inserito in Diritto&Diritti nel marzo 2003

Un modello di straordinaria vitalità per la gestione dei 
servizi pubblici locali: la società mista. 

di Giovanni Giuseppe Antonio Dato

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1. L’outsourcing.

L’outsourcing[1](esternalizzazione) è un fenomeno che nasce nell’ambito delle imprese private e segnatamente nella moderna organizzazione industriale e si caratterizza per l’affidamento a soggetti esterni di fasi del processo produttivo. Le ragioni di tale fenomeno (e della sua trasposizione nell’ambito delle pubbliche amministrazioni) si spiegano considerando la convenienza economica in termini di costi e di efficienza. Negli ultimi tempi l’esternalizzazione si è imposta all’attenzione del legislatore che la ha importata nell’organizzazione della Pubblica Amministrazione, nel tentativo di avvicinare la gestione della res publica a quella dell’impresa privata. Si tratta di un processo che ha fortemente caratterizzato la recente normativa di riforma delle autonomie locali che manifestano, ancora una volta, la vocazione di laboratori di sperimentazione di riforme di ampio respiro e notevole incidenza. L’esternalizzazione nel settore pubblico persegue i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’agire amministrativo, vere e proprie “stelle polari” che guidano l’attività della P.A., secondo la legislazione dell’ultimo decennio (a partire dalla leggi 241 e 142 del 1990); infatti, l’esternalizzazione di attività originariamente compiute dall’Amministrazione, consente all’Ente di concentrare tutte le sue risorse sul proprio core business, cioè sulle <<attività caratteristiche e tipiche dell’organizzazione che alimentano o si collegano principalmente alle essenziali finalità di missione o istituzionali della stessa struttura organizzata>>[2].

E’ indubbio che anche per l’ente locale (come per lo Stato) questo modello comporta un nisus non indifferente: si tratta di passare dall’intervento diretto nel mercato ad un ruolo di regolazione, controllo, coordinamento e programmazione, trasformando assetto organizzativo e  agire concreto.

La penetrazione dell’esternalizzazione nell’organizzazione e nell’agire degli enti pubblici favorisce l’affermazione del principio di sussidiarietà (orizzontale). Il principio (o, secondo alcuni, la “filosofia”) della sussidiarietà, improvvisamente fiorito nella Unione Europea e nel diritto costituzionale e amministrativo italiano degli anni ‘90 , ha una origine “illustre”; esso risale alle teorie di monsignor De Ketteler, vescovo, uomo politico ottocentesco e membro della Dieta prussiana secondo cui l’intervento della Chiesa può avvenire solo quando non può operare la comunità dei non religiosi[3]. Tale principio suggerisce di portare il potere decisionale il più vicino possibile al bisogni da soddisfare e si atteggia a sistema alternativo al modello amministrativo centralista e napoleonico. In particolare, la sussidiarietà orizzontale permette ai pubblici poteri di cedere il passo al soggetto privato quando quest’ultimo realizzi nel suo agire quei requisiti di efficacia, efficienza ed economicità che gli consentono di bene erogare i pubblici servizi alla comunità degli utenti.

 

In questo breve scritto verrà ripercorsa la complessa storia (normativa, giurisprudenziale e dottrinale) relativa alla società mista locale, fino a giungere al recente art. 35 L. 448/2001 (cd. Legge Finanziaria 2002).

 

2. Il sistema anteriore alla legge 8 giugno 1990, n. 142.

Prima dell'emanazione della legge 142/1990 (Ordinamento delle autonomie locali) la possibilità dell'ente locale di gestire i servizi pubblici locali utilizzando il modello societario costituì oggetto di vivo dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza. L’art. 137 della legge comunale e provinciale 20 marzo 1865 n. 2248 All. A consentiva agli enti territoriali di acquistare <<azioni industriali>>[4]. Tuttavia, l’esercizio di tale facoltà fu piuttosto modesto poiché a partire dalla legge 29 maggio 1903 n. 103 (e con leggi successive riprese dal R.D. 2578/1925 “Approvazione del Testo Unico della legge sull'assunzione dei pubblici servizi da parte del Comune e delle Provincie”) furono preferiti gli strumenti pubblicistici per la gestione dei servizi locali. Nel parere n. 373 emesso dal Consiglio di Stato, Sez. I, 6.3.1956 (in cui si riconosce agli enti locali <<oltre ad una specifica capacità di diritto pubblico una generica capacità di diritto privato>>) venivano espressi dubbi sull'ipotesi di gestire servizi pubblici municipalizzati attraverso società commerciali in mano pubblica locale, in quanto si temeva che il ricorso alla figura della società partecipata potesse pregiudicare il rispetto della disciplina relativa alle forme di gestione del servizio ed ai relativi controlli. Tuttavia, l'orientamento negativo non impedì il diffondersi del modello societario a partecipazione pubblica locale[5], che la giurisprudenza amministrativa più recente, anteriore alla L. 142/1990, ha consacrato facendo leva sulla generale capacità di diritto privato degli Enti locali[6].

3. La società mista nella legge 142/1990.

La legge di riforma delle autonomie locali, nell’elencare all’art. 22 le diverse modalità di gestione dei servizi pubblici locali[7] (in economia, in concessione a terzi, a mezzo di istituzione, a mezzo di azienda speciale) prevede la figura delle società per azioni a prevalente[8] capitale pubblico locale qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare[9], la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati. Dunque, la legge n. 142/1990 consente all'ente di scegliere lo strumento più consono con valutazioni ampiamente discrezionali che tuttavia debbono adeguatamente considerare gli interessi pubblici coinvolti nonché gli obiettivi dell’amministrazione locale. Come sarà rilevato dalla giurisprudenza <<La gestione a mezzo di società a prevalente capitale pubblico suppone la determinazione dell'Ente locale di non estraniarsi dall'attività di gestione, come avviene nell'ipotesi di concessione, ma di essere presente nella compagine sociale tramite il capitale conferito (in misura maggioritaria) e con la presenza di amministratori e sindaci>>[10]; inoltre <<I limiti alla costituzione, da parte dell'ente locale, di società di capitali ad azionista locale sono di natura sostanziale e procedimentale; da un lato, infatti, la Società costituita dal Comune deve perseguire gli interessi della collettività inserita sul territorio comunale (senza che tuttavia questo costituisce ex se un limite spaziale che delimiti la capacità di diritto privato), con una partecipazione, oltre che effettiva, qualitativamente rilevante non solo con riguardo al conferimento di capitali, ma soprattutto in termini di capacità tecnica ed esperienza nel settore; dall'altro, deve rinvenirsi negli atti del procedimento un'adeguata e pregnante motivazione non solo in ordine alla scelta del metodo di gestione del servizio pubblico per mezzo di Società di capitali, ma anche sui concreti vantaggi derivanti agli interessi pubblici dalla costituzione e partecipazione alla Società, che possano trascendere il piano economico e riguardare l'efficienza e l'aggiornamento tecnico del servizio ovvero un risparmio di spesa, anche esiguo, coniugato con l'adeguamento del servizio alle più aggiornate tecniche>>[11].

Assai dibattuta è risultata la natura giuridica della società mista; sul punto, si è registrata, infatti, una frontale contrapposizione, tra quanti[12] hanno ragionato in termini di società di natura interamente privatistica, in toto sottoposte alla disciplina delle società commerciali, e quanti, invece sostenevano che quello societario era un paravento, dietro il quale si cela una struttura organicamente collegata all'ente locale, ossia un mero organo strumentale[13].

 

4. L’affidamento del servizio.

Ulteriore nodo interpretativo con il quale si sono misurate dottrina e giurisprudenza è se il servizio pubblico possa essere attribuito direttamente o se la società necessita di una concessione con la conseguenza della sottoposizione ad una gara. Mentre i fautori della natura privatistica della società mista hanno sostenuto la necessità di un provvedimento concessorio adottato in esito a una gara[14], i sostenitori dell’opposta tesi hanno invece affermato che l'ente locale possa affidare direttamente il servizio pubblico alla società; diversamente opinando, si è detto, l'ente locale avrà sostenuto inutilmente dei costi e la società dovrebbe essere sciolta, attesa l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale ex art. 2448 c.c.. Inoltre, anche dalla lettera dell'art. 22 L.142/1990 emerge come la formula societaria sia cosa diversa dalla concessione; nel citato articolo, l’ipotesi societaria viene menzionata insieme a quelle per le quali non è prevista la concessione (si noti l’incisiva espressione <<a mezzo di>> che precede le formule di gestione per le quali non si richiede il titolo concessorio). Inoltre, se il modello societario è alternativo all’azienda speciale, tale alternatività impone una piena equiparazione; dunque se l’ente locale che ha scelto la forma dell'azienda speciale non è tenuto a svolgere alcuna gara, anche nel caso di scelta del modulo societario deve essere liberato dalle formalità concorsuali per l'affidamento del servizio. Secondo altra tesi la ragione della non necessità della concessione risiede nella presenza del socio pubblico detentore del controllo sulla società[15]. A quest'orientamento ha aderito anche Ministero dell’ Interno–Ufficio per l’attuazione della riforma degli enti locali – parere n. 15900\527 del 10 maggio 1994 che ha sostenuto che la società mista <<deve essere necessariamente affidataria della gestione del servizio>> in quanto <<si esula dal campo di applicazione delle norme, anche comunitarie, sulle procedure di appalto di opere o di servizi, che dettano norma per l'attività rivolta all'Ente territoriale. Nel caso della società mista, invece, è l'Ente territoriale stesso che deve erogare un servizio pubblico tramite una struttura di tipo privato. Ciò posto, ove si ritenesse che la società, una volta costituita dovesse aggiudicarsi l'appalto dei servizi o delle opere al pari di tutte le altre, si determinerebbe uno svuotamento delle previsioni degli artt. 22 L. 142/90 e 12 L. 498/1992 nate, invece, per consentire la gestione diretta. Inoltre si ammetterebbe la possibilità di effettuare spese non proficue se, agli oneri derivanti dalla dotazione di fondi di costituzione, non seguisse l'attività per la quale quelle spese furono effettuate. E tali spese, giustificate dalla delibera dell'Ente locale che istituisce la società, sarebbero assimilabili ad atti senza causa; infatti, il raggiungimento degli scopi non sarebbe sicuro, ma del tutto eventuale, in quanto mancherebbe la certezza che la gestione del servizio sia affidato alle società dell'Ente locale>>.

In giurisprudenza è stato affermato che <<L'atto di costituzione, da parte del Comune, di una società mista per la gestione di servizi pubblici locali è immediatamente impugnabile, senza necessità di attendere l'adozione di atti successivi di affidamento diretti, che sarebbero al primo meramente conseguenziali, e ciò in quanto l'affidamento del servizio ad una società mista costituisce una conseguenza diretta della delibera di avvalersi per la gestione del modulo societario e della scelta del socio, con la conseguenza che non vi è spazio per un ulteriore provvedimento, sia pure necessitato, che costituisca la fonte dell'affidamento del servizio, nè per la configurazione di un rapporto concessorio ope legis>>; lo stesso giudice ha affermato che <<La costituzione di una società mista da parte del Comune consente l'affidamento ad essa del servizio pubblico senza necessità del previo esperimento di una gara e di un atto di concessione>>[16]. Detto orientamento è stato condiviso dal Consiglio di Stato, Ad. Gen. 16 maggio 1996, n. 3035, secondo cui << Tra l'ente locale e la società costituita per la gestione di un servizio pubblico locale, ai sensi dell'art. 4 del d.l. 31 gennaio 1995 n. 26 conv. nella l. n. 29 marzo 1995 n. 95, non viene a configurarsi un rapporto di concessione. Infatti anche la gestione del servizio a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, che è modulo consimile a quello della società con capitale minoritario dell'ente locale, appare alternativa rispetto al modulo pubblicistico costituito dalla gestione a mezzo di concessione a terzi>>; e poi <<Costituisce communis opinio la circostanza che, una volta deliberata (ovviamente con procedure di diritto pubblico) la costituzione di una società per azioni a partecipazione comunale (art. 22 l. 8 giugno 1990 n. 142) per la gestione di un determinato servizio locale, non necessita un ulteriore provvedimento di concessione in senso tecnico, atteso che l'opzione dell'Ente per quel modello di gestione comporta l'affidamento diretto e privilegiato del servizio alla società appositamente costituita; pertanto, l'art. 12 comma 2 lett. c) l. 23 dicembre 1992 n. 498 non deve essere interpretato come volto a consentire la introduzione di un rapporto di concessione tra il soggetto pubblico e la società a prevalente capitale privato>> (Consiglio Stato a. gen., 16 maggio 1996, n. 90).

La stessa Corte di Cassazione, sez. unite, 6 maggio 1995, n. 4989, ha affermato che la scelta di costituire una società di capitali <<comporta l'affidamento diretto e privilegiato del servizio alla società appositamente costituita il cui oggetto consiste proprio nello svolgimento dell'attività economica in cui il servizio stesso si concreta>>.

 

4.1 La circolare 19 ottobre 2001, n. 12727 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche Comunitarie.

Suscita interesse la Circolare 19 ottobre 2001, n. 12727 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche Comunitarie, in materia di affidamento a società miste della gestione di servizi pubblici locali. Nella circolare si richiama la normativa comunitaria e quella nazionale di trasposizione in materia di appalti pubblici di servizi intesi come contratti a titolo oneroso conclusi in forma scritta tra un'amministrazione aggiudicatrice ed un soggetto prestatore di servizi, precisandosi che per amministrazioni aggiudicatrici si intendono lo Stato, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, consorzi ed associazioni, gli altri enti pubblici non economici e gli organismi di diritto pubblico[17]. La circolare precisa che <<la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova invece applicazione, sempre secondo l'orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, quando manchi un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti, come nel caso, secondo la terminologia della Corte, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale in house (Corte di giustizia, sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98). In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l'applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie, per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica in particolare quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario. In detta evenienza, pertanto, l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate>>. Rimane fermo che la società affidataria dei servizi pubblici è tenuta ad osservare la procedura ad evidenza pubblica e le disposizioni previste dall'art. 11 della direttiva n.92/50/CEE qualora decida di subappaltare a terzi i servizi che le sono stati affidati: <<le prescrizioni comunitarie trovano, infatti, applicazione nei rapporti cd. a valle, e ciò in considerazione del fatto che le società di che trattasi, alle condizioni fin qui tratteggiate, si atteggiano alla stregua di longa manus dell'ente locale, ossia di un suo prolungamento amministrativo (in questo senso le conclusioni dell'avvocato generale del 15 giugno 2000 nella causa Arge)[18]>>. Nella circolare si aggiunge che la procedura concorsuale <<è anche necessaria, a titolo di ulteriore conferma ed applicazione dei principi comunitari di promozione e tutela della concorrenza, per la scelta dei soci privati ai fini della costituzione di società con partecipazione, sia maggioritaria che minoritaria, di capitale pubblico per l'affidamento di un pubblico servizio. La circostanza che la scelta riguardi soggetti destinati a fornire un significativo apporto imprenditoriale mette infatti in risalto l'esigenza che essa avvenga con quegli strumenti selettivi concorsuali che l'ordinamento ha affinato ai fini dell'individuazione dei soggetti privati chiamati a svolgere attività o servizi in favore dell'amministrazione pubblica (Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192; Cons. Stato, sez. IV, 3 settembre 2001, n. 4586; vedi anche sez. IV, ordinanza 9 marzo 1999, n. 506, che mette in rilievo come la procedura di gara per la scelta del socio non debba necessariamente coincidere con la disciplina dettata dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, non venendo in rilievo un appalto di servizi in senso stretto)>>.

 

5. La società mista locale nei successivi interventi normativi.

Il modello della società mista locale, a partire dal 1990, ha formato oggetto di vivo interesse da parte del legislatore che in successivi interventi ha rivisitato l’istituto introducendo innovazioni di rilievo ovvero modificando le discipline precedenti.

Innanzitutto la legge 23 dicembre 1992, n. 498 (“Interventi urgenti in materia di finanza pubblica”) ha previsto all’art. 12 che <<Le province e i comuni possono, per l'esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio nonchè per la realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, che non rientrino, ai sensi della vigente legislazione statale e regionale, nelle competenze istituzionali di altri enti, costituire apposite società per azioni, anche mediante gli accordi in programma di cui al comma 9, senza il vincolo della proprietà maggioritaria di cui al comma 3, lettera e ), dell'art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e anche in deroga a quanto previsto dall'art. 9, primo comma, lettera d ), della legge 2 aprile 1968, n. 475, come sostituita dall'art. 10 della legge 8 novembre 1991, n. 362>>. Con il venir meno della partecipazione pubblica maggioritaria si intendeva favorire il ricorso al modello societario ostacolato dalla presenza della preminente mano pubblica locale. Il decreto legge 26/1995 (“Disposizioni urgenti per la ripresa delle attività imprenditoriali”), convertito in legge 95/1995, ha attribuito alla potestà regolamentare del Governo il compito di definire le modalità di costituzione del modello societario in esame e i limiti di partecipazione dell’ente pubblico; il regolamento, emanato con D.P.R. 533/1996, prevede che il partner privato abbia una partecipazione non inferiore al 51%, l’ente pubblico una quota non inferiore al 20%, mentre la quota residua può essere (a seguito di accordo fra soci e dopo la costituzione) riservata all’azionariato diffuso.

Con legge 5 gennaio 1994, n. 36 (“Disposizioni in materia di risorse idriche”), cd. legge Galli, è stata delineata la nuova disciplina dell’organizzazione e della gestione dei servizi idrici; è stata individuata la nozione di servizio idrico integrato, come servizio <<costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue>>. Tale servizio integrato deve essere riorganizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali (A.T.O.), alla cui delimitazione provvede ciascuna regione. I comuni e le province facenti parte di ciascun A.T.O. provvedono ad organizzare e gestire il servizio idrico integrato mediante le forme di cui alla leggi 142/90 e 498/92.

Il testo originario della L. 142/1990 faceva riferimento alla sola società per azioni, escludendo gli altri modelli di società di capitali per la gestione dei servizi pubblici locali. Ne era derivato un problema interpretativo, il quale aveva impegnato giurisprudenza[19] e dottrina; ma l'art.17, comma 58, della legge 127/97 ha espressamente previsto la costituzione (o la partecipazione) di società a responsabilità limitata.

Inoltre, l'art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, modificata dalla legge 18 novembre 1998, n. 415, prevede expressis verbis l'assoggettamento alle regole di evidenza pubblica degli appalti di lavori affidati dalle societa' per azioni miste, sia maggioritarie che minoritarie, deputate alla gestione dei servizi pubblici locali.

La normativa così brevemente tracciata è stata trasfusa (o richiamata) nel Testo Unico 267/2000.

 

6. I problemi di riparto di giurisdizione: l’art. 33 comma II lett. c) D.L.vo 80/1998 e l’art. 7 Legge 205/2000.

Ulteriori problemi dell’istituto derivano dalle scelte del legislatore delegato del 1998 e attengono propriamente al versante giurisdizionale. E’ noto, infatti, che l’art. 33 comma II lett. c) del D.L.vo 80/1998 devolve (rectius: devolveva) al plesso giurisdizionale amministrativo (sub specie di giurisdizione esclusiva) le controversie <<tra amministrazioni  pubbliche e soci di società miste e quelle riguardanti la scelta dei soci>>. Il primo oggetto della devoluzione è apparso ab initio problematico: è stato osservato[20], infatti, che le controversie fra p.a. e soci sono comuni controversie di diritto societario (impugnazioni di delibere ritenute invalide, violazione di patti parasociali et similia) che mal si attagliano alle tradizionali questioni esaminate dai giudici amministrativi, sì da far dubitare della opportunità di affidare il relativo scrutinio di legittimità al giudice amministrativo; inoltre non appare agevole ricostruire l’inerenza di tali controversie alla materia dei servizi pubblici.

Un più articolato percorso argomentativo[21] ha prospettato una diversa opzione ermeneutica: la locuzione <<società miste>> utilizzata dal legislatore del 1998 ricomprende non solo le società a partecipazione pubblica locale maggioritaria (ex art. 22 l. 142/1990) ma anche quelle caratterizzate all’assenza del vincolo di partecipazione pubblica maggioritaria (art. 12 L. 498/1992). Rispetto a questi ultimi moduli societari, disciplinati da un vero e proprio micro-sistema normativo, la disciplina dettata dal D.P.R. 533/1996, prevede peculiari modalità di scelta dei partners privati maggioritari e particolari obblighi a carico dei medesimi; alla luce di tali considerazioni appare conducente ritenere che solo le controversie insorgenti nell’ambito di una  società senza vincolo di partecipazione pubblica maggioritaria fossero devolute alla cognitio del giudice amministrativo, trattandosi di applicare uno jus singolare derogatorio della normativa societaria; viceversa, le controversie fra p.a. e soci di società a partecipazione pubblica maggioritaria, evocando comuni questioni di diritto commerciale, vanno devolute al giudice ordinario.

Per quanto attiene alla giurisdizione in materia di scelta dei soci, va subito detto che anche prima della legge 142/1990 il giudice amministrativo aveva riconosciuto la propria giurisdizione[22]: l’elemento di novità era pertanto costituito dalla devoluzione alla giurisdizione esclusiva.

L’art. 7 della Legge 205/2000 che ha riscritto gli art. 33, 34 e 35 del D.L.vo 80/1998 ha soppresso per intero la lettera c) comma II dell’art. 33 D.L.vo 80/1998; sembra pertanto fugato ogni “pericolo” di sottrazione al giudice ordinario delle controversie fra P.A. e soci. Per ciò che attiene alla scelta dei soci, invece, pare utile il richiamo all’art. 6 (“Disposizioni in materia di giurisdizione”) della medesima legge: <<1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale […]>>. E’ stato inoltre suggerito di contenere il significato dell’art. 33 comma II lett. a), che devolve al G.A. le controversie <<concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana>>, alle sole questioni inerenti la materia del servizio pubblico, con esclusione delle liti  di puro diritto commerciale[23].

 

7. La scelta del socio nella dottrina….

La disciplina delle società miste a prevalente capitale pubblico locale ha sin dall’inizio posto rilevanti problemi in ordine alle procedure da seguire per la scelta dei soci. L’unica norma che regola expressis verbis il fenomeno è l’art. 12 della legge 498/1992 che impone l’osservanza dell’evidenza pubblica in ordine alla scelta dei partners privati e all’allocazione dei titoli azionari sul mercato; ma la disposizione riguarda il modulo della società a prevalente capitale privato. Il sistema, invece, tace circa la scelta del socio privato nella società con capitale pubblico maggioritario. In dottrina si sono formati due diversi orientamenti:

A) Secondo il primo indirizzo, la scelta del partner privato minoritario non può che svolgersi secondo le regole dell’evidenza pubblica dal momento che il nostro ordinamento configura la società come un contratto, e se ad esso partecipa un ente pubblico è necessario applicare le regole contabilistiche sull’attività negoziale pubblica. A sostegno di tale tesi si richiama l’art. 17 comma 59 della legge 127/1997, il quale prevede la possibilità per i comuni e le città metropolitane di costituire società per azioni per progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana, imponendo che <<gli azionisti privati delle società per azioni, siano scelti tramite procedure di evidenza pubblica>> indipendentemente dalla prevalenza o meno del capitale pubblico. Tale l’obbligo, si afferma, è volto a tutelare la parità di trattamento tra tutti i soggetti interessati alla gestione del servizio stesso, nonchè il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della amministrazione[24];

B) Un secondo orientamento, invece, esclude l’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica al contratto di società in forza della sua natura associativa (e non di scambio); la scelta del partner dovrebbe invece procedere dall’intuitu personae, considerando non esclusivamente la maggiore o minore convenienza economica dell’offerta, ma una serie di ulteriori presupposti rilevanti ai fini della gestione di un’attività economica, per un obiettivo comune. Inoltre, nel caso di costituzione di società miste a prevalente capitale pubblico locale costituisce sufficiente garanzia la partecipazione maggioritaria dell’ente locale, titolare del capitale di comando[25].

 

8. … e nella giurisprudenza.

Si evidenzia a tal proposito che in più occasioni nel corso degli anni ‘90 il giudice ordinario ha ritenuto omologabile l’atto costitutivo di una società per azioni a partecipazione pubblica, anche nel caso in cui il socio privato non venisse scelto con la procedura dell’evidenza pubblica. Appare interessante, anche per l’autorevolezza del Decidente, la pronuncia della Corte d’Appello di Milano 24 giugno 1995. Il giudice meneghino era chiamato a decidere un reclamo ex art. 739 c.c., proposto dal notaio stipulante l’atto costitutivo di una società a partecipazione pubblica maggioritaria (il 90% del capitale era in mano pubblica), nei confronti del diniego di omologazione che il Tribunale di Monza aveva pronunciato proprio per non avere l’Ente Pubblico adottato le procedure di evidenza pubblica per la scelta del partner minoritario. Il giudice d’appello ha rilevato innanzitutto che trattandosi di contratto dalla natura associativa (e non commutativa), le parti non si trovano in posizione di contrapposti interessi avvinti da relazione sinallagmatica, ma in un rapporto collaborativo per il perseguimento del medesimo fine. Ne deriva, secondo il Giudice d’appello, che la scelta del socio di minoranza deve procedere non dall’applicazione delle norme nazionali di derivazione comunitaria in tema di appalto (D.L.vo 406/1991 e D.L.vo 358/1992), ma dalla valutazione dell’identità e delle qualità (intuitu personae) dell’aspirante socio. Si legge nella citata pronuncia: <<L'art. 22 l. 8 giugno 1990 n. 142 disciplina le c.d. società miste a capitale pubblico - privato, costituite per la produzione di beni ed attività rivolte alla realizzazione di fini sociali ed al promovimento dello sviluppo economico e civile delle comunità locali, ed impone la partecipazione prevalente al capitale sociale dell'ente pubblico, mentre l'art. 12 l. 23 dicembre 1992 n. 498, pur disciplinando la stessa materia si riferisce alle società costituite per l'esercizio dei servizi pubblici e la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio, nonchè alla realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico; pertanto, posto che l'oggetto preso in considerazione dalle due norme è diverso, ne consegue che la scelta dei soci privati deve seguire procedure differenti, in quanto là dove il capitale sociale sia cooptato in misura minoritaria, e si limiti quindi ad un puro apporto economico, la partecipazione pubblica esercita il controllo strategico - operativo sulla società e la scelta dei soci privati non richiede procedure selettive preordinate e legislativamente imposte (art. 22 cit.), mentre nell'ipotesi in cui il controllo della società spetti ai soci privati, tali soci devono essere selezionati con particolare  attenzione attraverso le procedure di evidenza pubblica, giacchè il denaro immesso nella società, anche quello pubblico, viene di fatto gestito dai soci privati ed a loro spetta il controllo anche gestionale ed operativo della società>>[26]. Conclusivamente, ciò che rileva nell’iter logico seguito è che nelle società a partecipazione pubblica maggioritaria il capitale privato è “capitale di puro rischio”, non in grado di definire la politica d’impresa, mentre nell’opposto modello societario il partner privato detiene un “capitale di controllo” che consente di gestire anche le risorse finanziarie pubbliche immesse nella società; di qui la necessità, ma solo per questo modello, di adottare le procedure di evidenza pubblica nella scelta del socio di maggioranza. Meritano di essere segnalate altre due interessanti pronunce dell’Autorità giudiziaria ordinaria che hanno aderito al medesimo risultato interpretativo: <<L'atto  costitutivo  di una  società  per  azioni costituita  con la partecipazione  di  un comune, ed  avente  ad oggetto la gestione di servizi pubblici  locali, è omologabile soltanto se si ricorre ad un modello  societario compatibile con le previsioni degli art. 22 l. n. 142  del 1990, e  12  l. n. 498  del  1992, i quali impongono che la misura della  partecipazione  pubblica locale al capitale sociale sia maggioritaria,  nel caso di  partecipazione minoritaria, il rispetto delle procedure di evidenza pubblica per la scelta dei soci privati>>[27]; <<La costituzione  di  una  società con evidenti finalità pubbliche e sociali, alla quale partecipi un ente pubblico (nella specie, comune) rientra nel campo  di applicazione della l. n. 142 del 1990, art. 22 comma  3 lett. e),  o  della l. n. 498 del 1992, art. 12. Pertanto se l'atto costitutivo  non  rispetta la previsione  della  garanzia  di maggioranza pubblica delle azioni di cui alla prima norma citata, ovvero non  adotti la  procedura di evidenza pubblica nella scelta dei  soci privati nella ipotesi di società a partecipazione pubblica minoritaria di cui alla seconda norma, non è omologabile>>[28]. Secondo la giurisprudenza citata, dunque, l’art. 12 della legge 498/1992 rappresenterebbe una eccezione e non già una regola: il ricorso all’evidenza pubblica, essendo richiesto solo in caso di costituzione di società a prevalente capitale privato, non opera in caso di società a partecipazione pubblica maggioritaria. A diversa conclusione è pervenuta quella giurisprudenza secondo cui anche nel caso di partecipazione pubblica prevalente il socio deve essere scelto secondo le formalità della procedura concorsuale, poichè acquisisce una posizione analoga a quella di concessionario di pubblico servizio in una posizione di privilegio nella gestione del servizio[29]. Tale orientamento è stato poi confermato dalla successiva giurisprudenza amministrativa secondo cui <<La scelta del modulo della trattativa privata del socio privato di un comune ai fini della costituzione di una società mista per azioni a prevalente capitale pubblico per la gestione di un servizio pubblico locale può avvenire soltanto per far fronte a circostanze o fatti imprevedibili ed eccezionali e non ascrivibili alla stessa amministrazione che se ne avvale>>[30]; <<In  tema di società a partecipazione comunale è legittima la scelta del socio privato a seguito di una procedura assimilata a quella dell'appalto-concorso come disciplinata dal d.lg. 17 marzo 1995 n. 157 (attuazione della  direttiva  Cee  n. 92  del 1950 in materia di appalti  di  servizi), in  quanto il dubbio di infrazione comunitaria per violazione dell'art. 59  del trattato sulla libera circolazione dei  servizi può essere superato in virtù delle disposizioni di cui agli art. 55 comma 1 e 66 trattato Cee, alla stregua delle quali sono escluse dall'applicazione delle norme concernenti la libera circolazione dei servizi le attività che partecipano,  sia pure occasionalmente, dell'esercizio dei pubblici poteri>>[31]. Di particolare importanza è la pronuncia del Consiglio Stato sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192, secondo cui <<La  scelta del socio privato di minoranza di una società che ha ad oggetto la gestione di un pubblico servizio deve essere compiuta dal Comune attraverso una apposita procedura  concorsuale perchè il socio privato è un socio imprenditore chiamato a svolgere mediante il suo apporto parte rilevante di un pubblico servizio e   ciò esclude che l'amministrazione possa basarsi, nella scelta del socio, su generici apprezzamenti soggettivi e, comunque, di carattere fiduciario perchè ciò escluderebbe i principi di buona amministrazione e trasparenza dell'azione amministrativa>>. 

Una vera e propria rivoluzione è stata compiuta dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (in qualità di giudice regolatore dei conflitti di giurisdizione); nella sentenza n. 754/1999 ha ritenuto la compatibilità della procedura ad evidenza pubblica con la natura associativa dei contratti a comunione di scopo[32] ritenendo che le regole dell’evidenza pubblica hanno rilevanza per ogni forma di organizzazione dell’attività della pubblica amministrazione in quanto esplicazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione.

Più di recente, però, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, nella pronuncia 23 luglio 2001, n. 410 ha manifestato una diversa opinione:  ha ritenuto di non potere equiparare i modelli della società mista a prevalente capitale privato e della società mista a prevalente capitale pubblico; nella seconda ipotesi l’ente pubblico affianca a sé un operatore privato che conferisce risorse finanziarie ovvero un contributo in termini di conoscenze e competenze tecniche. In tale ipotesi l’assenza dell’affidamento ad un soggetto terzo, consente di optare, ai fini della scelta del partner, per una sorta di flessibile indagine di mercato, piuttosto che per lo schema dell’evidenza pubblica[33].

 

9. La società mista locale come organismo di diritto pubblico.

La disputa in ordine alla natura privatistica o meno delle società miste locali si è riflessa sul problema della normativa applicabile in ordine alle procedure di gara indette dalle società stesse. Sul punto, la prima giurisprudenza della Suprema Corte ha radicalmente escluso la natura di organismo di diritto pubblico della società a prevalente partecipazione pubblica, con l’effetto di attribuire al G.O. la cognizione delle controversie relative agli atti di gara (Cass. SS.UU. 4989/1995, cd. Siena Parcheggi); si è ritenuto, infatti, che tale società opera come persona giuridica privata senza collegamento con l’ente pubblico verso cui ha assunto l‘obbligo di gestire il servizio; l’ente, infatti, non può esercitare nei confronti della società alcun potere autoritativo e discrezionale. Nella citata pronuncia si evidenzia la profonda divergenza dal cd. “caso Mededil” (Cass. SS.UU. 12221/1990): l’assenza di un titolo concessorio (concessione traslativa) esclude la giurisdizione del G.A. così come la configurabilità di atti amministrativi[34].

A diversa conclusione è pervenuta la giurisdizione amministrativa: il Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1478/1998 ha qualificato le società a prevalente ed esclusivo capitale pubblico locale come organismo di diritto pubblico. Tale tesi è stata confermata successivamente dalla stessa giurisdizione amministrativa (v. in relazione alle opere del Giubileo la pronuncia C.d.S., sez. V, 295/1999), per poi essere accolta dalla stessa Suprema Corte nella sentenza n. 40/2000.

Sul punto si vedano le conclusioni raggiunte in ordine all'art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, modificata dalla legge 18 novembre 1998, n. 415, al comma 2, lettera b), e alle disposizioni stabilite dal D.L.vo 80/1998 e L. 205/2000.

 

10. La legge finanziaria 2002.

Nella serie delle vorticose innovazioni normative e giurisprudenziali, particolare menzione spetta all'articolo 35 della L. n. 448 del 28/12/2001 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”); la finanziaria 2002, infatti, ha optato per una decisa apertura del sistema verso le esternalizzazioni come modello gestionale dei servizi pubblici[35].

Il ponderoso articolo citato[36] ha riscritto l’intero art. 113 del T.U.E.L. 267/2000, <<prevedendo, in sintesi: la distinzione tra sevizi a rilevanza industriale, per i quali si prevedono trasformazioni societarie, privatizzazioni e gare, da quelli privi di rilevanza industriale, per i quali si conferma la gestione con affidamento diretto a istituzioni, aziende speciali, società di capitali costituite o partecipate da enti locali; l’individuazione, attraverso un regolamento, dei servizi di rilevanza industriale; il principio della separazione della proprietà e gestione delle reti, impianti ed altre dotazioni dall’erogazione del servizio da affidare al mercato; il divieto alle società di capitali, in cui la partecipazione pubblica è superiore al 50 per cento, di partecipare ad attività imprenditoriali al di fuori del proprio territorio; la trasformazione in società di capitali, entro l’anno, delle aziende speciali e dei consorzi cui sono affidati i servizi pubblici di rilevanza industriale. Il citato art. 35, inoltre, ha previsto specifiche disposizioni relative al servizio idrico integrato[37]>>.

Fra le modifiche suscita particolare interesse la tematica della proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, che, se pubblica, è incedibile, salvo conferimento a società di capitali a maggioranza pubblica. Queste società devono porre le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori del servizio e dei gestori della rete (dietro corresponsione di un canone), laddove è prevista la separazione di quest'ultima dal servizio. Alle società proprietarie può essere inoltre assegnata la gestione stessa delle reti, nonché il compito di espletare le gare, con procedure di evidenza pubblica, per l'erogazione del servizio.

E' importante precisare che l'affidamento diretto, o la gara, per la gestione delle reti, è possibile solo in caso di separazione della gestione delle reti dall'attività di erogazione del servizio. Sembra accolto pertanto, il richiamo dell'Autorità per la concorrenza ed il mercato che invocava la separazione tra reti e servizi; la separazione infatti consente la presenza di una pluralità di soggetti in concorrenza tra loro nella erogazione dei servizi, spezzando le tradizionali situazioni monopolistiche. Si tratta, peraltro, di una soluzione conforme al diritto comunitario. 

Il principale nodo problematico posto dalla disposizione in esame riguarda la sua conformità con il “nuovo” Titolo V della Costituzione (come riscritto dalla l.cost. 3/2001), potendo la riforma avere inciso sulle materie riservate al legislatore regionale a titolo di potestà esclusiva (competenza residuale e universale) ovvero concorrente[38].


Note:

[1] L’esternalizzazione si differenzia dal contracting, modello in cui il committente mantiene il controllo del processo produttivo, impartendo al fornitore le direttive circa lo svolgimento del lavoro.

[2] Alberto Barbiero, Elementi per l’analisi dei processi di esternalizzazione, www.diritto.it.

[3] Trattato di diritto Amministrativo a cura di Cassese, Diritto amministrativo generale, Tomo I, Le basi costituzionali, Milano, 2000, 178.

[4] Tale disposizione fu poi ripresa dalla normativa del T.U.L.C.P. n. 383 del 1934, artt. 87 e 98/100 e poi dall’ art 6 del DPR 421 del 1971 (ordinamento contabile degli enti locali).

[5] Anche in forza di puntuali previsioni normative: dall'art. 2458 c.c. che attribuisce allo Stato ed agli altri enti pubblici che hanno partecipazione in una società per azioni la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci, alla legge 9.8.1986, n. 488 in materia di finanza locale ove si prevede che le società per azioni a prevalente capitale di enti locali territoriali che gestiscono pubblici servizi sono autorizzate a contrarre mutui con la Cassa Depositi e Prestiti, con gli Istituti di previdenza e con gli altri istituti di credito, che concedono mutui agli enti locali.

[6] Il Consiglio di Stato, Sez. I, 01/02/1985, parere n. 130 affermava <<Il comune può legittimamente promuovere la costituzione di società per azioni e/o assumervi partecipazioni azionarie, al fine di affidare in concessione a tali società un determinato servizio pubblico, purché con la partecipazione effettiva di almeno un altro socio, con limitazione della attività al territorio dell'ente locale e nel rispetto della normativa e dei procedimenti previsti per la scelta del terzo contraente e per la stipulazione dei contratti ad evidenza pubblica degli enti locali>>; particolare interesse suscita la pronuncia Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 1988, n. 818 <<La capacità negoziale dei comuni, ivi compresa quella di costituire società per azioni a partecipazione comunale, ha carattere generale e non può essere esclusa, salvo specifiche disposizioni […] fermo restando l'obbligo di specificare le ragioni di pubblico interesse che inducono, da una parte, ad esercitare la predetta attività e, dall'altra, a ritenere a tal fine vantaggiosa l'istituzione di una società per azioni>>.

[7] I servizi pubblici devono avere per oggetto la <<produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali>>.

[8] <<La partecipazione minoritaria di un ente locale ad una società mista ai sensi della l. 8 giugno 1990 n. 142 non è ammissibile, e quindi il relativo atto costitutivo non può essere omologato>>, Trib. Napoli, 19 settembre 1995; mentre il TAR Piemonte nella pronuncia 566/2001 ha escluso la partecipazione totalitaria dell’ente pubblico, ritenendo non praticabile l’ipotesi della società unipersonale. 

[9] Merita di essere ricordata l’aggiunta dell’espressione <<all’ambito territoriale>> da parte della legge 127/1997.

[10] Consiglio Stato Ad. gen., 16 maggio 1996, n. 90.

[11] T.A.R. Piemonte, sez. II, 21 marzo 1996, n. 159.

[12] Virga, Diritto Amministrativo, Amministrazione locale 3, Milano, 1994, 351.

[13] <<Il modulo organizzativo della società mista per azioni ex art. 22 comma 3 lett. e), l. 8 giugno 1990 n. 142 (a prevalente capitale pubblico locale) delinea una forma di gestione diretta del servizio pubblico nel cui ambito non solo il rapporto tra p.a. e società è di natura giuspubblicistica, ma soprattutto la società stessa diviene organo indiretto dell'ente, deputato allo svolgimento del servizio affidatole>>, Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192; in dottrina v. Cerulli Irelli.

[14] Alla quale la società parteciperebbe come industria privata ex art. 267 T.U. 1175/1931. A sostegno di questa tesi si è sostenuto che la previgente normativa prevede l'affidamento del servizio mediante concessione; è stato inoltre evidenziato il privilegio che godrebbero tali soggetti privati, privilegio in contrasto con il diritto interno e con quello comunitario. Si considerino le citate Cons. Stato Sez. I, 1.2.1985 n. 130 e Cons. Stato Sez.V, 14.11.1988, n. 818.

[15] Tuttavia l'entità della partecipazione al capitale non è elemento che giustifica l’affidamento diretto, atteso che per le società minoritarie la L. 498/1992 prevede la gestione del servizio senza previo rilascio del titolo concessorio. Secondo altra impostazione sarebbero, nel fenomeno in esame, invocabili le <<circostanze speciali in rapporto alla natura dei servizi>> che permettono ex art. 267 T.U. 1175/1931 l'affidamento diretto anche nei confronti del concessionario privato: la partecipazione dell'ente locale ad una società mista maggioritaria integra una circostanza speciale  che giustifica l'affidamento diretto.

[16] T.A.R. Puglia, sez. II Bari, 23 aprile 1998, n. 367.

[17] Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13 novembre 2001, n.264. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha chiarito che per l'individuazione di organismo di diritto pubblico, soggetto alla applicazione della normativa europea, e' necessario che i requisiti (personalità giuridica; istituito per soddisfare bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale; attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, da altri enti od organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure ancora il cui organo di amministrazione, di direzione o vigilanza sia costituito da membri più della metà dei quali designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (art. 1-bis della direttiva n. 92/50, n. 93/36, art. 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 157).) sussistano contemporaneamente, avendo essi carattere cumulativo (Corte di giustizia, sentenza Mannesmann del 15 gennaio 1998, in causa C-44/96; Corte giustizia contro Ente Fiera Milano, 10 marzo 2001, in causa C-223/99 e 260/99).

[18] Va ricordato l'art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, modificata dalla legge 18 novembre 1998, n. 415, al comma 2, lettera b), prevede l'assoggettamento alle regole di evidenza pubblica degli appalti di lavori affidati dalle società per azioni miste, sia maggioritarie che minoritarie, deputate alla gestione dei servizi pubblici locali (Cons. Stato, sez. VI, n. 1478/1998; sez. V, 1 aprile 2000, n. 2078; sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1206, ove si mette in risalto la possibilità di qualificare dette società in termini di organismi di diritto pubblico).

[19] <<L'art. 22  l. 8 giugno 1990 n. 142, nel prevedere che gli enti locali possano  affidare  la gestione  di  servizi  pubblici a  società per azioni  a  prevalente carattere pubblico, ha inteso riferirsi a forme di società di capitali; pertanto, tale gestione può essere affidata anche a  società a responsabilità limitata con prevalente capitale pubblico>>, Consiglio Stato sez. I, 2 dicembre 1992, n. 2685; contra <<Deve ritenersi in contrasto con la disposizione di cui all'art. 22 l. 8 giugno  1990  n. 142, e  pertanto non può essere omologato, l'atto costitutivo di una società a partecipazione locale che abbia assunto la forma di società a responsabilità limitata, anzichè quella di società per azioni>>, Tribunale Roma, 11 aprile 1996.

[20] Sassani – Villata (a cura di), Il processo davanti al giudice amministrativo, Commento sistematico alla legge n. 205/2000, Tiscini, La giurisdizione esclusiva, Torino, 2001, 332 e ss.

[21] Travi,  D.L:vo 31 marzo 1998 n. 80,  art. 33, Le nuove leggi civili commentate, Luglio-Agosto 1999, 1520.

[22] Adunanza Plenaria 28 gennaio 1961, n. 3.

[23] Si veda in tal senso la recente pronuncia del Consiglio Stato sez. V,  3 settembre 2001,  n. 4586 <<La lettera dell'art.  33 comma 2 lett. a) d.lg. n. 80 del 1998, non modificato sul punto dalla l. n. 205 del 2000, quando statuisce la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del  giudice amministrativo delle controversie concernenti, tra l'altro, l'istituzione, modificazione od estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le società di capitali, si riferisce alle sole procedure pubblicistiche, dovendosi escludere ogni  interferenza del giudice amministrativo in questioni di stretta attinenza al diritto societario; e, pertanto, esulano  dall'ambito del  potere cognitorio del giudice amministrativo le controversie inerenti alle vicende del contratto sociale>>.

[24] M. Vallerga, Società miste per la gestione dei pubblici servizi: Certezze e prospettive di riforma, in Dir. Amm., 1999,  643.

[25] Caia, Assunzione e gestione di servizi pubblici locali di carattere industriale e commerciale: profili generali in Studi in onore di V. Ottaviano, Milano 1993, vol. II, pag. 861 e ss; Volpe, Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione di nuovo sulla strada della teoria dell’organo indiretto: abbandono temporaneo o addio definitivo?, in riv. Trim. app., 1995, 207 ss..

[26] App. Milano, 24 giugno 1995, in Cons. Stato, 1996, II, 1131, con nota di Grella il quale rileva che anche il TAR Puglia 16 dicembre 1989 n. 581 (confermata dal Consiglio di Stato, Sez. V, 26 novembre 1994 n. 593)  ha sostenuto tale orientamento.

[27] Corte appello Bologna, 19 luglio 1997, in Vita not. 1998, 319.

[28] Tribunale Piacenza, 30 aprile 1997, in Giur. merito 1998, 18.

[29] T.A.R. Piemonte sez. II, 21 marzo 1996 n.159, che con la stessa pronuncia ha escluso la possibilità per un'associazione temporanea di imprese di partecipare ad una gara per l'individuazione del socio di una società a prevalente partecipazione locale.

[30] Cons. Stato (Sez. V), 6 aprile 1998, n. 435.

[31] Consiglio Stato a. gen., 16 maggio 1996, n. 90.

[32] La formulazione sembra allora essere espressione della tendenza ad estendere le procedure dell’evidenza pubblica, tipiche dei contratti di scambio anche ai contratti associativi; si veda l’art. 17 comma 59 della legge 127/1997.

[33] <<Va comunque segnalato che, nella fattispecie esaminata dal giudice di appello siciliano, la legge (art. 4, commi 6 e 8, del d.l. 31 gennaio 1995, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 marzo 1995, n. 85) aveva individuato, come partner della società mista, un privato privilegiato (la Gepi s.p.a.), in vista del conseguimento di specifiche ed infungibili finalità occupazionali. Circostanza che è di per sé sufficiente a non prefigurare l’esperimento di una gara pubblica dall’esito per definizione incerto>>, Volpe, Le società miste: L.n. 205/2000, risarcimento del danno e territorialità, in www.giustizia-amministrativa.it.

[34] Tali conclusioni sono state ribadite nelle pronunce Cass. 4991/1995 e 2738/1997.

[35] L’art. 29 comma VI ha, infatti, evidenziato il ricorso alla esternalizzazione per l’ottenimento di condizioni di gestione della attività e dei servizi della Pubblica Amministrazione economicamente più vantaggiosi.

[36] Il legislatore, dopo inani tentativi di dar luogo ad una organica revisione della materia, è intervenuto, attraverso un solo articolo, il 35; l'inserimento nella Legge Finanziaria sembra tradire l'intenzione di dar luogo ad un nuovo assetto, non definitivo (il diritto amministrativo conosce da tempo una “rivoluzione normativa permanente”) bensì destinato ad essere modificato entro un periodo di tempo non breve.

[37] Volpe, op.cit.

[38] Si veda il ricorso, depositato il 7 marzo 2002 presso la Corte Costituzionale, promosso dalla Regione Campania.