*** 1. - I Giudici di Palazzo Spada, con la decisione in commento (qui leggibile in calce) non si pronunciano sulla titolarità o meno in capo al membro “laico” della Commissione edilizia del diritto al rimborso delle spese per la difesa nel procedimento penale, instaurato per atti e fatti compiuti nell’esercizio delle funzioni di componente di tale organo e conclusosi con l’assoluzione con formula piena, ma, in via pregiudiziale, negano la propria giurisdizione sulla domanda di rimborso. Il Collegio, infatti, reputa che la situazione giuridica di cui si chiede la tutela - a prescindere dalla sua effettiva o soltanto supposta esistenza - ha natura di diritto soggettivo, essendo correlata ad un obbligo (di cui, peraltro, non viene individuato lo specifico fondamento giuridico). La decisione appare sostanzialmente condivisibile – pur con il limite della mancata individuazione del fondamento normativo - in quanto effettivamente il rimborso non è subordinato ad una valutazione discrezionale della P.A.: né, d’altro canto, tale materia è compresa tra quelle che ricadevano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (nel caso di specie applicabile ratione temporis) in quanto relativa ad un rapporto di pubblico impiego (non avendo tale natura il rapporto in forza del quale il membro onorario viene investito della funzione). A fondamento della qualificazione di diritto soggettivo della posizione tutelata (rimborso delle spese legali), i Giudici di Palazzo Spada hanno posto (senza, peraltro, approfondire ulteriormente la questione) una recente decisione delle Sezioni Unite della Cassazione, che, se pur resa in riferimento ad una domanda di rimborso delle spese legali presentata (e negata) da un amministratore locale, ne ha riconosciuto la natura di diritto soggettivo e, di conseguenza, ha affermato la cognizione del giudice ordinario (Cassazione Su 1244/00, in Banca dati giuridica del Foro Italiano).
2- Il diritto al rimborso dei membri della Commissione edilizia con “status” di dipendente o di amministratore di ente locale In realtà, né norme di legge, né disposizioni regolamentari disciplinano la questione del rimborso delle spese legali sostenute dai membri laici della Commissione Edilizia. La normativa di recepimento degli accordi tra la P.A. e le organizzazioni sindacali rappresentative, sin dal Dpr 1.6.79, n. 191 (art. 16) prevede che l’ente locale datore di lavoro debba assumere ogni onere derivante da procedimenti civili e penali che coinvolgano i propri dipendenti per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti d’ufficio, purché non sussista conflitto d’interessi e non sia accertato il dolo o la colpa grave (in tal senso anche l’art. 22 del DPR 25 giugno 1983, 67 del DPR 13 maggio 1987 n. 268 e, di recente, l’art. 29 del CCNL 14.9.2000). Prima della privatizzazione del pubblico impiego era pacifico che le azioni del dipendente rivolte ad ottenere il rimborso delle spese processuali fossero strettamente connesse al rapporto d’impiego e, pertanto, ricadessero nella giurisdizione esclusiva del G.A.: in conseguenza della devoluzione di tali controversie alla cognizione del Giudice del Lavoro, ai sensi dell’art. 45, comma 17, del D. lgs. 31.3.98 n. 80, è preferibile l’interpretazione secondo cui, con l’equiparazione del rapporto di pubblico impiego a quello di lavoro subordinato privato e l’attribuzione delle relative questioni – salvo alcune specifiche eccezioni – all’A.G.O., anche i giudizi di rimborso delle spese legali spettino alla cognizione del G.O. Pur in mancanza di norme espresse, la giurisprudenza ha poi esaminato il fondamento della richiesta di rimborso presentata da amministratori locali per le spese legali da essi sostenute a causa della sottoposizione a procedimenti civili o penali (conclusisi con formula assolutoria piena) connessi all’espletamento del mandato amministrativo, Come nel caso dei membri laici, anche per gli appartenenti a tale categoria – connessa all’investitura a cariche elettive - nulla è specificamente previsto né dalla legge, né dalla contrattazione collettiva. Tuttavia la giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa (ad ulteriore dimostrazione dell’incertezza della materia), è orientata per il riconoscimento del diritto al rimborso, sulla base, però, di un differente iter argomentativo. Secondo un primo indirizzo, il rimborso agli amministratori è dovuto in ragione della mera equiparazione del loro rapporto di servizio onorario con quello di servizio impiegatizio dei dipendenti dell’ente locale (CdS 3946/01, in www.giustizia-amministrativa.it). Sulla base di un altro orientamento, invece, si è ritenuto che, ai fini del rimborso delle spese legali, la disciplina regolatrice dovesse essere rinvenuta non già nell’applicazione (analogica) della normativa contrattuale prevista per i dipendenti (pubblici), ma in quella del mandato civilistico di cui agli artt. 1720 c.c., trattandosi di disposizione “estensibile, in linea di principio, a tutte le ipotesi in cui va stabilito l’esatto contenuto dei rapporti patrimoniali tra rappresentante legale ed ente, anche in difetto di un apposito vincolo riconducibile al paradigma tipico del mandato”. (CdS 2242/00, in Foro Amministrativo, 2000, p. 1312). In particolare, la disciplina dei rapporti intercorrenti tra l’amministratore e l’ente rappresentato andrebbe enucleata dall’art. 1720, II comma, c.c. che pone a carico del mandante i danni e le spese subiti dal mandatario a causa dell’incarico ricevuto: in tal modo si consentirebbe di trasferire gli effetti sfavorevoli e dannosi dell’attività di colui che agisce nell’interesse dell’ente locale all’ente stesso: del resto, tale finalità è pienamente coerente con un più generale principio legislativo di ristoro delle perdite sopportate nella gestione dell’interesse altrui, ricavabile oltre che dall’art. 1720, II comma, c.c. anche dall’art. 2031, I comma, c.c. Pur alla luce di tale ricostruzione (che, come appresso si dirà, sfugge alla censura di inapplicabilità del principio dell’analogia di cui all’art. 12 delle preleggi prospettato dalla decisione della Cass. 5914/2002), nel caso di specie il Consiglio di Stato ha escluso la possibilità di rimborso delle spese legali sostenute, affermando il principio che il rimborso delle spese è pur sempre rigidamente condizionato sia alla presenza di uno specifico nesso di causalità e non mero rapporto di occasionalità, sia all’assenza di un conflitto di interessi, nonché ad una sentenza di assoluzione piena
3- La tesi che nega il diritto al rimborso delle spese di difesa dei membri “laici” ed il tentativo di una ricostruzione volta a consentirne il riconoscimento Come già accennato in riferimento alla posizione degli amministratori degli enti locali, anche per i componenti laici delle Commissioni Edilizie non vi è una specifica disciplina né legislativa, né contrattuale che preveda un tale diritto. La giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, è in prevalenza orientata (sia pure con differenti motivazioni) nel senso di negare in assoluto il riconoscimento del diritto al rimborso. Infatti, da un lato, si ritiene che il rimborso spetterebbe agli amministratori ma non ai membri laici, poiché questi ultimi a differenza dei primi sarebbero privi di mandato elettorale (Tar Abruzzo – L’Aquila 830/98 in I TAR, I, p. 4524, oggetto di annullamento con la presente sentenza), dall’altro, si asserisce che quanto previsto dagli accordi e dai contratti collettivi sul diritto al rimborso dei dipendenti non sarebbe suscettibile di essere esteso in via analogica a favore dei membri esterni, essendo applicabili le regole dell’analogia solo alle leggi (Cassazione 5914/02, in Banche dati giuridiche, InfoUtet). È, invece, minoritaria la tesi che muovendo dall’immedesimazione organica della Commissione nella struttura del Comune riconosce il diritto al rimborso delle spese di difesa anche ai membri “laici” (Pretura Trani, sezione distaccata di Molfetta 5.2.96, in Foro Italiano, 1996, I, 1463, peraltro riformata d’appello, con sentenza confermata dalla citata pronunzia della Corte di Cassazione 5914/02, citata poco fa). Considerate tali posizioni, occorre rilevare come l’orientamento (assolutamente prevalente) che nega il diritto al rimborso, anche alla luce delle ragioni addotte per giustificare il rimborso degli ammnistratori, presta il fianco a diverse obiezioni. In primo luogo, anche il tecnico, come il dipendente e l’amministratore, nel momento in cui è designato (sia pure in forza di una rapporto non elettivo, ma, proprio per tale ragione, ancor di più sussumibile nello schema generale del mandato) membro della Commissione viene a svolgere una pubblica funzione, che gli impone di perseguire l’interesse dell’ente (tanto che è assoggettabile all’azione penale). Inoltre, egli è componente di un organo collegiale i cui atti sono tutti imputati al Comune di appartenenza in base al rapporto di immedesimazione organica. Pertanto, in mancanza di una specifica disciplina, è applicabile il principio generale di cui all’art. 1720, comma II c.c., già richiamato, secondo cui colui che compie atti che vengono riferiti ad un diverso centro di imputazione giuridica non deve sopportare le conseguenze sfavorevoli e dannose di tale attività, fermo restando che, dovendosi trattare di atti compiuti nell’esclusivo interesse dell’ente di appartenenza (ovvero in assenza di un conflitto d’interessi) le spese di difesa da rimborsare devono essere limitate a quelle dei procedimenti penali conclusisi con sentenza di assoluzione con formula piena, Divengono così irrilevanti gli ostacoli al rimborso enucleati dalla tesi opposta, ossia la mancanza di mandato elettorale o l’impossibilità di applicare in via analogica la disciplina contrattuale riservata ai dipendenti (argomento, quest’ultimo, ritenuto decisivo dalla sentenza della Cassazione) In secondo luogo, sarebbe contrario al principio di uguaglianza e ragioenvolezza ex art. 3 Cost. assicurare il rimborso delle spese processuali a coloro che partecipano alla Commisisone in ragione dello "status" di dipendenti ed, inveve, negarlo, ai membri "laici". Infatti, non ostante il diverso titolo che legittima la partecipazione degli interessati all’organo collegiale, tutti i membri della Commissione esercitano pur sempre le medesime funzioni, che, pertanto, dovrebbero giustificare (per tutti) il ristoro delle spese sopportate a causa della qualità rivestita. Alla luce delle predette considerazioni, è auspicabile l’A.G.O. proceda ad una rivisitazione della questione, dando particolare rilievo, sia alla ricostruzione dei rapporti organizzatori tra la Commissione e l’ente nel cui funzionamento si inserisce (anche alla luce del principio della facoltatività di cui all’art. 4, comma 2, del DPR 6 giugno 2001 n. 380), sia all’applicazione dei principi e delle norme civilistiche dettate sul contratto di mandato.
* * * * * Cons. Stato, V, 25.2.2004 n. 763 Pres. Quaranta, Est. Marchitiello
(…)
FATTO
Il Dott. Paolo Carafa, coinvolto come componente della Commissione edilizia comunale del Comune di L’Aquila in una serie di procedimenti penali per fatti accaduti nel 1989 e nel 1990 inerenti al predetto incarico, ed assolto con formula piena, impugnava, con il ricorso n. 950/1995, la deliberazione della Giunta Municipale del predetto Comune del 18.7.1995, n. 1095, con la quale venivano liquidate le spese legali sostenute per la difesa nei predetti procedimenti unicamente ai dipendenti comunali e si escludeva analogo beneficio per i membri esterni. Con il successivo ricorso n. 262/1996, il Dott. Carafa impugnava il silenzio mantenuto dal Comune di L’Aquila sulla sua richiesta diretta ad ottenere il rimborso delle predette spese legali. In entrambi i giudizi veniva intimato anche il Ministero dell’Interno per un parere negativo rassegnato dal predetto dicastero su richiesta del Comune di L’Aquila sulla possibilità di liquidare le spese legali ai cd. “membri laici delle Commissioni Edilizie”. Il Comune di L’Aquila e il Ministero dell’Interno si costituivano in giudizio, opponendosi all’accoglimento del ricorso. Il T.A.R. dell’Abruzzo, L’Aquila, con la sentenza del 30.10.1998, n. 830, respingeva il ricorso. Il Dott. Carafa appella la sentenza deducendone la erroneità e domandandone la riforma. Resistono all’appello il Comune di L’Aquila e il Ministero dell’Interno. All’udienza del 28.10.2003, il ricorso in appello è stato ritenuto per la decisione.
DIRITTO
Il Dott. Paolo Carafa appella la sentenza del 30.10.1998, n. 830, con la quale il T.A.R. dell’Abruzzo, Sede di L’Aquila, ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della deliberazione della Giunta Municipale del Comune di L’Aquila del 18.7.1995, n. 1095. Con tale deliberazione il Comune aveva corrisposto ai soli dipendenti comunali le spese legali sostenute per la loro difesa in vari procedimenti penali in cui erano stati coinvolti in qualità di componenti della Commissione Edilizia Comunale, a conclusione dei quali erano stati assolti, ed si era escluso che tale rimborso spettasse anche ai componenti esterni della commissione. Il Dott, Carafa, che faceva parte della Commissione Edilizia Comunale in quanto nominatovi come esperto della materia urbanistica e quindi componente esterno, ha anche impugnato, con un secondo ricorso, il silenzio mantenuto dal Comune di L’Aquila sulla sua richiesta di rimborso delle predette spese legali. Il T.A.R. ha respinto i ricorsi, previa riunione degli stessi, sul rilievo della inapplicabilità ai componenti esterni delle Commissioni Edilizie Comunali della normativa vigente in materia (cioè la normativa contenuta negli accordi collettivi di lavoro del personale degli enti locali), risultando gli artt. 11 e 91 del R.D. 3.3.1934, n. 383, invocati dal Dott. Carafa, abrogati dall’art. 64 della legge 8.6.1990, n. 142. La Sezione ritiene, invece, che la questione esuli dalla giurisdizione del giudice Amministrativo. Il ricorrente in primo grado, infatti, ha proposto i due ricorsi (anche quello diretto all’annullamento della deliberazione del Comune di L’Aquila n. 1095 del 1995) per conseguire il rimborso delle spese sostenute per difendersi in giudizio, sostenendo che l’amministrazione fosse tenuta a corrisponderle. Si tratta, quindi, di un’azione diretta alla tutela di una posizione giuridica soggettiva che, per essere correlata ad un obbligo, effettivo o soltanto supposto, dell’amministrazione, ha la natura di diritto soggettivo sulla quale la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Il giudice amministrativo si è pronunciato sulla spettanza di analoghi rimborsi e, quindi, su questioni relative a diritti soggettivi, ma lo ha fatto in relazione ai dipendenti dell’amministrazione e, quindi, in connessione con pretese collegate al rapporto di pubblico impiego, nell’ambito, cioè, della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (trattandosi di rimborsi espressamente previsti dalla normativa dei contratti collettivi di lavoro del personale degli enti locali. Cfr: art. 25 del D.P.R. 25.6.1983, n. 347; art. 67 del D.P.R. 13.5.1987, n. 268). In altri casi (Cfr: V, 17.6.2001, n. 3946), il giudice amministrativo ha ritenuto di poter estendere la propria giurisdizione, conoscendo anche di analoghe richieste di rimborso da parte degli amministratori di enti locali tenendo presente in tutta evidenza il loro rapporto di servizio con l’ente (ancorché non impiegatizio ma di natura onoraria), evenienza questa che non può ritenersi estensibile anche al caso in esame, nel quale non è configurabile, nei termini che hanno ispirato la giurisprudenza ora richiamata, un rapporto di servizio dell’appellato con l’amministrazione. Deve aggiungersi che il giudice della giurisdizione, di recente, ha escluso la competenza del giudice amministrativo in ordine alle controversie aventi ad oggetto azioni dirette ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per la difesa in giudizio proposte da amministratori comunali (Cass., SS.UU., 1.12.2000, n. 1244). La Sezione, in conclusione, deve dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo all’esame della domanda del Dott. Carafa e, di conseguenza, in accoglimento della eccezione sollevata dal Ministero dell’Interno (rilevabile comunque anche d’ufficio) deve annullare la sentenza appellata senza rinvio. Le spese dei due gradi del giudizio, sussistendo giusti motivi, possono compensarsi fra tutte le parti costituite.
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, annulla senza rinvio la sentenza appellata. Compensa integralmente fra le parti le spese dei due gradi del giudizio. |
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