Il
diritto aborigeno e l'Australia
di
Barbara Faedda[1]
a)
La terra per gli Aborigeni: la sentenza
Mabo e il National Native Title
Pochi
anni fa è stata pronunciata in Australia una sentenza divenuta in breve tempo
esemplare: la sentenza Mabo
(Mabo vs. Queensland, n.2. 1992, 175 Crl 1), con la quale finalmente è
stata riconosciuta la tradizionale proprietà aborigena della terra.
"L'Alta Corte del Queensland ha osservato, infatti, che la proprietà
aborigena può essere esercitata da individui, sottogruppi o dall'intera
collettività, a seconda delle circostanze[2]".
Tutto ciò rappresenta una vittoria, una rivincita notevole per gli aborigeni,
soprattutto dopo secoli di disconoscimento culturale ed etnogiuridico da parte
dei "bianchi".
La
storia coloniale dell'Australia inizia nel lontano 1642,
quando Abel Tasman raggiunse, primo europeo, l'isola che da lui prese il nome,
la Tasmania; dopo circa un secolo, il celebre capitano James Cook "scoprì"
il New South Wales. Purtroppo tale "scoperta", se fu un gran
guadagno per gli europei, non altrettanto rappresentò per le popolazioni
aborigene. Il fatto, poi, che queste terre fossero incredibilmente ricche
(oro, argento, petrolio, carbone) segnò in pratica la fine del controllo dei
nativi sulle loro terre e sulle relative risorse[3].
Come
abbiamo visto, il controllo totale sulla terra, successivo alla conquista
brutale ed annientatrice, ha rappresentato forse la prima vera forma di
violenza esercitata dagli europei nei confronti dei popoli indigeni: nel corso
degli anni essi furono spinti sempre più lontano dai loro territori,
costretti in aree povere ed isolate, espropriati della terra e con essa delle
proprie radici culturali ed affettive. Terra come luogo legato alla storia
della comunità, culla di usi e costumi secolari, fulcro della religiosità più
profonda, spazio entro il quale si sono avvicendate le generazioni, dove
ancora i nativi sentivano il respiro degli antenati, dove ogni roccia, ogni
corso d'acqua, ogni albero viveva della stessa "anima".
Dopo
la spoliazione arrivò lo sfruttamento indiscriminato: anche recentemente,
nella seconda metà del XX secolo, la Tasmania, per esempio, fu protagonista
di un impetuoso processo d'industrializzazione, attraverso la costruzione di
grandi centrali idroelettriche. Il continuo evolversi di tali installazioni fu
così rapido e incontrollato che portò poi, negli anni settanta, a violente
reazioni, non solo degli aborigeni stessi, ma anche dei gruppi
d'ambientalisti. La situazione arrivò ad un tal punto d'esagerazione di
sfruttamento e di prepotenza, che nel 1983 la Corte Suprema Australiana decretò
la sospensione della costruzione della diga sul fiume Gordon.
Per
tutta questa su citata miscellanea di problematiche storiche ed etnogiuridiche,
in Australia gode di prestigio ed importanza una particolare istituzione,
denominata National Native Title
Tribunal. Tale tribunale è un organo del Commonwealth
Government ed ha il compito di
facilitare la creazione di accordi tra gli aborigeni e gli isolani di Torres,
il governo e le industrie. Il Tribunale non è una corte e non decide quindi
se esista o meno il titolo, vale a
dire il diritto di proprietà.
Nel
1995 fu presentato un paper alla Terza
Conferenza Nazionale su Immigrazione e Popolazione al Convention Centre di
Adelaide. Paul Seaman, Membro presidenziale del National
Native Title Tribunal, parlò di possibilità d'acquisto del diritto di
proprietà sulle terre tradizionali da parte degli aborigeni, come risultato
di un recente mutamento nella normativa. La grande svolta era stata, come già
accennato all'inizio, la decisione della maggioranza dei giudici dell'Alta
Corte d'Australia nel processo Mabo vs.
Queensland. Il popolo indigeno d'Australia non ebbe, infatti, alcun
riconoscimento di un diritto di proprietà da parte della legislazione
australiana fino al 3 giugno 1992, quando fu pronunciata la fatidica sentenza.
Oggi
molti nativi lasciano le riserve e tornano, liberi, ad occupare i territori
ancestrali, quella terra che da questa cultura viene definita "madre[4]".
Nell'interessante reportage di Cathy Newman, Bentornati
aborigeni pubblicato recentemente da La
Repubblica, si parla proprio del differente concetto di proprietà
terriera per gli aborigeni e per i "bianchi": i primi "credono
di avere, come i loro antenati, il possesso collettivo di queste terre e il
diritto di godere dei loro frutti. Ma gli esploratori bianchi hanno portato
una diversa idea di proprietà, fatta di concessioni fondiarie, recinzioni e
carte bollate[5]".
Per la cultura autoctona, la terra è vita, biologica e spirituale: "…
ricavare sostegno dalla terra. Sostegno fisico e spirituale … la terra: come
aiuta, come guarisce[6]".
Grazie
alla "gestione terriera" degli europei, i vari governi australiani
procedettero sull'idea di base che la gente indigena non avesse alcuna legge
definita e perciò che nessuno possedesse la terra, con il risultato che i
governi gestirono le terre a loro piacimento. Questo punto di vista fu
supportato dalle decisioni delle varie corti, fino alla causa Mabo.
Il risultato fu che i governi sostennero per due secoli un falso postulato: la
gente indigena non aveva diritti tradizionali di proprietà sulla terra. E
qualora quei diritti fossero stati riconosciuti, i governi li avrebbero in
ogni modo soffocati tutti attraverso legislazioni o atti esecutivi. La
legislazione e gli acts esecutivi
hanno, infatti, nel tempo eliminato alla radice molte rivendicazioni e
richieste di terra della numerosa comunità indigena.
Fu
così che s'iniziò a pensare che ogni tentativo del governo di soffocare le
rivendicazioni dei diritti tradizionali sulla terra seguendo la decisione Mabo
avrebbe dato quindi il via a richieste di pagamento dell'indennizzo ai
proprietari di tali interessi. Gli interessi tradizionali indigeni sulla terra
furono chiamati native title. Nella
sentenza Mabo, Brennan J. descrisse
ciò come segue: "Il termine native
title descrive convenientemente gli interessi e i diritti degli abitanti
indigeni sulle terre, qualora una comunità, un gruppo o un individuo
posseggano leggi tradizionali riconosciute dai costumi tradizionali osservati
dagli abitanti indigeni"[7].
Le
proposizioni più significative emerse dalla sentenza Mabo
sono le seguenti: a) il diritto di proprietà può continuare ad essere
riconosciuto laddove la comunità, il gruppo o l'individuo continui ad
osservare le leggi e i costumi per mezzo dei quali la connessione tradizionale
con la terra è stata consolidata; b) il diritto di proprietà può essere
perso per abbandono delle leggi tradizionali e dei costumi e una volta perso
non può essere rinnovato; c) le leggi tradizionali e i costumi dai quali il
diritto di proprietà è derivato determinano la sua natura ma essi possono
cambiare e quindi particolari diritti e interessi cambieranno in conseguenza;
d) l'occupazione esclusiva di un territorio da parte degli aborigeni non è
condizione necessaria per il mantenimento del diritto di proprietà sullo
stesso, ma rimane questione aperta ritenere necessaria, in ogni modo, una
qualche "connessione fisica" di tipo continuativo; e) l'estinzione
di un diritto di proprietà nativo richiede la dimostrazione di un piano o di
una chiara intenzione di estinguere il diritto stesso; f) una volta che il
diritto di proprietà è estinto non può essere riattivato.
Ma
come è definito esattamente il native
title? "L'espressione native
title o native title rights and
interests significa i diritti e gli interessi comuni, di gruppo o
individuali dei popoli aborigeni o degli isolani dello Stretto di Torres in
relazione a terra o acque dove: 1) i diritti siano posseduti secondo le leggi
tradizionali riconosciute e i costumi tradizionali osservati dagli aborigeni e
gli abitanti dello Stretto di Torres; 2) gli aborigeni e gli isolani di Torres
godono di un particolare rapporto con la terra e le acque sulla base di tali
leggi e costumi; 3) i diritti e gli interessi sono riconosciuti dal Common Law
dell'Australia[8]".
Un'importante
istituzione inoltre, il National
Aboriginal and Torres Strait Islander Land Fund, ha stabilito la
possibilità di offrire un'assistenza diretta alla popolazione aborigena e
agli isolani di Torres nel momento in cui si accingano all'acquisto di un
territorio o intendano impegnarsi nella gestione dello stesso, seguendo le
modalità più consone affinché si possa giungere ad acquisire benefici
economici, sociali e culturali. Le intenzioni di fondo che animano questi enti
d'ispirazione autoctona sono essenzialmente due: ripagare in un certo senso le
passate ingiustizie con misure speciali ed aggiornate per garantire sia
l'avanzamento socio-culturale che la protezione adeguata delle popolazioni
aborigene, e assicurare che gli stessi ricevano il pieno riconoscimento e un
chiaro status all'interno della nazione australiana.
L'Indigenous
Law Centre (per la precisione,
l'Aboriginal Law Centre) fu
istituito nel 1981 per sviluppare e coordinare la ricerca, l'insegnamento e
l'informazione etnogiuridica tra la gente indigena. Specifici obiettivi sono
quello di promuovere la cooperazione nella ricerca concernente i popoli
indigeni e la loro legge in Australia e all'estero; pubblicare i risultati
delle ricerche e informare gli individui interessati, le comunità e gli enti
in tutta l'Australia; organizzare e partecipare a conferenze e seminari;
incoraggiare lo sviluppo di curricula specifici e materiali d'insegnamento.
Il
Centro sostiene tre iniziative per raggiungere i suoi obiettivi: l'Australian
Indigenous Law Reporter, L'Indigenous
Law Bulletin, il Community
Education Program. Il primo è una pubblicazione quadrimestrale che
fornisce accesso ai materiali concernenti i popoli indigeni e la legge
relativa, riunendo tali materiali in forme accessibili e facilmente fruibili.
Il secondo è pubblicato nove volte l'anno, promuove discussioni su questioni
legali indigene pubblicando articoli, commenti e note a sentenza. Il terzo
focalizza questioni educative rivolte ai nativi e collabora con gli Affari
Aborigeni e il National Native
Title Tribunal.
b)
Il Kowanyama Justice Group
In
questo paragrafo è riportato uno studio del Dr. Paul Chantrill di un progetto
d'auto-gestione di giustizia locale, in una remota comunità aborigena del
Queensland[9].
In
un primo "carteggio telematico" con la sottoscritta, P. Chantrill,
circa la questione inerente i diritti etnici e la loro rivalutazione, ha
affermato: "Ritengo che nei dibattiti in Australia recentemente sia stata
data attenzione alle questioni riguardanti il diritto consuetudinario a causa
della loro stretta connessione con i movimenti di rivendicazione della terra e
con la questione storica della mancanza di una certezza giuridica circa la
colonizzazione europea (assenza di accordi e trattati chiari). Per molti anni
il problema è stato sottaciuto, ma le pressioni politiche, l'uso di strumenti
normativi circa i diritti della terra e delle relative risorse, e le decisioni
dei tribunali circa il native title
hanno certamente portato negli ultimi tempi le questioni all'interno del
dibattito etnogiuridico e politico. Si registra un numero enorme di questioni
irrisolte circa la proprietà e i diritti d'accesso, l'uso della terra e delle
relative risorse naturali. La maggior parte dei legislatori, dei tribunali e
della popolazione capisce e accetta gli unici diritti degli australiani
indigeni e le loro continue relazioni e responsabilità concernenti la terra e
le sue risorse. Grande è la volontà, e forse il bisogno, di ammettere
l'esistenza, l'importanza e l'autonomia del diritto consuetudinario. In
Australia vi è un innato conservatorismo, molto più che in Canada, così
tutto si muove molto gradualmente, soprattutto per ciò che riguarda lo status
speciale della gente indigena. Nel 1975 fu introdotto il Racila
Discrimination Act, una pietra miliare, ma non si sono raggiunti ancora i
diritti costituzionali e i riconoscimenti che invece gli indigeni canadesi già
posseggono. Nel 1980 la Commissione
Australiana per la Riforma del Diritto considerò per la prima volta il
diritto consuetudinario aborigeno: fece molte raccomandazioni, ma ben poche
tra queste hanno poi preso posto nei dibattiti e nei lavori del governo".
La
Commissione Reale sulle Morti degli aborigeni nelle Carceri
pensò che gli australiani aborigeni fossero vittime di viscerale razzismo e
discriminazione all'interno del sistema di giustizia. Per porvi rimedio, la Commissione
Reale raccomandò di prevedere piani di finanziamento per lo sviluppo di
programmi di giustizia innovativi e basati soprattutto sulle esigenze della
comunità. Chantrill si sofferma sulla comunità aborigena di Kowanyama,
nell'estremo nord della regione del Queensland.
Proprio il Queensland è
protagonista di un progetto di particolare rilevanza etnogiuridica: il Queensland
Government’s Local Justice Initiatives Program. Tra gli scopi previsti
da questo progetto al primo posto vi è quello di riconoscere e rispettare la
capacità delle comunità aborigene di sviluppare e gestire un loro proprio
distintivo approccio alla giustizia locale. Dalla sua istituzione nel 1994, il
justice group, il gruppo di
giustizia della comunità di Kowanyama, ha reso un significativo contributo
alla gestione effettiva del diritto. Sono
diminuiti i crimini e il numero dei pregiudicati recidivi.
La
vera minaccia al consolidarsi delle iniziative di giustizia locale, a
Kowanyama così come presso altre comunità remote aborigene, giunge dai
numerosi tentativi volti comunque a limitare il raggio d'azione dei processi
comunitari e delle operazioni dei justice groups. Gli obiettivi da raggiungere
quindi sono ancora tanti, e tra questi uno di quelli più a lungo termine è
identificato dalla Royal Commission
con la creazione di reali possibilità, per ogni comunità, di sviluppare i
mezzi per risolvere le dispute e per trattare con gli imputati in modi che
siano appropriati ed adatti, dal punto di vista culturale ed etnogiuridico.
Attraverso
ricerche recenti, è stato scoperto che molti indigeni sono state spesso
vittime di un radicato razzismo e di una violenta discriminazione da parte
delle istituzioni legali. In base ad alcune statistiche del 1995 si è visto
che gli Aborigeni e gli Isolani dello Stretto di Torres nel Queensland avevano
14 volte probabilità in più di essere incarcerati di altri; nello stesso
tempo, si registravano 584 aborigeni e isolani in custodia preventiva. Il 24%
del totale della popolazione carceraria proviene, infatti, da un gruppo
sociale aborigeno che comprende appena il 2,3% della popolazione totale dello
Stato australiano. Nel 1995, in soli 12 mesi, 780 nuovi detenuti provenienti
da comunità aborigene e isolane arrivarono nelle carceri del lontano nord del
Queensland. Molti di questi erano stati trasferiti lì da comunità lontane ed
isolate per stare in realtà poco tempo. Le cause più comuni: offese contro
la persona, in parte dovute ad abuso d'alcol, in parte a liti familiari.
Nel
1991 fu data l'opportunità ai leaders delle comunità aborigene del
Queensland di commentare tutte le norme attinenti la gente aborigena: essi
risposero chiedendo una maggiore autonomia e una reale autogestione
nell'amministrazione della giustizia e del diritto. A seguito di ciò nacquero
molte iniziative all'interno dell'amministrazione locale della giustizia: fu
creato l'Aboriginal Law Council ad
Aurukun che, tra le questioni prioritarie, regola l'uso d'alcol all'interno
della comunità, e un Aboriginal Elders
Network di Capo York che promuove programmi di cultura e
"aggiustamento" nelle istituzioni penitenziarie del nord del
Queensland. Il ruolo degli anziani è risultato fondamentale nella riduzione
del numero di aborigeni incarcerati. Altri gruppi d'aboriginal
community justice furono formati a Kowanyama, Palm Island e a Pormpuraaw.
Queste iniziative hanno avuto tutte il supporto della Commissione
di Servizi Correzionali del Queensland.
Dopo
il 1996, molte altre comunità, Hopevale, Yarrabah e Thursday Island hanno
presentato richiesta di finanziamento al governo del Queensland per formare
gruppi simili modellati largamente sul modello di Kowanyama e Palm Island. Ciò
rientrava all'interno del cosiddetto Local
Justice Initiatives Program.
Kowanyama rappresenta un esempio-guida in tal senso.
Il
concetto di giustizia locale, o popolare, è stato oggetto di discussione
intensa all'interno del dibattito internazionale, con forti contributi degli
studiosi canadesi e con particolare riguardo alla valutazione di proposte
innovative tra le comunità indigene del Canada. Ciò si è rivelato
importante, poiché studi empirici hanno confermato che l'applicazione di
modelli e pratiche inappropriati di giustizia popolare è stata
controproducente, se non a volte disastrosa. Spesso è stato forte il rischio
di compromettere i risultati, a causa di battaglie ingaggiate per raggiungere
l'autonomia locale, contro le continue pressioni verso l'incorporazione in un
sistema di giustizia formale in cui non ci si riconosceva, né storicamente né
culturalmente.
Nel
novembre del 1992 ci fu una celebre tavola rotonda, un forum sull'Aboriginal
People’s and the Justice System: Report of the National Round Table on
Aboriginal Justice Issues. Il sistema di giustizia canadese fu accusato di
essere stato un fallimento per la gente aborigena, fallimento attribuibile ai
differenti modi di vedere e alle differenti condizioni tra il diritto degli
europei e il diritto aborigeno. Il sistema statale fu giudicato troppo
legalistico, centralizzato, formale e lontano dalla cultura etnogiuridica
della gente indigena che credeva di avere, e desiderava fortemente farvi
riferimento, un suo proprio meccanismo interno di controllo sociale. Kim
Campbell disse: "Non è facile per me accettare che, per alcuni, le
nostre leggi sono viste come strumenti di oppressione piuttosto che come
meccanismi di preservamento della giustizia…ho imparato che
l'amministrazione della giustizia, a dispetto delle buone intenzioni di chi vi
opera all'interno, ha spesso fallito nell'incontrare le necessità della gente
aborigena che, troppo frequentemente, viene in contatto con le nostre corti
come imputata e come vittima … ho imparato che la gente aborigena è troppo
spesso alienata rispetto al sistema di giustizia formale e vigente, e che
molti sentono l'impotenza di partecipare per determinare ciò che succederà
alla gente della propria comunità che ha trovato se stessa in conflitto con
la legge".
Il
tema dominante emerso da questa tavola rotonda è il riconoscimento del
bisogno di un sistema normativo separato (sistema locale e sistemi plurali)
d'amministrazione della giustizia per la gente indigena. La conclusione è
stata che "il processo di riforma deve essere consensuale. Deve derivare
da conversazioni e negoziazioni tra i governi e la gente aborigena". Gli
stessi principi valgono per l'amministrazione di giustizia australiana per
quanto riguarda gli indigeni.
C'è
stato un timido tentativo di separare l'ambizione politica aborigena di
possedere il controllo sulla
materia riguardante la giustizia aborigena, da un lato, e i bisogni di comunità
specifiche, dall'altro. Spesso sono così interrelate che risolvere la prima
questione significa risolvere al tempo stesso anche la seconda.
Dal
1987 la cittadina di Kowanyama è amministrata da un Consiglio
di Comunità aborigeno. La creazione nel 1994 del Justice
Group di Kowanyama si basa sul successo di un'operazione che è servita
successivamente come modello di comunità autogestita. Essa è un esempio che
sfata l'assunto in base al quale tali iniziative vengono annientate dai
molteplici rischi di incorporazione. L'istituzione del Justice
Group seguì una consultazione circa il desiderio della comunità
autoctona di gestire un corpus di giustizia locale, e circa la potenzialità
degli individui di possedere i requisiti appropriati di autorità. Si indagò
anche su chi potessero essere gli anziani della comunità considerati
rappresentativi delle famiglia più importanti. Furono organizzati workshops
per assicurare che i membri della comunità fossero realmente gli autori di
tutto ciò.
La
creazione del Kowanyama Justice Group
nell'aprile del 1993 fu il risultato del processo di consultazione con 18
membri, esattamente tre uomini e tre donne di ogni gruppo delle tre famiglie
della comunità. Le richieste del justice
group furono essenzialmente le seguenti: 1) sottoporre le questioni legali
in modo che la comunità capisse realmente di essere in linea con i propri
costumi, leggi e nozioni tradizionali relativi alla giustizia; 2) consultarsi
con magistrati statali circa le sanzioni e le punizioni considerate
appropriate dai nativi; 3) prendere parte alla prevenzione dei problemi legali
e di ordine sociale; 4) ascoltare le rimostranze di carattere sociale e
giuridico della comunità; 5) fornire raccomandazioni ai dipartimenti di
governo su materie di giustizia; 6) identificare e focalizzare le questioni
sociali e di giustizia nella comunità; 7) fornire consulenza tra la comunità
e il governo e il potere giudiziario sule questioni di giustizia.
La
frequente incidenza d'abuso d'alcool e la violenza familiare riporta il caso
di Kowanyama ad un modello riconosciuto come caratteristico delle comunità
remote indigene in Canada. È stato osservato che la natura sociale del
problema dimostra che una risposta di tipo strettamente legalistico è spesso
inappropriata. Differenti da quelle "europee" sono le relazioni
sociali che prevalgono nelle comunità aborigene remote: comunità all'interno
delle quali le connessioni, le parentele e le interazioni sono strettamente
interrelate e di lungo data. La relazione che esiste per esempio nella comunità
di Kowanyama tra violenza, abuso d'alcool, isolamento, richiede particolari
considerazioni circa le strategie politiche da adottare. A Kowanyama, queste
considerazioni non sono riuscite a venire alla ribalta del dibattito
etnogiuridico fino agli anni recenti. Nel passato i detenuti provenienti da
questa comunità venivano incarcerati nel Centro Correzionale di Lotus Glen, a
400 chilometri di lontananza. Andare in carcere è stato paragonato dai
residenti e dalla polizia ad una "sindrome da rito di passaggio" tra
alcuni giovani della comunità.
Prima
che venisse istituito il Justice Group,
si aveva la netta sensazione che l'autorità e i meccanismi di controllo
tradizionali fossero stati seriamente minati. Un'inevitabile conseguenza della
gestione e della pratica di polizia governativa è stata la progressiva
diminuzione dell'autorità tradizionale all'interno della struttura sociale e
locale: l'autorità degli anziani era veramente compromessa. Ciò è stato
esacerbato dagli effetti distruttivi dell'abuso d'alcool; la questione
dell'alcool è difficile da gestire, poiché di esso si fa uso a scopo
ricreativo e come rimedio alla noia e fornisce una risorsa di guadagno per il Consiglio
di Comunità che trae notevoli benefici dalla sua vendita.
Tra
le cause principali all'origine dei crimini da parte di individui aborigeni vi
è senza alcun dubbio la violenta ed estrema esperienza coloniale,
l'espropriazione, lo spaesamento culturale, l'emarginazione e la povertà. La
cultura aborigena interpreta la giustizia in un modo molto particolare: essa
crede che la coscienza sia un'arma più potente di controllo della punizione.
Di conseguenza, la propensione verso un'alta incidenza del crimine può essere
relativa al crollo delle strutture dell'autorità tradizionale e alla
conseguente diminuzione del senso di responsabilità e di connessione sociali.
Nonostante
la disgregazione di pratiche consuetudinarie, successiva alle esperienze
storiche di contatto con l'amministrazione di missioni e riserve, a Kowanyama
si registrano forti rivendicazioni circa l'antica autorità e le pratiche
locali. Si ritiene fermamente che esse possano essere usate per creare
significative differenze tra gli insuccessi governativi e l'amministrazione
autoctona ed etnogiuridica. Conseguenza
questa del successo del Justice Group
che, utilizzando metodi tradizionali, riesce inequivocabilmente a ridurre il
crimine e le infrazioni.
Un
membro del Justice Group ha
affermato: "La legge dei bianchi è debole, non insegna ai giovani come
comportarsi, e così i giovani non mostrano alcun rispetto. Noi vogliamo che i
giovani pensino a loro stessi e alle loro famiglie con responsabilità,
andando d'accordo con gli altri e passando il loro tempo in occupazioni che
siano positive e piene di significato". Si è certi quindi che i problemi
sociali e le condotte illecite non siano separati dalla vita della comunità,
e che ogni misura di prevenzione e di riabilitazione debba provenire dalla
comunità, secondo il suo punto di vista culturale, le sue tradizioni locali,
le strutture e i modelli di autorità. Molta enfasi è posta sul
coinvolgimento della comunità nelle istituzioni correttive e nelle
alternative alle procedure istituzionali. L'obiettivo primario è ristabilire
l'autorità degli anziani e il costume locale. I crimini e i problemi
dovrebbero essere discussi entro la famiglia di appartenenza e nelle strutture
del proprio clan, piuttosto che essere gestite da terze parti, disinteressate
e inappropriate.
Forme
sottili di controllo sociale furono operate in passato in accordo con il
costume locale. Le modalità erano varie: 1) evitare alcune persone o non
dargli il benvenuto in particolari case; 2) vietare l'accesso agli spacci
della comunità; 3) chiedere di lasciare la comunità per un periodo di tempo.
Era anche usato promuovere la riconciliazione portando i problemi all'aperto e
permettendo un incontro/confronto tra gli avversari in questione. La pubblica
umiliazione era usata per promuovere un comportamento socialmente accettabile.
Ciò è stato particolarmente adottato in casi in cui i genitori e gli adulti
hanno trascurato le proprie responsabilità familiari: occuparsi, per esempio,
di giovani ed anziani. Madri che hanno abbandonato i loro figli per andare
nelle cantine a bere sono state portate davanti al justice
group. L'umiliazione che copre la madre la induce a cambiare il suo
comportamento.
Incidenti
simili riguardanti questioni di droga e alcol, soprattutto quando fossero
stati venduti a bambini, sono stati valutati dal justice
group. Queste campagne rivolte in particolare alla protezione della
gioventù sono viste come parte fondamentale del tentativo di rottura del
circolo dell'alcol, della violenza e del crimine, problemi ricorrenti nella
comunità negli anni più recenti. Queste iniziative possono essere
riconosciute come tentativi di ristabilire l'autorità e il controllo della
comunità, insistendo sul concetto di "comportamento sociale
responsabile". La responsabilità della famiglia e degli anziani è
enfatizzata come mezzo di promozione di un comportamento migliore e la comunità
riconosce la sua responsabilità di assicurare che i giovani siano guidati su
strade giuste. L'essenza della deterrenza non è la severità della sanzione,
ma il suo essere fortemente interconnessa nel tessuto sociale. La vergogna è
un deterrente maggiore quando è amministrata da persone che sono, e
continuano ad essere, importanti
e rilevanti per la nostra esistenza.
I
giovani sono il nucleo centrale nelle delibere e negli interventi del justice
group di Kowanyama. Un aspetto importante è quello di impegnare i membri
del justice group a prendersi cura
e procurare una leadership per i giovani. Ciò appare essere fortemente
motivato dal desiderio di riabilitare, in un certo senso, il ruolo degli
anziani, soprattutto in considerazione del peso che essi hanno per quanto
riguarda la prevenzione del crimine giovanile. Prima dell'istituzione del justice
group la polizia di Kowanyama registrava circa 50 crimini giovanili ogni
mese; il crimine più comune tra i minorenni era svuotare gli appartamenti e
abusare d'alcol. Attraverso il justice
group gli anziani stanno riconquistando il rispetto delle nuove
generazioni, che devono rendere conto delle loro azioni in un "foro di
responsabilità" della comunità. È successo così che sia stato
registrato un notevole ridimensionamento del crimine giovanile nella città.
Cosa
ha fatto il justice group per
raggiungere quest'obiettivo? Il focus sui giovani ha incluso una serie di
iniziative: ragazzi tra gli 8 e i 14 anni sono stati reclutati per assistere
la polizia nelle ronde serali, quando si controlla che la comunità sia al
sicuro. I ragazzi hanno indossato le camicie blu con gli emblemi ufficiali
della polizia e, come volontari, hanno impiegato una parte del loro tempo
controllando che gli edifici pubblici fossero regolarmente chiusi e
verificando cosa facessero i bambini. Come gratificazione per il lavoro
svolto, sono stati introdotti programmi-premio. Molti ragazzi volontari in
passato erano stati loro stessi giovani delinquenti. Si è trattato solamente
di responsabilizzarli ed incentivarli. Tutto ciò è stato accompagnato
dall'incremento di attività sportive e ricreative, dall'ulteriore sviluppo di
infrastrutture (piscine, campi sportivi, stadi, campi di escursioni).
Significative le parole dell'Anziano di Kowanyama, Banjo Patterson, Presidente
del Justice Group di Kowanyama dal
1994 al 1996: "Assicurati di badare a loro e di prenderti cura di loro.
Ciò devi fare, spronarli sulla retta via, non corrergli dietro quando l'hanno
persa" (Aboriginal
and Torres Strait Islander Social Justice Commissioner, Fourth Report, 1996,
p. 56).
Un'altra
iniziativa per gli studenti, datata ottobre 1995, fu quella denominata
"adotta un anziano". Questa misura è stata attuata per coinvolgere
gli anziani della comunità nelle classi della scuola di Kowanyama. Gli
anziani, infatti, forniscono la direzione e un notevole supporto
all'istituzione scolastica e partecipano direttamente all'insegnamento per
quanto riguarda le materie relative alla cultura e al comportamento
etnogiuridico appropriato. La comunità scolastica ha risposto a turno
all'iniziativa del justice group e
l'8 marzo 1996 fu istituita una delegazione permanente presso la Commissione
Scolastica Educativa di Kowanyama.
Sempre
nell'ottobre 1995, al fine di incoraggiare migliori relazioni con la polizia,
il justice group invitò gli
ufficiali della Polizia di Stato a prendersi cura, all'interno
dell'istituzione locale, della sezione "Affari generali". Questa fu
un'iniziativa diretta a facilitare una collaborazione più stretta e uno
scambio d'informazioni tra le due istituzioni, quell'autoctona e quella
governativa. Ovviamente tutto ciò non ebbe una riuscita positiva solo per le
buone intenzioni: coincise, infatti, con l'arrivo nella comunità di un nuovo
sergente di polizia con una notevole esperienza nel trattare le questioni e le
problematiche delle comunità aborigene.
Oggigiorno
le pratiche di polizia nelle comunità remote aborigene del Queensland sono
guidate da strategie e linee guida specifiche. Si ricorre a servizi e
programmi appropriati, mirati protocolli di prevenzione del crimine e
specifica formazione del personale di polizia. Ciò comprende anche la pratica
di impiegare residenti aborigeni locali come polizia
di comunità: da poco, infatti, è stato istituito l'ufficio
di polizia aborigena di Kowanyama. Gli obiettivi di quest'istituzione
prevedono il rinforzo della sicurezza comunitaria, il miglioramento della
comunicazione tra polizia e comunità, la diminuzione degli arresti tra i
residenti. In maniera continuativa si chiedono alla gente opinioni ed idee su
come i problemi dovrebbero essere risolti.
C'è
grande orgoglio e convinzione circa l'autonomia e la credibilità del justice
group di Kowanyama e il suo ruolo si sta estendendo a molti settori. In
effetti, la comunità di Kowanyama ha creato un programma innovativo e di
successo. I membri del justice group
rimangono comunque piuttosto guardinghi rispetto ad una partecipazione
troppo stretta del governo: c'è il timore che ciò potrebbe ridurre il raggio
d'azione dei costumi locali e delle pratiche etniche.
Il
riconoscimento ufficiale dei successi del justice
group è giunto nel 1995 con l'Australian
Violence Prevention Award, un premio creato dai capi di governo
australiani che rilasciarono al justice
group un certificato di merito per il lavoro e soprattutto per i risultati
raggiunti: in realtà, dal 1994 in poi, si è registrato un reale declino del
numero dei crimini giovanili nella comunità. Il justice
group ha dimostrato un grande potenziale anche in altre aree, in
particolare nel trattare le questioni giovanili, familiari, le dispute
comunitarie. Ma soprattutto a livello familiare, dove le istituzioni formali
intervengono in genere troppo tardi. A Kowanyama il justice
group è visto come un ente, un'istituzione vicina, che la gente può
approcciare per consigli e interventi nelle questioni familiari. Anche la
mediazione e la risoluzione delle dispute fanno parte delle funzioni regolari.
L'istituzione del justice group
fornisce inoltre l'opportunità per una migliore articolazione tra le agenzie
di giustizia formale e gli individui che lavorano nella comunità.
Soprattutto
dopo la Conferenza sul Diritto
Consuetudinario avvenuta a Kowanyama nel luglio del 1997, si riconobbe che
il justice group è una istituzione
viva. Ovviamente le autorità governative locali negano la possibilità di un
sistema legale alternativo e parallelo a quello statale: la convinzione è che
in Australia ci debba comunque essere un solo sistema di diritto. Ma la realtà
è diversa: le iniziative aborigene locali stanno lavorando in particolare sui
giovani per far raggiungere loro un comportamento sociale responsabile, nei
modi e nei tempi che il sistema di giustizia giovanile governativo
difficilmente potrebbe raggiungere. Le pratiche aborigene di pubblica
umiliazione stanno raggiungendo risultati insperati. Ciò che l'esempio di
Kowanyama dimostra è l'opportunità di un equilibrio (e, se vogliamo, di
un'auspicata riconciliazione) tra istituzioni locali e statali, tra diritto
informale e formale.
Gli
schemi di giustizia comunitaria incorporano un'ampia varietà d'iniziative le
quali possono risultare utili alla comunità, in particolare nel trattare il
crimine e i problemi ad esso associati. Ciò può riguardare, com'è stato già
accennato, anche i modi tradizionali di risoluzione delle dispute. Si attua
così un allargamento delle modalità e tecniche di giustizia, attraverso
l'introduzione di metodi di mediazione, risoluzione delle dispute e
prevenzione del crimine che sono ispirati dalla tradizione etnogiuridica e
dalle pratiche indigene. Questo modello fornisce meccanismi e procedimenti
sviluppati dagli indigeni australiani dai quali la più ampia comunità
australiana può apprendere elementi innovativi per il proprio sviluppo. Non
si tratta semplicemente di sostituire le leggi formali statali con pratiche
locali, cosa che potrebbe non essere desiderabile o attuabile, ma di
introdurre meccanismi alternativi e complementari che funzionano, permettendo
alla comunità l'autonomia e la discrezione, spesso disturbate dall'azione
intrusiva di organi esterni.
È
successo che alcuni gruppi sociali abbiano applicato i procedimenti e le
strutture che hanno trovato utili ed abbiano così adattato le pratiche e i
processi di diritto aborigeno a contesti comunitari moderni. Tuttavia ciò non
vuol assicurare che si operi una fusione dei due tipi di diritto. Esistono in
ogni caso due diritti: il diritto aborigeno con le sue regole, i suoi principi
e procedimenti per mantenere l'ordine sociale e risolvere le dispute, e il
diritto europeo con le sue leggi codificate, i sistemi legali, le istituzioni.
I
justice groups ritengono che ci
siano modi, e per questo lavora, per i due sistemi di coesistere. Il governo
del Queensland ora affronta la sfida di rispondere alle esigenze crescenti
della comunità per supportare le opportunità d'autogoverno nel sistema
giuridico. Ancora oggi comunque le risposte degli enti governativi rimangono
inconsistenti e mutevoli. Spesso vi è contraddizione nei programmi e nei
risultati. L'opinione ricorrente è, per esempio, che il justice
group è accettato nelle questioni
familiari e giovanili, ma sempre ritenendo che in generale il sistema di
diritto statale debba in ultimo grado prevalere.
La
diversità e l'integrità delle misure introdotte a Kowanyama suggeriscono che
il modello va ben oltre un semplice "ritorno alle vie aborigene". È
importante capire le direzioni da seguire nella gestione di programmi di
giustizia locale autoctona: importante soprattutto affinché non si commettano
errori fatali nell'adattare semplicemente, e senza un criterio per così dire
"adattivo", principi e istituzioni tradizionali a realtà aborigene
oramai considerate "complesse". Complesse nel senso che sono teatro
di convivenze di elementi tradizionali, moderni e post-moderni[10],
di stratificazioni giuridiche e culturali in genere.
Lo
studio effettuato da Paul Chantrill nella comunità di Kowanyama, dimostra
quanto sia importante il lavoro di consultazione e l'impegno della comunità
nello sviluppo e nell'operazione di forme e programmi di giustizia
alternativa. Kowanyama dimostra che la comunità ha la possibilità di operare
direttamente e responsabilmente delle scelte nell'amministrazione della
giustizia. È un esempio d'autogoverno raggiunto sulla base dell'assistenza
minima da parte del governo.
Sebbene
siano considerati fattori importanti sia il supporto che il riconoscimento
degli enti governativi formali, l'elemento comunque più rilevante, dal punto
di vista etnogiuridico, rimane senza dubbio il rispetto e la rivalutazione del
patrimonio culturale aborigeno. Ai danni causati dalla conquista e dalla
colonizzazione europea si può in un certo modo oggigiorno riparare (seppur in
parte) offrendo una reale possibilità alle popolazioni indigene di riscoprire
e riattivare, adattandolo alle nuove esigenze e vicende storiche, il proprio
patrimonio culturale ed etico.
Ancor
oggi, in Australia, si ritiene che la protezione della cultura indigena sia
un'esclusiva responsabilità governativa, ma abbiamo visto quanto invece sia
fondamentale il meccanismo d'autogestione della giustizia autoctona,
soprattutto sulla base di un lavoro di consultazione popolare su cosa sia
realmente, oggi, importante per una specifica comunità, quali siano i valori
considerati "desiderabili" e quali gli schemi culturali sui quali un
gruppo sociale intende intessere le sue istituzioni.
[1]
Si
ringrazia il Dr. Luca Melchionna per la cortese supervisione degli aspetti
propriamente giuridici di questo elaborato.
[2]
Kymlicka W., La cittadinanza
multiculturale, Il Mulino, 1999.
[3]
Per
fare una premessa di carattere squisitamente antropologico, bisogna
ricordare l'importanza delle ricerche etnoantropologiche effettuate presso e
sugli aborigeni dell'Australia: si approfondirono proprio grazie a tali
studi le teorie sul totemismo,
sul tabu, sull'esogamia,
sul matrimonio. Una terra così
"lontana" e remota (almeno dal punto di vista europeo) è stata
palcoscenico di numerose ricerche che fanno oramai parte della letteratura
della disciplina: per tutte valgano i lavori di Radcliffe-Brown, il quale
studiò soprattutto l'organizzazione sociale australiana.
[4]
Newman C., Bentornati aborigeni,
La Repubblica delle Donne, n. 196, 11 aprile 2000.
[5]
Newman C., op. cit.
[6]
Newman C., op. cit.
[7]
Circa la questione delle rivendicazioni tribali di territori vedi il
capitolo intitolato "Identità a Mashpee" all'interno di
I frutti puri impazziscono di James Clifford, Bollati Boringhieri.
[8]
Seaman P., Providing a sustainable
economic land base for aboriginal populations, paper presentato alla
Terza Conferenza Nazionale su Immigrazione e Popolazione il 23 febbraio
1995, nella città di Adelaide.
[9]
Questa ricerca è stata condotta dal
Dr. Paul Chantrill, contattato da chi scrive e dimostratosi d'accordo che i
propri lavori fossero tradotti, elaborati e divulgati in questa Sezione
d'Antropologia del diritto. I risultati della sua ricerca presso la comunità
di Kowanyama furono raccolti in un paper presentato, nel settembre 1997, in
una serie di seminari organizzati dall'Istituto Austrialiano di
Criminologia.
Paul
Chantrill, dal maggio 1996, è ricercatore presso il Centro
per la Ricerca negli Studi Aborigeni e Multiculturali nell'Università
del New England, Armidale, Nuovo Galles del Sud. Fino al 1996 ha
collaborato, ricoprendo varie posizioni politiche, con l'Ufficio
del Governo del Queensland per gli Affari degli Aborigeni e degli Isolani
dello Stretto di Torres e l'Ufficio
del Dipartimento del Primo Ministro.
[10]
Motta R., L'addomesticamento degli
etnodiritti, Unicopli, 1994.
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