anche nel caso si tratti di un'area privata non
aperta al pubblico, ma ciò solo ai fini di un eventuale determinazione in
ordine alla responsabilità civile e/o penale, non potendosi applicare le
disposizioni sanzionatorie di cui al D.lgs 30 aprile 1992, n.285. Viene
quindi ritenuto valido il contenuto precettizio del codice della strada, in
quanto, anche gli utenti di una strada privata, fanno affidamento sul
rispetto di quelle norme che si fondano sul concetto di comune prudenza e
che devono regolare la circolazione dei veicoli, delle persone e degli
animali (Cass. Pen. Sez. IV 27 aprile 1991).
(Tratto dalla bozza del libro "la patente di guida" edito da Maggioli.)
Giuseppe Carmagnini