inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2004

Un approfondimento sulla nuova legge sui patronati

di Alessandro Graziani avvocato in Roma

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Le prime “preistoriche” tracce di una disciplina sugli istituti di patronato si rinviene nel DLLt. 23-VIII-1917, n. 1450, il cui art. 12 teneva una sommaria disciplina degli "Istituti di patronato e di assistenza sociale che si propongono di prestare ai fini della presente legge la loro opera ai lavoratori colpiti da infortunio sul lavoro o ai loro aventi causa”.

Nel dopoguerra si sono poi succeduti numerosi interventi legislativi (il Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947 n. 804, la legge 27 marzo 1980 n. 112, il Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n.1017 ed il  Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale 13 dicembre 1994, n. 764) le cui disposizioni sono –di volta in volta- entrate in vigore e poi sopravvissute sino ai giorni nostri.

Tale normativa era tuttavia divenuta vetusta e risultava totalmente inadeguata a regolamentarne le iniziative da sviluppare a fronte delle nuove esigenze della mutata società italiana.

Perciò, è intervenuta la Legge 30 marzo 2001 n.152 ad innovare la disciplina sugli istituti di patronato e di assistenza sociale, soppiantando ogni antecedente normativa.

Per apprezzare l’indiscutibile rilevanza di questo evento, è bene avere presente straordinaria presenza dei patronati in Italia: essi dispongono di una capillare presenza sul territorio (almeno 1.500 sedi provinciali e 4.000 zonali) e “lavorano” almeno il 68% del complessivo delle pratiche previdenziali  INPS.

Adesso, con la nuova legge, nel futuro dei Patronati persiste  -corroborata-  la finalità di assistenza previdenziale (anche in termini di previdenza “integrativa”) ma trovano spazio anche iniziative destinate al "mercato sociale" (prestazioni socio-assistenziali in materia di emigrazione e immigrazione, sicurezza sociale e dei luoghi di lavoro, diritto di famiglia e delle successioni, ecc.) ed al supporto delle Istituzioni per attività non demandate in via esclusiva all’azione della Pubblica Amministrazione.

In base alla nuova legge, i Patronati non si occuperanno più soltanto di pratiche amministrative pensionistiche; potranno invece offrire assistenza ai cittadini prestazioni più variegate (anche sul piano della sola consulenza), svolgendo una significativa attività di sostegno, informativa e di assistenza tecnica in settori assolutamente distinti tra loro (dalle prestazioni sanitarie al risparmio previdenziale, dalla legislazione fiscale  alla assistenza in sede giudiziaria, dalla informazione sulla sicurezza dei luoghi di lavoro al supporto delle autorità diplomatiche).

Nuovi servizi e nuove attività, dunque, con la possibilità di affiancarsi anche a presenze istituzionali con cui i Patronati possono convenzionarsi per svolgere le funzioni nei campi loro assegnati dalla nuova normativa.

In armonia con tali premesse, scorrendo il testo della legge, appare agevole ravvisare che l’intendimento del legislatore sia stato dettato dall’esigenza di determinare:

l’ampliamento delle attività demandate agli istituti di patronato;

la gratuità delle attività di consulenza

il riconoscimento del valore di pubblica utilità per gli istituti che vantino una presenza numerica specifica nelle regioni o sul territorio nazionale e svolgano attività in modo continuativo da almeno 3 anni;

l’obbligo di impiego di personale dipendente assunto con contratto di lavoro a carattere subordinato ed a tempo indeterminato;

l’approntamento di risorse finanziarie di certa determinazione

il corretta gestione istituti di patronato  e la sicura destinazione dei fondi erogati

Per fare ciò, la nuova legge si è orientata verso due indirizzi solo apparentemente contrastanti.

Da un lato, ha previsto un abbassamento della soglia minima di presenza dei patronati sul territorio nazionale; il quoziente minimo di sedi  dislocate sul territorio nazionale (che il patronato deve mantenere per ottenere il riconoscimento ministeriale e il finanziamento conseguente) è stato ridotto drasticamente dalla precedente aliquota (“due terzi delle regioni e metà delle province” italiane) a quella di solo “un terzo delle regioni e un terzo delle province”.

Se quindi è possibile istituire patronati con una presenza territoriale ridotta rispetto a quanto sinora richiesto, d’altro canto, la legge affida la facoltà di istituire patronati soltanto a soggetti (“confederazioni e associazioni nazionali di lavoratori”) costituite da almeno tre anni ed operanti in modo continuativo, confermando altresì le ulteriori prescrizioni (finalità assistenziali prescritte dai rispettivi statuti e disponibilità di idonei mezzi finanziari) previste anche dalla antecedente normativa sinora vigente.

E’ pertanto richiesta assoluta affidabilità alle organizzazioni promotrici di patronati e, in linea con tale orientamento, é stata quindi opportunamente disposta l’esclusione  -dal novero dei potenziali promotori- di tutti quei soggetti che nel quinquennio antecedente abbiano istituito patronati dimostratisi incapaci di funzionare (o per mancato ottenimento del “riconoscimento ministeriale”, o per commissariamento liquidatorio) e quindi di assolvere le proprie funzioni istituzionali.

Come prima -ma con diverse modalità- è stata peraltro confermata la competenza del Ministero del Lavoro a disporre il riconoscimento della personalità giuridica dei Patronati, disponendo che ciò avvenga “provvisoriamente” mediante “approvazione della costituzione” del patronato sulla scorta di un’istruttoria condotta in base all’accertamento della validità della documentazione e del “progetto” (inerente lo svolgimento dell’attività)  presentati dall’istituendo patronato stesso.

La legge dispone difatti che il Ministero provveda a ciò il rispetto di tempi alquanto ristretti (90 giorni dal ricevimento della domanda), assegnando allo stesso Ministero il compito di concedere il riconoscimento definitivo al patronato entro 1 anno (sempre dalla data di presentazione della domanda).

Tutto ciò, naturalmente, è disposto per i patronati  di nuova istituzione.

Ma anche i patronati tuttora esistenti verranno attentamente vagliati.

Tanto è vero che quelli operanti e già riconosciuti dal Ministero sulla base delle vecchie disposizioni debbono presentare al Ministero stesso apposita domanda di “convalida” del riconoscimento a suo tempo ottenuto, allegando tempestivamente (entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge) sia una documentazione comprovante la rispondenza dei requisiti previsti dalle nuove disposizioni, sia il “progetto” esplicativo dell’attività da svolgere.

In tale caso, allo stesso Ministero sono concessi sei mesi di tempo per verificare la sussistenza di requisiti richiesti dalla legge per la persistenza dei singoli patronati tuttora in attività e comunque -entro un anno dalla presentazione della domanda di “convalida”-  il Ministero deve verificare l’attuazione del “progetto” presentatogli per “convalidare” la sopravvivenza dei patronati in attività.

E’ interessante notare che, ove non sia in condizione di disporre da solo dei requisiti previsti dalla nuova legge, un patronato oggi esistente (in quanto istituito secondo i canoni disposti dalla precedente normativa) potrà comunque sopravvivere “consorziandosi” –per non più di un triennio- con altri patronati, ottenendo così di pervenire a disporre di quei medesimi requisiti che oggi gli vengono inderogabilmente richiesti.

Sarà così possibile ai patronati oggi esistenti ed operanti riuscire ad evitare l’altrimenti inevitabile provvedimento di scioglimento, quanto meno per un periodo idoneo (tre anni) a consentire il riallineamento con i requisiti oggi richiesti dalla nuova legge.

In ogni caso, è innegabile che la nuova normativa, conferendo ai patronati maggiori funzioni, assegna anche al Ministero del Lavoro una più autoritaria conduzione dell’opera di controllo sui patronati stessi, impegnandolo maggiormente nella vigilanza per il tramite dei propri Ispettorati Provinciali del Lavoro.

Tutto ciò in quanto lo stesso Ministro è tenuto a presentare annualmente al Parlamento la propria relazione sull’andamento (costituzioni, riconoscimento, strutture, attività e andamento economico) degli istituti di patronato.

Ben si giustifica quindi il mantenimento (con norme novellate) del potere-dovere del Ministero di intervenire nella conduzione dei singoli patronati ove ne ravvisi la esigenza.

Tale forma di intervento viene tuttavia essenzialmente disciplinata in termini tali da salvaguardare quanto più possibile la sopravvivenza del patronato, stante il valore di pubblica utilità dell’attività demandatagli.

In caso quindi di gravi irregolarità di gestione amministrativa, il Ministro deve disporre la nomina di un Commissario Straordinario per la ulteriore gestione del patronato sino a suo risanamento (con ciò, sciogliendo i preesistenti organi amministrativi del patronato stesso).

E’ bene notare che, se l’antecedente normativa conferiva al Ministro la facoltà (“può sciogliere“) di intervenire, adesso la nuova legge adotta una espressione certamente più “imperativa  (“nomina un commissario”) che induce a fare ravvisare nell’azione ministeriale l’esercizio di un dovere piuttosto che l’attuazione di una facoltà.

In armonia con tale orientamento, non la facoltà (“può sciogliere“) del Ministero di messa in liquidazione del patronato e trasformata dalla nuova legge in dovere (“è sciolto ed è nominato un liquidatore”) ove il Ministero ravvisi l’assenza di condizioni soggettive (dei promotori o del patronato) o oggettive (mancata realizzazione del “progetto”, difetto di “riconoscimento”, assenza di finalità assistenziali o di estensione territoriale o di mezzi tecnico-finanziari, incapacità di funzionamento, insolvenza protratta per due esercizi consecutivi e non ripianata dal soggetto promotore) che giustifichino la ulteriore sopravvivenza di un patronato.  

Come la antecedente normativa, la nuova legge omette completamente di precisare le modalità da adottarsi per la liquidazione del patronato, lasciando immutato il dibattito sulla prassi  -peraltro consolidata-  del Ministero del Lavoro di disporre che la procedura si svolga mediante l’utilizzo delle disposizioni in materia di liquidazione coatta amministrativa (Regio Decreto 16.3.42 n.267, articoli 194 e seguenti).

Se comunque quanto appena accennato attiene ai rapporti “amministrativi” degli istituti di patronato, le vere novità che la nuova legge introduce riguardano sia lo svolgimento dell’attività demandata ai patronati, sia il sistema del loro finanziamento.

Sotto il primo profilo, dal momento che il legislatore ha voluto dotare i patronati una innegabile stabilità finaziaria, è stato imposto ai patronati stessi di “avvalersi esclusivamente di lavoratori subordinati dipendenti“ (propri o delle organizzazioni promotrici).

La previsione di stabilità di rapporti di lavoro con personale dipendente subordinato relega quindi ad ipotesi eccezionali l’eventualità che i patronati possano in futuro fruire di prestazioni lavorative volontarie e gratuite o di collaborazioni coordinate e continuative.

Tale impegno occupazionale ha però obbligato il legislatore a dotare i patronati di una fonte di approvvigionamento finanziario che armonizzasse il principio di gratuità (che sempre deve improntare  le funzioni e le prestazioni offerte dai patronati) con l’esigenza dei patronati stessi di fare fronte agli impegni finanziari cui adesso sono tenuti (ad esempio, al pagamento cadenzato delle retribuzioni al personale dipendente e della correlativa contribuzione).

Tutto ciò è stato risolto attraverso l’attribuzione ai patronati di un prelevamento  (lo 0,226% a partire dal 2001) sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori allo incassati dai  maggiori enti previdenziali (INPS, INAIL, INDPAP e IPSEMA).

Quanto così conseguito dal bilancio dello Stato è destinato ad essere ripartito tra i patronati aventi diritto, con espressa destinazione alle singole attività da svolgersi (una quota maggioritaria per l’attività da svolgersi, il restante per l’organizzazione del lavoro ed una quota infinitesimale per il controllo delle sedi estere).

A fronte di una così puntigliosa determinazione delle quote e della destinazione di spesa, il legislatore è invece sembrato sbizzarrirsi nell’indicare i parametri dello svolgimento dell’attività demandata ai patronati.

Nella smania di sottrarre i patronati all’etichetta semplici appendici degli apparati amministrativi pubblici o comunque di grigi “passacarte” di pratiche previdenziali, il legislatore ha “scommesso” sul futuro dei patronati, puntando sull'estensione delle attività loro demandate.

Ecco dunque il perché la nuova legge attribuisce ai patronati funzioni (a dire il vero, tutte da definire) che spaziano dal campo della previdenza obbligatoria a quello delle pensioni integrative e complementari; al campo della sanità, per favorire l'accesso alle prestazioni e garantire l'informazione sul funzionamento dei servizi; all'ambito del sistema fiscale, per orientare e sostenere adeguatamente il contribuente negli adempimenti previsti dalla legge e per lo svolgimento di una attività di assistenza; all'ambito delle attività di segretariato sociale riferite al funzionamento dei servizi pubblici; al variegato campo del diritto di famiglia, per la protezione dei suoi componenti più deboli; al ruolo da svolgere nei confronti dei nostri concittadini all’estero mediante attività di supporto alle autorità diplomatiche consolari italiane.

Ciò che risulta comunque enfatizzata dalla nuova normativa è la funzione attribuita agli istituti di patronato affinché questi, accanto all'assistenza e alla tutela dei lavoratori e dei loro aventi causa per il conseguimento delle "prestazioni di qualsiasi genere previste da leggi, statuti e contratti regolanti la previdenza e la quiescenza", esercitino la tutela dei diritti  -individuali o collettivi- nei confronti della pubblica amministrazione “attraverso la realizzazione di una maggiore connessione tra i servizi resi e le trasformazioni del mercato del lavoro, considerando soprattutto lo sviluppo delle modalità atipiche di lavoro e l'attuale assenza di una adeguata rete di tutela” (letteralmente dalla Proposta di Legge Camera Dei Deputati n.4083, d'iniziativa dei deputati Lucà ed altri).

Ecco perché, nell’ambito delle funzioni assegnate ai patronati, la nuova legge sembra quindi proiettare i patronati verso due finalità basilari.

La prima,  garantita dal contributo ministeriale, quella dell'assistenza previdenziale ed assistenziale prestate secondo rinnovate modalità, che comunque garantiscano il permanere del consolidato ruolo sinora svolto dai patronati.

Poi, la seconda, quella del "mercato sociale", per la tutela dei diritti e la prestazione di servizi con massima flessibilità di autofinanziamento e stipula di convenzioni sia con enti pubblici che con privati (professionisti o organizzazioni), puntando decisamente –anche per quanto riguarda il meccanismo di finanziamento- sul criterio del quantitativo delle pratiche trattate ed effettivamente andate in porto: quindi, fondamentalmente, sulla qualità del servizio.  

 

Alessandro Graziani
avvocato in Roma