*** L’appaltatore ha diritto a un equo compenso se, nel corso dell’esecuzione dell’opera, si presentano difficoltà derivanti da cause geologiche o idriche che rendano più onerosa la prestazione. Questo in sostanza il contenuto del secondo comma dell’articolo 1664 c.c. Tale norma, ha sostenuto la Corte di Cassazione con la sentenza 2164 del 13 febbraio 2003, non ha carattere vincolante e le parti possono liberamente derogarvi senza l’uso di particolari espressioni formali. In caso di contrasto circa l’applicabilità di tale disposizione è demandata al giudice la facoltà di accertare il comune intento negoziale. Nel far ciò l’interprete deve tenere presente che la clausola derogatoria può emergere dall’intero assetto negoziale, non richiedendo, come già osservato, una forma particolare. L’accertamento così compiuto sarà poi sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione o per violazione di norme di diritto. In questo modo la parte che deciderà di contestarlo non potrà limitarsi a propugnare una diversa interpretazione, ma dovrà specificare gli errori logici o giuridici di quella data nella sentenza impugnata. I giudici dovranno, in sostanza, avvalersi dei comuni criteri di ermeneutica. Detto ciò non bisogna comunque dimenticare che nonostante il principale criterio ermeneutico sia quello letterale, questo non riveste affatto una valenza esclusiva, non potendo precludere il ricorso agli altri parametri. La norma contenuta nell’articolo 1664 c.c. è dimostrazione della volontà del legislatore del 1942 di ridimesionare la portata della regola secondo cui l’alea della realizzazione del progetto deve rimanere a carico dell’appaltatore. Riversare le conseguenze negative di complicazioni impreviste soltanto su una parte sembrava un comportamento poco equo.
Il caso. Durante la costruzione di una strada, lavoro appaltato dal comune di Castrocielo al sig. ***, erano emerse delle difficoltà legate ad una elevata resistenza delle zone rocciose che avevano costretto l’appaltatore a un’operazione di sbancamento. A lavori ormai conclusi, questi, aveva infatti chiesto un equo compenso, in virtù dell’articolo 1664 c.c.. Per ottenerlo aveva convenuto il Comune di fronte al Tribunale di Cassino che si era difeso sostenendo l’accettazione da parte dell’appaltatore, al momento della conclusione del contratto, di un prezzo fisso al metro quadro, cioè indipendentemente dalla composizione della roccia presente nel sottosuolo. Dopo il rigetto della domanda il sig. *** aveva adito la Corte di Appello di Roma, secondo cui non poteva essere esclusa l’applicabilità dell’articolo 1664 c.c.. Il comune aveva quindi proposto ricorso in cassazione.
Debora Alberici |
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