Ad
uno sguardo disattento, uno studio dedicato al plagio potrebbe sembrare
oggi- una operazione di archeologia giuridica: privo di un immediato
interesse applicativo, lontano dalle aule di giustizia. Un puro sfoggio di
erudizione enciclopedica, materia più adatta agli storici che ai giuristi[1].
In una parola, inutile.
Ad
uno sguardo attento, non potrà però sfuggire linteresse per uno studio di
questo genere, tenuto conto della pluralità di tematiche che esso coinvolge.
Tra le tante, abbiamo scelto di concentrare lattenzione su quelle
storicamente meno considerate dalla dottrina. In particolare, oggetto della
nostra analisi sarà la verifica della esistenza attuale di una tutela penale
della personalità individuale e, attraverso questa
della libertà morale, nel nostro paese.
A
motivare il nostro interesse, la consapevolezza della particolare importanza
della fase formativa del volere e il considerare la tutela di questa come un
momento irrinunciabile nella tutela complessiva della libertà
dellindividuo. Non si tratta per altro di una consapevolezza nuova, frutto
del progresso di questi ultimi anni. Per convincersi di ciò è sufficiente
sfogliare uno dei più diffusi commentari al codice Zanardelli (1889)dove si
può leggere:
La
libertà delluomo individuo non è linjuriae licentia, ma
quellautonomia riconosciuta e protetta dalla legge, in virtù della quale
luomo deve essere rispettato nel libero determinarsi ai vari atti della
vita.
E
ancora:
La
libertà individuale è la costante facoltà delluomo di esercitare le
attività proprie, così fisiche così morali, al servizio dei propri bisogni.
Senza questo sarebbe inutile lesistenza e la integrità personale, le quali
non sono beni in loro stesse ma in quanto servano di strumento allesercizio
della attività personale.[2]
Un
concetto dunque, quello della libertà morale che fa leva su una sottile, ma
per niente evanescente, distinzione tra la concreta attivazione dei vari
momenti della libertà individuale e una fase a ciò precedente, nella quale
per suo conto un soggetto si determina a compiere una certa attività o
comunque ad tenere una particolare condotta. In questo senso la libertà
morale rappresenterebbe un prius, un
antecedente logico, rispetto alla fruizione della libertà personale.
Si
tratta di un concetto che ha molte e complesse implicazioni storiche e
filosofiche, considerato che insiste una problematica, quella del libero
arbitrio, che rappresenta uno tra i temi in assoluto più dibattuti della
storia del pensiero moderno. Per apprezzarne lampiezza, alla quale qui si
può per altro solo accennare, sarà sufficiente notare che alcune delle opere
più importanti e significative del pensiero moderno sono state dedicate ad
occuparsi di questo tema. Dal Leviatano di Hobbes agli Scritti sulla
intelligenza umana di John Locke per passare attraverso la elaborazione di
Immanuel Kant fino a Sigmund Freud, per restare ai nomi universalmente noti.
Un
tema centrale nel dibattito culturale degli ultimi cinque secoli. Da dove
nasce questo interesse ? Appunto da quella consapevolezza che abbiamo indicato
sopra, dellenorme e determinante ruolo della formazione del volere nella
conquista della libertà del singolo. In questa ottica è possibile dunque
apprezzare appieno la forte inclinazione filosofica del tema trattato.
Affrontiamo, in questo caso dal punto di vista della tutela offerta dal
diritto, una delle tematiche che più hanno diviso e segnato le distanze fra
orientamenti di pensiero.
Mai
come in questo caso infatti è stato netto il discrimine tra forze innovatrici
e forze conservatrici in campo culturale. Una distinzione netta che ha
separato chi, fino dal Trattato
sul metodo di Cartesio e dallElogio della follia di Erasmo da Rotterdam,
difendeva il valore e la fatica tutta umana di formare autonomamente il
proprio pensiero e dunque la propria libertà e chi, invece, riteneva il
libero arbitrio un pericolo per la fede[3].
Cogito
ergo sum:
è questa la base culturale che costruita faticosamente durante il medioevo
costituirà il nucleo centrale sul quale si svilupperà la filosofia
illuminista e con essa lesaltazione dei diritti dellindividuo. Ma prima
di arrivare alla rivoluzione dell89, che fisserà in regole scritte
lelaborazione filosofica del settecento, prima di questo si dovrà passare
attraverso la necessaria affermazione del primo fra i diritti: il pensiero.
Chiarito,
ancorchè sommariamente, lo scenario culturale che abbiamo di fronte, possiamo
tornare al nostro argomento.
Noteremo così che la consapevolezza di cui abbiamo sopra discorso non sembra,
almeno ad un primo esame, trovare altrettanta considerazione nel codice
penale, stante la eliminazione del delitto di plagio dal sistema penale
italiano (lunico dedicato espressamente a questo scopo nel codice penale
del 1930) e la mancata previsione di altri fatti di reato destinati a coprire
la medesima area di tutela[4].
Il
problema non pare superabile attraverso il consueto criterio di espansione
delle fattispecie limitrofe più generali[5].
Ad ostacolare questa soluzione vi è infatti la profonda eterogeneità degli
oggetti giuridici tutelati: la libertà morale, nel caso del plagio, la libertà
personale nel caso del sequestro di persona o della schiavitù[6].
Differenza che non consente sovrapposizioni, stante la irriducibilità dei
termini coinvolti.
Ci
è allora parso importante ricercare nella sentenza che ha eliminato il
delitto di plagio una spiegazione per questa strana indifferenza del
legislatore penale verso la tutela della libertà morale. La lettura della
sentenza suscita, anche ad un primo approccio, non pochi dubbi. Colpisce per
una serie, curiosa di stranezze. Innanzitutto la mole di dati storici
impiegati, che si spingono fino a ricercare le radici romane del plagio, per
corroborare la tesi della insopportabile elasticità del plagio, ma ignorano
un confronto critico con le soluzioni adottate in altri paesi di recente.
Oltre
a ciò ci si trova di fronte ad una inconsueta presa di posizione
allinterno del dibattito psicoanalitico in corso in Italia allepoca. Ad
incuriosire è però in primo luogo la ricostruzione storica così ricca da
costituire un momento essenziale nel ragionamento della Corte. Quasi una
premessa. Si pone allora un problema generale, quello di capire se la sentenza
che ha eliminato il delitto di plagio, per carenza di tassatività della
fattispecie[7],
abbia anche stabilito la irrilevanza penale delle condotte che prima questa
norma copriva.
In
altri termini: se, oltre ad un giudizio che riguardava la particolare e
contingente formulazione della norma in questione, vi sia stata anche una più
generale valutazione relativa alla cessazione dellinteresse o della
opportunità di tutelare un determinato bene (la libertà morale nel caso
considerato). A farlo ritenere è proprio, oltre allostacolo costituito
dalla eterogeneità degli oggetti giuridici tutelati, linconsueto apparato
argomentativo predisposto dalla Corte in questo caso[8].
La
analisi che ha portato a ritenere la mancanza di una opportunità politica a
tutelare in determinate forme (molto elastiche) la libertà morale, potrebbe
essere derivata da una ricostruzione falsata (e, quindi, falsante) del delitto
di plagio.
Introduciamo
qui quello che rappresenterà il nucleo centrale di questo studio: la tesi,
cioè, che vi sia stato nel percorso argomentativo svolto dalla Corte un vizio
di metodo. Vizio che avrebbe inficiato il successivo ragionamento ed
evidentemente le conclusioni tratte: quello di essersi ispirata nelle sue
scelte ad un criterio di tipo nominalistico. Si tratta allora di verificare si
sia possibile procedere ad una ricostruzione storico-politica che,
diversamente da quella operata nel 1981 dalla Corte Costituzionale, provi a
spiegare i caratteri della norma in termini evolutivi[9].
Una
lettura della norma che si preoccupi di spiegare storicamente le
caratteristiche di questa senza fermarsi solo alla rilevazione del dato
letterale[10]
ma lo legga complessivamente, tenendo conto cioè di tutti quei dati storici,
culturali e politici che ne hanno segnato la vita. Attraverso questo metodo si
sarebbero, forse, potuti raggiungere risultati diversi da quelli raggiunti
dalla Corte Costituzionale.
Sia
chiaro il nostro non è un dubbio sulla applicazione della legge penale. E
evidente che sotto questo profilo il problema non può nemmeno porsi. Resta
però da verificare, e in questo senso deve essere interpretato il presente
lavoro, se si sia trattato di una soluzione politicamente corretta, o
almeno la cui validità (sotto il profilo della opportunità della opzione)
permanga a tuttoggi. Una questione di scelte politiche e culturali come
sempre, a parere di chi scrive, si dimostra essere il diritto penale.
E
allora, il nostro interesse è in questo caso
diretto a verificare se ad un giudizio sulla tassatività della
fattispecie non si sia per caso sostituito, più o meno consapevolmente, un
giudizio sulla norma in se e per se. Un giudizio sulla opportunità politica o
meno della tutela di un certo bene condotto tuttavia con gli strumenti,
dogmatici, del controllo sulla tassatività.
A
nostro avviso si è trattato di una decisione basata su un ragionamento falso,
o meglio incompleto, che non ha permesso di dare una spiegazione per quella,
apparentemente intollerabile, elasticità[11].
Ad essere messo in discussione è in questo caso il metodo seguito dalla
Corte, governato da un nominalismo forte quanto ostinato. Per saggiare la
rilevanza dellerrore della sentenza 96/81 dobbiamo, dunque, partire
dallanalisi del metodo da questa utilizzato.
Per
sgomberare il terreno da possibili equivoci iniziamo col dire che solitamente
poca o nessuna fortuna hanno, tra i giuristi, le questioni relative al metodo.
In questo atteggiamento, che mostra poca attenzione per tutto ciò che non ha
una immediata spendibilità giudiziaria, si annida -a parere di chi scrive-
una delle più pericolose cause di degrado degli studi giuridici. Ci sia
consentito a questo proposito di spendere, ancora, qualche parola sul punto.
Lo
studio del diritto e in particolare modo del diritto penale, richiede luso
di molteplici conoscenze, non tutte tecniche. Si tratta uno studio complesso,
fatto di molte componenti: storiche, filosofiche, tecnico-giuridiche. Si badi
bene non è una complessità casuale, ma direttamente correlata al grado dei
beni su cui il diritto penale è destinato ad incidere[12].
La mancanza o la carenza anche solo di una di queste componenti rischia di
svilire il ruolo e limportanza del diritto penale.
Fatta
questa piccola premessa torniamo al metodo usato nella redazione della
sentenza 96/81. Come abbiamo detto è il modus
delliter formativo del convincimento ad incuriosire. A stupire non è tanto
il fatto che al termine di due vicende processuali difficili[13]
la Corte abbia deciso per la incostituzionalità del art. 603, quanto
piuttosto il modo in è giunta a questa determinazione. In quella situazione
la Corte[14]
procedette ad una meticolosa ricostruzione storica della norma dedicata al
plagio che non concedeva scampo alla sopravvivenza della stessa.
La
Corte utilizzò prepotentemente largomento storico per dimostrare, al di là
di ogni ragionevole dubbio che sotto il nome di plagio albergavano in realtà
due reati distinti. Uno corrispondente alla evoluzione naturale dellantico plagium,
nel codice Rocco indicato come riduzione in schiavitù. Laltro se si passa
il termine, abusivo, sarebbe il frutto di un errore, una leggerezza del
legislatore del 1930:
Dai
lavori preparatori del codice penale risulta che la formulazione di quello che
doveva divenire lart.603 (
) erano state oggetto di lunghe e complesse
discussioni fra i commissari. La maggioranza dei membri della Commissione
parlamentare aveva affermato lopportunità di mantenere lantica
denominazione di plagio, alla riduzione in schiavitù o in condizione analoga
e si era dichiarata contraria alla proposta di aggiungere una nuova
fattispecie ignorata dai precedenti codici (
).
I
Commissari denunziavano infatti il diritto che, usando termini antichissimi,
da essi considerati lessicalmente sicuri, consacrati da oltre duemila anni nel
linguaggio e nellesperienza legislativa e forense per indicare ex novo
istituti sino allora sconosciuti, si confondessero concetti giuridici basilari
e sincorresse in mancanza di chiarezza (
).
Il
Guardasigilli nella sua relazione al progetto definitivo non teneva in alcun
conto il risultato della votazione e non riteneva di fondere i due articoli
(600 e 603), allegando come argomento <<il
vantaggio indiscutibile della chiarezza e
per la considerazione che trattasi di figure delittuose distinte>>.[15]
Dunque
nel caso del plagio, ex art.603, ci si sarebbe trovati di fronte ad una norma
inutile (considerata la presenza dellart.600) oppure ad una norma
ingannatrice, (frutto di una svista momentanea del Ministro Rocco, il quale
avrebbe, sconsideratamente, usato un nomen
juris consolidato per indicare un fenomeno dai confini ancora incerti) e
dunque, in ogni caso da eliminare. A conti fatti nel ragionamento della Corte,
mentre il delitto di cui allart.600 sarebbe stato lerede per così dire
legittimo, dellantico plagium,
il delitto di cui allart.603 rappresenterebbe un ibrido senza storia. La
base argomentativa di questa scelta deve essere ricercata in una analisi
storica molto accurata e che precede le affermazioni ora riportate, tuttavia a
nostro avviso viziata.
Una
opzione che si identifica in un metodo di indagine storica basato sulla
analisi rigorosa del dato tecnico-formale, ma aliena da una lettura
complessiva del dato normativo. Lettura che evidentemente è destinata a
coinvolgere non solo i dati tecnici ma anche quelli relativi al contesto
politico e culturale in cui una norma è sorta e si muove. Un eccesso di
nominalismo, cosa non infrequente nel nostro paese.
E
così, mentre il ragionamento della Corte si limita a rilevare la struttura
troppo elastica e vaga del plagio desumendo da ciò la necessità della sua
eliminazione, un metodo di indagine diverso avrebbe (forse) permesso di
chiedersi perché fosse strutturato in quel particolare modo. Quale fosse cioè
il motivo che aveva, nel tempo, determinato lassunzione di certi caratteri
da parte della norma.
A
meno di non professare infatti la fede di Candido, si deve convenire che le
norme tutte - si determinano con una certa particolare struttura perché
vivono in un dato contesto storico e rappresentano il frutto di scelte ed
opzioni politiche e culturali. In questa ottica probabilmente quella stessa
struttura scarsamente tassativa del plagio - sarebbe stata considerata non
una anomalia quanto piuttosto una caratteristica storicamente determinata e da
valutare accuratamente.
Nello
studio del diritto la metodologia della ricerca storica non ha mai avuto
particolare fortuna, e tuttavia può rivelarsi particolarmente utile proprio
in casi come questi perché permette di ampliare la base argomentativa di ogni
scelta. Se infatti è vero che la norma dellart.603 aveva una forma molto
elastica e di difficile determinazione, altrettanto vero è che queste
caratteristiche non erano casuali. Avevano cioè una ragione storicamente data
e una funzione nella struttura della norma.
Anticipando
quanto sarà chiaro tra poco, si può affermare che quelle ora indicate erano
caratteristiche evolutive della norma legate in modo formidabile alla sua
storia. E allora, leggendo la sentenza del 1981 così circostanziata in fatto
di date, nomi e articoli viene fatto di chiedersi se chi ha provveduto a
stenderla abbia preso in considerazione anche punti di vista, in questo caso
ipotesi ricostruttive e dunque interpretative, diverse da quelle usuali in
diritto.
Se
abbia, ad esempio, considerato che la ricostruzione storica di una norma
influisce potentemente sulla interpretazione che della stessa si finisce per
dare. A leggere la sentenza n. 96 la sensazione forte è quella di trovarsi di
fronte ad un sistema ricostruttivo che privilegia le date, i numeri degli
articoli, il nomen juris rispetto
alle problematiche. E una opzione legittima e rispettabilissima, e tuttavia
a nostro avviso non condivisibile. In questo senso ci pare viziata la
sentenza, perché è destinata a cogliere solo un aspetto, una dimensione del
problema.
La
storia non è solo una sterile successione di date e nomi ma anche di fatti
quotidiani, di fenomeni che maturano in uno spazio temporale non riassumibile
in un numero[16].
Non una histoire bataille ma una histoire
evenementelle[17].
Se si adotta questa, diversa, prospettiva -che si propone di leggere e
studiare la storia come un insieme di fenomeni evolutivi oltreché di
conflitti-, se si accetta questa prospettiva allora è possibile modificare
radicalmente limpostazione degli studi giuridici in generale e di questo in
particolare.
Di
fronte ad una norma non ci chiederemo tanto, o solo, quale è la sua
struttura, quale la pena per essa prevista, ma perché si trova lì, quale
percorso formativo ha avuto, perché -tra le tante possibili- si è scelta
proprio quella particolare configurazione. E una rivoluzione copernicana
nello studio del diritto, a nostro avviso importante e necessaria.
In
questo caso anche lo studio del plagio prende una altra forma. Solo
apparentemente rivolto al passato diventa un prezioso strumento di indagine:
sia rispetto al plagio stesso nella sua evoluzione storica, sia come esempio
di ricerca e modo duso della stessa. Così sarà possibile in relazione al
plagio chiedersi appunto perché avesse assunto quelle caratteristiche di
elasticità estrema e se queste fossero in qualche misura funzionali rispetto
al bene da tutelare e alla evoluzione storica della norma.
Per
quale motivo la stessa norma compare con formulazioni tanto diverse in
differenti codici e tempi. E facile capire che i problemi sono molti e
complessi e pur non potendo dedicare ad ognuno lo spazio che meriterebbe ci
sembra comunque importante sollevarli. La maggiore fortuna ce può avere
toccare ad una ricerca è, a nostro avviso, quella di diventare uno strumento
critico e non mai dogmatico.
A
dispetto di ciò che spesso si può leggere, lo studio della storia nel
diritto penale non è un fattore eventuale ma un suo momento fondamentale. In
questo senso lo studio del diritto penale è innanzitutto un problema di
metodo. Questo concetto forse accettato oggi con familiarità nellambito
degli studi letterari, è ancora tuttavia poco usuale nel settore delle
scienze giuridiche.
La
natura indipendente degli studi storici non sempre è stata pacificamente
accettata, anzi. Fino a non più di cinquanta anni fa, lautonomia di questo
ramo del sapere veniva fortemente messa in dubbio. Lattacco arrivava
prevalentemente da quegli studiosi che concepivano la storia come un insieme
di date e nomi e che dunque la immaginavano come un corollario per studi più
complessi.
Questa
impostazione, ribattezzata dai suoi oppositori della histoire
battaille, verrà contrastata tenacemente fin dallinizio di questo
secolo ad opera di un gruppo di
studiosi in prevalenza francesi - che darà vita alla fine degli anni
venti ad una rivista, Les Annales
(1929) destinata a rivoluzionare il modo di studiare la storia. Idea guida di
March Bloch e Lucien Febvre, fondatori della rivista e padri spirituali del
nuovo movimento culturale è la necessità di studiare i fenomeni storici
rispettando la complessità degli stessi.
Uno
studio articolato che attinge a qualunque settore dello scibile per trarre
elementi utili alla comprensione del problema studiato.[18]
Nasceva allora, di fronte alla sempre crescente complessità del quotidiano,
la consapevolezza della necessità di una altrettanto complessa analisi nello
studio della storia[19].
Alla
importanza della scelta del modo di ricostruire i fenomeni storici March Bloch
dedicherà unopera straordinaria: Lapologia della storia o il mestiere
di storico. Non è certo un caso che lincipit
del testo punti il dito sul problema centrale del metodo: a cosa serve la
storia?
La
storia, dunque, anche indipendentemente da qualsiasi eventuale applicazione
alla condotta pratica, avrà il diritto di rivendicare il suo posto tra le
forme di conoscenza veramente degna di sforzo, soltanto se ci prometterà una
classificazione razionale e una progressiva intellegibilità anziché una
semplice enumerazione senza nessi e quasi senza limiti (
) Difatti, una
inveterata tendenza, cui si concederà almeno valore di istinto, ci induce a
chiedere alla storia i mezzi per guidare il nostro operare (
) Daltra
parte, per agire ragionevolmente non occorre prima comprendere.?[20]
E
allora la storia serve, a chi si
occupa di diritto, innanzitutto a fare domande. Due sono le domande alle quali
vogliamo rispondere a cosa serve il plagio e a cosa serve studiare il plagio.
Alla seconda rispondiamo subito. Lo studio del plagio è un esperimento, uno
strumento. Lobbiettivo di verificare se vi fosse o meno una spiegazione
diversa per le caratteristiche strutturali della norma che le giustificasse,
diventa un modo per rispondere alla nuova domanda di tutela che viene dai
tempi moderni e insieme un modo per imparare a valutare criticamente il
percorso di una norma e di una sentenza. Ora rimane da rispondere alla altra
domanda: a cosa serve il plagio?
Per
rispondere alla domanda che abbiamo scelto di porci dobbiamo iniziare a
leggere criticamente la sentenza 96/81. In questo caso dopo una prima lettura
sarà evidente che sono assenti dal ragionamento della Corte alcuni dati di
fondamentale rilevanza. Ad
esempio un confronto critico con diversi sistemi di tutela rinvenibili in
differenti momenti storici e in stati diversi dal nostro[21].
Un passaggio necessario per mettere in discussione lopportunità della
tutela della libertà morale[22]
Lexcursus
storico operato dalla Corte Costituzionale appare improntato ad una rigida
analisi dei soli dati testuali. Ignora la considerazione del contesto nel
quale la norma si muove, la cui considerazione è imprescindibile per
apprezzare le caratteristiche di qualunque precetto. E assente una seria
considerazione delloggetto tutelato che offra spunti di riflessione a chi
legge e che testimoni della considerazione di questo elemento da parte della
Corte. Il ragionamento della Corte si
svolge nella considerazione del solo dato letterale[23].
Con
ogni probabilità si sarebbe rivelato più utile confrontare le soluzioni
adottate negli ultimi due secoli in alcuni grandi paesi europei, piuttosto che
non risalire fino alle radici romane del plagium,
per comprendere che qualcosa, nel ragionamento della Suprema Corte non
funzionava, che qualche elemento forse mancava, rischiando di pregiudicare
tutto. Il quadro che la Corte avrebbe in quel caso avuto di fronte, sarebbe
stato ben diverso da quello che in realtà ebbe presente al momento di
effettuare le sue scelte. Molti degli elementi che meritavano considerazione
furono allora, semplicemente, ignorati.
E
nonostante tutto ci permettiamo di notare che il rinvenimento della radice più
antica della norma, se condotto correttamente, doveva mettere sullavviso la
Corte.
Chi
avesse voluto leggere la norma in modo non formale avrebbe dovuto
necessariamente accorgersi di quella che rappresentava insieme la ratio
politico-culturale della stessa e il suo carattere distintivo. Il plagium
era infatti nel diritto romano il delitto di chi riduceva in schiavitù in
modo non legittimo un cittadino, o sottraeva uno schiavo altrui. Che questo
fosse, allora, il carattere principale del delitto di plagio non deve affatto
stupire.
E
infatti appena il caso di notare che la società romana (e in genere quella
antica) era dominata dalla summa
divisio[24]
tra liberi e schiavi. Il valore di questa distinzione è intuibile appena si
faccia caso al fatto che mentre ai liberi erano riconosciuti quantomeno i
diritti tutelati dallo ius gentium,
qualora non si fosse trattato di cittadini romani, agli schiavi toccava la
meno allegra sorte di essere equiparati alle res.
In breve, nessun diritto perché le cose non hanno diritti.
La
società romana regolava in maniera rigida il passaggio di un soggetto libero
alla categoria degli schiavi, prevedendo una serie di casi tassativi in cui ciò
poteva accadere legittimamente[25].
Al di fuori di questi casi si configurava il delitto di plagio, che consisteva
appunto nella privazione della libertà del singolo, in una società dove però
lappartenenza alla categoria degli schiavi si traduceva in una morte
sociale dellindividuo.
Se
infatti la summa divisio gaiana
individua due categorie, liberi e schiavi, è altrettanto vero che
lappartenenza alla seconda era contraddistinta dalla assenza totale di
qualsiasi attributo tipico della personalità individuale, intesa
modernamente. Dunque la repressione del fatto di plagio o plagium,
se si preferisce- aveva come obbiettivo la tutela delle condizioni minime
indispensabili per laffermazione successiva dei diritti dellindividuo.
Per essere, un uomo doveva innanzitutto essere libero. In caso contrario,
qualsiasi ulteriore discussione sarebbe stata inutile.
I
caratteri funzionali della norma sono in realtà a nostro avviso chiari già
da questa pur lontanissima fase storica. Infatti a voler leggere la norma
tenendo presenti le notazioni storiche appena riportate, non si può evitare
di notare che il plagio nasce come un sistema di protezione dellindividuo
destinato a garantire le condizioni minime della sua esistenza. Altro non era
infatti nel mondo antico la condizione di libero, e altro non è
nellattuale (anticipando quanto si dirà fra poco) la possibilità di
formare criticamente il proprio pensiero.
Si
intravede già a nostro avviso, quello che del plagio sarà il carattere
dominante e che si ritrova in tutte le sue, pur diverse, formulazioni: essere
cioè il plagio un delitto posto a tutela di quel tanto di libertà che
luomo è riuscito, nel tempo, a riconoscere a se stesso. Durante questo
processo ha evidentemente subito molte modificazioni, ma ha mantenuto quello
ora indicato come carattere costante. Una sorta di statuto dei diritti del
singolo.
Poche
parole per dare conto di una sostanziale assenza del delitto di plagio dal
panorama giuridico di questo, pur vasto e diversificato, periodo storico.
Anche qui non si tratta di una casualità. Difatti ad una attenuazione del
fenomeno della schiavitù, già iniziata con la decadenza dellImpero
romano, corrisponde una attenuazione delle ragioni della tutela. E
necessario però prestare estrema attenzione alle trasformazioni che nel
medioevo più che in qualsiasi momento storico si verificano.
E
questo un periodo nel quale avvengono radicali mutamenti economici sociali e
demografici, oltre che scientifici, destinati a cambiare il volto del mondo.
Sullonda di una impressionante marea umana, che alla fine della dominazione
romana si riversa al centro d'Europa, si modificano i rapporti economici che
da sempre avevano sostenuto l'utilità dell'impiego massiccio degli schiavi.
Si
parcellizzano i latifondi che fino ad allora avevano contraddistinto la
produzione del mondo antico e si creano piccoli lotti di terreno dati in
custodia non più agli improduttivi e demotivati schiavi, ma a ben più
operosi tenentes, piccoli
coltivatori diretti. Questi ultimi erano obbligati a pagare per ottenere e
mantenere la disponibilità dei terreni che rappresentavano la loro unica
possibilità di sopravvivenza. Servi della gleba dunque, ma non più schiavi.
Si creano ora, con i tenentes che
circondano la villa padronale, le condizioni ottimali per laffermarsi del
feudo e delleconomia curtense.
Anche
dal punto di vista giuridico questa è una fase di transizione: niente più
leggi scritte e stabili, come al tempo di Roma, ma solo incertezza e
frammentazione. Nel nostro specifico settore è difficile seguire
levoluzione del delitto di plagio. In linea generale si può dire che
durante il Medioevo si conosce la fase dove più deboli sono le garanzie per
il singolo: non più civis, non
ancora citoyen.
E
soltanto un villico, un contadino, normalmente analfabeta e con poca terra da
cui sostentarsi. In unepoca in cui il principe decideva perfino della
religione dei suoi sudditi e gli unici ad avere diritti tutelabili erano gli
appartenenti alla nobiltà ed al clero, non stupisce che il problema della
libertà morale del singolo non riuscisse a trovare terreno fertile. A fugare
i dubbi di chi ancora si stupisse della mancanza del plagio nella sua
accezione moderna sarebbe sufficiente il richiamo alla memoria di un fatto
storico che segnò maggiormente questepoca, determinandone peraltro la
fine.
Nel
1522 Martin Lutero diffuse una traduzione del Nuovo Testamento in tedesco, così
che tutti potessero leggerlo direttamente nelle Chiese. Un gesto di rottura
epocale che, considerate le non tenere reazioni della Chiesa Cattolica Romana,
ci dà la misura di quanto ridotto dovesse essere allora il margine
dellautonomia nella formazione della coscienza individuale[26].
Non era forse il motto del medioevo cattolico noli
autem sapere sed time? Non erano forse i fedeli chiamati servi di Dio?
E
tuttavia il medioevo non fu solo questo. Fu anche il periodo storico nel quale
maturarono le basi culturali per laffermazione successiva dei diritti
dellindividuo. Senza queste basi, rappresentate dal pensiero di Tommaso
Moro, Campanella, Erasmo da Rotterdam e Cartesio, oltre che Leibnitz e Spinoza,
senza questi pensatori sarebbe impossibile anche solo immaginare le conquiste
della rivoluzione francese. Da questi pensatori, dal cogito cartesiano parte
quel processo che si concluderà con la presa della Bastiglia e che dovrà
portare alla piena affermazione delluomo come soggetto di diritti.
Riassumere
in poche righe questo percorso è di fatto impossibile. Ci accontentiamo
allora di notare che tutto, in questo buio medioevo, sembra muoversi in
direzione di una forte rivolta culturale. Dalla religione dove sempre più
numerosi sono coloro che non accettano i dogmi e che da ora in poi verranno
ribattezzati protestanti, alla scienza dove uomini come Copernico, Keplero e
Galilei sfidano credenze millenarie nel nome del libero pensiero. Provare e
riprovare è il motto della toscana accademia del cimento. Le scoperte
geografiche poi, ridisegnano i confini del mondo conosciuto. Tutto in questo
momento congiura, prepara il terreno per quella che sarà la più grande
delle rivoluzioni politiche del nostro tempo: la rivoluzione francese del
1789.
La
rivoluzione francese, come si è visto, sfruttando e potenziando le conquiste
culturali del medioevo, apre le porte alla definitiva affermazione dei diritti
delluomo. La tutela della libertà morale assume ora una rilevanza enorme e
tuttavia, procedere alla redazione di una norma di protezione della stessa, si
dimostrerà un compito tutto fuorché semplice. Della difficoltà di dare
forma ad una norma quale sarà poi quella dedicata al plagio abbiamo una
testimonianza indiretta.
Si
tratta del codice penale emanato in Francia allindomani della rivoluzione
del 1789. In questultimo, datato 1791 e nei primi commentari (ufficiali)
che lo accompagnavano, scopriamo la scelta di non prevedere una fattispecie
incriminatrice per il plagio nella parte del codice dedicata ai delitti contro
i singoli individui[27].
Al contrario: la reazione contro i fatti di chi attenta alla libertà morale
di un individuo veniva inserita al settore dei delitti contro la cosa
pubblica.
Larticolo
che qui interessa è il 19 della seconda parte, titolo primo, sezione
terza del codice penale nel quale leggiamo:
Tout
attentat contre la liberté individuelle, base essentielle de la Constitution
.
A
questo punto il legislatore dovendo individuare una condotta o meglio una
serie di condotte incriminabili è costretto a ricorrere al testo già
utilizzato per il codice di procedura penale, emanato poco prima di quello
penale[28],
completando larticolo come segue:
serà punì ainsi quil suit:
Tout
homme, quelle que soit sa place ou son emploi, autre que ceux qui ont reçu de
la loi le droit darrestation, qui donnerà, signerà, executerà lordre
darreter une personne vivant sous lempire et la protection des loi français,
ou larretrerà effectivement, si ce nest pour la remettre sur-le-champ
à la police dans les cas determinès par la loi, serà punìde la peine de
six années de gene
Non
è possibile non accorgersi a questo punto della evidente difficoltà di
codificare i modi di aggressione alla libertà del singolo costituzionalmente
riconosciuti, difficoltà che arriva al punto di mutuare, nel rispetto dei
principi di materialità e legalità che governavano il codice rivoluzionario,
una formula utilizzata nella redazione di un codice di procedura. Nonostante
questo però è evidente anche lo sforzo compiuto dal legislatore del 1791 per
superare la nozione ristretta del codice di procedura e per dare spessore e
vita diversa a quella norma. Il richiamo a questo punto ai diritti di libertà
tutti, previsti nella solenne dichiarazione del 1789, è chiaro in questa
direzione.
Sarà
sufficiente a questo punto notare che non solo la Costituzione prevedeva
esplicitamente il diritto alla libertà (tutti gli uomini nascono e muoiono
liberi) ma soprattutto aveva riempito di contenuti la parola libertà.
Descrivendo un fenomeno che presupponeva e partiva proprio dalla capacità del
singolo di autodeterminarsi. I
filosofi del settecento lo teorizza vano e lo sostenevano: uno tra i
fondamentali diritti dellindividuo è quello di essere padrone del proprio
pensiero e dunque del suo destino.
Tra
i tanti pensatori che si sono dedicati allapprofondimento di questo tema,
Niccolò Spedalieri, autore di un opera dal significativo titolo di Dei
diritti delluomo scrive:
Ogni
uomo è persuaso di tendere naturalmente alla felicità: ma questa né più è
una persuasione piuttosto di sentimento, che di raziocinio.(
) Se è
discorso del fine delle umane azioni, perché esso dee servir di principio,
onde dedurre, e dimostrare i diritti naturali, che convengono ad ogni uomo: Ma
per ben conoscerli e per saper estimare con giustizia il valore, duopo è,
che si cominci col definire che intendere si debba per diritto
.
Che
intendete voi allorchè dite di avere un diritto? Un poter fare, una facoltà
conforme alla ragione di fare, di avere di adoperare qualche cosa. Il semplice
potere
fisico non costituisce diritto.
(
) bisogna che per far nascere la idea del diritto che il potere sia
consentaneo alla ragione. (
) Quindi saremo, io credo in riconoscere che la
misura del diritto debba essere sempre la ragione, non mai la forza.[29]
Segue
poi nella espositiva dello Spedalieri una attenta disamina di quali siano i
diritti e la loro classificazione. Tra questi al primo posto lautore pone
il diritto alla conservazione del proprio individuo seguito dal diritto di
perfezionare se stesso e da quello di proprietà. Il quarto è il
diritto di autodeterminazione. Nelle parole di allora:
Ogni
uomo ha un diritto di libertà in fare tutto ciò che concerne i diritti della
conservazione e della perfezione di se stesso, e della sua proprietà. E
questo è il quarto (diritto). Qui
si intende per libertà una indipendenza dallaltrui volere.[30]
Insieme
a quello appena visto il quinto diritto chiude la serie di quelli che
maggiormente qui interessano:
Ogni
uomo ha il diritto di libertà anche in pensare, o sia in giudicare circa ciò
di cui si è parlato. Voglio dire il giudicare tutto ciò che si riferisce
alla mia conservazione alla mia perfezione alla mia proprietà, appartiene a
me e non ad altri. E questo il quinto diritto, il quale si dimostra per
assurdo come il precedente il tal modo. Il detto giudicio appartenga non a me,
ma ad un altro. Ne seguirà che io dovrò dipendere dal giudicio di un altro
nel fare, poiché se il giudicio altrui rimanesse sterile, effettivamente io
mi regolerei col mio. Ma io sono
indipendente, libero nel fare. Dunque è duopo che io sia libero ancora nel
giudicare. [31]
Ora,
visto che chi scrive ritiene che le vicende che si verificano attorno ad un
codice penale raramente sono determinate dal caso, si tratta di riflettere su
questa scelta del legislatore francese per comprenderla appieno. Difficilmente
si potrà in questo caso sfuggire alla osservazione che, con ogni probabilità,
la scelta di allora fu dettata dalla convinzione che la libertà tutelata dal
plagio fosse da porre in relazione stretta con le libertà politiche.
In
altre parole: il terreno sul quale si misurava e si apprezzava portata ed
effettività della libertà morale, era quello dei diritti civili e politici.
E evidente infatti che si è di fronte ad una scelta che, seguita poi anche
da altri legislatori, mette in luce limportanza connessa alla tutela di
questo bene. Importanza e spessore diverso, lo stesso diritto visto in una
prospettiva differente, in linea del resto con lo sforzo generale operato
dalla Rivoluzione francese per far uscire luomo dalla tenebre del
medioevo.
d)
La trasformazione del plagio dai codici preunitari al codice Zanardelli. La
posizione di Carrara
Giunti
a questo punto del nostro lavoro è interessante vedere se e quale fosse la
regolamentazione del plagio nel nostro paese. Partiamo dalla considerazione
del periodo che precedette lunità dItalia. La situazione dei codici
penali dellepoca è nota: in parte ispirati al modello francese che aveva
invaso molte zone, per il resto influenzati dalla legislazione austriaca.
Pur
senza poter procedere ad una analisi dettagliata va detto che il modello
maggiormente seguito è almeno inizialmente quello francese. Anche in
Italia infatti (vedi, ad esempio, a questo riguardo il codice penale del 1859
allart.199) un delitto
modellato sul tipo dellart. 19 cp francese del 1791, figurerà tra i
delitti pubblici contro lo Statuto, ma di questo stesso verrà unanimemente
accentuato (con la sola eccezione del codice penale toscano) laspetto
materiale della privazione della libertà. Il delitto infatti scivolerà
gradualmente verso la fattispecie di arresto arbitrario ad opera di un
privato, o carcere privato.
In
questo senso sono i codici penali delle due Sicilie, quello di Parma, e il
codice degli ex Stati Estensi, oltre che il Pontificio Regolamento romano.[32]
Fa eccezione, come si è annunciato più sopra, a questa tendenza il codice
penale Toscano del 1859, il quale anticipa la soluzione che sarà adottata
dallo Zanardelli qualche anno più tardi. Viene restituito qui un ruolo niente
affatto secondario alla libertà morale e al delitto di plagio posto a suo
presidio.
Nel
codice toscano si trovano infatti diversi articoli dedicati a reprimere i vari
fenomeni possibili di attacco alla libertà. Si dimostra così la coscienza da
parte del legislatore toscano che lattacco alla libertà può svilupparsi
con modi, e su piani, diversi.
In
particolare nella parte dei delitti pubblici è previsto lart. 190,
dedicato alla repressione del fenomeno dellarresto arbitrario da parte di
agenti pubblici[33];
nella parte dedicata ai delitti di soggetti privati troviamo due
articoli: uno, lart.360, destinato a completare il contenuto dellart.190
con la previsione della sanzione per lo stesso fatto di carcere privato ad
opera di soggetti non rivestiti di alcuna autorità[34],
laltro quello che qui maggiormente interessa- destinato a reprimere la
fattispecie specifica di plagio.
E
questo il primo caso di una norma specificamente destinata al delitto di
plagio che di fatto succede al diritto romano. Lart. 358 in particolare
prevede:
Non
stupisce che sia un codice avanzato quale quello toscano il primo a rendersi
conto della possibile pluridimensionalità degli attacchi alla libertà. Il
plagio è ancora una volta un testimone fedele del suo tempo. Siamo infatti in
Italia in quegli anni ai primi esperimenti di libertà protette tramite
statuti ma il processo di democratizzazione della vita sociale è ancora ad
uno stadio iniziale. Pochi votano e pochi studiano: il nostro è in larga
parte ancora un paese di contadini, nella stragrande maggioranza poverissimi,
e in molte zone in una condizione non diversa da quella feudale. Oltre a
questo, un freno inibitore potente per le riforme è rappresentato dalla
funzione egemonica in campo culturale della chiesa. Anche se qualcosa sta
cambiando e lo Statuto del 48, con le sue aperture, è il segno chiaro del
cambiamento.
Non
deve essere un caso che il plagio venga portato per la prima volta in Italia
nel settore dei delitti contro i singoli individui nel momento in cui più
forte sarà la tensione anticlericale. Per comprendere però appieno le
caratteristiche che il plagio assumerà nel codice penale del 1889, dobbiamo
compiere un ulteriore approfondimento.
Si
è detto della conformazione al modello francese della generalità dei codici
italiani preunitari, ma si è anche precisato come questa fosse una spinta
iniziale. Difatti in questo settore il codice penale Zanardelli non mutuerà
il modello francese ma elaborerà un proprio particolare sistema di tutela,
che, non senza polemiche, verrà codificato nellart. 145. Un modello di
tutela ispirato dalla filosofia liberale, che prende le distanza dalla
soluzione rivoluzionaria, adottando un assetto che permarrà praticamente
invariato fino alla sentenza n.96 del 1981.
Non
è un passaggio secondario ma, a parere di chi scrive, determinante. Tra
questi due momenti vi è il segno di un passaggio importante. Punto di
partenza è una soluzione ispirata dalle esigenze rivoluzionarie che aveva
bisogno (in opposizione allancien
regime), di segnare punti fermi irrinunciabili. Anche a costo di
codificare le libertà del singolo e di avere quindi a che fare con libertà
di derivazione normativa. Punto darrivo (o di transizione, se si
preferisce) è un regime liberale che ha già fatto proprie quelle libertà e,
superando la logica rivoluzionaria, si può ormai permettere di considerarle
diritti del singolo.
Ovvero:
diritti naturali, riconosciuti e non creati dallordinamento piuttosto che
diritti politici. E una svolta decisiva ed il suo valore è testimoniato
dalla durissima presa di posizione di Francesco Carrara nel commento
allart.358 del codice penale toscano. Si noterà come il passo citato del
Carrara riprenda per molti versi quello soprariportato dello Spedalieri. Anche
qui non si è trattato di una scelta casuale, ma che ci aiuta a mettere in
luce come si trattasse, per quelli di cui discorriamo in queste pagine, di
temi dibattuti e che facevano parte del patrimonio, del bagaglio culturale dei
pensatori del sette-ottocento. Tuttavia non si potrà fare a meno di notare
alcune, piccole ma significative differenze.
Scrive
Carrara:
Dopo
il diritto alla conservazione della propria esistenza, dopo il diritto alla
conservazione della propria integrità fisica e morale, il diritto che tosto
succede nellordine della relativa importanza, è quello della libertà
individuale: vale a dire della costante facoltà che luomo di esercitare le
proprie attività così fiche come morali a servigio dei suoi bisogni e al
fine di raggiungere la sua destinazione nella vita terrena.
A
questo punto Carrara dopo avere precisato cosa debba intendersi per libertà,
ovvero il <<diritto del pratico
illimitato esercizio della libertà individuale>>, inizia la sua
accusa contro quei codici, che a differenza di quello toscano, considerano il
plagio come delitto politico. Difatti precisa subito come la terza classe di
delitti, nella quale rientra il plagio:
appartiene
alla categoria dei delitti naturali, poiché non è la consociazione ma la
natura che comparte alluomo la sua naturale libertà. La libertà esiste
come diritto prima della consociazione (
): male però la opposta scuola,
confondendo la creazione del diritto con la sua tutela volle trovarne la
origine nella società e nella legge positiva; lo condusse alla negazione
della legge naturale. (
)
Laonde
lillustre Geyer a tutta ragione accusò di gravissimo errore lultimo
progetto di codice penale italiano (che
diventerà poi il cp 1859) appunto
perchè poneva i delitti contro la
libertà individuale nellordine dei delitti politici, per lo specioso
motivo che lo Statuto (legge politica) proclama inviolabile la libertà
individuale. Solito abbaglio di considerare attributiva di un diritto che è
eterno una legge umana soltanto perché lo riconosce e lo protegge.[35]
Non
è particolarmente difficile rendersi conto del fatto che vi è una differenza
nei toni e nellatteggiamento di Carrara rispetto a Spedalieri. Il giurista
toscano esalta in modo significativo, e sconosciuto ai pensatori cattolici di
un secolo prima, il valore e il ruolo dellindividuo come singolo.
Differenza che si tradurrà in una scelta di campo da parte del primo
codice penale italiano post-unitario.
Difatti
la nuova norma che si ritrova nel codice penale Zanardelli[36]
appare come un prodotto della nuova filosofia liberale che si afferma in
questo periodo in Italia. Le scelte in campo culturale sono tutte indirizzate
a spezzare il predominio incontrastato e secolare della chiesa cattolica. Solo
che in Italia, proprio in ragione del prevalente orientamento politico che
esaltava il valore del singolo come individuo, questa trasformazione non
assunse il colore della rivendicazione politica come era invece successo nella
Francia rivoluzionaria.
Lelaborazione
della tutela della libertà morale avviene qui attraverso la protezione
dellindividuo come singolo piuttosto che non come componente di
unaggregazione politica. Si tratta di prospettive diverse ma perfettamente
comprensibili. Nasce in questo modo la condizione analoga alla schiavitù
dellart.145 del c.p. che, come si è avuto modo di notare
allinizio, ha alle spalle lindividuazione chiara dei confini ideali e
filosofici della libertà morale. La testimonianza di questa diversa
prospettiva è nel passaggio di questo delitto da quelli contro la libertà
politica a quelli contro la libertà individuale.
A
leggere la relazione con la quale lo Zanardelli accompagnava il progetto
Savelli del 1883, ci si rende conto della consapevolezza già presente della
molteplicità di forme che poteva assumere la libertà dellindividuo:
I
reati che offendono la libertà individuale, togliendola o diminuendola, sono
tutti quei fatti criminosi, che nella dottrina e in alcuni Codici vengono
sotto il nome di plagio, nelle sue varie forme di violenza o di minaccia.[37]
Non
solo. E chiaro nel dibattito parlamentare, che accompagna il progetto del
1883 e del 1887, che oggetto della tutela è in questo caso la personalità
individuale. Difatti vi si trova espressamente che:
nel
capo terzo sono previste e represse le offese alla libertà individuale
propriamente detta, ossia alla personalità del cittadino.[38]
In
conclusione non si potrà non notare come dalla redazione che compare nel
codice del 1791 a quella che invece è la formula del codice Zanardelli molte
siano le differenze, in prevalenza dovute ad una sempre maggiore tendenza a
smaterializzare il delitto di plagio, dando sempre maggior risalto al profilo
psicologico dello stesso. Trasformazione per altro perfettamente comprensibile
alla luce del ragionamento che si è appena svolto.
Su
questo punto la letteratura è vasta e ci sarà consentito di attardarci meno.
Vorremmo però mettere in evidenza alcuni elementi. Come si è detto sopra il
c.p. del 1930 si muove allinterno della logica adottata dal legislatore del
1889 e dentro questa si proietta in avanti, cercando di cogliere le linee
(possibili) di una evoluzione dei fenomeni legati alla suggestione ipnotica.
Che cosa ha contribuito nel volgere di pochi anni ad accentuare linteresse
del legislatore verso il profilo psicologico del plagio?
E
necessario avere ben chiaro che il legislatore del 1930 si riferiva in
generale alla possibilità di instaurare un legame di sudditanza psicologica
attraverso luso di tecniche derivate dalla scienza psicoanalitica e contro
questa possibilità -precorrendo i tempi- approntava uno strumento di tutela
della personalità individuale[39],
più penetrante di quello adottato dal legislatore del 1889. Tuttavia,
allepoca di redazione del codice penale la psicoanalisi era poco conosciuta
in Italia salvo che nel suo aspetto più folkloristico e guardata con forte
diffidenza[40].
E
chiaro che nel 1930 il pericolo rappresentato da una suggestione ipnotica
poteva solo essere paventato[41].
In questo senso, lavere previsto nel corpus
del codice la norma contenuta nellarticolo 603 testimonia -a nostro avviso-
una notevole capacità nel cogliere e anticipare i fenomeni evolutivi sociali
da parte del legislatore di allora. Si trattava però di una scommessa e nella
codificazione dellart.603 che reputiamo comunque un esperimento coraggioso
e per nulla illiberale, questo fatto peserà non poco.
La
eliminazione del delitto di cui allart. 603 codice penale ha determinato un
disequilibrio nel sistema dei delitti chiamati a presidiare il campo della
libertà individuale, costringendo il delitto di riduzione in schiavitù a
svolgere un compito di supplenza rispetto al quale si è rivelato fortemente
inadeguato, mentre altrettanto inadeguati si dimostrano i delitti di sequestro
di persona, circonvenzione di incapace e di violenza privata.
Questo
perché come si è avuto modo di vedere finora, il plagio non era destinato a
presidiare solo la effettiva esplicazione della personalità individuale
(proteggendo la volontà, già formata, nella fase di espressione della
stessa), ma anche a garantire le precondizioni (consentendo alluso di
un termine non propriamente tecnico) di esercizio di quegli stessi diritti,
attraverso la protezione di una volontà non ancora formata. E evidente che
si tratta di due momenti strettamente connessi e di cui uno, la libertà
morale, costituisce lantecedente logico dellaltro.
Difatti:
intanto una personalità può esplicarsi liberamente in scelte autonome, in
quanto siano al singolo garantite le condizioni minime di formazione del
volere. Non è difficile rendersi conto della estrema delicatezza del compito
svolto dal plagio. Quasi una sentinella posta a presidio di un bene tanto
difficilmente definibile quanto prezioso: il libero arbitrio.
Ora
si tratta di capire se, rispetto a situazioni difficilmente prevedibili per il
giudice costituzionale del 1980, che in modo nuovo si prospettano come
potenzialmente lesive della libertà individuale (sotto un profilo diverso da
quello della riduzione in schiavitù), non sia forse il caso di avviare una
riflessione critica[42]
che si preoccupi di ripensare complessivamente il sistema di tutela
della/delle libertà umane.
E
chiaro infatti che lasciare la protezione di momenti essenziali per la vita di
tutti alla sola copertura offerta dal delitto di riduzione in schiavitù e da
quello di sequestro di persona e violenza privata, significa diminuire in
maniera sensibile le garanzie di libertà del singolo. Le fattispecie sopra
richiamate non sono minimamente in grado di rispondere al bisogno di tutela
che risultava prima coperto dal plagio, a meno di evidenti e discutibili
operazioni di estensione
analogica. La normativa poi da ultimo introdotta, dalla legge 269 del 3 agosto
1998, in materia di prostituzione e pornografia minorile si dimostra una volte
esaminata per quello che realmente è: una risposta dettata più dalla fretta
di tacitare lopinione pubblica che non da uno studio attento.
I
risultati della analisi svolta indicano una possibile soluzione. A dispetto
delle previsioni della Corte Costituzionale ciò di cui oggi si avverte
lesigenza è una norma di principio. Una norma capace di svolgere una
funzione di presidio per un bene importante e fragile quale risulta essere la
libertà morale. E chiaro che non si potrà pretendere una precisione
millimetrica nella individuazione delle modalità della condotta incriminata.
La
libertà morale di un individuo non è daltronde un bene che si possa
valutare in centimetri. E il momento di ripensare il plagio, perché avere
uno strumento di tutela perfettibile (come per altro sono quasi tutti) è
comunque infinitamente meglio che non averne nessuno.
1)Luigi
Alibrandi, Osservazioni sul delitto di
plagio, in Rivista Penale, 1974
2)Paolo
Benassi, Il caso Braibanti: alcune note
in tema di plagio, in LIndice penale, 1970
3)Mario
Cevolotto, Il consenso del soggetto
passivo del reato e la rinunciabilità degli interessi penalmente protetti,
Rivista italiana di diritto e procedura penale,
1920
4)Riccardo
Crespolani, Di alcuni delitti contro la
libertà individuale, in Supplemento alla Rivista Penale,
vol. VI
5)Franco
Coppi, voce Plagio, in Enciclopedia
del diritto italiano.
6)Ruggero
De Gaetano, Plagio e suggestione ,
in Temi Romana, 1972
7)Giovanni
Fiandaca, Il transfert psicoanalitico
come impostura?, (nota a sentenza Verdiglione), in Foro italiano, 1987. II
parte
8)
Francesco Saverio Lombardi, Delitti
contro la libertà individuale, in Supplemento alla Rivista Penale,
vol. VIII
9)Alberto
Manacorda, La prodigalità ed i suoi
possibili rapporti con linfermità psichica. Un concetto che muta con
levoluzione storica, in Foro Italiano, 1987, I parte
10)Rosalba
Normando, Abolitio
criminis per incostituzionalità
e revisione, in Cassazione Penale, 1984, vol. II
11)Pietro
Nuvolone, Considerazioni sul delitto di
plagio, in Studi Petrocelli, Giuffrè 1972
12)Francesco
C. Palazzo, Orientamenti dottrinali ed
effettività giurisprudenziale del principio di determinatezza-tassatività in
materia penale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1991
vol. I
13)Roberta
Pezzano, Circonvenzione di incapaci e
<<depatrimonializzazione>> del bene tutelato, in Rivista
italiana di diritto e procedura penale, 1993,
vol. I
14)Adelgiso
Ravizza, La schiavitù e il reato di
plagio nella colonia eritrea, in Primo Supplemento alla Rivista Penale,
1916
15)Michele
del Re, Modellamento psichico e diritto
penale: la tutela penale della integrità psichica, in La Giustizia
Penale, 1983, seconda parte
16)Laura
Sola, Il delitto di riduzione in
schiavitù: un caso di applicazione, in Foro Italiano, 1989, II parte
17)Cosimo
Tursi, Principi costituzionali e
delitto di plagio, in Archivio Penale, 1969, vol.II (nota alla sentenza
della Corte dAssise di Roma del 14 luglio 1968)
18)Alessandro
Usai, La schiavitù di fatto, in
Rivista giuridica sarda 1994
19)
Alessandro Usai, Ancora sulla schiavitù
di fatto, in Rivista giuridica sarda 1995
20)Giuseppe
Zuccalà, Il
plagio nel sistema italiano di tutela della libertà, in Rivista italiana
di diritto e procedura penale, 1972
21)Corte
Costituzionale, sent. 96 dell 8 giugno 1981 (dichiarazione
dellillegittimità cost. del delitto di plagio)
22)Corte
dAssise di Roma, sentenza della del 14 luglio 1968 (condanna in primo grado
di Braibanti)
23)Tribunale
di Milano, sentenza 17 luglio 1986 in Foro italiano, 1987, II parte (condanna
in 1°grado di A.Verdiglione)
24)Corte
di Cassazione sentenza n.6805/1986, in Foro Italiano, 1987, I parte
25)Tribunale
di Lecce, sentenza 13 maggio 1991, in Rivista italiana di diritto e procedura
penale, 1993, vol. I
26)Corte
dAssise di Milano, sentenza 18 maggio 1988 ( sent. Relativa ai bambini
argati), in Foro Italiano, 1989, II parte
27)Corte
di Cassazione, sent.18 dicembre 1981, in Foro Italiano, 1983, II parte
(rigetto istanza di revisione del processo Braibanti)
28)Tribunale
di Nuoro, sentenza 6 novembre 1992
29)Tribunale di Nuoro, sentenza del 20 gennaio 1994, in Rivista Giuridica Sarda,1995
[1]
I quali, come è noto, devono restare ancorati ai pressanti problemi del
quotidiano, senza nulla mai concedere alle frivolezze degli studi storici.
Una teoria questultima, tanto antiquata quanto ancora estremamente
diffusa tra studiosi e tecnici del diritto.
[2]
Giulio Crivellari, Il Codice Penale
per il Regno dItalia, vol..V, p.469 , UTET Torino 1894
[3]
Non sarà inutile chiarire fin dora che la fede cui ci si riferisce in
questo caso è esclusivamente quella cattolica. La religione protestante non
solo non ha mai ostacolato, ma
anzi la ha sostenuto ed alimentato la riflessione sul libero
arbitrio. Una lettura, anche veloce, dei Discorsi
a tavola di Martin Lutero lascia pochi dubbi in proposito.
[4]
E chiaro che in queste prime righe si fa cenno solo alla tutela diretta e
generale del bene libertà morale. Esistono come è noto- altre norme del
codice che pur non essendo rivolte a questo scopo si occupano di tutelare
singole situazioni nelle quali si ritiene possibile una compromissione della
stessa libertà. Basti pensare,
ad esempio, alle norme che sono dedicate a garantire la corretta e libera
formazione del consenso nei rapporti sessuali fra soggetti tra i quali
intercorra una relazione dautorità o fra soggetti minori e maggiori
detà.
[5]
Vedi a questo proposito il caso della eliminazione del delitto di ratto a
fine di matrimonio rispetto al più generale delitto di sequestro di
persona. Qui, come già si era verificato in altre ipotesi, le condotte
punibili prima a titolo di ratto vengono attualmente punite a titolo di
sequestro di persona. A consentire questo il rapporto di genus
a species esistente fra le
fattispecie e gli oggetti giuridici in questione, rapporto irrintracciabile
nel caso del plagio tra questultimo e qualsiasi altro reato.
[6]
Ancorché, evidentemente, sotto profili differenti.
[7]Il
riferimento è evidentemente alla sentenza 96 pronunciata lotto giugno
1981. Per comodità si precisa
che le citazioni della stessa sentenza sono tratte da
La Giustizia Penale, prima parte, 1981, c.226 e ss.
[8]
Il dubbio, per altro, trova ulteriore conferma alimento da una parte nella
mancanza, a quasi venti anni dalla sentenza 96 del 1981, di interventi
legislativi diretti nel settore, tale non può infatti considerarsi
linserimento degli articoli 600 bis e seguenti ad opera della legge 269
del 1998. Dedicati alla repressione della pedofilia e della prostituzione
minorile si riconoscono per essere un intervento settoriale e purtroppo,
ancora una volta, improntato a logiche di tipo emergenziale.
Dallaltra
parte, nella difficoltà sempre crescente che accompagna il destino
processuale di vicende che si pongono ai confini estremi del concetto di
riduzione in schiavitù. Si tratta di casi noti e che si richiamano solo ad
un fine esemplificativo. Alcuni, in particolare i primi due, sono stati
ricondotti dalla giurisprudenza nella ipotesi della riduzione in schiavitù
regolata dallart.600 del codice penale. Lultimo caso, che a parere
nostro è quello che sembra essere più vicino alla ipotesi del plagio, vede
la giurisprudenza oscillare tra la riconduzione al delitto di circonvenzione
di incapace e quella, più drastica, della non rilevanza penale del fatto.
Si
può pensare ad almeno tre grandi questioni di frequente incontro.
1)Innanzitutto alle vicende di soggetti, normalmente di provenienza
extraeuropea, ai quali in cambio di un ingresso, illegale, nel nostro paese
vengono sottratti i documenti e imposto un prezzo per la loro restituzione,
prezzo per il quale sono costretti a prestare la propria forza lavoro.
2)Ancora, i casi dei bambini
argati, minori sottratti alle poverissime famiglie
dorigine e relegati ad una vita di accattonaggio e piccola
criminalità di strada. 3)Infine la vicenda che maggiormente suscita
perplessità, relativa ai fedeli (rectius:
adepti) di diverse organizzazioni religiose e/o culturali portati in molti
casi a sacrificare tutto ciò che possiedono (beni, affetti, vita privata),
in nome di una fede ultraterrena.
Se
nei primi due casi la riconduzione al delitto di riduzione in schiavitù è
stata sorretta dalla necessaria materialità delle condotte in questione,
nellultimo caso tutto ciò è reso più complesso dal presentarsi del
legame in forma diversa e meno tangibile come soggezione psicologica. Un
legame questo che solo occasionalmente e in modo eventuale acquista
visibilità rivelandosi in altre fattispecie delittuose (ad esempio la
circonvenzione di incapace).
[9]
Utilizziamo questa espressione non con una accezione valutativa ma in quella
mutuata dal linguaggio delle scienze: il concetto darwiniano di evoluzione
della specie, illustrato dallo
scienziato nel celebre saggio dedicato alla Origine
della specie, pubblicato nel 1859. Concetto legato ad un altro, ancora
una volta di derivazione scientifica, in base al quale nelluniverso
nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
[10]
Lintento di chi scrive non è senzaltro quello di stravolgere o,
peggio ancora, ignorare il dato letterale ma, al contrario, di rispettarlo
in modo pieno. Si tratta infatti di una interpretazione che parte dal dato
normativo e ne fa il suo centro. Il rispetto dello stesso dato però impone
di non considerarlo in modo asettico. Ogni norma ha una storia ed un perché
e, nello studio e nella comprensione di questa come di tutte le norme,
questi elementi si rivelano preziosi e da non trascurare mai, a meno di non
voler avere a che fare con delle maschere vuote.
[11]
Senza nulla togliere alla possibilità di procedere, a ricostruzione
effettuata, comunque alla eliminazione del plagio. Lasciando però cosa
che a nostro avviso la Corte non ha inteso fare- spazi per una possibile
modifica, un ripensamento, di quella stessa figura di reato. Sarebbe stato
chiaro infatti che in quel caso la Corte considerava complessivamente il
plagio un importante strumento di tutela. E questa
valutazione ad essere mancata.
[12]
Peggiore è la reazione quando poi si cerca di ragionare su questioni, tutto
fuorché secondarie, quali quelle relative al linguaggio dei giuristi.
Questa debolezza non è nel tempo passata inosservata. Per rendersene conto
sarà sufficiente richiamare quanto uno storico brillante come Marc Bloch,
scriveva sullargomento:
Ora
non tutti i gruppi scrivono (
) o non hanno altrettante possibilità di
far giungere ai posteri i propri scritti. Ognuno lo sa: è raro che il
verbale di un interrogatorio giudiziario riproduca letteralmente le parole
pronunciate; il cancelliere, quasi spontaneamente, ordina, chiarifica,
ristabilisce la sintassi, respinge le parole che giudica troppo volgari.
Anche
le civiltà del passato ebbero i loro cancellieri: cronisti, soprattutto
giuristi. E la loro voce che, prima di ogni altra, ci è giunta. Badiamo
di non scordare che le parole di cui si servivano, le classificazioni che
proponevano mediante queste parole, erano il risultato di una elaborazione
dotta, spesso esageratamente dominata dalla tradizione. Marc Bloch,
Apologia della storia o mestiere di storico, Pbe 1969, p.143.
[13]E
appena il caso di chiarire che ci si riferisce in questa sede al processo
che portò alla condanna di Aldo Braibanti e al procedimento contro Emilio
Grasso che si concluse con una archiviazione proprio a seguito della
sentenza di incostituzionalità cui si fa cenno nel testo. In entrambi i
casi fortissima fu lattenzione della opinione pubblica e le polemiche in
sede giudiziaria e dottrinale.
[14]
Guidata -è giusto ricordarlo- da un insigne romanista quale il prof.
Edoardo Volterra, estensore della sentenza.
[15]
Corte Cost., sent. 96/1981,
cit., c.234-235
[16]
Unassunzione al trono, una rivoluzione, hanno il loro posto fissato,
nella durata, in un anno, qualche volta in un giorno preciso. Ora,
lerudito ama, come si dice, di <<datare finemente>>, vi
trova, oltre ad un sollievo dellistintivo orrore del vago una grande
comodità di coscienza (
)
Badiamo,
tuttavia, di non sacrificare allidolo della falsa esattezza. La
divisione più esatta non è
necessariamente quella che si richiama allunità di tempo più piccola,
bensì quella più adeguata alla natura delle cose (
). Le
trasformazioni della cultura sociale, delleconomia, delle credenze, del
comportamento mentale non potrebbero, senza venire deformate, piegarsi ad un
cronometraggio troppo preciso (
). Una data che pretendesse di essere più
precisa tradirebbe la verità. M.
Bloch, cit, p.156
[17]
Il corsivo si riferisce al motto utilizzato da uno dei fondatori della più
celebre rivista di storia di questo secolo, gli Annales,
March Bloch.
[18]
Lidea come si può facilmente notare trovava un illustre precedente in
una delle riviste più celebri del 700 italiano: Il
Caffè. In questa ultima, come è noto, si potevano ritrovare scritti di
storia, politica economia, diritto, oltreché di letteratura. Tra i
collaboratori, Il Caffè poteva
vantare alcuni dei nomi più eccellenti dellilluminismo italiano: Pietro
e Alessandro Verri, per includere Cesare Beccaria e molti altri pensatori.
[19]
Sono questi anni, è bene ricordarlo, in cui le certezze costruite da
decenni di stabilità vengono sconvolte dalla brutalità della prima guerra
mondiale. La volontà di studiare in modo diverso nasce allora, e lo studio
della storia e della economia diventano strumenti per affrontare
criticamente il presente.
Ecco
in questo modo spiegate le incursioni del medioevalista Bloch nel settore
del diritto e di Febvre in quello economico. La storia è un processo che
riguarda lintero esistente e come tale deve essere studiata per essere
compresa.
[20]
M.Bloch, cit, p.28
[21]
Lunico, laconico, riferimento in questo senso rinvenibile nel corpo della
sentenza è quello che ha ad oggetto il codice penale per lo Stato
dAustria del 1852. Si legge a questo riguardo:
Il
reato di riduzione in situazione analoga alla schiavitù è invece
espressamente contemplato (senza
peraltro contemplare il termine tedesco Mennschenraub
e il suo equivalente plagium)
nella nuova edizione del Codice penale per lImpero dAustria del 1803,
pubblicata il 27 maggio 1852
; La Giustizia Penale, cit. c.232.
[22]
Una questione di metodo evidente già un secolo fa. Una lezione arriva
alla Corte Costituzionale dal dibattito parlamentare che accompagnò nel
1889 la discussione sul plagio.
Il deputato Chives nella seduta dell8 giugno 1888 così si esprimeva:
Quando
venne questarticolo in Commissione qualcuno disse: in Italia non cè
schiavitù, è inutile fare questarticolo; un altro disse : ma qui non si
comprano e si vendono schiavi, sarebbero contratti nulli; e quibndi ci si
passò sopra e si votò la soppressione.
Io
ci ripensai e mi dispiace (
). E notate; mi feci carico di vedere le
legiaslazioni forestiere al riguardo; presi in mano il Codice portoghese ed
in quel codice è punito questo reato; presi in mano il codice
dOlanda
.Io allora mi sono domandato èerchè non deve essere accolto
nel nostro codice un articolo, il quale, oltre a colpire una speciale
fisonomia di reato è accolto nei codici di altre Nazioni
? in
Crivellari, cit., p.503
[23]
E illuminante quanto la Corte affermi riguardo al metodo e alla finalità
delle proprie indagini.
Nellesame
della questione così prospettata occorre anzitutto procedere
allindividuazione della fattispecie criminosa che lart.603 designa con
lo specifico termine di <<plagio>> (
) e cercare
di stabilire nel suo preciso contenuto giuridico lesatto attuale
significato lessicale della parola
Corte
Costituzionale, sent. 96/81, cit. c.230
[24]
La distinzione cui ci si riferisce è ovviamente la summa
divisio de iure personarum delineata da Gaio, il quale allinizio
del libro delle sue Institutiones
illustra:
Omnes
homines aut liberi sunt aut servi. Gai.,
Institutiones 1,9.
Per
un quadro completo degli status del periodo antico si rimanda a Giovanni
Pugliese, Istituzioni di Diritto
Romano, Giappichelli Torino, 1990.
[25]
Le fonti che, sebbene più tarde sono riferibili al periodo antico,
indicano innanzi tutto: a)la nascita
da madre che fosse schiava al momento della nascita stessa ; b)la
prigionia di guerra (captivitas)
e la cattura in territorio romano di individuo che pur non combattente
appartenesse a una comunità in guerra con Roma; c)la
deditio di un individuo
effettuata da una comunità straniera a Roma in seguito a una violazione di
regole giuridico-religiose internazionali da quello commessa.
Prigionia
di guerra e deditio potevano
riguardare anche i cittadini Romani, i quali diventavano allora schiavi
della comunità straniera (
). La schiavitù derivante da prigionia di
guerra (
) era considerata però dai Romani, già nel periodo antico, non
definitiva, nel senso che se il loro
concittadino, divenuto schiavo, riusciva
a fuggire a rientrare in territorio romano, riacquistava libertà e
cittadinanza.(
) Questo istituto era chiamato postliminium
(o ius postliminii).
Altri
fatti che comportavano per i cittadini romani la schiavitù riguardavano:
a)il
debitore che, non avendo pagato, avesse subito la manus
iniectio; b)il disertore;
c)il renitente alla leva militare;
d)chi non si sottoponeva al
censimento. Costoro venivano infatti venduti (
), agli stranieri trans
Tiberim. Trattato da G. Pugliese,
op.cit., p. 84 e seguenti.
[26]
A onor del vero va ricordato che la traduzione non venne sanzionata con la
scomunica papale perché lo stesso Lutero aveva già provveduto a
procurarsela qualche anno prima. Il 15 giugno 1520, a seguito della
affissione il primo novembre del 1517-
presso la Schosskirche di Wittemberg delle 95 tesi sulle indulgenze,
Lutero venne colpito dalla bolla di scomunica Exsurge
Domine, firmata da Leone X.
[27]
In questa sarà infatti previsto, a partire dal 1810 anno di pubblicazione
del codice penale napoleonico, il delitto di arresto illegale che seguirà
nellordine il delitto di violenza sessuale e che si riferisce ad una
ipotesi di limitazione arbitraria della libertà personale. Larticolo in
questione è il 341.
[28]
Si tratta del Decret des 19-22 juillet 1791 della Assemblée nationale
constituante dedicato alla Organisation
dune police municipale et correctionelle, il Code pénal è invece
del 25 settembre 1791.
[29]
Niccolò Spedalieri, Dei diritti delluomo, Assisi, 1791, p.7 e seguenti.
Abbiamo scelto questo autore nonstante lo scritto sia posteriore, anche se
di appena due anni, alla rivoluzione francese, perché ci sembrava
importante sottolineare la diffusione anche in Italia della elaborazione sui
diritti delluomo
[30]
Niccolò Spedalieri, cit., p. 19
[31]
Niccolò Spedalieri, cit., ibidem
[32]
Vedi per una più completa informazione a riguardo: T. Ferrarotti, Commento
teorico pratico al codice penale di Vittorio Emanuele II, Torino
Tipografia Bianciardi, 1860, p.280 e seguenti.
[33]
Art.190 Ogni agente della forza
pubblica il quale abusando della sua qualità, ha eseguita, per odio, per
cupidigia, o per altra privata passione, un arresto o una perquisizione, è
punito con la carcere da tre mesi a tre anni.
[34]
Art.360 Chiunque non rivestito di
autorità legittima tiene ingiustamente rinchiusa od altrimenti arrestata
una persona è punito, come colpevole di carcere privato, con la casa di
forza da tre a sette anni e nei casi più leggieri colla carcere da sei mesi
a tre anni
[35]
Francesco Carrara, Programma di
diritto criminale, parte
speciale, vol. II, p.401 e seguenti
[36] Art. 145 Chiunque riduce una persona in ischiavitù o in altra condizione analoga è punito con la reclusione da dodici a venti anni.
[37]
Relazione al Progetto Savelli del 26 novembre 1883, in Crivellari, op. cit.,
p. 497. La
stessa sensibilità si registra in alcuni interventi e in prese di posizione
dottrinali. Tra i primi particolarmente significativo quello del deputato
Chives e tra i secondi quello dellImpallomeni.
[38]
Relazione della Commissione della Camera dei Deputati al progetto del 1887,
in Crivellari, op. cit., p.502
[39]
Che questo fosse lintento del codice Rocco è un fatto ricavabile
agevolmente dalla lettura sia dei lavori preparatori che dei commenti
ufficiali e non che seguirono la approvazione del codice penale.
Per quanto attiene ai lavori preparatori vedi quanto riportato sopra
al paragrafo dedicato alle questioni di metodo, per quanto attiene ai
commenti si può citare quanto riportato da La legislazione fascista
1929-1934:
Fra
i delitti contro la libertà
individuale è notevole una nuova ipotesi la suggestione ipnotica
in
La legislazione fascista 1929-1934, vol.I, Pubblicazione a cura del Senato
de Regno e della Camera dei Deputati, Roma 1934, p.236.
[40]
E noto come, allepoca, la psicoanalisi non godesse in Italia di
particolare stima ed abbia dovuto superare non poche resistenze prima di
affermarsi come scienza. Molta della diffidenza era dovuta alla esasperata
spettacolarizzazione che aveva
sul finire dellottocento caratterizzato i primi esperimenti di
suggestione ipnotica.
Una
eco di questi avvenimenti è rinvenibile negli articoli che numerose riviste
scientifiche qualificate dedicavano allargomento e che pare catalizzare
in modo formidabile lattenzione della comunità scientifica. Si può
citare fra gli altri il caso della Gazzetta degli Ospitali che dedicò
una serie di articoli al problema del donatismo e della fascinazione.
Chi
lavrebbe detto che verso gli sgoccioli del secolo decimonono si sarebbe
ancora parlato, come qualche secolo addietro,
di fascino e di affascinanti? Eppure tantè! Anche gli spiriti più
o meno forti, che jeri ascoltavano con un sorrisetto di compassione le
storie autentiche relative allipnotismo, oggi parlano dei miracoli dl
fascino, con la convinzione dei neofiti, e forse domani crederanno ai demoni
familiari, ai gnomi, alle streghe, alla tregenda.
Sicuro
dalle Alpi al Lilibeo, ora non si fa altro che parlare di fascinatori e di
affascinati; si discute sul fascino nei salotti e nei giornali, e chiunque
è medico è perseguitato dai suoi conoscenti che dimandano ad esso
spiegazioni sui miracolosi fatti annunziati dalle gazzette, e che vogliono
assolutamente sapere quanto di scientifico, quanto di ciarlatanesco in essi
si racchiuda.
la scienza va facendo visita alla ciarlataneria, alloggiata
sui palchi scenici col pretesto di spezzare e spacciare il suo pane alle
turbe, vi si trova come in casa propria; e la ciarlataneria di ricambio,
mentiti i panni e cammuffata da gentildonna, sale imperterrita le scale
delle Università, entra col biglietto ufficiale nelle aule accademiche,
sorpassa le soglie degli ospitali
Del fascino, miei cari signori, si è
parlato da tempo immemorabile(
).
Avicenna
e Algazel parlano pure di femmine che affascinano con lo sguardo, ed anzi il
primo non solo con lo sguardo ma anche al pensiero intenso del fascinatore,
dà la proprietà di affascinare, il che equivarrebbe presso a poco alla
moderna suggestione mentale
Dott.
C. Bonfigli, Fascinazione (chiacchere
estive) in La Gazzetta degli Ospitali, 1886, n.53.
Non
si trattò però di un caso isolato, basti pensare che una autorevolissima
enciclopedia quale quella che si occupa del Lessico Ecclesiastico, dedica più
di un intervento a questo proposito, pur non prevedendo una voce specifica
<<plagio>>. In particolare, alla voce suggestione:
E
latto dellimporre una persuasione, unazione od omissione operando
potentemente sulla fantasia della persona, che dicono suggestionata. Questo
fino ad un certo punto già si fa comunemente dagli oratori, dagli attori di
teatro ed anche dalle volontà forti sulle deboli; ma in modo grandioso e
ineluttabile la suggestione si esercita (
) sugli ipnotizzati.
Certo
la suggestione è il fenomeno dominante dellipnotismo: anzi secondo la
scuola di Nancy la suggestione basterebbe a spiegare come altrui si induca
alla ipnosi. Si distingue una suggestione
verbale da una suggestione
mentale; quella si fa con parole o altri segni equivalenti, questa si
farebbe senza alcun mezzo visibile di comunicazione. La
suggestione verbale è un fatto. Ma la suggestione mentale è possibile.
G.
Rossignoli, voce suggestione in Il lessico Ecclesiastico Illustrato,
Vallardi Milano, 1906, vol. IV, p.847
E
evidente che si tratta di un interesse generale che non si limitava certo a
coinvolgere solo gli studiosi della scienza medica. La possibilità, offerta
dagli strumenti della psicoanalisi, non solo di penetrare nei reconditi
accessi dellanimo umano, ma soprattutto di arrivare senza luso della
forza a determinare laltrui volere, doveva esercitare un fascino
straordinario sulle menti di inizio secolo. Se si tiene conto, come si deve,
che sono questi gli stessi anni nei quali in Italia e in Europa in genere si
diffonde e trova particolari consensi la filosofia della azione governata
dal dialogo tra volontà e azione-, non può stupire che vi fosse grande
interesse nei confronti delle nuove scoperte scientifiche.
[41]
Non è forse inutile sottolineare a questo proposito che gli anni in cui si
procedette alla redazione del codice erano in qualche modo caratterizzati da
una sorta di ingenuità, per quanto riguarda il campo scientifico, non
indifferente. Gli studi sulla possibilità di agire e interagire sulla
psiche umana erano in Italia, appena agli inizi. La conferma ci viene ancora
una volta dalla lettura dei giornali scientifici dellepoca. In questi, ad
esempio si ritrova infatti che nella maggior parte degli ospedali italiani i
casi di depressione venivano affrontati con luso massiccio
dellelettrochoc piuttosto che non con una terapia di sostegno
psicologico.
Si
può aggiungere per avere un quadro più preciso che lutilizzo di
tecniche di manipolazione del volere rientrava allora più nel campo della
fantasia che non in quello della scienza. E questo non solo in Italia. E
sufficiente pensare che sono questi gli anni nei quali per la prima volta si
sperimenta il brainwashing, senza per altro avere ben chiare quelle che
avrebbero potuto essere le applicazioni pratiche di questa tecnica. Saranno
qualche anno dopo i campi di prigionia e di concentramento a rivelare
drammaticamente la possibilità di utilizzazione delle tecniche di
manipolazione del pensiero, questa volta su vasta scala. E tuttavia va detto
che negli anni venti e trenta queste implicazioni erano imprevedibili, gli
studi scientifici in piena espansione andavano tutti senza distinzioni
particolari- avanti senza porsi il problema delle finalità pratiche delle
scoperte.
[42]Finalmente,
liberata dai molti condizionamenti ideologici che la vicenda Braibanti aveva
finito con lassumere, e che avevano di fatto imposto che su un tema
importante anzi, fondamentale, quale quello della tutela della libertà
umana, si procedesse per dogmi e apriorismi inutili oltreché dannosi.