La brevettabilità del
vivente
Di
Silvia Giannini
I diritti coinvolti dalle biotecnologie
La nozione di biotecnologia si riferisce ad una scienza che studia in maniera differenziata il “vivente” inteso come uomo, microrganismo, razze animali, e che trasversalmente coinvolge diversi settori di interesse umano. In realtà secondo alcuni “le biotecnologie sono in realtà un nome nuovo dato a processi e tecnologie molto antichi, nati forse con la stessa civilizzazione dell’uomo”. Ad esempio, la fermentazione dell’uva per la produzione del vino o quella del latte per la produzione del formaggio, sono processi biotecnologici, perché ottenuti attraverso fermentazioni operate da esseri viventi, cioè da lieviti, batteri o microrganismi in genere. La verità è che solo negli ultimi decenni le Biotecnologie hanno assunto un’importanza e un valore scientifico, industriale ed economico enorme. Ciò a seguito della grande rivoluzione biologica apportata nella seconda metà del secolo dalla scoperta della natura, delle funzioni del materiale genetico e dalla possibilità di controllare e modificare la struttura e le funzioni di essi. Le biotecnologie coinvolgono con il loro ampio raggio di azione diversi aspetti giuridici: il diritto della persona, per ciò che concerne i metodi terapeutici che utilizzano parti della stessa persona e i metodi di utilizzo industriale dei tessuti cellulari umani; i diritti collettivi di sicurezza rispetto alle problematiche che le biotecnologie portano sull’ambiente e sull’equilibrio biologico fra razze; i diritti della proprietà industriale, in quanto le biotecnologie rappresentano una fonte di ricchezza per le industrie che investano per la ricerca e l’utilizzazione industriale. Le scienze biologiche e genetiche hanno compiuto negli ultimi anni progressi importanti e rivoluzionari, tanto che è stato valutato che le relative conoscenze scientifiche siano almeno raddoppiate rispetto a quelle precedenti. Le moderne pratiche di fecondazione assistita sono considerate all’avanguardia: è indubbio che esse, nei casi più semplici, possiedano un carattere terapeutico in senso ampio, soprattutto quando l’opera del medico si limita “a favorire l’incontro dei gameti della coppia, by-passando l’ostacolo che non permette loro di determinare il concepimento per via naturale” e mettendo con ciò l’organismo materno in condizione di eseguire normalmente il “compito” della gravidanza. Non appena, però, ci si allontani dai casi più semplici, le pratiche di f.a. si cominciano a differenziare da qualsiasi prassi terapeutica in senso stretto, perdendo il loro carattere “curativo” ed acquisendone uno tecnologico-manipolatorio. Quando si parla di biotecnologie, infatti, si vuole fare riferimento a tutte quelle tecniche che utilizzano o causano mutamenti organici in un materiale biologico. La vera svolta, propria delle biotecnologie applicate alla procreazione, è rappresentata proprio dalla Fecondazione in Vitro: all’interno di una provetta si favorisce l’incontro tra ovulo e spermatozoo, dando origine alla produzione in serie di embrioni umani, che, trasferiti poi nell’utero di una donna (la madre o altra donna che “affitta” il suo utero), crescono, portando, alla fine del nono mese, alla nascita di bambini tanto desiderati. La nascita in provetta ha cambiato le regole della procreazione, che, scissa dall’atto sessuale, avviene alla presenza di terze persone (donatore del seme, donatrice dell’ovulo, ..), tanto che si è arrivati a ipotizzare la costituzione di una sorta di “cooperativa di genitori”. Dal 1996 in Italia l’embrione ha ricevuto grande attenzione: è noto che nell’applicazione di alcune tecniche di fecondazione artificiale, in forma sia omologa che eterologa, un certo numero di embrioni vengano dispersi, altri in soprannumero siano congelati, per poi essere utilizzati in gravidanze differite nella madre genetica o in altra donna o nella sperimentazione, con una perdita complessiva di embrioni superiore, secondo alcune statistiche, al 90%. Praticamente la stragrande maggioranza degli embrioni si perde nelle varie fasi e durante i diversi tentativi. Qualche anno fa in Gran Bretagna si era posto il problema del destino di una enorme quantità di embrioni che erano depositati in congelatori, frutto della procreazione in vitro: embrioni che lo Stato ha permesso si lasciassero morire perché non più utili. Molti embrioni, sono eliminati già nella prima fase, in provetta, perché se in natura è raro che più di uno spermatozoo penetri nell’ovulo, in provetta invece questo avviene comunemente, ed è ovvio che questi embrioni non possano essere utilizzati perché hanno un patrimonio genetico abnorme, dal momento che ogni spermatozoo penetrando nell’ovulo porta con sé 23 cromosomi. Al di là delle tecniche di fecondazione che agiscono sull’embrione più o meno invasivamente, il rischio che si corre è quello della selezione eugenica, cioè si potrebbe arrivare, anzi cronache recenti dimostrano che si è già arrivati, alla scelta dei caratteri somatici dei propri figli. Ho già detto che quando si parla di biotecnologia si vuole fare riferimento a tutte quelle tecniche che utilizzano o causano mutamenti organici in un materiale biologico, in microrganismi, piante o animali, oppure causano mutamenti in materiali inorganici usando mezzi biologici. Connesso a tale definizione c’è quella di invenzione biotecnologia, con la quale si intende quel particolare trovato che ha per oggetto un composto di sostanze viventi. L’impatto di simili trovati sul sistema brevettuale è notevole, infatti, la biotecnologia agendo sulla materia vivente, causa problemi di non scarso interesse in relazione allo stesso concetto di invenzione e in particolare relativamente al carattere della novità. Se risulta evidente come interventi “biotecnologici” siano in grado di influire sugli organismi, resta però da vedere quale tutela e protezione accordare a tali trovati all’interno del sistema brevettuale, partendo dal presupposto che i procedimenti di manipolazione genetica o di trattamento di cellule possano essere considerati di natura microbiologica, e per questo motivo non esclusi dalla brevettabilità (art. 13 R.D. 1127/1939). La vigente disciplina stabilisce che ai fini della brevettabilità, occorre una sufficiente descrizione del trovato “in modo tale da permettere ad ogni persona esperta del ramo di attuare l’invenzione”. La descrizione di caratteristiche o proprietà di ciascun microrganismo dipende dal suo patrimonio genetico, e per quanto le conoscenze in questo settore siano cresciute in modo vertiginoso, quasi mai si è in condizione di accertare tutte le caratteristiche di un microrganismo. Quando l’intervento dell’uomo sull’evoluzione si spinge all’applicazione integrata di biochimica, microbiologia e tecnologia dei procedimenti industriali per sfruttare il potenziale di microrganismi, colture cellulari, tessuti o parte di essi, onde produrre “modifiche, nella descrizione voluta, del codice genetico, che così viene determinato per ottenere un certo prodotto”, la biotecnologia si sostanzia nell’ingegneria genetica. Interventi di questo tipo costituiscono un’operazione microbiologica, anche se la seconda fase del procedimento è essenzialmente biologica, e poiché l’essenza o l’oggetto dell’invenzione sono microbiologici il trovato è brevettabile. Un significativo esempio è dato proprio dalle diverse metodiche di fecondazione artificiale (in vitro) dell’essere umano. Tali metodiche riproduttive, inevitabilmente connesse con realtà quali la crioconservazione dell’embrione, la procreazione di coppie sterili, possibili maternità di donne vergini, hanno posto il problema del limite al dominio dell’uomo sulla vita degli esseri viventi e sulla propria. Il nesso tra amore e vita nel matrimonio viene messo in questione e viene prospettata la possibilità di surrogarlo con la vita che nasce in laboratorio, ciò pone la questione dell’embrione incapace di godere di diritti sotto un profilo etico e giuridico, arrivando ad affermare che l’embrione è un vivente umano completo in divenire. In realtà si è osservato che la nozione di diritto soggettivo introdotta nel contesto della genetica umana, ed in particolare in quelle delle scelte riproduttive, è una nozione conflittuale, rilevando che la protezione che deriva per la persona umana dai divieti legislativamente posti al fine di prevenire gli abusi dell’ingegneria genetica non giunge a rendere configurabile un diritto a essere titolari di un dato patrimonio genetico. Nella costruzione di un diritto della biotecnologia si deve tener conto dei principi costituzionali, dei principi desumibili dal codice civile e penale, dalla disciplina che regolamenta l’interruzione volontaria della gravidanza, e infine dai principi scaturenti dai molteplici atti internazionali sui diritti dell’uomo o del fanciullo. Le nuove tecniche della riproduzione e dell’ingegneria genetica pongono interrogativi diversi circa le connessioni fra l’industrialità e le innovazioni biotecnologiche: il problema ha connotazioni delicate se si pensa che il “vivente”, anche se risultato di una modificazione genetica, non può avere la stessa sostanza di un risultato ottenibile attraverso un’invenzione meccanica o chimica. L’impatto che le biotecnologie possono avere sul sistema dei Brevetti è notevole e comporta due tipi di scelte: o si mantiene l’unità del sistema brevettuale, consolidando l’opinione di una industrialità biotecnologia meno “tutelata” rispetto a una industrialità tipica, assumendosi il rischio di qualche eccezione di incostituzionalità sotto il profilo della parità del trattamento; oppure si prevede che le invenzioni biotecnologiche abbiano un diverso trattamento giuridico per quanto riguarda l’industrialità.
Le invenzioni biotecnologiche
Perno della disciplina della proprietà industriale è la distinzione fra invenzione e scoperta, quest’ultima ritenuta imbrevettabile. Con l’avvento delle biotecnologie, la situazione si è complicata in quanto sono state brevettate sostanze naturali note o prima ignote, ponendo al centro la controversa questione di cosa fosse scoperta e cose fosse invenzione biotecnologica brevettabile, e di come il confine sia in realtà attribuito ad una scelta di valore, interpretativa o legislativa, più che ad una distinzione a priori generale e astratta. L’invenzione si riflette sulla natura del risultato inventivo, che ponendosi “come termine finale di un rapporto casuale di determinate forze” deve configurarsi come nuova realtà effettuale, che non sussiste in natura o non si produce secondo lo stesso percorso segnato dall’invenzione e quindi si pone come una mutazione della realtà preesistente. Il punto è se anche i trovati biotecnologici possano assurgere ad essere qualificati “come il risultato di un’attività inventiva in cui l’uomo riuscendo a padroneggiare processi, ottiene un risultato nuovo, in quanto non esistente prima, e riproducibile in quanto non si conosce la causa”. La risposta in realtà non può che andare nel senso di riconoscere ai trovati biotecnologici valenza e “forma” di invenzione, soprattutto se si tiene presente l’alto grado di controllo dei fenomeni biologici e della capacità di intervento nel loro prodursi, dovute alle profonde conoscenze della biologia molecolare e cellulare. In questo senso non si può pensare ai trovati biotecnologici come ad una semplice scoperta, in quanto non consistono nel mero fatto di riconoscere o di rivelare qualcosa di reale che prima era ignoto, col risultato di arricchire il patrimonio delle conoscenze, senza che ne derivi direttamente alcuna modificazione del preesistente stato oggettivo delle cose. Accertata la natura di invenzione dei trovati biotecnologici occorre chiedersi se per essi sia pensabile una tutela propria di tutte le invenzioni o se sia da escludere ogni forma di protezione. In generale si ritiene che le funzioni del brevetto siano molteplici, da un lato infatti si “premia” l’inventore per la scoperta, dall’altro, si vuole incentivare la ricerca scientifica, ed in particole la ricerca applicata all’industria in modo da rendere l’invenzione, “un bene economico oltre che immateriale”[1]. La concessione del brevetto realizza l’esigenza di tutela dell’inventore, che permette così la possibilità esclusiva dello sfruttamento dell’invenzione. Questa premessa fondamentale serve per capire quanto di tutto ciò possa riferirsi alle biotecnologie, e quindi in sostanza sapere se le biotecnologie siano o meno meritevoli di tutela all’interno del sistema brevettuale. L’art. 53 2° comma esclude la brevettabilità delle varietà vegetali e delle razze animali nonché dei procedimenti essenzialmente biologici, mentre ammette la tutela dei procedimenti microbiologici e dei prodotti ottenuti con questi procedimenti. Attraverso il riconoscimento della brevettabilità dei prodotti ottenuti con procedimento microbiologico si viene ad ammettere la brevettabilità del vivente. In realtà un vivente è brevettabile alla stessa stregua di un trovato inerte, purché sia conforme ai criteri di novità, di attività inventiva e di applicabilità industriale, secondo la legge dei brevetti. Gli unici veri divieti per i trovati viventi sono riferiti alle varietà di piante, alle razze animali e ai procedimenti essenzialmente biologici, soggetti a esclusione in quanto consistono in mere scoperte in cui manca un’attività inventiva. Tali procedimenti,infatti, sfruttano forze naturali e, mancando in esse un’attività inventiva, risulterebbero privi del requisito del carattere tecnico e industriale, in sostanza carenti del requisito della originalità e della novità estrinseca. Ad un naturale divieto di tutela per i procedimenti essenzialmente biologici corrisponde la brevettabilità dei procedimenti non essenzialmente biologici, dove l’intervento dell’uomo nel procedimento è significativo nel determinare e controllare il risultato previsto. In sostanza “si ritiene che un trovato vivente per essere brevettato debba aver un procedimento attraverso il quale si realizzi un’artificiosa mutazione del patrimonio genetico del “materiale vivente” utilizzato”[2]. In questo senso un processo a più fasi, nel quale l’essenza del trovato è incorporata in una fase non essenzialmente biologica, non sarà considerato privo del carattere proprio dell’invenzione per il solo motivo che esso comporta delle altre fasi a carattere essenzialmente biologico, e quindi non sarà escluso dalla brevettabilità. Il legislatore europeo si è orientato verso l’esclusione della brevettabilità delle varietà vegetali e delle razze animali per due ragioni fondamentali: dal punto di vista etico- giuridico, si riteneva sin dalla Convenzione di Strasburgo del 1963 inconcepibile e estremamente pericoloso concedere tutela ad esseri viventi quali le piante e gli animali, in quanto una volta aperta la brevettabilità di questi esseri viventi, si sarebbe potuti arrivare alla brevettabilità dell’uomo. Dal punto di vista tecnico, il limite alla brevettabilità è determinato dalla convinzione che le varietà vegetali e le nuove razze animali si potessero ottenere solo con procedimenti essenzialmente biologici, quindi privi di un’attività inventiva e rientranti nella scoperta. Questa motivazione non è più sostenibile alla luce di quanto affermato in riferimento all’apporto inventivo proprio dei trovati biotecnologici che devono essere considerati vere e proprie invenzioni. L’esclusione delle varietà vegetali e animali impedisce la protezione brevettale di animali, piante e quanto altro rientrante nella forma geneticamente fissata di una varietà vegetale o di una razza animale. Allorquando un’invenzione, ottenuta con un procedimento non essenzialmente biologico, relativa ad un materiale vegetale o animale, non rientri con certezza tra i termini dell’esclusione, ad essa è comunque dovuta una forma di protezione giuridica. Affermata la brevettabilità di tali invenzioni, occorre stabilire se simili trovati possano soddisfare i requisiti propri del brevetto e cioè novità, industrialità e sufficiente descrizione. I trovati biotecnologici possono considerarsi nuovi, qualora siano capace di arricchire il preesistente stato della tecnica. In merito all’industrialità, la sua presenza non può essere aprioristicamente esclusa nei trovati biotecnologici, siano essi animali che vegetali. In sostanza ci si riferisce alla nuova accezione di questo requisito, che si traduce nella obiettiva idoneità dell’invenzione ad essere attuata in modo da soddisfare i bisogni di una serie indeterminata di persone e che va riconosciuta a tutte le invenzioni suscettibili di applicazione concreta, cioè capaci di condurre ad un risultato immediato e utilizzabile nell’ambito della tecnica industriale e agricola. Un limite alla brevettabilità degli esseri viventi sta nella loro stessa natura, che essendo determinata da singole unità in una data sequenza, determinano morfologia, struttura, proprietà chimiche del trovato. Nella realtà non si conoscono tutte le sequenze e ciò comporta che le caratteristiche del vivente non siano sempre del tutto conosciute, e i margini di imprevedibilità possano arrivare a pregiudicare la costanza dei risultati. Con il brevetto per le novità vegetali, si è stabilito un concetto di industrialità ampio che consiste nella sussistenza nel trovato vegetale, della sufficiente omogeneità e stabilità nei caratteri essenziali nel corso delle riproduzioni. Per poter essere considerato sufficientemente omogeneo il trovato riprodotto non deve “manifestare che variazioni limitate e il coefficiente di variazione ammissibile varia in funzione del sistema di riproduzione, in quanto bisogna tenere conto delle particolarità inerenti alla riproduzione sessuata o alla moltiplicazione vegetativa delle varietà cui è richiesta la protezione”[3]. Altro requisito per la brevettabilità è dato dalla sufficiente descrizione del trovato che deve offrire tutti gli elementi affinché il tecnico possa attuare l’invenzione. La descrizione deve essere completa e chiara; ciò è importante soprattutto nei trovati “viventi” per i quali è necessario fornire tutti gli elementi utili alla ripetizione dell’invenzione. Partendo ormai dal presupposto della possibile brevettabilità del vivente, il legislatore nazionale e comunitario ha cominciato un processo di legificazione e di armonizzazione delle leggi.
L’attuale situazione legislativa
In
tutto l'Occidente sono state adottate e sono in vigore, ormai, misure di
regolamentazione e controllo sull'applicazione delle biotecnologie.
Le norme volte alla sicurezza delle biotecnologie sono tutte di natura
precauzionale e fanno costante appello alla necessità di accurate
valutazioni di rischio prima di intraprendere attività di Ricerca e
Sviluppo, di produzione e commercializzazione di prodotti ottenuti con
l'impiego delle moderne tecnologie biologiche.
Gli
esperti e i funzionari della Commissione Europea e dei Paesi Membri
dell'Unione Europea hanno partecipato attivamente ai lavori del GNE
("Group of National Experts" che ha operato in sede di
Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico OCSE). Nell'U.E.
è prevalsa l'opzione di imporre per legge "regolamentazioni di
tecnologia", collegate a meccanismi di notifica e autorizzazione a
monte.
La
prima disciplina in materia di biotecnologie è stata adottata in Italia
con la Legge comunitaria n. 142 del 19 febbraio 1992, che ha fissato i
criteri di delega al Governo per il recepimento della Direttiva
90/220/CEE sull'emissione deliberata nell'ambiente di OGM (Organismi
geneticamente modificati): la delega è stata attuata con il Decreto
legislativo n. 92 del 3 aprile 1993 che richiede che una valutazione
preventiva di rischio venga effettuata prima di ogni rilascio ambientale
di un OGM, e che nessun rilascio possa essere effettuato senza notifica
e assenso preventivo del Ministero della Sanità.
Prodotti
ed ingredienti alimentari Geneticamente Modificati non devono presentare
rischi per il consumatore; indurlo in errore o comportare per lui
svantaggi nutrizionali qualora siano destinati a sostituire prodotti o
ingredienti tradizionali.
Chiunque
intenda immettere sul mercato alimentare un OGM o suoi prodotti
derivati, presenta domanda di autorizzazione allo Stato Membro sul cui
territorio vuole immettere per la prima volta tali prodotti, inviando
contemporaneamente copia della richiesta alla Commissione Europea.
La
domanda deve contenere informazioni tecnico scientifiche atte a
dimostrare che il novel food presenta le garanzie richieste dal
Regolamento 258/97/CE. Il risultato (sia positivo che negativo) di tale
valutazione viene trasmesso dalla Commissione Europea a tutti gli altri
Stati membri i quali, entro 60 giorni dalla data di diffusione della
relazione, debbono formulare le proprie osservazioni o presentare
obiezioni motivate all'immissione sul mercato del prodotto in esame.
Con
la Direttiva 98/44/CE, adottata nel luglio 1998 in seguito a una
vicenda molto lunga e travagliata, sulla protezione giuridica delle
invenzioni biotecnologiche, la Comunità compie un passo decisivo
verso la brevettabilità dei nuovi settori della ricerca scientifica.
Con
l'articolo 3 si comincia a delimitare l'oggetto delle invenzioni
biotecnologiche: è sancita la brevettabilità di invenzioni di
prodotto (il materiale biologico come sopra definito) o di
procedimento (per produrre, lavorare o utilizzare tale materiale
biologico), qualora rispondano a quei requisiti che sono comunemente
richiesti per la brevettabilità anche negli altri settori della
tecnologia. E' specificato, peraltro, che la domanda di brevetto deve
indicare l'applicazione industriale della sequenza di geni,
altrimenti si rischia che venga considerata una scoperta e quindi non
brevettabile. Infatti secondo l'articolo 12 le scoperte non sono
brevettabili come tali: lo sono però le applicazioni tecniche di una
scoperta: la scoperta non è brevettabile in sé perché difetta
dell'industrialità.
L'art.
7 nomina il Gruppo europeo per l'etica delle scienze e delle nuove
tecnologie della Commissione, il quale dovrà valutare tutti gli
aspetti etici connessi alla biotecnologia e potrà essere consultato in
materia brevettuale relativamente al rispetto dei principi etici
fondamentali.
Al
di là delle considerazioni di natura tecnica relative al brevetto, di
fronte al problema biotecnologie ed alla connessa difficoltà di poter
disporre di criteri univoci per l’individuazione delle invenzioni
afferenti tale settore, si è gradatamente venuta a creare una vera e
propria disputa di contrapposti interessi. Da un lato, infatti, i
cultori del diritto, affiancati dal mondo industriale, hanno nel corso
del tempo fatto pressioni perché si giungesse ad ampliare sempre di più
l’ambito di tutelabilità, al fine di estendere lo stesso anche a
tutta quella gamma di invenzioni che solo in ragione del settore
considerato possono essere definite tali. Dall’altro, gli
ambientalisti e i fautori dell’etica hanno al contempo avviato una
serie di campagne atte a frenare lo sviluppo di iniziative in questo
ambito, soprattutto dopo l’approvazione della Direttiva comunitaria.
Il
Protocollo di Cartagena è un documento molto importante che regolamenta
a livello internazionale il trasporto e il commercio degli OGM
(organismi geneticamente modificati), in nome della difesa della
biodiversità delle specie vegetali e dei possibili rischi per la tutela
della salute.
I
primi successi delle biotecnologie
e l’impiego dell’ingegneria genetica hanno reso percepibile
l’esistenza di possibili rischi per il bene dell’uomo: come per ogni
invenzione che sia tecnicamente possibile, anche per simili trovati, ai
fini della tutela brevettuale, è necessario accertare l’assenza di
elementi che possano arrecare un qualsiasi danno alla società, sotto i
due profili dell’ordine pubblico e del buon costume. “Solo se ogni
scelta sarà maturata attraverso una diffusa conoscenza dell’uomo
e delle sue capacità tecniche, il bene dell’uomo potrà essere
raggiunto”.[4]
Fermo restando la non contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume dei trovati necessari per rimuovere gli ostacoli al perseguimento degli interessi costituzionalmente protetti, non dovrà essere rilasciato il brevetto alle invenzioni biotecnologiche che, alterando il patrimonio genetico, possano arrecare danno all’integrità e alla dignità dell’uomo. Più in generale si è auspicato che il controllo privato sugli usi del materiale genetico e sulle informazioni in esso contenute venga assicurato insieme al principio di tutela pubblica sul complesso delle risorse genetiche e del genoma umano. Un contemperamento di tali esigenze verrebbe realizzato attraverso la previsione di interventi finalizzati al trattamento o alla guarigione di malattie individuate dalle autorità pubbliche. Sembra quindi poter affermare che le invenzioni relative a codesti interventi non dovrebbero essere considerate contrarie all’ordine pubblico o al buon costume. Sarebbero non brevettabili, in quanto non potenzialmente dannosi, i trovati concernenti patologie per le quali non sia autorizzato l’intervento sul patrimonio genetico, ancorché una tale limitazioni non venga prevista da una norma di legge, ovvero il diniego non sia oggetto di apposito provvedimento. In questa prospettiva il canone interpretativo da utilizzare parrebbe l’opposto di quello generalmente adottato per l’applicazione del diritto sostanziale; non tutto ciò che non è vietato è, per ciò, solo consentito”, ma in analogia con l’ermeneutica processuale, esclusivamente ciò che è espressamente previsto costituisce oggetto di facoltà riconosciuta al soggetto di diritto. A tale proposito sarebbe auspicabile la coniugazione del principio del consenso e dell’informazione sulle scelte genetiche al fine di guardare con serenità al progresso tecnico.
Legislazione di riferimento
Direttiva 90/220/CEE del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM (organismi modificati geneticamente) in GUCE LN. 117 DEL 08/05/1990. Recepita con decreto legislativo 92 del 03.03.93 in supp. Od. Del 03.03. 93 n. 78 Conferenza dell’ONU su “Ambiente e sviluppo” (1992) /Convenzione di Rio (1992) sulla diversità biologica.
Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (in GUCE L. 206 del 22/07/1992)
Regolamento (CE) n. 1467/94 del Consiglio, del 20 giugno 1994, concernente la conservazione, la caratterizzazione, la raccolta e l’utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura (Gazzetta Ufficiale n. L. 159 del 28/06/ 1994)
Regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (in Gazzetta Ufficiale n. L. 043 del 14/02/1997)
Regolamento (CE) n. 1813/97 della Commissione del 19 settembre 1997 concernente l’obbligo di indicare nell’etichettatura di alcuni prodotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati caratteristiche diverse da quelle di cui alla direttiva 79/112/CEE (In Gazzetta Ufficiale n. 257 del 20.09.1997)
Direttiva 97/65/CE della Commissione del 26 novembre 1997 recante terzo adattamento al progresso tecnico della direttiva 90/679/CEE del Consiglio relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (in Gazzetta Ufficiale n. 335 del 06.12.1997
Direttiva 98/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (in Gazzetta Ufficiale n.213 del 30.07.1998)
Direttiva 98/81/CE del Consiglio del 26 ottobre 1998 che modifica la direttiva 90/219/ CEE sull’impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati ( in G.U. n. 330 del 05.12.1998)
Protocollo relativo alle aree specialmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo (in GUCE n. 322 del 14.12.99)
18.02.2000 Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza (COLOMBIA)
Proposta
di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome della Comunità
europea, del protocollo di Cartagena sulla sicurezza biologica
(presentata dalla Commissione )
[1] G. Caforio “Analisi critica della protezione dei trovati biotecnologica” p. 197 da “Il vivente brevettabile” Raccolta di contributi a cura di Vittorio Menesini – Università degli Studi di Perugia [2] G. Caforio p.199 op.cit. [3] G. Caforio op. cit. [4] A. Bonsignore “Il problema della liceità delle invenzioni relative alla genetica” da op. cit. p. 248 |
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