Il peculato d'uso di macchina di servizio: un problema insolutoLa presente analisi prende le mosse da una recente sentenza della Corte di Cassazione, sev. VI n.352/2001 che si è pronunciata su uno dei fenomeni più chiacchierati degli ultimi anni, quello delle auto blu assegnate in servizio a funzionari vari e utilizzate per motivi personali. Il fatto è semplice: un medico militare per recarsi presso il suo studio privato si faceva accompagnare dalla macchina di servizio guidata dall'autista assegnatogli dall'amministrazione di appartenenza. Il Tribunale e la Corte di Appello di Roma avevano condannato il militare ad una pena di tre mesi di detenzione per il reato di abuso d'ufficio ex. Art. 323 c.p., ma l'imputato aveva proposto ricorso in Cassazione ritenendo non congrua la pena inflitta. La Suprema Corte però, aveva ritenuto inesatta la qualificazione del reato come abuso d'ufficio anziché quello di peculato ex art.314 c.p..:”La Corte anzitutto condivide l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la diversa qualificazione del fatto è ammissibile nel giudizi di legittimità ....Ritiene inoltre che, nonostante un diverso orientamento giurisprudenziale escluda la sussitenza del peculato nel caso in cui il soggetto attivo distolga l'attività lavorativa del pubblico dipendente dalla sua naturale destinazione, rientri nel concetto di disponibilità di cosa mobile altrui anche l'attività lavorativa del pubblico dipendente....Da tutto quanto sopra consegue che mentre l'appropriazione dell'autovettura rientra, nella fattispecie in esame, nella tipica configurazione del peculato d'uso, il distoglimento dell'autista dalle sue funzioni di esecutore di un servizio pubblico integra il reato di peculato ...” . Di conseguenza la Corte ha rigettato il ricorso confermando la pena inflitta. Analisi: Sia il percorso argomentativo della Cassazione, che quello del commento da parte di Oberdan Forlenza nel suo articolo pubblicato su Guida al Diritto n.7/2001 non convincono totalmente; E' necessario prendere le mosse dai testi delle norme richiamate: prima della legge 26/04/1990 n.86 che ha modificato l'art. 314 ed abrogato il delitto di malversazione, il testo della norma così recitava: “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente alla pubblica amministrazione, se ne appropria ovvero la distrae a profitto proprio o di altri, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila. La condanna importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per le circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa l'interdizione temporanea.” Le differenze rispetto al testo attualmente in vigore risiedono nella irrilevanza penale del c.d. Peculato d'uso, poi introdotto nel secondo comma dell'art. 314 e nella previsione di un duplice ordine di condotte atte a realizzare il delitto di peculato. La Distrazione: A differenza dell'attuale testo, il previgente articolo 314 c.p. prevedeva due condotte alternative, l'appropriazione del denaro o della cosa mobile ovvero la sua distrazione (con questo termine la giurisprudenza ha inteso il destinare la cosa ad uno scopo diverso da quello al quale essa era destinata, vd. Cass. 29/04/1987 riv. Pen. 1988, 905 (m)) ed in passato era stata ritenuta configurata la fattispecie distrattiva rispetto al comportamento del superiore che utilizzasse in proprio le prestazioni della manodopera da lui dipendente e retribuita dalla P.A. (Cass. Sez. VI 16/05/1981). Dopo la legge n.86 la condotta distrattiva è stata ritenuta ricompresa nella previsione del nuovo reato di abuso d'ufficio: “La mancata previsione nel nuovo articolo 314 c.p.dell'ipotesi di peculato per distrazione non ha comportato una indiscriminata abolitio criminis dei fatti pregressi puniti a questo titolo, ma ha determinato una situazione riconducibile... con il risultato di far confluire detti fatti, in linea di massima, nella nuova fattispecie penale dell'articolo 323 c.p.. Così beninteso sempre che i fatti stessi abbiano in concreto connotazioni tali da poter rientrare in entrambe le previsioni normative e sempre che gli elementi costitutivi dell'illecito siano stati ritualmente descritti nell'imputazione o altrimenti contestati all'imputato”.(Cass. Pena sez. VI 25/01/1993 n.553). Bisogna ora chiedersi se il fatto in questione poteva integrare di per sé l'abuso d'ufficio che prevede: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, procura a sé oad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”. Nel caso concreto l'utilizzazione dell'autista fornito dalla Amministrazione per scopi personali aveva comportato sia il vantaggio ingiusto al militare imputato che il danno patrimoniale alla P.A., che corrispondeva una retribuzione senza avere in cambio le controprestazioni del lavoratore. Pertanto, in linea con quanto in passato sostenuto dalla giurisprudenza, si può ritenere meritevole di considerazione l'impostazione data al fatto dalle Corti di merito, che avevano ritenuto integrato il delitto di abuso d'ufficio. Il Peculato d'uso: Il secondo comma dell'attuale art. 314 c.p. recita: “Si applica la reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”. Questa previsione, introdotta con la riforma del 1990, ha segnato un'inversione di tendenza rispetto al passato sotto il profilo della formale definizione del fatto di reato; mentre invece è in linea con l'interpretazione restrittiva adottata già dalla Suprema corte nel qualificare il c.d. peculato d'uso non punibile: “Il peculato d'uso non punibile è ipotizzabile solo se commesso su cose la cui utilizzazione non ne comporti il consumo o la distruzione e non provochi un qualsiasi depauperamento o dispendio dell'ente pubblico cui appartengono, ne consegue pertanto che l'utilizzazione, fuori del percorso previsto per fini pubblici, di un automezzo di un ente pubblico da parte di un dipendente pe motivi personali e privati, comportando consumo di carburante, olio e usura dello stesso mezzo, non può non integrare l'ipotesi di cui all'art. 314 c.p.” (Cass.22/06/1989 n.14692) Resta però da chiedersi se le caratteristiche individuate dalla sucitata sentenza prima della legge 86 per il peculato d'uso possano essere ancora valide per intepretare il testo attuale: la risposta è negativa. La lettera della norma non si esprime in tal senso, ma richiede solo che l'uso sia stato momentaneo e che la cosa sia stata immediatamente restituita. Inoltre, a voler ragionare diversamente si arriverebbe all'assurdo che, poiché ogni cosa è per sua natura suscettibile di usura e certamente anche il solo fatto dell'uso momentaneo, comportando l'indisponibilità di quella determinata cosa alla P.A., pur per un brevissimo lasso di tempo, configurerebbe un depauperamento per la stessa, con il risultato di dover sempre applicare la fattispecie sul peculato, più gravemente sanzionata. Mi sembra che non si possa pervenire a tale soluzione, proposta invece nel commento di Forlenza, ma che bisogni seguire piuttosto il percorso argomentativo seguito in questo caso dalla Suprema Corte, anche se, per le ragioni che si andranno ad analizzare oltre, si potrà non arrivare allo stesso risultato. Il peculato d'uso su cose fungibili: Il problema si pone poiché a differenza del primo comma, che fa riferimento al denaro o ad altra cosa mobile, la previsione del secondo comma parla unicamente della cosa. In genere la possibilità di sanzionare con il reato di cui al 314 2° c.p. l'uso di cosa fungibile come il denaro è escluso dalla giurisprudenza in base a due principali argomentazioni: la prima si fonda sul dato letterale dell'articolo di legge che non fa riferimento al denaro per il peculato d'uso, in base al brocardo per cui ubi lex voluit, dixit; E' per la verità un posizione debole alla quale è facile controbattere che il significato di cosa utilizzato nel 2 comma è più generale di quello del primo e pertanto ricomprende le cose fungibili. L'altra argomentazione si può riassumenre con una sentenza della Suprema corte, per la quale “Il peculato d'uso può configurarsi solo in relazione a cose di specie e non a cose di quantità (come il denaro), poiché con riferimento a queste ultime non sarebbe possibile la restituzione dell'eadem res ma solo del tantundem, che è irrilevante ai fini dell'integrazione del reato de quo” (Cass.24/08/1993 n.8009). Tale interpretazione riduttiva è però contrastata da un'altra e più recente sentenza della Cassazione: “è ipotizzabile la figura del peculato d'uso anche in relazione a cosa fungibile in quanto la condotta appropriativa del peculato d'uso è mutuata per intero dal peculato ordinario, che è relativo ad ogni tipo di cosa (fungibile ed infungibile) mentre il secondo comma dell'articolo 314 c.p. si limita ad indicare solo la condotta susseguente idonea a degradare il reato senza alcuna limitazione alle sole cose infungibili” (19/04/1995 n.619/1995). In realtà sembra che ad ostacolare l'applicazione del peculato d'uso per le cose fungibili siano proprio ragioni di politica criminale, rispetto alle condotte statisticamente più frequenti e che certamente destano maggiore allarme sociale, ma in questo caso la soluzione migliore sarebbe modificare la norma in Parlamento, anziché piegare il dato normativo con un'interpretazione difficilmente giustificabile. |
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