*** L’art.1 del cnlg in vigore, individuati i soggetti nei cui confronti applicare le disposizioni e precisamente, da una parte, “gli editori di quotidiani, di periodici, le agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, l’emittenza radiotelevisiva privata di ambito nazionale e gli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali” e, dall’altra, “i giornalisti” definisce l’oggetto del rapporto di lavoro come “prestazione di attività giornalistica”. Né la legge né il contratto, però, offrono una definizione di questa particolare attività lavorativa . La L. n.69/’63, dal canto suo, si limita a fornire la nozione di giornalista professionista e di pubblicista consentendo solo di estrapolare dall’art.2 co.1[1] l’equazione < giornalismo =informazione critica >. La vacatio legis ha portato i giudici a sostituire il legislatore ed ha creato un sistema giurisprudenziale ed una conseguente casistica in questo settore, come accade laddove vi sia carenza di norme. Tale situazione non è da valutare solo in chiave negativa. “Se da un lato la mancanza di una legislazione adeguata costringe la giurisprudenza ad una attività di formazione, dall’altra sicuramente tale attività, svolgendosi nel tempo, tiene conto della effettiva realtà sociale e delle esigenze di attualità che la dipendenza di una legislazione minuziosa non consentirebbe”[2]. Distinguendosi proprio per l’importante processo evolutivo, che trova ragione nel continuo succedersi di tecniche sempre più complesse e nell’accrescersi del peso politico dell’informazione, l’attività giornalistica ha assunto “forme e modi assai diversi”[3]. La Corte di Cassazione 2 / 2 / ’82 n.625[4], nel tentativo di determinare gli elementi caratteristici della prestazione lavorativa giornalistica, ne ha fissato i caratteri fondamentali, ritenendo che essi debbano dedursi dalla legge, in relazione alla disciplina del diritto d’autore (ex art.1 L. n. 633/’41[5] et ex art.2575c.c.) ed alla normativa professionale (ex L. 69/’63), dal cnlg e dall’esperienza comune. La sentenza della Cassazione 19 / 5 / ’79 n. 2885[6] (emessa a conclusione di un noto caso di dimissioni da un quotidiano nazionale, motivate dal suo mutamento di linea politica) è stata significativa per la determinazione del contenuto e delle finalità essenziali del giornalismo. In modo più completo la Cass. 20 / 2 / ’95 n.1827[7] ha disposto che per attività giornalistica deve intendersi “quella prestazione di lavoro intellettuale, inserita in servizio, programma o testata continuativi o periodici, volti alla raccolta, al commento o all’elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, sì da porre il lavoratore come il mediatore intellettuale fra il fatto e la diffusione di esso, con la funzione, cioè, di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in ragione della cerchia dei destinatari dell’informazione e confezionarne quindi il messaggio con apporto soggettivo e inventivo”. Autonomia ed indipendenza sono, dunque, le caratteristiche del modo con cui il giornalista professionista o pubblicista esercita la propria professione. Dette peculiarità sono espressione di quanto disposto dall’art. 2 della L. n. 69/’63 che restringe e definisce il principio secondo cui ogni persona ha diritto alla libertà di espressione quale libertà di informare e di essere informati[8]. E’ opportuno ricordare, infatti, che l’interesse generale all’informazione “in un regime di libera democrazia, implica pluralità di fonti d’informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali … alla circolazione delle notizie e delle idee” (Corte Cost. n.105/’72[9]). E’, altresì, opportuno non considerare il diritto di informare secondo una concezione funzionale che, oltre ad innescare una conflittualità di principio tra libertà e funzione, prevedendo eventuali controlli quanto ai modi dell’esercizio di detto diritto, potrebbe profondamente comprometterlo. Un Autore[10], infatti, rileva che “la struttura della libertà costituzionale tutelata, .. essendo notoriamente identificata come un diritto della persona, è per ciò stesso … un diritto soggettivo di natura assoluta, nei confronti del quale i terzi che entrino in rapporto con chi esprime il proprio pensiero sono tenuti ad astenersi da qualsiasi interferenza sulla attività (informativa) costituzionalmente garantita”. Ma il diritto all’informazione ex art.21 Cost. implica anche “indefettibilmente il pluralismo delle fonti ed importa per il legislatore di emettere norme preordinate ad impedire la formazione di posizioni dominanti”[11], il tutto al fine di garantire obiettività, imparzialità e completezza dell’informazione attraverso una timida regolamentazione della trasparenza della proprietà delle testate. Così l’art.11 della L. 416/’81[12] istituiva il Registro Nazionale della Stampa, oggi confluito nel Registro degli Operatori delle Comunicazioni[13] gestito dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Negli ultimi anni la definizione dell’assetto dell’impresa editoriale e la disciplina del rapporto di lavoro giornalistico costituiscono il punto d’incontro dell’art.41 Cost. (diritto di libera iniziativa economica) con l’art.21 Cost. (diritto di libera manifestazione del pensiero). In questo quadro si pone il problema dei rapporti editore – giornalista, poiché ciascuno di questi soggetti tenterà di porsi, nei fatti o nelle dichiarazioni, come unico titolare delle libertà di stampa. Compito principale del primo è quello di nominare il direttore (ex art.6 cnlg) il quale, trovandosi al vertice della complessa organizzazione di tendenza, rappresenta secondo un’icastica immagine l’anello di congiunzione degli interessi di editore e giornalisti. Costui, infatti, non solo quale primus inter pares è capo della redazione, ma è anche fiduciario dell’editore. A tal proposito, però, un Autore[14], se per un verso rileva che “il potere del direttore sul piano sostanziale, ovvero sul piano delle valutazioni tecnico professionali, è quello che nasce dal programma concordato con l’editore ed illustrato all’assemblea dei redattori”, purtuttavia ritiene “probabilmente validi gli accordi segreti che non riguardano il programma politico-editoriale”. Rimane “il dovere imposto all’editore di comunicare, assieme alla nomina del direttore, gli accordi con lo stesso intervenuti in ordine alla linea politica del giornale … (dovere) finalizzato a salvaguardare tempestive e corrette scelte di coscienza del corpo redazionale”[15]. La mancata affermazione di una struttura binaria[16] dell’impresa giornalistica, che distingua la gestione economica quale funzione finanziaria ed amministrativa da quella dell’informazione strictu sensu, aggrava in Italia il contrasto tra editore e giornalisti, entrambi depositari del diritto costituzionalmente garantito di manifestazione del pensiero, contrasto che si pone già quando una delle due categorie miri ad appropriarsi di quel diritto in modo esclusivo: “Di qui la necessità di impostare diversamente il problema, spostando l’analisi dei rapporti dal profilo della titolarità della libertà di stampa a quello dell’indirizzo politico (o informativo) del giornale”[17]. L’art. 32 cnlg prevede che il giornalista professionista può dimettersi con diritto al trattamento di fine rapporto e all’indennità di mancato preavviso in considerazione di tre distinte fattispecie: 1) mutamento sostanziale di indirizzo politico; (art. 32 co.1 parte prima) 2) utilizzazione del giornalista in altro giornale con caratteristiche sostanzialmente diverse; (art. 32 co.1 parte seconda) 3) fatti che genericamente comportano responsabilità dell’editore e determinano una situazione evidentemente incompatibile con la dignità del giornalista; (art. 32 co.2 ). Occorre distinguere dalla prima fattispecie il caso in cui il giornalista, assunto da un’impresa editoriale con una linea politica definita, “ per una crisi di coscienza o di idee, non si senta più di esplicare l’attività lavorativa secondo le direttive del giornale rendendo … legittimo il licenziamento da parte del datore di lavoro”[18]. In tal caso gran parte della dottrina ha ravvisato un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, ex art. 3 L.604 /’66 e non una giusta causa che, nel presupporre un fatto del lavoratore, nella fattispecie è assente. Il concetto di giusta causa ex art. 2119 c.c., infatti, presuppone la violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi di diligenza (art.2104 co.1 c.c.), di obbedienza (art.2104 co.2 c.c.), di fedeltà (art.2105 c.c.) o la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di pagare la retribuzione (art.2099 c.c.), di concedere le ferie (art.2109 c.c.), di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore (art.2087 c.c.) ; in sostanza deve trattarsi di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto ed in tal caso dispone per ciascuno dei contraenti la possibilità di recedere senza preavviso. Per converso, il giustificato motivo ex art.3 L.604/’66 prevede il caso di licenziamento, da dare con preavviso, “determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. La chiave di lettura di detto articolo si trova nella distinzione tra giustificato motivo soggettivo e oggettivo. Il primo si ha quando ricorre un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore e, per la giurisprudenza di Cassazione, è riconoscibile in fatti o comportamenti che abbiano portato l’imprenditore a dubitare della fiducia posta a fondamento del rapporto di lavoro. Il secondo[19] si ha per fatti inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Tanto meno è possibile invocare l’applicazione dell’art. 32 co.1 (parte prima) cnlg, se il giornalista al momento dell’assunzione è cosciente che il proprio interesse e le proprie ideologie sono in contrasto con l’indirizzo politico del giornale[20]. Per una corretta applicazione della prima fattispecie di cui all’art.32 cnlg, infatti, occorre che sia il datore di lavoro a porre in essere modificazioni tali da impedire al giornalista di proseguire la sua prestazione d’opera sulla base delle precedenti pattuizioni, costringendolo a dimettersi. Rilevano, inoltre, solo i cambiamenti che non sono prevedibili al momento della costituzione del rapporto, che non sono conciliabili con l’impostazione originaria e che appaiono ictu oculi . Così la Pretura Roma, 20 maggio 1981[21] dispone che “ non è applicabile l’art.32 cnlg (c.d. clausola di coscienza) qualora il giornalista, al momento dell’assunzione, è a conoscenza dell’indirizzo politico e di collegamenti con determinati gruppi politici del giornale, i quali si pongono in contrasto con gli interessi e le ideologie del giornalista stesso ( nella specie è stata ritenuta inopportuna dalla direzione de <<Il Giorno>> la pubblicazione di notizie[22] riguardanti lo scandalo Lockeed pur ritenute autentiche). Quanto al mutamento, esso si può realizzare ogni qual volta venga meno quel rapporto di “consonanza ideologica e compatibilità politica” che lega il giornalista alla testata presso cui lavora . Appare opportuno, inoltre, aggiungere che detto mutamento anche quando graduale può configurare la fattispecie prevista ex art.32 cnlg purché si sia in presenza dei caratteri della sostanzialità[23]. Quanto all’indirizzo politico, esso deve essere inteso lato sensu, come cambiamento di idee e convinzioni politiche, sociali ed economiche. A tal proposito è del caso rilevare come sia tuttora presente in ogni redazione quella “triplice guarentigia” di cui un Autore[24] agli inizi del ’900 riferiva. Esiste, pertanto, una guarentigia economica nella persona del proprietario, una guarentigia politica nell’indirizzo dell’impresa-giornale, una guarentigia morale che si riferisce, in ispecie, al personale appartenente al giornale. Il concetto di mutamento di indirizzo politico, inoltre, si può concretare anche a fronte di trasformazioni di carattere culturale. La Pretura Milano, 6 novembre 1995 (Mastropietro ed altri c. S.E.E. S.p.a.), ha ritenuto che “costituisce oggetto della tutela … la coerenza, lealtà, onestà intellettuale cui il giornalista ha diritto di affidarsi presso la pubblica opinione .. che possono essere minacciate da una diversa qualità e modalità della comunicazione (passaggio da un giornalismo che si basa sull’argomentazione e che consente una pluralità di “voci”, al giornalismo c.d. strillato che punta alla spettacolarità della comunicazione o passaggio da un giornalismo “indipendente” ad uno “di partito”, in cui prevale l’interesse di quest’ultimo)”[25]. Quanto poi all’aggettivo sostanziale, sono emblematiche le parole di due Autori[26] che nella relazione peritale di maggioranza, quali C.T.U. nel processo Bettiza ed altri c. Soc. Editoriale “Corriere della Sera”, scrissero: “Nell’accezione dominante, <<sostanziali>> sono quelle parti di una qualsiasi struttura o sistema che, durando nel tempo, rendono possibile identificare, appunto, la struttura o il sistema a cui appartengono … . <<Sostanziale>> qui dunque sta per .. << tradizionale>> : poiché gli aspetti <<accidentali>> (quelli che possono mutare senza intaccare l’identità dell’<<indirizzo>> ), essendo appunto per definizione <<transeunti>>, non rientrano nella tradizione”. E’ necessario, inoltre, considerare come la gradualità sia un ulteriore aspetto essenziale del mutamento sostanziale di indirizzo politico “in quanto si deve ragionevolmente supporre che un quotidiano <<indipendente>>, quando vuole mutare di indirizzo, non lo faccia improvvisamente ma in maniera sapientemente graduale al fine di conservare il maggior numero possibile di vecchi lettori, modificandone a poco a poco l’opinione nel senso del nuovo corso”[27]. Bisogna, a questo punto, distinguere i giornali di partito dai giornali indipendenti. I primi, c.d. schierati, presentano una linea ben definita, accentuata e rivelano immediatamente gli eventuali cambiamenti di indirizzo. I secondi, c.d. liberi, rifuggono da prese di posizione drastiche, privilegiando una linea politica aperta e soft, cosicché i mutamenti di indirizzo possono riscontrarsi, secondo il parere reso dalla F.I.E.G.[28] nella causa Bettiza ed altri c. Soc. Editoriale “Corriere della Sera”, quando un giornale: da indipendente diventa di partito; abbandona le fondamentali idee ispiratrici manifestate in passato (es. diventando repubblicano mentre prima era monarchico); quando interpreta interessi collettivi diversi da quelli in nome dei quali si è qualificato in precedenza (es. diventando organo di tutela degli interessi dei datori di lavoro, mentre prima era organo di tutela degli interessi dei lavoratori); 4) quando nella sua impostazione generale di pensiero riveli mutamenti inconciliabili con l’impostazione originaria, magari a seguito di avvenimenti politici generali. E’ chiaro, pertanto, che anche i quotidiani indipendenti sono dotati di una loro linea politica tendenzialmente imparziale e pluralistica ed in essi “nessun mutamento sostanziale di indirizzo politico può essere ravvisato finché la pluralità degli interessi individuali e collettivi espressi dalla massa di lettori trovano, sia pure con diverse sfumature e intensità, libera esplicazione”[29]. Parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che il mutamento sostanziale di indirizzo politico “conta in sé” e costituisce “legittimo motivo” di risoluzione del rapporto , da non confondere con il “giustificato motivo” contemplato dall’art. 3 L. 604/’66. Secondo questa interpretazione, il giornalista può recedere dal rapporto indipendentemente dalla impossibilità della sua prestazione o da un inadempimento della controparte. Occorre precisare, infatti, che l’editore è libero di cambiare radicalmente l’indirizzo della propria pubblicazione senza che ciò comporti un suo inadempimento. Di poi, l’immediatezza delle dimissioni rileva semplicemente quale condizione di credibilità. Argomentando a contrario, altra parte della dottrina e giurisprudenza considera giusta causa di risoluzione del rapporto il mutamento sostanziale di indirizzo politico, che è di per sé rilevante a far sorgere il diritto del giornalista. In tal caso si pone in evidenza come il principio dell’immediatezza costituisce l’unico nesso causale tra mutamento e dimissioni. La tempestività del recesso del giornalista costituisce il collegamento più esplicito con la giusta causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (art.2119 co.1 c.c.). Nel caso in cui il giornale muti indirizzo politico, il datore di lavoro non può licenziare il giornalista “non allineato” poiché non sussistono né i requisiti della giusta causa (art.2119 c.c.) né i requisiti del giustificato motivo soggettivo (art. 3 L.604/’66 parte prima ) dato che il giornalista non viola alcun obbligo contrattuale restando fedele alla sua vecchia ideologia. Quanto, invece, al giustificato motivo oggettivo (art. 3 L.604/’66 parte seconda), la dottrina è divisa. Una parte ritiene che “il mutamento di indirizzo politico costituisca sempre una giustificata esigenza aziendale idonea a legittimare il licenziamento”[30]. Secondo tale orientamento, nell’impresa di tendenza-giornale l’indirizzo politico è un elemento essenziale del rapporto di lavoro. Ne consegue la non applicabilità, per i giornalisti, dell’art. 4 L. 604/’66 che prevede il divieto di licenziamento per ragioni di credo politico o fede religiosa, come pure l’assenza del carattere della rappresaglia o della discriminazione nel licenziamento attuato dall’editore, licenziamento che sarebbe pertanto immune da ogni sanzione d’invalidità . Per converso altri ritengono che, soprattutto nel campo dei giornali d’informazione, “ ... siamo nella fase di fluidità della tendenza: della tendenza come idea pluralistica .. . Siamo di fronte, perciò, a una non tendenza”[31]; rilevano come non esista nella nostra legislazione la finalità di escludere “moduli cogestionali” i quali, del resto, sono stati recepiti a livello contrattuale, se non normativo, grazie all’attività dei C.d.R.; ritengono l’art. 32 cnlg una norma a tutela della dignità professionale, da cui non si può trarre alcun elemento a garanzia della linea politica dell’impresa. Quanto, poi, all’utilizzazione del giornalista in altro giornale con caratteristiche sostanzialmente diverse (art. 32 co.1 parte seconda) e ai fatti che genericamente comportano responsabilità dell’editore e determinano una situazione evidentemente incompatibile con la dignità del giornalista (art. 32 co.2 ), entrambe le fattispecie presuppongono, diversamente dal mutamento sostanziale di indirizzo politico (art. 32 co.1 parte prima), una “lesione della dignità professionale del giornalista, conseguente a determinati comportamenti editoriali, che spetta al lavoratore provare, in relazione alla situazione concreta”[32] , lesione che è, quindi, da valutare caso per caso. La dottrina ritiene che entrambe le ipotesi di recesso integrino la fattispecie legale di dimissioni per giusta causa (art.2119 c.c.) attribuendo al giornalista, oltre al trattamento di fine rapporto, anche l’indennità di mancato preavviso ex art. 27 cnlg . Detto articolo al n.1) tratta dell’indennità sostitutiva del preavviso che si contempla “in caso di risoluzione del rapporto costituito ai sensi degli artt.1 e 2 del presente contratto e non determinata per fatto o per colpa del giornalista così grave da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto”, stabilendo, poi, le misure per l’indennità di mancato preavviso. L’articolo 27 n.1) rileva ancora che “ il giornalista, tranne i casi previsti dall’art.32, non potrà abbandonare l’azienda senza dare un preavviso di due mesi. La inosservanza di tale disposizione darà diritto all’editore di avere un’indennità equivalente all’importo della retribuzione correlativa al periodo di preavviso per il quale è mancata la prestazione del giornalista”. L’art.27 al n.2) considera, invece, il trattamento di fine rapporto cui “ai sensi degli artt.1 e 2 del presente contratto il giornalista ha diritto” essendo previsto dalla L. n.297/’82[33]. Da ultimo bisogna considerare, per incidens, l’art. 30 co.2 parte seconda cnlg che recita: “il passaggio di proprietà non determina il diritto del giornalista di ottenere la liquidazione salvo ricorrano i casi di cui all’art. 32”. Con tale disposto la categoria giornalistica fu la prima ad ottenere una deroga contrattuale alla disciplina del codice civile, che non considera il caso di trasferimento d’azienda (art.2112 c.c.[34]) giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro da parte del lavoratore. La spiegazione di ciò si trova nel tipo di opera prestata dal giornalista, tale da prevedere una tutela della dignità e libertà professionale, tutela singolare nel campo del diritto del lavoro. Dagli inizi del Novecento “la conformità dell’opera locata all’indirizzo del giornale costituisce una qualità essenziale della prestazione d’opera giornalistica e quindi dell’obbietto del contratto”[35]. Al contratto dei giornalisti è applicabile, infatti, il principio pauliano contenuto nel frammento D.19.2.38 pr. : qui operas suas locavit, totius temporis mercedem accipere debet, si per eum non stetit, quominus operas praestet. Dottrina e giurisprudenza, pertanto, hanno ritenuto valido tale principio in tema di locazione d’opera ordinaria, quando per fatto del conduttore diventi impossibile continuare la prestazione d’opera. Si scelgono, così, a conclusione, le parole di un Autore[36]: “Sembra che la clausola di coscienza debba oggi essere ritenuta un presidio più che della libertà, della identità personale e professionale del giornalista, tutelata dall’art. 2 Cost. Rep. . Infatti l’essere dipendente di un giornale che abbia una determinata tendenza concorre notevolmente a determinare l’immagine o identità del giornalista nell’ambiente professionale e agli occhi del pubblico”.
Dott. Francesco A. Donato Note: [1] La Legge 3 febbraio 1963 n.69 istitutiva dell’ “Ordinamento della professione giornalistica” dispone all’art.2 (diritti e doveri) co.1: “ E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buonafede” [2] Cfr Bianco Rosanna, “Il diritto del giornalismo”, Cedam, Padova 1997, p.4. [3] Cfr. Berruti Giuseppe Maria, “ Commento al vigente C.C.N.L. dei giornalisti della RAI e delle televisioni private”, Jovene, Napoli 1987, p.109. [4] Corte di Cassazione 2 febbraio 1982 n.625, (Vergani c. R.A.I.), in Mass. Giust. Civ. 1982, p.233 s.s. [5] Legge 22 aprile 1941 n.633: “ Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”. Detto testo è stato aggiornato dal d.lg. 26 maggio 1997 n.154 ( in G.U. 13 giugno 1997 n.136), dal d.lg. 6 maggio 1999 n.169 (in G.U. 15 giugno 1999 n.138) e dalla L. 18 agosto 2000 n.248 (in G.U. 4 settembre 2000 n.206) . [6] Corte di Cassazione, Sez. lav., sentenza 19 maggio 1979 n.2885; Pres. Ianniti Piromallo, est. Vela; Bettiza ed altri c. Soc. Corriere della Sera; in Foro it., 1979, I, c.2028: “I giornalisti professionisti .. svolgono un’attività che, se è subordinata per il fatto di essere inserita in un’organizzazione da altri predisposta e diretta, tuttavia, estrinsecandosi in quella peculiare manifestazione del pensiero che è l’informazione e la critica indirizzate alla generalità dei cittadini, è e deve essere libera e circondata da una specifica dignità (in aggiunta a quella comune a qualsiasi prestatore d’opera) fatta stima dell’ambiente professionale, di consenso presso i lettori (cfr. art.2 L. n.69/’63), infatti, come può conciliarsi con i poteri direttivi dell’editore e del direttore, può anche, a causa di mutamenti di indirizzo effettuati da questi ultimi, allontanare da un comune obiettivo datore di lavoro e lavoratore. Nei fatti, editore e giornalisti sono entrambi condizionati dall’impegno a realizzare lo stesso programma, che si esprime nel prodotto giornale. Così la contrattazione collettiva è intervenuta a favore del prestatore d’opera, attribuendo rilevanza giuridica al suo dissenso rispetto alle nuove scelte dell’editore e consentendo, quindi, di addurle a giustificazione delle proprie dimissioni. Da ciò si desume che siffatta clausola (ex art.32 cnlg) si pone in deroga al principio della subordinazione”. [7] Corte di Cassazione 20 febbraio 1995 n.1827, Mazzarelli c. Soc. R.A.I. ( conf. Trib. Roma 6 / 2 / 1992), in Foro it., 1995, I, c.1152. Cfr. anche Cass. 23 / 11 / ’83 n.7007, (Pacini c. Rai-TV), in Foro it., Rep.1983, v. Giornalista, 6. [8] Detto principio viene espresso dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, dall’art.21 della Costituzione italiana del 1948, dall’art.19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1954, dall’art.10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con la L. n.848/’55), dall’art.19 del Patto internazionale di New York (L. n.176/’91) . [9] Cfr. sentenza Corte Costituzionale, 15 giugno 1972 n.105, in Giur Cost., 1972, p.1196 ss.. Dello stesso parere la Corte Costituzionale 30 maggio 1977 n.94, ivi, 1977, I, p.735 ss. , disponeva che “ non è dubitabile che sussista e sia pure implicitamente tutelato dall’art.21Cost. un interesse generale della collettività all’informazione”. [10] Pace Alessandro, “Stampa, giornalismo, radiotelevisione”, Cedam, Padova 1983, p.11. [11] Cfr. Corte Costituzionale, 7 dicembre 1994 n.420, in Foro Amm., 1994, p.2667. [12] La L. 5 agosto 1981 n.416, pubblicata in G.U. 6 agosto 1981 n.215, considera la “ disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”. La legislazione in materia di editoria seguendo un percorso cronologico annovera le seguenti leggi: n.416/’81, n.67/’87, n 62/’01. [13] A questo proposito è opportuno richiamare la L. n.249/’97 istitutiva dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che all’art.1 lett.a) n.6 (Competenze degli organi dell’Autorità) recita “sono state abrogate tutte le disposizioni concernenti la tenuta e l’organizzazione del registro nazionale della stampa e del registro nazionale delle imprese radiotelevisive … . Gli atti relativi ai registri di cui al presente numero esistenti presso l’Ufficio del Garante per la radiodiffusione e l’editoria sono trasferiti all’Autorità (per le Garanzie nelle Comunicazioni)”. Più recentemente la delibera n.236/01/CONS, pubblicata in G.U. 30 giugno 2001 suppl. ordinario n.170, all’art.35 (Archivi del R.N.S. e del R.N.I.R.) dispone ancora che “gli atti relativi al Registro nazionale della stampa e al Registro nazionale delle imprese radiotelevisive, pervenuti dall’ufficio del Garante per la radiodiffusione e l’editoria, alla data di entrata in vigore del presente regolamento sono acquisiti all’archivio del registro degli operatori di comunicazione”. [14] Berruti Giuseppe Maria, op. cit., p.127. [15] Cerrai Alessandro, “I connotati essenziali delle imprese editrici” in Trattato Colombo-Portale, Utet, Torino 1992, Vol. n.8, Parte IV, “Le imprese editoriali”, Cap. I, p.381. [16] E’ del caso ricordare come i primi anni settanta segnano una svolta nell’organizzazione dell’impresa editoriale, che rivela il momento più intenso di conflitto tra proprietà, direzione e redazione del giornale. Al Corriere, in seguito all’allontanamento di Spadolini dalla direzione del quotidiano, si verifica “un’importante scalfittura al diritto di proprietà editoriale in nome dei diritti-doveri d’informazione che i giornalisti da tempo reclamavano” - cfr. Raffaele Fiengo ,“Libertà di stampa: anno zero”, La Nuova Italia , Firenze 1974, p.13. Dal testo del Protocollo 10 marzo 1972 “gli editori, indipendentemente da ogni considerazione sulla vicenda in corso al Corriere della Sera, consapevoli che il giornale è un servizio pubblico, riaffermano il loro pieno ed assoluto rispetto dei principi di libertà ed indipendenza dei giornalisti dell’azienda. Sono altrettanto convinti che le loro responsabilità imprenditoriali debbano essere validamente esercitate per garantire la sicurezza del posto di lavoro a tutti coloro che appartengono all’azienda. L’esercizio di tali responsabilità comprende anche la nomina di coloro ai quali vengono attribuiti compiti direttivi. Nel contempo ritengono giusto concordare con il Comitato di Redazione particolari intese che ribadiscano e garantiscano l’indipendenza e la libertà dei giornalisti. In pratica quindi gli Editori - senza voler minimamente interferire nelle trattative nazionali - sull’argomento formulano le seguenti proposte: -1 Instaurare incontri periodici con il Comitato di Redazione per esaminare i fatti di maggiore rilevanza sotto l’aspetto redazionale. -2 Dare tempestiva informazione al Comitato di Redazione nel caso di mutamenti nelle direzioni responsabili delle testate per consentire al corpo redazionale - attraverso il Comitato di Redazione - di esprimere un parere non vincolante”. Detti principi si ritrovano nel C.N.L.G. del 1971/’72. Il 30 marzo 1973 ottantacinque dei centoquaranta giornalisti del Corriere della Sera danno vita alla prima società dei redattori in Italia. Già presente in altri paesi, primi tra tutti Francia e Germania, la società dei redattori nasce dal bisogno di distinguere istituzionalmente la gestione dell’informazione dal potere politico ed economico. Essa in sostanza si propone come mezzo giuridico attraverso cui il sindacato possa realizzare e garantire l’indipendenza e l’autonomia dell’informazione dal capitale e diviene indispensabile in presenza di fenomeni di concentrazione della proprietà degli organi di stampa. Dallo Statuto della << Società dei Redattori del Corriere della Sera S. r. l. >> appare opportuno menzionare il contenuto dei seguenti articoli: Art.2 co.1: “La società ha per oggetto l’acquisto e la pubblicazione di giornali quotidiani e periodici, l’acquisto e la gestione di quote o azioni di Società editrici, nonché la gestione dell’informazione del giornale Corriere della Sera”. Art.5: “ Possono essere soci i giornalisti professionisti con almeno un anno di anzianità di lavoro e regolarmente retribuiti dal Corriere della Sera. Il direttore e il vice-direttore del Corriere della Sera possono essere soci anche se non hanno maturato un anno di anzianità di lavoro nel giornale. Possono essere soci anche senza anzianità di servizio i giornalisti professionisti già soci di altre società dei redattori di testata pubblicate dall’azienda del Corriere della Sera”. In tema di assemblea si richiama, poi, l’art.11 che stabilisce: “L’assemblea sarà presieduta dal Presidente del Consiglio di Amministrazione e, in difetto, da chi sarà designato dalla maggioranza dei presenti” e l’art.12 che comanda: “L’assemblea ordinaria delibera con il voto favorevole della maggioranza assoluta del capitale e l’assemblea straordinaria col voto favorevole di almeno 2/3 del capitale sociale”. Quanto all’amministrazione, infine, l’art.13 dispone: “ La società è amministrata da un Consiglio di Amministrazione composto da sette membri anche non soci, purché abbiano i requisiti di cui all’art.5 del presente Statuto previsti per i soci; tre membri del Consiglio dovranno inoltre essere scelti possibilmente fra i componenti del Comitato di redazione della testata del Corriere della Sera . Dovrà far parte del consiglio anche il direttore responsabile del Corriere della Sera, se riveste la qualità di socio e se abbia avuto il gradimento della redazione del Corriere della Sera in base al protocollo 10.3.1972 fra gli editori e il Comitato di redazione del Corriere della Sera. Questa clausola non è applicabile al direttore che sia stato nominato prima del citato protocollo. Il Consiglio di Amministrazione dura in carica un anno ed è sempre rieleggibile.” “Di estrema importanza è, soprattutto, il lucido ed organico spirito riformatore che anima i tre complementari progetti di legge: quello elaborato da Ferri << per la tutela della libertà di concorrenza in materia di stampa >>; quello predisposto da Fois << per la partecipazione dei giornalisti alla gestione dei giornali >> e quello, infine, delineato da Piccardi << per un bilancio-tipo delle imprese giornalistiche >>” - Cerrai Alessandro, op cit, p.357. [17] Cfr. Gambino Agostino e Pace Alessandro, “ Le strutture dell’informazione giornalistica”, in Iustitia 1978, p.76. [18] Caiazza Luigi, “I rapporti di lavoro dei giornalisti”, Buffetti, Roma 1993, p.133. [19] Il giustificato motivo obiettivo di licenziamento in dottrina e in giurisprudenza è sempre stato oggetto di discussione. Alcuni, ritenendo determinante l’art.41 co.1 Cost. che dispone “l’iniziativa economica privata è libera”, sostengono che il giudice non possa sindacare nel merito le scelte tecnico-produttive dell’imprenditore anche quando si traducano nel licenziare, per cui il giudice dovrebbe solo valutare l’esistenza del nesso causale tra scelte organizzative e licenziamento. Altri, invece, dando maggior peso all’art.41 co.2 Cost. che recita “ .. (l’iniziativa economica privata) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, ritengono che il giudice debba operare anche un controllo di merito circa la razionalità delle scelte dell’imprenditore da valutare in base a regole di esperienza o di normalità tecnico - produttiva . La giurisprudenza prevalente ha accolto la prima interpretazione, ritenendo comunque che il licenziamento costituisca l’extrema ratio e sia proponibile solo quando il datore non abbia possibilità di recuperare il lavoratore nell’organizzazione produttiva, neanche attraverso l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse. Tra le tante, Cassazione 3 giugno 1994, n°5401, (Igap S.p.A. c. Paglionico), in Riv. Critica dir. Lav., 1995, pp.190-191. [20] Cfr. Pretura Roma, 20 maggio 1981, ( Barberi c. Soc. Segisa - “Il Giorno”), in Foro it.1981, I, cc.2319 ss.. [21] Cfr. Pretura Roma, 20 maggio 1981, ( Barberi c. Soc. Segisa - “Il Giorno”), in Giur. Merito, 1983, n.2, I, p.393. [22] “Nella specie, la notizia proposta per la pubblicazione voleva costituire una prova della esistenza dei contatti remoti, del resto già noti nell’ambito del c.d. scandalo Lockeed, tra la famiglia Leone ed i fratelli Lefebvre; il giudice ha, tra l’altro, rilevato che il giornalista non poteva dolersi del comportamento della direzione in quanto, in altra occasione, aveva esercitato un’attività di filtro di quanto veniva apprendendo sullo scandalo non proponendo, come risulta dal suo ricorso, per la pubblicazione, per esempio, la notizia sulle affermazioni, riportate poi da altri giornali, sulla identificazione della fantomatica <<Antilope>> nell’on. Moro” . In Foro it., 1981, I, c.2319. [23] A questo proposito si veda come il Tribunale di Milano, nell’Appello della causa promossa da Bettiza ed altri giornalisti contro la S.a.s. editoriale “Corriere della Sera” per decidere la delicata questione, dispose l’acquisizione di una C.t.u. sul seguente quesito: “Dica il consulente, esaminata la raccolta del Corriere della Sera dal gennaio 1964 all’aprile 1974 ed i documenti prodotti, sentite eventualmente le parti, assunte le informazioni ed esperite le ricerche ritenute più opportune, valutata altresì ogni altra risultanza istruttoria, se a partire dal marzo 1972 il Corriere della Sera abbia o meno, gradualmente e sostanzialmente, mutato di indirizzo politico rispetto alla linea tradizionale ed a quella immediatamente precedente alla data del marzo 1972, rilevando i fatti che, in qualsiasi modo, possono configurare tale mutamento e precisando l’epoca in cui l’eventuale mutamento di indirizzo politico abbia assunto i caratteri di sostanzialità” da A.A.V.V., “Il corriere in tribunale”, Edizioni dello Scorpione, Modena 1977, p.38. La richiesta del Tribunale aggiunse al “sostanzialmente” dell’art.32cnlg il “gradualmente”, avendo ritenuto che un quotidiano indipendente, quando avesse voluto mutare l’indirizzo, non lo avrebbe fatto in modo brusco e repentino quasi a spezzare la consonanza ideologica che aveva legato il lettore al giornale, ma piuttosto in modo saggiamente graduale, al fine di conservare il maggior numero di vecchi lettori”. [24] Filomusi Guelfi Francesco, “Sul contratto di lavoro giornalistico”, in Foro it., 1902, c.56. [25] Cfr. sentenza Pretura Milano, 6 novembre 1995, (Mastropietro ed altri c. S.E.E. S.p.a.) , p.15 che trovasi riportata in Orient. Giur. Lav., 1995, n°4, p. 940 ss.. [26] Miglio Gianfranco e Morra Gianfranco, relazione depositata il 30 luglio 1976. Cfr. A.A.V.V., “Il Corriere in Tribunale”, Edizioni dello Scorpione, Modena 1977, p.40. [27] Cfr. A.A.V.V., “ Il Corriere in tribunale ”, op. cit., p.39. [28] La F.I.E.G. rispose ai quesiti posti dal Pretore con ordinanza 14 febbraio 1974, prima che si concludesse il primo grado del processo Bettiza ed altri c. Soc. Editoriale “Corriere della Sera”. V.infra. In Mass. Giur. Lav., 1976, I, p.57. [29] Mass. Giur. Lav., 1976, I, p.57. [30] Zanelli Pietro, “Il contratto dei giornalisti”, Zanichelli, Bologna 1985, p.193. [31] Zanelli Pietro, op. cit., p.194. [32] Caro Michele, “Il lavoro giornalistico”, in Giust. Civ., 1991, II, parte seconda, p.527. [33] L. 29 maggio 1982 n.297: “Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica”. [34] Art.2112 c.c.: “In caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (co.1). L’alienante e l’acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 c.p.c. il lavoratore può consentire la liberazione dell’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro (co.2). L’acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa dell’acquirente (co.3). Le disposizioni di questo articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto dell’azienda (co.4)”. [35] Sentenza Tribunale Roma, 5 aprile 1901, (Morello c. Luzzatto), in Foro it. 1902, c.49. [36] D’Amati Domenico, “Il lavoro del giornalista”, Cedam, Padova 1989, p.141. |
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