inserito in Diritto&Diritti nel settembre 2001

A proposito dell’informazione come bene  

Mirella Pecoraro

1. «A post industrial society is based on services. What counts is not raw muscles and power or energy, but information»[1]. Sono passati quasi trent’anni, ma questa affermazione non sembra aver perduto il suo pregnante valore. A partire dalla seconda metà del novecento si è assistito ad una radicale modifica del sistema economico-sociale: è a tutti noto il ruolo che, in questo processo, ha rivestito il sistema informativo. Gli sconvolgimenti verificatisi, prima con l’avvento della televisione, poi, in epoca più recente, con lo sviluppo delle tecnologie informatiche hanno ingenerato una rivoluzione che – e il paragone non appaia eccessivo – può essere comparata solo con quella che, tra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento, segnò il passaggio dalla società rurale alla società industriale.

Ma che cos’è un’informazione? Nel nostro sistema positivo manca una definizione omnibus del fenomeno: né, a ben vedere, potrebbe essere diversamente al cospetto di un termine che, nella sua genericità, si presenta come polisenso. Informare, etimologicamente, deriva dal latino in (illativo) cui segue il verbo formare (dare forma): quindi, nel termine in questione, vive il passaggio dall’idea alla comunicazione della stessa.

Qualcuno, in questa scia, ha tentato di definire l’informazione, in maniera volutamente onnicomprensiva, come qualsiasi messaggio comunicabile ad altri attraverso un qualsiasi mezzo[2]. Pertanto, caratteristiche primarie dell’informazione sarebbero: a) il fatto di essere estrinsecata ad altri; b) l’irrilevanza del mezzo utilizzato per effettuare la comunicazione[3].

Non è mancato poi chi ha tentato di offrire una soluzione alla problematica ragionando a contrario e differenziando l’informazione ora dal messaggio – elemento materiale attraverso il quale una serie di informazioni circolano da un’emittente ad un destinatario -, ora dall’idea – elaborazione del pensiero -, ora ancora dal dato – rappresentazione convenzionale di un’informazione sotto una forma specifica[4].

La dottrina francese, che maggiormente si è occupata del tema, può essere, schematicamente, suddivisa in due correnti maggioritarie. La prima è la corrente utilitaristica, che parte dall’assunto che l’informazione dipende dal suo contenuto ancor prima che dalla sua natura, ontologicamente considerata. Pertanto, l’informazione potrebbe essere definita come «[…] l’action consistant à porter à la connaissance d’un public certains faits ou opinions à l’aide de procédés visuels ou auditifs comportant des messages intelligibles pour le public : l’information est également le résultat de cette action sur les destinataires»[5]. Questa definizione non è però accettabile, dal momento che, sebbene abbia il vantaggio di inglobare la fonte, il destinatario, il contenuto ed i mezzi attraverso i quali avviene la comunicazione, nulla dice a proposito dell’informazione, considerata in re ipsa, sganciata cioè da quei fenomeni che ne costituiscono, per dir così, la cornice esterna.

La visione contrapposta, che potremmo definire paradigmatica, non analizza l’informazione su un piano generale, ma particolare, facendo riferimento all’aspetto che, di volta in volta, essa assume. Elemento peculiare di questa teoria è quella di rimanere ancorata al dato legislativo, in altre parole, alla qualificazione giuridica, esistente o potenziale, che la singola informazione può avere[6]. Pertanto, agli occhi del diritto, l’informazione verrebbe quasi ad assumere la veste della sua forma particolare, configurandosi, a seconda dei casi, come segreto, invenzione, dato personale, brevetto, e così via enumerando[7]. Tuttavia, appare discutibile la metodologia prescelta: è di tutta evidenza, infatti, che, ragionando in tal modo, non si fa altro che aggirare l’ostacolo.

In definitiva, allora, appare corretto convenire con chi è dell’avviso che «Il convient d’éviter la prétentions d’enfermer l’information dans une appréhension uniforme par le droit»[8].

Sulla base delle brevi premesse finora tracciate, appare possibile analizzare la possibilità di configurare l’informazione come bene giuridico. Il codice civile definisce all’art. 810 come bene qualsiasi cosa che possa formare oggetto di diritto. Si tratta, però, di un’espressione insidiosa, che necessita di alcune precisazioni.

Innanzi tutto, il bene deve essere distinto dalla cosa.

La cosa, si osserva in dottrina, è un’entità pre-giuridica, ossia un elemento della realtà preso in considerazione dal diritto, privo di una sua autonoma qualificazione giuridica[9]. Pertanto, senza entrare nell’annosa questione relativa al rapporto tra il concetto di cosa e quello di bene, è sufficiente ricordare che una cosa, per divenire entità giuridica, e quindi bene, necessita di un riconoscimento di tutela da parte dell’ordinamento[10].

Pertanto, non è possibile sostenere – come taluni sembrano fare - che il bene rientri nel genus della cosa[11]. La nozione di bene, poi, si differenzierebbe rispetto a quella di cosa per la sua estraneità alle caratteristiche di concretezza e materialità.

L’ordinamento giuridico attribuisce la qualifica di bene a tutte le entità che siano meritevoli di tutela[12]. Il processo di qualificazione giuridica avviene valutando gli interessi contrapposti o differenti, qualificandoli da un punto di vista oggettivo, realizzando in questo modo una scala di valori sociali da tutelare.

La tutela, pertanto, non dipende dalle caratteristiche intrinseche dell’entità considerata, ma dalla possibile incidenza su di essa della qualificazione giuridica. Questa esigenza di tutela, peraltro, deve essere attuale e non semplicemente potenziale: al riguardo, non appare possibile aderire alla tesi di chi, interpretando erroneamente il significato del «possono» di cui all’art. 810 c.c., vorrebbe forzare il significato letterale della norma, estendendo la sua portata a tutte le entità astrattamente idonee ad essere qualificate come bene giuridico[13].

Carattere unificante della categoria dei beni non può essere sicuramente l’economicità, ossia la suscettibilità del bene (amplius: della cosa) ad una valutazione patrimoniale: è di tutta evidenza, infatti, nel nostro sistema positivo, l’esistenza di numerosi beni – ad es. quelli relativi alla personalità – nei quali l’interesse tutelato prescinde da un qualsivoglia paradigma patrimoniale.

Un’altra incertezza da superare attiene al legame che lega il bene al suo valore economico. La suscettibilità di una valutazione patrimoniale, infatti, non può essere considerato come paradigma costitutivo del concetto di bene, dal momento che esistono alcuni beni – ad esempio, quelli relativi alla personalità – nei quali l’interesse tutelato prescinde da una quantificazione patrimoniale.

Ritornando al tema oggetto di questa breve (e necessariamente parziale) riflessione, va detto che la necessità di qualificare l’informazione nasce, in primo luogo, dall’assenza di omogeneità dei dati normativi e dalla carenza di una visione univoca del problema.

In realtà, non può parlarsi di informazione come bene, univocamente, per tutte le fattispecie, ma occorre far riferimento, singolarmente, agli interessi che ne sono alla base.

A giudizio di parte di autorevole dottrina, il fondamento normativo del riconoscimento giuridico del bene-informazione andrebbe individuato attraverso il rimando ai principi dell’ordinamento giuridico: il riconoscimento avverrebbe in via mediata, rifacendosi all’esigenza di conoscenza della collettività[14]. Altri, forse in modo più formalista, ritengono, invece, che l’informazione sia un bene giuridico nei soli casi in cui il diritto positivo lo abbia riconosciuto come tale.

A prescindere da quella che può essere la soluzione adottata, preme ricordare che nel concetto di informazione convivono due esigenze contrapposte: la possibilità di metterla in circolazione ed il potere di disporne e di goderne in via esclusiva. 

L’informazione, infatti, può essere trasmessa nei modi più disparati, spesso in incertas personas, ed è molto difficile – in taluni casi finanche impossibile – configurare un diritto esclusivo di godimento (nonché forme di relativa tutela)  in capo a determinati soggetti.

«S’il est de l’essence de l’information d’être communicable, il est dans sa nature d’être communiquée»: questa affermazione è vera, ma non tiene conto di un altro aspetto che rappresenta, parimenti, la natura dell’informazione.

Accanto alle informazioni che si realizzano tramite la diffusione, ne esistono altre che sono direttamente connesse ai diritti della personalità (si pensi, per rifarci ad un esempio conosciuto, ai dati personali), la cui comunicazione all’esterno è limitata.

Il problema deve essere allora affrontato alla radice, tenendo conto che «l’informazione appare una realtà intrinseca, che preesiste alle utilizzazioni delle quali può costituire oggetto e che richiede una protezione in quanto tale»[15]. Tuttavia, come altri hanno sostenuto, è forse vero che siamo di fronte a «des idées et des conceptions normalement restées au stade de l’implicite ou au moins souffrant d’un défaut de théorisation», prive di qualsiasi analisi che non sia limitata ad un singolo settore o frammentaria e che analizzi il problema in maniera globale, formulando dei principi che siano applicabili, pur con i dovuti adattamenti, ad ogni fattispecie possibile.

In definitiva, analizzare se un’informazione sia configurabile come bene giuridico significa anche individuare il regime relativo alla sua tutela, alla sua disponibilità ed all’individuazione del soggetto (o dei soggetti) che sulla stessa possono vantare dei diritti.

Si ritiene che l’informazione «appartient, toujours en principe, à son auteur, c’est-à-dire à celui qui la met en forme pour la rendre communicable»[16]: l’informazione appartiene in via originaria al suo creatore, a colui che, in altre parole, le ha dato forma, racchiudendola in un qualsiasi supporto (anche di natura non necessariamente materiale: si pensi, ad esempio, alla parola)[17] atto a realizzarne la comunicazione ad altri.

Fino al momento in cui avviene questa fase, l’informazione non è ancora stata creata: la semplice idea, non esplicitata ed insita solo nella mente del suo creatore, non costituisce informazione ed, in quanto tale, non può ottenere dall’ordinamento alcun riconoscimento.

Schematicamente, è possibile individuare tre modi di creare l’informazione.

Innanzi tutto, le informazioni si configurano come opere dell’ingegno, nelle quali vi è una creazione da parte dell’autore, che, attraverso questo processo, diviene l’unico legittimato a disporne. In secondo luogo, vi sono le cc.dd. informazioni nominative, relative a persone o a patrimoni, nelle quali non rileva la volontà del soggetto e che sono conseguenza della legge o di un atto giuridico. Infine, vi sono i cc.dd. dati liberi, che non appartengono a nessuno e che si configurano come res nullius o come informazioni non più tutelate e cadute in pubblico dominio.

Tuttavia, in quest’ultimo caso, non appare molto corretto parlare di creazione, dal momento che ci troviamo di fronte a dati che non necessitano da parte del soggetto né di una manifestazione di volontà, né di un atto in alcun modo finalizzato all’acquisizione esclusiva di essa.

Connesso al precedente è il problema dell’appropriabilità del bene-informazione.

Alcuni, lapidariamente, sostengono che «l’information est un bien susceptible d’appropriation»; la questione, tuttavia, non appare di così facile risoluzione.

Punto di partenza dovrebbe essere il seguente: l’informazione, intesa come informazione primaria, appartiene in via originaria al suo creatore e può costituire l’oggetto di un atto di disposizione ed essere attribuita ad un altro soggetto, che ne diviene proprietario.

In questo caso, i diritti inerenti all’informazione, salvo i casi specifici previsti dalla legge, sono pienamente tutelati fino al momento in cui si realizza il processo di obsolescenza, ossia fino al momento in cui l’informazione mantiene i caratteri di originalità e di novità, che ne determinano il suo valore economico[18].


* Ufficio legale Università di Salerno. e-mail: mirella.pecoraro@libero.it

L’articolo, in due parti, è pubblicato su carta sulla rivista Diritto&Diritti.

[1] Bell, The Coming of Post-industrial society, Boston Press, 1973, p. 246.

[2] Catala, Ebauche d’une théorie juridique de l’information, in Inf. e dir., 1983, p. 15. 

[3] Naturalmente, come gli studiosi di Intellectual Property insegnano, la trasmissione può prescindere da un supporto materiale, potendo ben consistere anche in una manifestazione orale (parola). Discorso diverso, che sebbene interessante non è dato trattare in questa sede, è quello relativo all’informazione trasmessa via internet: si tratta di un supporto fisico o no? Cos’è effettivamente la Rete? Se si propende per la «fisicità» del mezzo, argomentando che l’informazione è comunque contenuta in uno spazio fisico (l’hardware di un computer) si propende per una soluzione; diversamente, se si osserva che, ai fini della diffusione del messaggio, questo supporto è irrilevante, ci si riporta alla soluzione opposta.

[4] Daragon, Étude sur le statut juridique de l’information, in D., 1998, chron., p. 63.

[5] Auby – Decos-Ader, Le droit de l’information, Dalloz, Paris, 1982, n. 1, p. 1.

[6] È il caso, ad esempio, dell’informazione genetica; in dottrina: Galloux, Essai sur la définition d’un statut juridique pour le matériel génétique, These droit, Bordeaux, 1988, p. 108 ss. ;

[7] Cfr. Lucas, La protections des créations industrielles abstraites, Litec, Paris, 1975, passim. Per ulteriori approfondimenti in merito alla teoria c.d. pragmatica, v. MacKaay, Les biens informationnels ou le droit de suite dans les idées, in Inf. e dir., 1986, p. 45 ; Id., La possession paisible des idées : toute information doit-ellefaire l’objet d’un droit de propriété ?, in D.I.T., 1986, p. 2 ; Id., La propriété est-elle en voie d’extinction ?, in Nouvelles technologies et propriété, Litec-Themis, Paris, 1991.

[8] Leclerq, Essai sur le statut juridique des informations, in A. Madec (cur.), Les flux transfrontières des données : vers une économie informationnelle, Documentation Française, Paris, 1982. 

[9] In questo senso, per tutti, V. Zeno-Zencovich, Cosa, in Dig. disc. priv., sez. civ., III, Torino, 1988, p. 443.

[10] Cfr. S. Pugliatti, Cosa (teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, p. 28 ss.

[11] B. Biondi, I beni, in Tratt. Vassalli, Torino, 1953, passim.

[12] Per tutti, S. Pugliatti, Cosa (teoria generale), in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 28 ss.

[13] B. Biondi, I beni,in Tratt. Vassalli, Torino, 1953, p. 11.

[14] P. Perlingieri, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1987, p. 33; P. Catala, op. cit., p. 19.

[15] S. Schaff, La nozione di informazione e la sua rilevanza giuridica, in Dir. inf., 1987, p. 452. In termini non dissimili si esprime anche P. Catala, op. cit., p. 17: «L’information ne se ramène ni à l’objet qui la porte, ni au geste que la communique, elle a une réalité intrinsèque».

[16] Testualmente, P. Catala, op. cit., p. 20; il tema della proprietà dell’informazione è affrontato dallo stesso a. in La “propriété” de l’information, in Mélanges offerts à Pierre Raynaud, Paris, 1985, p. 97.

[17] La rilevanza, per dir così, ontologica dell’informazione è rilevata sia da P. Perlingieri, op. cit., p. 349, che da M.P: Leyssac, Il furto dell’informazione, in Dir. inf., 1985, p. 625.

[18] In merito al problema del valore economico dell’informazione, v. A.P. Kronman, Mistake, Disclosure, Information and the Law of Contract, in Pol. dir., 1980, p. 291 e ss.; R. Pardolesi - C. Motti, “L’idea è mia”. Lusinghe e misfatti dell’«economics of information», in Dir. Inf., 1990, p. 345 e ss.