|
Risarcibilità dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi e problemi di giurisdizione di
Alexis Candela
Spunti
di riflessione maturati in occasione del convegno organizzato dall’Ordine
degli Avvocati di Bergamo in data 24 novembre 1999.
La
questione della risarcibilità ex 2043 cc. della lesione dell’interesse
legittimo è uno dei profili topici della tematica che investe il rapporto tra
cittadino e P.A.[1].
A
partire dagli anni ‘70 si assiste ad una divaricazione, sempre più marcata,
tra la posizione assunta dalla giurisprudenza e quell’assunta dalla dottrina
civilistica. Quest’ultima non accettava più, sul piano del ragionamento
astratto, l’impostazione tradizionale della Cassazione, che aveva sempre
rifiutato di dare una risposta positiva alla risarcibilità del danno
accompagnata dalla lesione d’interessi legittimi in conformità a due
argomenti aventi carattere, rispettivamente, sostanziale e processuale.
Il
primo era rappresentato da una posizione di principio: l’art. 2043 cc.
prevede solo l’ipotesi del risarcimento da danno ingiusto; danno ingiusto =
danno accompagnato dalla lesione di un diritto soggettivo, ergo
non c’è possibilità di risarcimento del danno derivante dalla lesione
d’interesse legittimo.
Trattasi
di petizione di principio perché il risultato da raggiungere (danno= lesione
di un diritto soggettivo), e da dimostrare, era assunto come postulato.
Il
secondo si fondava sul riparto di giurisdizione e, in altre parole, sulla
circostanza asserita che ove vi possa essere la risarcibilità degli interessi
legittimi avrebbe significato affidare al giudice ordinario il compito di
verificare la lesione di un interesse legittimo, (compito) precluso dal
riparto di giurisdizione fondato sulla natura della situazione soggettiva [2].
Di fronte alle argomentazioni della Cassazione la dottrina civilistica aveva finito per sposare la tesi della risarcibilità osservando che il 2043 cc., parlando di danno ingiusto, fa riferimento al danno accompagnato dalla lesione di situazioni protette, che, nel nostro ordinamento, non sono costituite solo dal diritto soggettivo ma anche dall’interesse legittimo; quindi non si capiva perché non dovesse qualificarsi ingiusto un danno ove fosse accompagnato dalla lesione di un interesse protetto ancorché non avente la consistenza di diritto soggettivo. Le
ragioni della svolta giurisprudenziale sono state tre: primo, l’impulso
del diritto comunitario. Per tale diritto, non esistendo la distinzione
tra diritti soggettivi e interessi legittimi, è indifferente che un
ordinamento interno distingua fra diritti e interessi. Sul piano comunitario
quello che rileva è che laddove vi sia una situazione protetta, lì vi sia
anche la possibilità di chiedere il risarcimento del danno. Il settore nel
quale la normativa europea ha avuto la possibilità di esplicare la propria
influenza, sotto il profilo della risarcibilità degli interessi legittimi, è
quello relativo agli appalti pubblici [3].In
quest’ambito d’attività le direttive comunitarie esigono che colui che
abbia partecipato ad un appalto ed abbia subito una lesione della propria
sfera giuridica possa azionare una pretesa di danni, che prescinda
assolutamente dal fatto che per il diritto interno egli attui un diritto
soggettivo piuttosto che un interesse legittimo. La disciplina d’attuazione,
del nostro ordinamento, introdusse una norma [4]
secondo cui, a seguito dell’annullamento da parte del giudice amministrativo
delle procedure di gara, si aprisse la strada del risarcimento danni [5].
E’ ben vero che la Cassazione [6]
disse che l’introduzione di quest’ipotesi di risarcimento danni per
violazione d’interessi legittimi non incrinava il principio dell’irrisarcibilità,
perché andava letta come eccezione che confermava la regola. Ma, si trattava
di una posizione difficilmente sostenibile per lungo tempo, perché
l’argomento a contrario non era certamente più debole di quell’opposto.
Vale a dire, nel momento in cui una disposizione legislativa introduca la
risarcibilità dell’interesse legittimo, perché quest’introduzione non
deve essere letta, viceversa, come espressiva di un principio generale che
comporti la modificazione dell’interpretazione classica del 2043 cc., e
quindi che vada al di là delle posizioni formali assunte dalla Cassazione?.
Si
conclude osservando che l’influenza del diritto comunitario è proiettata
verso la risarcibilità degli interessi legittimi.
Secondo,
alcuni obiter dicta presenti in
alcune pronunce della Corte Costituzionale. In particolare, l’ordinanza
del maggio 1998, pur dichiarando inammissibile la questione proposta dal
giudice a quo in punto di
risarcibilità degli interessi legittimi, segnalava l’inadeguatezza della
consolidata opinione della Cassazione e invitava il legislatore ad emanare
norme che ovviassero ad un sistema “pietrificato”[7]
che ‘non teneva più’.
Terzo,
il D.lgs.80/98, che, oltre ad ampliare le ipotesi di giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, attribuisce, allo stesso, anche la
competenza per il risarcimento del danno nelle materie di cui agli artt. 33 e
34 (servizi pubblici / urbanistica ed edilizia). E’ ben vero che la
disposizione di cui all’art. 35 è propriamente di natura processuale, vale
a dire si limita a spostare dal giudice ordinario al giudice amministrativo,
in determinate materie, la giurisdizione sulla domanda di risarcimento danni,
ma, collegando il risarcimento danni al danno ingiusto (perché nel testo
dell’art. 35 è ripetuta la stessa formula “danno ingiusto” di cui al
2043 cc.), di per sè la norma non solo non obbliga ma, forse, neppure
consente di dire che con il D.lgs. 80/98 gli interessi legittimi sono
diventati risarcibili. Tuttavia, lo spostamento di giurisdizione verso il
giudice amministrativo costituiva un segnale ulteriore che il legislatore dava
a favore di una diversa interpretazione del 2043 cc.
In
seguito a questo quadro la Cassazione, con due sentenze ‘rivoluzionarie’,
la n. 500/99 e 501/99 (rese in sede di regolamento preventivo di
giurisdizione), ha ribaltato l’orientamento giurisprudenziale c.d.
“pietrificato”.
Analizziamo,
ora, per punti, le ragioni del mutamento di indirizzo e le indicazioni
operative fornite in esito al cambiamento.
1)
La giustificazione teorica addotta dalla Cassazione.
E’
sulla linea tracciata dalla dottrina. Vale a dire, il 2043 parla di danno
ingiusto e nessuno può dire in assoluto che danno ingiusto sia lesione di un
interesse soggettivo. In più, a fronte di un quadro costituzionale che
contempla altre situazioni protette e in presenza di una pluralità di
situazioni protette, ciascuna avente pari dignità di fronte
all’ordinamento, è preferibile un’interpretazione che qualifichi
“ingiusto” un danno ogni qual volta sia accompagnato da una lesione di
interessi protetti, essendo indifferente la qualifica ad essi accordata
(diritto soggettivo / interesse legittimo). Di fronte a questo quadro non c’è
più ragione di tenere ferma un’interpretazione restrittiva.
Ma,
una volta riconosciuto che la lesione di un interesse legittimo ha pari dignità
rispetto alla lesione di un diritto soggettivo e che, quindi, danno ingiusto
è anche un pregiudizio patrimoniale che si accompagna alla lesione di un
interesse legittimo, la Cassazione fornisce delle indicazioni non tutte
condivisibili e meritevoli di un ripensamento da parte della medesima.
In
primis
bisogna stabilire se ogni qual volta assistiamo alla lesione di un interesse
legittimo lì vi sia danno risarcibile. La Cassazione, esattamente, esprime
parere negativo: quello che può dar luogo al risarcimento non è (solo) la
lesione dell’interesse legittimo, ma, occorre altresì che vi sia un
“danno ingiusto” (cioè danno arrecato non iure,
in difetto di una causa di giustificazione) che abbia leso un interesse al
bene della vita [8].
Pertanto, occorre una lesione che abbia impedito al titolare dell’interesse
legittimo di attingere detto bene.
Se
(prosegue la Cassazione -ed è qui che si insinua la perplessità sopra
esposta-) l’illegittimità fosse meramente formale, ma comunque il titolare
dell’interesse legittimo non sarebbe riuscito ad ‘attingere’ il bene
anche se l’azione dell’amministrazione fosse stata legittima, allora non
vi sarebbe danno risarcibile. Quindi, una volta accertata l’esistenza della
violazione di un interesse legittimo si apre uno scenario di risarcibilità,
ma, occorre verificare che vi sia un danno, vale a dire che l’illegittimità,
accompagnata dalla lesione dell’interesse legittimo, abbia impedito, di
fatto, il raggiungimento dell’utilitas.
Soprattutto, poi, dove l’interesse legittimo sia di tipo pretensivo, vale a
dire laddove l’interesse legittimo tenda all’acquisizione di un bene
attraverso un provvedimento della P.A., occorrerà un non agevole giudizio
prognostico: si tratta di valutare se ove l’illegittimità non si fosse
verificata il privato avrebbe raggiunto ugualmente l’utilitas
[9].
2)
Insufficienza dell’illegittimità e necessità dell’elemento soggettivo.
Il
2043 cc. richiede altresì il profilo della colpa. La Cassazione, a differenza
di quanto sostenuto in precedenza (irrilevanza della sussistenza
dell’elemento psicologico), ritiene, oggi, che la colpa sia un requisito
necessario. La colpa viene, però, obiettiviate, perché è intesa, non come
colpa del funzionario, ma, come comportamento dell’organo che si sia
manifestato attraverso la violazione dei principi di imparzialità relativi
alla P.A.
L’obiezione
che si muove al ragionamento giurisprudenziale consiste in un’eccessiva
oggettivazione dell’elemento psicologico al punto da renderlo ‘evanescente’.
3)
Incongruenze processuali.
La
Cassazione sostiene che il giudice ordinario, in sede di verifica della
risarcibilità del danno, non ha bisogno di aspettare che vi sia una sentenza
del giudice amministrativo sull’illegittimità del provvedimento. Con la
sentenza 500/99 si assiste ad un ribaltamento di vedute, perché, in tutte le
ipotesi che fino ad oggi consentivano la risarcibilità collegata
all’illegittimità di un provvedimento amministrativo era necessario che,
prima, il giudice amministrativo accertasse l’illegittimità del
provvedimento, e, poi, poteva intervenire il giudice ordinario.
La
Cassazione è di diverso avviso: poiché l’illegittimità del provvedimento
fa parte della fattispecie costitutiva dell’illecito, il giudice ordinario
può accertare, direttamente, l’illegittimità [10].
Non
importa se ci sia un giudizio davanti al giudice amministrativo o il
provvedimento sia diventato inoppugnabile e, al limite, non importa neanche
che ci sia una sentenza del giudice amministrativo che abbia dichiarato
legittimo l’atto respingendo il ricorso, perché comunque il giudice
ordinario è libero, nella ricostruzione della fattispecie di cui al 2043 cc.,
di accertare l’illegittimità dell’atto, qualunque cosa abbia detto o non
detto il giudice amministrativo.
Le
critiche si muovono sia sul piano teorico sia sul piano degli interventi
pratici. Nel primo caso, circa la questione dell’elemento costitutivo della
fattispecie, si introduce una questione, che non è incidentale, sulla
legittimità di un atto amministrativo lesivo di interessi legittimi e quindi
in contrasto con il criterio di riparto della giurisdizione. Facciamo
l’ipotesi del danno collegato al reato. Anche qui il giudice ordinario
aspetta che venga pronunciata la sentenza penale (sempre che non vi sia
costituzione di parte civile). Fino adesso il danno morale, o il danno non
accompagnato dalla lesione di diritti soggettivi, era risarcibile in quanto
accertato dal giudice penale. Cioè mentre il giudice penale accertava il
risarcimento del danno anche in violazione di interessi legittimi, il giudice
ordinario non accertava questo tipo di responsabilità se non a seguito di una
sentenza del giudice penale. In particolare, “quando l’elemento della
fattispecie costitutiva dell’illecito civile rientra, in via principale, in
quello che è l’oggetto di una giurisdizione diversa, il giudice civile deve
aspettare”[11].
Sul
piano pratico le conseguenze sono che il provvedimento amministrativo
perderebbe il requisito dell’inoppugnabilità, cioè, la sorte del
provvedimento amministrativo sarebbe sempre in bilico. Anche perché se si
accogliesse la tesi del giudice civile che accerti autonomamente
l’illegittimità del provvedimento lesivo di interesse legittimo, potrebbe
scattare l’obbligo di ottemperanza per la P.A. al giudicato civile e,
quindi, potremmo arrivare all’assurdo di un provvedimento dichiarato
legittimo dal giudice amministrativo, ma, che l’amministrazione sarebbe
obbligata a rimuovere in ottemperanza ad una sentenza del giudice civile. Il
fatto che un provvedimento sia, prima, dichiarato legittimo in sede di
impugnazione davanti al giudice amministrativo e, poi, sia dichiarato
illegittimo dal giudice risarcitorio, crea un contrasto di giudicati. Vi
sarebbe una differente qualificazione, da parte di due giudici di ‘segno
opposto’, in relazione ad una medesima vicenda.
Su
questo punto, occorre sottolineare che gran parte della dottrina è in aperta
antitesi con la recente pronunzia della Cassazione.
Alexis
Candela
[1]In specie l’oggetto del dibattito investe il problema della configurabilità della responsabilità civile, ex 2043, della P.A. per il risarcimento dei danni derivanti ad un soggetto privato dall’emanazione di atti o di provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di una situazione di interesse legittimo. [2]“Anche questo non è un argomento convincente atteso che ipotizzare la superiorità della lesione di interesse legittimo non significa promuovere un giudizio sull’interesse legittimo, ma significa promuovere un giudizio sul 2043 cc. e quindi sulla situazione che, a mente del D.Lgs 80/98, è riferibile solo al giudice amministrativo” (cit. Prof. Avv. Riccardo Villata). [3]Poiché il settore degli appalti banditi da una P.A. è un settore sospetto sotto il profilo della concorrenza, la Comunità Europea ha dettato delle direttive specifiche (n. 36, 37, 38 del 1993 in tema, rispettivamente, di lavori, di servizi, di settori speciali). [4]Poi abrogata ma comunque significativa ai fini del ragionamento in esame. [5]Quindi vi è un risarcimento danni collegato a illegittimità commesse dall’amministrazione nelle procedure di gara di aggiudicazione di appalti, servizi, forniture di opere pubbliche e quindi risarcimento dei danni collegato ad una lesione di interesse legittimo perché il partecipante ad una gara contrattuale della P.A. ha soltanto interessi legittimi. [6]V. per tutte Cass. n. 10800/94. [7]V. Cass. S.U. n. 500/99. [8]Esattamente l’interesse legittimo “va inteso come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene” (Cass. S.U., 500/99). [9]‘’Circa gli interessi pretensivi [afferma la Cassazione] la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà vagliarsi la consistenza della protezione (...) della sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio prognostico (...) sulla fondatezza o meno dell’istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta”. [10]Nella sentenza n.500/99 si sostiene che “rispetto al giudizio che (...) può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata in passato costantemente affermata (...). Qualora (...) l’illegittimità dell’azione amministrativa non sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l’illecito, poiché l’illegittimità dell’azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 cc.”. [11]Cit. Prof. Avv. Riccardo Villata; quest’ultimo spiega meglio il suo ragionamento affermando che “il giudice penale non ha mai un problema di riparto di giurisdizione perché, detto giudice, accerta se un fatto costituisce reato o meno; se il legislatore dice che perché un fatto costituisca reato un certo provvedimento debba essere illegittimo, il giudice penale accerta un elemento normativo di una fattispecie di reato. Il giudice civile ha una barriera che è rappresentata dalla non conoscibilità, in via principale, dell’interesse legittimo. Pertanto, vi sono dei profili di responsabilità civile che il giudice civile non arrivava a definire. Ad es.: il processo penale si conclude con assoluzione, ma c’era una costituzione di parte civile per una richiesta di danni che essendo impostata sull’assoluta carenza di lesione di diritto soggettivo, in tanto stava in piedi come azione di danni, in quanto inserita in un processo penale. Se gli stessi soggetti avessero proposto davanti al giudice civile la stessa domanda di danni, il giudice civile avrebbe affermato la propria carenza di giurisdizione. Il giudice penale ammise la domanda sulla base del rilievo che in sede penale il danno è risarcibile anche prescindendo dalla lesione dell’interesse legittimo. Allora , intendo dire: non è che l’azione civile sia subordinata alla pregiudiziale penale, ma che un certo contenuto di azione civile risarcitoria possa farsi valere davanti al giudice penale e non davanti al giudice civile”. |
|
|