inserito in Diritto&Diritti nel giugno 2004

La sentenza Tar Lazio, III, 17 maggio 2004, n. 4564 – La fissazione dei criteri di valutazione nelle procedure di valutazione comparativa

di Giacomo Verde

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Le motivazioni contenute nella decisione del Consiglio di Stato (riportata in calce) si fondano su un principio cardine delle procedure concorsuali e di quelle ad evidenza pubblica: il principio di imparzialità e trasparenza al quale l’azione amministrativa deve improntarsi.

Nel caso di specie, la commissione preliminarmente prende atto dell’elenco dei candidati, dell’assenza di rapporti di parentela o affinità tra commissari e candidati, dell’elenco di coloro che non hanno prodotto la prescritta documentazione e dei rinunciatari e procede all’esame delle singole domande e alla lettura del curriculum scientifico e dell’elenco delle pubblicazioni presentate dai candidati. Soltanto a chiusura delle suddette operazioni fissa i criteri per la valutazione delle pubblicazioni e delle prove.

Sul piano strettamente procedurale la commissione stabilisce i parametri di valutazione dei candidati in un momento successivo all’esame dei curricula degli stessi, vale a dire dopo aver avuto conoscenza delle pubblicazioni, dei contenuti delle stesse, dell’attività scientifica e di altri elementi comunque utilizzabili ai fini della successiva attività valutativa.

In tal modo la commissione determina i criteri di valutazione dopo aver avuto piena cognizione di tutti gli elementi curriculari valutabili ai fini del giudizio di merito. A parere dei giudici, tale atteggiamento della commissione non consente “di realizzare quell’esclusione del sospetto - pur mero ed astratto - che i criteri successivamente determinati possano essere stati influenzati da tale conoscenza”.

Al concorso universitario de quo si applica la vecchia normativa e, in particolare, gli articoli 41 e ss. del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, che non prevede in maniera specifica la fissazione di criteri di massima da parte della commissione, sebbene un principio siffatto possa desumersi, in via analogica, dall’art. 12, comma 1, d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (“Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”), il quale stabilisce che “le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove”.

La decisione del Tar Lazio appare pienamente condivisibile laddove configura una palese violazione degli elementari principi di imparzialità e trasparenza nel comportamento di una commissione giudicatrice che proceda ad una tardiva fissazione dei criteri di valutazione nell’ambito di una procedura concorsuale, dopo che i commissari abbiano preso visione degli elementi da valutare ai fini della graduatoria di merito.

La normativa vigente in tema di concorsi per la docenza universitaria (ora definite “procedure di valutazione comparativa”), radicalmente innovata, è quella contenuta nella legge n. 210/1998 e nel DPR n. 317/2000 ed al riguardo è chiara nel suo tenore letterale ed interpretativo.

Quest’ultimo all’art. 4, comma 1, stabilisce un passaggio procedurale di fondamentale importanza: le commissioni giudicatrici devono predeterminare i criteri di massima e le procedure di valutazione comparativa dei candidati e tali determinazioni vanno comunicate, senza indugio, al responsabile del procedimento, il quale ne assicura la pubblicità.

La predeterminazione dei criteri di valutazione rispetto al momento conoscitivo degli elementi da giudicare diventa così un obbligo procedurale recepito sul piano normativo. L’attività di predeterminazione, pertanto, in virtù di un principio consolidato per i procedimenti ad evidenza pubblica, può consistere anche nella specificazione di quelli già espressi nel bando o nella individuazione di sottocriteri di adattamento dei criteri generali alla specifica procedura di valutazione comparativa o di regole specifiche sulle modalità di giudizio, ma non potrà mai concretizzarsi nell’introduzione di ulteriori o nuovi criteri rispetto a quelli pubblicizzati nel bando. L’enucleazione di nuovi parametri di valutazione potrebbe violare la par condicio tra i concorrenti, con evidente imparzialità dell’operato della commissione.

La predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali, che non può risolversi nella definizione di espressioni generiche, rappresenta una sostanziale garanzia di imparzialità e di correttezza nell’attività di giudizio e pone i concorrenti in condizioni di parità: da un lato, concretizza una “restrizione” del potere di apprezzamento delle prove concorsuali; dall’altro, impone alla commissione di motivare circa il modo di applicazione dei criteri nel caso concreto con l’ovvia conseguenza che uno scostamento del giudizio valutativo dai criteri stabiliti renderebbe inutili sia la fissazione dei criteri medesimi, sia l’effetto di autolimitazione per l’attività dei commissari, con gravi rischi di pregiudizio per la correttezza e l’imparzialità del giudizio stesso.

L’autolimitazione del proprio potere di apprezzamento nell’ambito delle prove concorsuali da parte della commissione giudicatrice non avrebbe alcun senso logico se alla stessa non fosse parimenti imposto di motivare, seppure sinteticamente, circa le modalità di concreta applicazione dei criteri stessi.

L’ottemperanza all’obbligo di motivazione va verificata non in maniera astratta, ma con specifico riferimento ad una serie di elementi procedurali e, in particolare, ai criteri formulati dalla commissione.

La coerenza della motivazione rispetto ai parametri prestabiliti consente agli stessi interessati di controllare, secondo il principio della trasparenza, la coerenza e l’imparzialità del giudizio valutativo.

Appare evidente che, nel caso in cui in una procedura di valutazione comparativa, non siano stati predeterminati rigidamente i criteri di valutazione delle prove, lo stesso obbligo della motivazione non può ritenersi adeguatamente osservato con la semplice e generica indicazione delle ragioni che hanno indotto a formulare un certo giudizio.

L’obbligo di fornire le motivazioni delle valutazioni concorsuali è imposto dalla esigenza di tener fede al principio sancito dal nostro ordinamento, che vuole sempre garantita la possibilità di un controllo non solo di legittimità ma anche di merito circa la ragionevolezza, la coerenza e la logicità dei giudizi comparativi, soprattutto quando essi esprimono un esito negativo. Al candidato viene così assicurato il diritto di conoscere gli eventuali errori o le irregolarità in cui la commissione può incorrere, in maniera tale da poter valutare la possibilità di esperire un’azione giurisdizionale.

 

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Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio

Sezione III

Sentenza 17 maggio 2004, n. 4564

FATTO

Con ricorso notificato il 28 ottobre 1998 la dott. Anna Laura Gentile Bandini, ricercatore presso l’Università degli studi di Milano e partecipante al concorso a posti di professore universitario di ruolo, fascia degli associati, bandito con d.m. 22 dicembre 1995, ha impugnato il provvedimento, speditole l’8 luglio 1998, col quale non è stata ammessa alle prove orali.

A sostegno dell’impugnativa ha dedotto violazione di legge ed eccesso di potere per illogicità, difetto di motivazione, disparità di trattamento, lamentando che, a quanto sembra, è mancata la predeterminazione di criteri di massima per la valutazione dei titoli scientifici dei candidati, e comunque la Commissione ha inosservato i medesimi criteri, dal momento che i giudizi negativi resi nei confronti delle sue pubblicazioni riguardano essenzialmente l’aspetto quantitativo (per l’aspetto qualitativo i giudizi sono di sufficienza), mentre dal confronto con gli altri candidati emerge che non sono stati utilizzati parametri univoci; inoltre, non è stata valutata l’attività didattica dell’istante, lodevolmente apprezzata in altri analoghi concorsi.

Il Ministero intimato si è costituito in giudizio il 28 novembre 1998 e con memoria del 19 gennaio 2000 ha svolto controdeduzioni, a cui la ricorrente ha replicato con memoria dell’11 aprile 2002.

Con ordinanza collegiale istruttoria 20 giugno 2002 n. 5639 è stata disposta l’acquisizione di copia conforme dei verbali della Commissione esaminatrice, depositati in data 30 luglio seguente.

Con atto notificato il 18 settembre 2002 la ricorrente ha proposto i seguenti motivi aggiunti:

a)     Violazione di legge ed eccesso di potere, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione dei principi di obiettività e regolarità amministrativa; sviamento; illogicità manifesta, contraddittorietà intrinseca; carenza di motivazione. Vi è incongruenza tra i giudizi individuali ed i criteri prestabiliti; in particolare, dei quattro criteri è stato preso in considerazione solo quello d), concernente la "consistenza della produzione scientifica in rapporto agli anni di attività", mentre nulla è detto circa gli altri, specie i criteri b) (validità scientifica della rivista con referees) e c) (importanza, qualità e attualità delle tematiche di ricerca), né possono essere ritenute valide le argomentazioni svolte in sede difensiva, posto che non ve n’è menzione nei verbali. È ingiustificato il giudizio complessivo di non ammissione, basato sull’aspetto quantitativo e non su quello qualitativo, ancorché buona parte dei commissari abbia valutato sufficiente la qualità dei lavori ed in assenza di un criterio che assegni rilevanza maggiore al primo aspetto.

b)    Violazione di legge ed eccesso di potere, travisamento dei presupposti di fatto e diritto, violazione dei principi di regolarità amministrativa, sviamento, illogicità manifesta, contraddittorietà intrinseca. Il criterio quantitativo di cui innanzi è stato determinato dopo la lettura dell’elenco delle pubblicazioni dei candidati, contenente anche l’anno di pubblicazione ed il numero degli autori, in contrasto col principio di obiettività e con la par condicio dei candidati.

c)     Violazione di legge ed eccesso di potere, violazione dei principi di regolarità amministrativa, sviamento, illogicità manifesta, contraddittorietà estrinseca.

La predeterminazione dei criteri è stata effettuata dopo la lettura dei curricula dei candidati, oltreché del detto elenco, con le conseguenze suindicate.

In data 8 ottobre 2002 la ricorrente ha notificato l’atto introduttivo del giudizio e quello contenente motivi aggiunti nei confronti di Gabriele Cacciamani, quinto classificato nella graduatoria dei 44 vincitori del concorso.

Con sentenza 17 dicembre 2002 n. 12482 è stata disposta l’integrazione del contraddittorio a mezzo pubblici proclami nei confronti degli altri 43 vincitori, da indicarsi nominativamente, con termini di sessanta giorni per la pubblicazione e trenta per il deposito della relativa prova. La ricorrente ha provveduto all’incombente mediante pubblicazione di esaustivo avviso nella G.U.R.I. - Foglio Inserzioni - 24 gennaio 2003 n. 19 (pag. 11), copia della quale è stata depositata il 10 febbraio seguente. Con memoria del 9 marzo 2004, ulteriormente illustrate le proposte censure, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

All’odierna udienza pubblica la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Com’è esposto nella narrativa che precede, forma oggetto del ricorso in esame la procedura concorsuale a 44 posti di professore associato del settore C03X - chimica generale ed inorganica - bandito con d.m. 22 dicembre 1995; in particolare, la ricorrente Anna Laura Gentile Bandini, concorrente, impugna in via principale la propria non ammissione a sostenere la prova orale.

Il ricorso deve ritenersi fondato in relazione alla censura, svolta nei motivi aggiunti secondo e terzo, con la quale si lamenta la fissazione dei criteri di valutazione dei titoli scientifici dei candidati dopo la lettura dei curricula dei medesimi e dell’elenco delle pubblicazioni da loro presentate.

Infatti, se è ben vero che la normativa vigente all’epoca del concorso per cui è causa - art. 42 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 - non prevedeva la fissazione di criteri di massima, nondimeno nella specie la Commissione giudicatrice ha ritenuto di dettarne. Precisamente, come si legge nel verbale n. 1 della seduta in data 24 ottobre 1997, la Commissione, preso atto dell’elenco dei candidati, dell’assenza di rapporti di parentela o affinità tra commissari e candidati, dell’elenco di coloro che non hanno prodotto la prescritta documentazione e dei rinunciatari, ha proceduto "all’esame delle singole domande e alla lettura del curriculum scientifico e dell’elenco delle pubblicazioni presentate dai candidati". Ciascun commissario ha poi presentato "dichiarazione in merito alla possibilità di enucleare il contributo del candidato relativamente alle pubblicazioni redatte in collaborazione con il commissario stesso". Inoltre ha proceduto a verificare "la possibilità di enucleare l’apporto del candidato alle pubblicazioni redatte in collaborazione con terzi" in base ad indicati criteri, pervenendo a ritenere che tale possibilità sussisteva per tutti i candidati.

Solo all’esito delle descritte operazioni ha stabilito i criteri per la valutazione delle pubblicazioni, oltre che delle prove. In particolare, ha ritenuto di doverne considerare la pertinenza con la materia oggetto del concorso, la validità scientifica della rivista con referees, l’importanza, qualità ed attualità delle tematiche di ricerca e, infine, la "consistenza della produzione scientifica in rapporto al numero degli autori e agli ani di attività"; quest’ultimo, peraltro, costituente il criterio su cui si incentrano talune doglianze esposte dalla ricorrente.

Ora, il Collegio ritiene illegittimo tale modo di procedere.

Invero, è ben noto che, al fine dell’osservanza del generalissimo principio di imparzialità e rispetto della par condicio tra i concorrenti, nonché nell’interesse pubblico alla miglior selezione possibile, è necessario che i criteri di massima siano stabiliti prima che venga compiuta qualsiasi attività valutativa, allo scopo di escludere anche soltanto il sospetto che i medesimi criteri siano condizionati dall’esito di dette valutazioni.

È altresì noto che la regola appena esposta non viene violata quando una commissione prenda una conoscenza preliminare delle domande e dei titoli dei candidati, ad esempio al fine di controllare l’insussistenza di situazioni di incompatibilità, non trattandosi di attività valutativa. Ma nel caso in trattazione la Commissione non si è limitata soltanto a siffatto controllo, avendo compiuto, invece, propriamente siffatta attività valutativa, sia pure non espressamente finalizzata all’attribuzione di un giudizio di merito, nel corso della quale ha avuto modo di esaminare attentamente le singole pubblicazioni, compresi gli anni e le modalità di pubblicazione, il numero ed i nominativi dei coautori e, soprattutto, i contenuti delle pubblicazioni stesse.

Ciò, evidentemente, non consente di realizzare quell’esclusione del sospetto - pur mero ed astratto - che i criteri successivamente determinati possano essere stati influenzati da tale conoscenza.

Tanto basta ad inficiare radicalmente tutti gli adempimenti che seguono, sicché, in accoglimento del ricorso ed assorbita necessariamente ogni altra doglianza, gli atti della procedura in parola devono essere annullati a partire dal momento procedimentale di cui si è discusso.

Quanto alle spese di causa, ne va fatto carico all’Amministrazione resistente, nella misura liquidata in dispositivo, mentre si ravvisano giusti motivi affinché ne sia disposta la compensazione nei riguardi dei controinteressati.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Condanna parte resistente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese di causa che liquida in complessivi Euro 2.000 (duemila). Spese compensate nei riguardi dei controinteressati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.