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LA TUTELA CAUTELARE NEL PROCESSO DEL T.A.R. CATANIA di Vincenzo Salamone Consigliere T.A.R. Sicilia Sezione staccata di Catania Oggetto del mio intervento sarà lesposizione dei principi contenuti nella copiosa giurisprudenza della sezione staccata di Catania in materia di tutela cautelare, con particolare riguardo alla sospensione degli effetti degli atti a contenuto negativo. A tal proposito desidero precisare che le tre sezioni interne seguono analoghi indirizzi in materia di tutela cautelare, ammettendo in via di principio la sospendibilità degli atti amministrativi a contenuto negativo, con differenze, invece, nellapprezzamento del fumus dei ricorsi, del periculum in mora e soprattutto in ordine al contenuto precettivo dellordinanza cautelare. Giova ricordare in particolare che lorientamento giurisprudenziale della 3^ sezione si caratterizza dalla esposizione nelle ordinanze, che prendono in esame ricorsi proposti avverso atti negativi, di una serie di argomentazioni esposte in modo diffuso. In particolare si afferma che la sospensione dell'efficacia del provvedimento negativo o del comportamento omissivo - provocando (nel primo caso) l'inidoneità temporanea del diniego esplicito a disciplinare un determinato rapporto giuridico amministrativo, o (nel secondo caso) la necessità dell'emanazione di un atto che definisca per la prima volta tale rapporto - determina (nel primo caso) la riviviscenza giudiziale del dovere dell'Amministrazione di provvedere, regolando ex novo e medio tempore la situazione, oppure (nel secondo caso) la mera dichiarazione o riaffermazione dell'obbligo, preesistente alla pronunzia cautelare, di imprimere per la prima volta un assetto agli interessi pubblici e privati coinvolti in un determinato procedimento. A detta conclusione si perviene muovendo dal presupposto che la negazione di tali doveri concreterebbe uninammissibile esclusione sostanziale dei comportamenti omissivi e dei provvedimenti negativi dall'area della tutela cautelare; soluzione, questultima in contrasto con il principio in base al quale il potere di sospensione non può avere limiti più ristretti di quelli del potere di annullamento, in quanto la sua esclusione o la sua limitazione, con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi, violerebbe sia il principio di eguaglianza (art. 3, 1° comma, Cost.), sia ancora quello della inviolabilità della difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, 2° comma, Cost.), sia, infine, il principio dettato dall'art. 113, 2° comma, Cost., in base al quale la "tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti" (cfr. (Corte Cost. n. 284/1974 e n. 8/1982). Tale emanazione, sia pure a titolo provvisorio, e cioè sino all'esito definitivo del giudizio di merito, di provvedimenti finalizzati alla doverosa esecuzione della sospensione cautelare dei comportamenti omissivi o dei provvedimenti negativi si rende necessaria in quanto gli effetti della sospensione, in tali ipotesi, non sono ovviamente sufficienti a proteggere in via cautelare l'interesse legittimo pretensivo del ricorrente, sicché l'effettività della tutela interinale può essere realizzata soltanto attraverso strumenti diversi e ampiamente eccedenti la pura e semplice paralisi (in forza di misure cautelari meramente inibitorie: "sospensive") degli effetti formali dell'atto impugnato, e quindi, innanzi tutto, attraverso l'imposizione all'Amministrazione, con misure cautelari di tipo "ordinatorio" e "propulsivo", di determinati comportamenti considerati necessari per la realizzazione della tutela giurisdizionale (cfr., fra altre, A.P., ordinanza n. 14/1983, cit., paragrafo 3 della motivazione). Su tali conclusioni la giurisprudenza delle tre sezioni interne della Sezione staccata di Catania è sostanzialmente concorde. La rilevata esigenza costituzionale di assicurare effettiva e non effimera tutela giurisdizionale agli interessi legittimi pretensivi anche nella fase cautelare del giudizio amministrativo ha, quindi, determinato, come emerge già dall'esposizione che precede, il sorgere è l'affinarsi di tre forme atipiche ed innominate di tutela cautelare del ricorrente titolare dì un interesse legittimo pretensivo che, per definizione, non può trovare soddisfazione con la mera sospensione del provvedimento impugnato: 1) l'ammissione con riserva a concorsi, esami, e gare contrattuali, a seguito della sospensione dei provvedimenti di esclusione da tali procedimenti; 2) l'ordine all'Amministrazione di riesaminare la situazione in base ai motivi di ricorso ritenuti fondati, ad un primo esame, dal giudice amministrativo (c.d. "remand": rinvio); 3) l'intervento sostitutivo dello stesso giudice. Quanto alla prima di tali forme atipiche di tutela cautelare, è sufficiente osservare che essa consiste nell'ordine del giudice alla P.A. di ammettere il candidato o l'impresa ricorrente rispettivamente alle prove concorsuali od agli esami (di maturità, di abilitazione allesercizio di professioni, ecc.), ovvero alla gara contrattuale, dai quali è stato escluso, essendo evidente che la mera sospensione del provvedimento di esclusione non consente di per sé al soggetto escluso di partecipare effettivamente a tali procedimenti, e che tale partecipazione può essere assicurata soltanto imponendo all'Amministrazione un preciso obbligo di comportamento, il cui contenuto è costituito, appunto, dall'ammissione del soggetto prima escluso ai procedimenti in questione, con riserva dell'esito definitivo del giudizio (secondo un'altra concezione, pure evidenziata nella giurisprudenza cautelare, l'ammissione con riserva discenderebbe, invece, direttamente dall'ordinanza cautelare del giudice amministrativo; sicché dovrebbe ricondursi alla categoria degli interventi sostitutivi, di cui si dirà. L'ordine impartito all'autorità amministrativa di riesaminare la situazione tenendo conto delle doglianze ritenute fondate ad un primo esame (c.d. "remand": rinvio) comporta egualmente, oltre alla sospensione del provvedimento negativo impugnato (così come nell'ammissione con riserva), l'imposizione alla P.A. di un preciso obbligo di comportamento il cui contenuto è costituito dall'attività di riesame di aspetti od elementi della situazione controversa considerati in modo incompleto o comunque inadeguato dal provvedimento negativo, o di esame di aspetti od elementi non valutati nel corso della sequenza procedimentale conclusasi con tale provvedimento. La misura cautelare dell'intervento sostitutivo del giudice amministrativo, poi, è lo strumento mediante il quale, nelle ipotesi in cui non è possibile o si rivela tardivo e quindi inutile ordinare all'Amministrazione il riesame di una situazione che non consente alcun indugio (in quanto non esiste alcuna altemativa per evitare la perdita irrimediabile del bene della vita), si assicura l'effettività della tutela interinale, disponendosi direttamente misure provvisorie sostitutive del provvedimento negativo impugnato e sospeso (si pensi alle ipotesi di iscrizione con riserva in elenchi o albi professionali, e che non possono configurarsi tecnicamente come ammissioni con riserva in senso proprio, dato che tali misure cautelari non producono effetti meramente procedimentali ma attribuiscono direttamente al soggetto, sul piano sostanziale, quelle utilità negategli dal provvedimento di esclusione o di rigetto della domanda di iscrizione (cfr., fra le tante, T.A.R. Sicilia - Catania, 3^ sez., ordinanze n. 2267 del 18 settembre 1995 e n. 2323 del 21 settembre 1995 T.A.R. Sicilia Catania, 2^ sez., ordinanza 29 luglio 1988, n. 263, che ordina il rilascio in via provvisoria della licenza di abitabilità; T.A.R. Sicilia - Catania, ordinanza 26 maggio 1985, n. 282, che reca autorizzazione provvisoria all'insegnamento; T.A.R. Sicilia - Catania, 3a sez., ordinanze 14 settembre 1993, n. 802, e 29 settembre 1993, n. 929 con le quali viene ordinata l'ammissione con riserva della società sportiva "Club Calcio Catania" s.p.a. al campionato di calcio serie C1). Occorre però precisare, che lesecuzione in via giurisdizionale delle ordinanze "propulsive" di sospensione di provvedimenti negativi o di comportamenti omissivi deve necessariamente realizzarsi, per definizione, in forma "specifica" e non generica, dato che consiste nell'emanazione delle statuizioni giurisdizionali necessarie per attuare coattivamente, e quindi concretamente, l'ordinanza "propulsiva" di sospensione non eseguita spontaneamente dall'Amministrazione, che avrebbe dovuto ottemperarvi mediante un nuovo e provvisorio esercizio di attività amministrativa finalizzata alla realizzazione (con altri atti) del c.d. effetto conformativo (od obbligo di conformarsi) alla pronunzia del giudice amministrativo (cfr., fra altre, C.S., V, ord. n. 530 bis/1987, cit., punto 3 della motivazione). Il delineato meccanismo di esecuzione in forma "specifica" delle ordinanze cautelari in genere e, in particolare, di quelle di sospensione di provvedimenti negativi o di silenzi-rifiuti (e quindi concernenti interessi legittimi pretensivi) trova la sua base giuridica essenzialmente in un triplice ordine di principi ed argomentazioni. Un dovere della P.A. di provvedere regolando (ex novo o per la prima volta) interinalmente la situazione sulla quale ha inciso il provvedimento negativo (od il comportamento omissivo) sospeso dovere la cui riviviscenza o riaffermazione ha "titolo" nel provvedimento cautelare del giudice amministrativo che, in un certo senso, viene a "novare" la preesistente potestà attribuita all'autorità amministrativa - non può che avere per contenuto un obbligo di fare, la cui esecuzione coattiva ad opera (esclusiva) del giudice amministrativo, stante l'analogia con gli obblighi contrattuali di fare o di non fare, coercibili in forma specifica e cioè attraverso la consecuzione dello stesso oggetto dedotto in obbligazione (artt. 2931 e 2933 C.C.; artt. 612 e s. C.P.C.), deve necessariamente realizzarsi in forma anch'essa "specifica", e cioè mediante la sostituzione di provvedimenti cautelari di esecuzione del giudice amministrativo (direttamente o a mezzo di commissari ad acta) a quelli che la P.A. inadempiente avrebbe dovuto emanare, stante l'ovvia e coessenziale esecutività immediata delle ordinanze cautelari (come di desume anche dall'art. 33 legge n. 1034/1971 che prescrive l'esecutività immediata delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali: cfr. fra altre, A.P. n. 1/1978, punto 3 della motivazione, cit.). Un punto controverso nella giurisprudenza delle tre sezioni attiene, invece, alla qualificazione della natura della giurisdizione del giudice amministrativo in sede cautelare, ed in particolare di quella esercitata nella fase di esecuzione delle ordinanze di sospensione alle quali l'autorità amministrativa non ha ottemperato, al fine di puntualizzare se la stessa ha caratteri e limiti propri della giurisdizione generale di legittimità (tesi che sostanzia la giurisprudenza delle sezioni 1^ e 2^) ovvero del tutto analoghi a quelli del giudizio di ottemperanza o di esecuzione del giudicato previsto e disciplinato dall'art. 27, n. 4, T.U. Cons. Stato, approvato con R.D. 26 giugno 1924, ri. 1054, e dall'art. 37 L.6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei TAR (tesi della 3^ sezione). Nelle ordinanze pronunciate dalla 3^ sezione si legge che il giudizio di ottemperanza o di esecuzione del giudicato costituisce, per espressa previsione normativa del predetto art. 27, n. 4, una delle ipotesi tipiche (ed anzi la più importante) nelle quali il giudice amministrativo ha giurisdizione di legittimità estesa al merito (art. 7, 1 comma, legge n. 1034/1971, art. 27R.D. n. 1054/1924, e art. 1 R.D. 26 giugno 1924, n. 1058), conseguentemente anche la giurisdizione cautelare deve ricondursi nell'ambito della giurisdizione di merito, caratterizzata dal potere del giudice amministrativo di riformare o sostituire i provvedimenti impugnati (art. 26, 20 comma, L.6 dicembré 1971, n. 1034 e art. 45 R.D. 26 giugno 1924, n. 1054). L'analogia tra giudizio cautelare e giudizio di ottemperanza, e la conseguente riconducibìlità del primo nell'ambito della giurisdizione di merito, si fonderebbero, infatti, su due elementi o caratteri peculiari della giurisdizione cautelare che conducono l'interprete a tale risultato sistematico: - in tale prospettiva verrebbe innanzi tutto in rilievo l'elemento tipico della cognizione cautelare costituito dal potere del giudice amministrativo - per l'accertamento della effettiva sussistenza del presupposto della gravità che deve necessariamente caratterizzare (unitamente alla irreparabilità) il danno ai fini della sua giuridica rilevanza, ai sensi e per gli effetti dell'art. 21, ultimo comma, legge n. 1034/1971 - di effettuare una ponderazione o valutazione discrezionale dell'interesse del ricorrente con l'interesse pubblico dell'Amministrazione e con quello dei controinteressati, in base a criteri o regole desumibili dalla comune esperienza, comparando, cioè, il danno che il permanere dell'efficacia del provvedimento impugnato produrrebbe al ricorrente - tenuto anche conto del periodo di tempo (di solito molto lungo) necessario per la trattazione del merito; - con il danno che, in caso di accoglimento della domanda cautelare, riceverebbero l'Amministrazione e i controinteressati (per tale consolidato orientamento giurisprudenziale, seguito anche dalla prevalente dottrina, cfr., fra altre, A.P., n. 1/1978, cit., punto 3 della motivazione; C.S., VI, ord. n. 240/1987; T.A.R. Sicilia - Catania, 2^, ord. 14 maggio 1992, n. 240); - rilevanza non minore sarebbe, poi, da attribuire all'ulteriore carattere tipico della giurisdizione cautelare che va individuato nella già cennata compenetrazione od identità sostanziale della fase "integrativa" di esecuzione dell'ordinanza cautelare e di quella, precedente, di emanazione della stessa ordinanza rimasta poi ineseguita, così come inizialmente affermato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la più volte citata sentenza n. 6 del 1982 (punto 6 della motivazione) e ribadito dalla giurisprudenza successiva (cfr., fra altre: A.P. n. 17/1984, cit., punto 1 della motivazione; C.S., VI, n. 119/1985, e T.A.R. Lazio, I, n. 823/1985). Con tali pronunzie verrebbe evidenziato il carattere rigorosamente unitario del giudizio cautelare, nel quale non sembrano identificabili procedimenti distinti di cognizione e di esecuzione, in quanto il potere cautelare implica anche la capacità di assicurare l'attuaziòne della misura cautelare con gli ordinari rimedi, "essendo l'eseguibilità, anche con mezzi coercitivi, connotato proprio e indefettibile del tipo di tutela richiesto con la domanda cautelare " (così, testualmente, A.P. n. 17/1984, cit., punto 1 della motivazione). Tali principi sono stati recentemente affermati ed ulteriormente precisati anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 435 del 15 settembre 1995, la cui motivazione al riguardo si articola nelle seguenti proposizioni: - una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione, o che detti le misure cautelari ritenute opportune e strumentali all'effettività della tutela giurisdizionale, incombe su quest'ultima l'obbligo di conformarsi ad essa; ed il contenuto di tale obbligo consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice; - "in base al già ricordato principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonché dell'imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nella pronuncia e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell'esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto: e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta". La terza sezione del T.A.R. (discostandosi dallorierntamento delle sezioni 1^ e 2^) dissente dall indirizzo giurisprudenziale del C.G.A., esposta al punto c) dellordinanza n. 358 del 1994, secondo cui deve essere "rispettato il principio del doppio grado di giurisdizione, nel senso che, salvo casi eccezionali in cui il ritardo -nel provvedere comprometterebbe irreversibilmente l'interesse del ricorrente ..., l'obbligo dell'amministrazione di provvedere, al fine di un'adeguata tutela anche dell'interesse~ pubblico, operi soltanto nell'ipotesi in cui la decisione catitelare di primo grado non sia stata appellata". In altri termini, dunque, l'operatività dell'obbligo dell'Amministrazione di eseguire l'ordinanza "propulsiva" di sospensione e quindi di provvedere nuovamente ed interinalmente, nonché la stessa ammissibilità della eventuale ulteriore fase cautelare di esecuzione coattiva in primo grado, pur riconosciute nei limiti ristrettissimi segnati dalle condizioni individuate nella stessa ordinanza resterebbero ulteriormente subordinate alla condicio iuris risolutiva della proposizione dell'appello avverso l'ordinanza cautelare di primo grado. Per confutare detto assunto si fa leva sullargomento che la pronunzia cognitoria del T.A.R. è dichiarata esecutiva, cioè immediatamente efficace, dall'art. 33 della legge n. 1034 del 1971 senza che la proposizione dell'appello possa incidere su tale efficacia (a meno che il Consiglio di Stato non sospenda con ordinanza l'esecutività della sentenza), tanto più ciò dovrà ritenersi per le misure cautelari il cui fondamento stesso risiede nel modificare subito il regime giuridico delle parti, tenuto conto, oltre tutto, che alla P.A. non può consentirsi la scelta tra l'ottemperanza immediata e l'attesa dell'esito dellappello già proposto o da proporre, in quanto una tale facoltà equivarrebbe ad una sorta di denegata giustizia, e cioè ad affermare che per una larga parte degli interessi pretensivi la cautela è tanto attenuata da risultare, quando contrastata da una difesa accanita dell'Amministrazione, in parte inesistente, e ciò in violazione dell'art. 113 della Costituzione. Detta soluzione non è del tutto condivisa dalla altre due sezioni interne (la 1^ e la 2^), muovendo dalla seguenti considerazioni: - non è contestabile che nella tutela cautelare è ricompresa anche la fase coattiva dellesecuzione; - la fase cautelare, purtuttavia, rientra sempre nellambito della giurisdizione generale di legittimità e di questultima conserva tutte le caratteristiche, ivi compresa la non esercitabilitò di un sindacato di merito sullazione amministrativa; - leseguibuilità della decisione cautelare non può far perdere di vita detto limite e la stessa funzione della tutela cautelare, e cioè la conservazione del bene della vita controverso sino alla definizione del giudizio in corso, che non attiene ancora al momento dellottemperanza; - la proponibilità del ricorso per ottemperanza, che consente lesercizio di un sindacato esteso al merito, si concretizza soltanto con riferimento al formarsi del giudicato, che presuppone lesaurimento della ineludibile fase delleventuale impugnazione (sarebbe opportuno a tal proposito non dimenticare che nel processo amministrativo il doppio grado di giurisdizione assume una valenza costituzionale). In conclusione deve ritenersi inibito al Giudice amministrativo in sede cautelare di adottare decisioni che abbiano un contenuto più ampio di quello che potrebbe avere la decisione che definisce il giudizio nellambito dei poteri tipici della giursdizione generale di legittimità. (giugno 98) |
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