inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2001

VERIFICHE A CAMPIONE NEI PUBBLICI APPALTI: IL PROBLEMA DELLA NATURA DEI TERMINI

di Massimiliano Alesio

T.A.R. LOMBARDIA - MILANO, SEZ. III, ORDINANZA N. 3.841 DEL 23/11/2000

 

Negli appalti di opere pubbliche, considerato che il dato testuale dell'articolo 10 comma 1 quater L. 11 febbraio 1994 n. 109 pare consentire diverse interpretazioni, è preferibile una lettura della norma che non correli automaticamente l'applicazione delle previste sanzioni all'inosservanza del termine per la dimostrazione del possesso dei requisiti richiesti per la partecipazione alla gara. (Nella specie, la Società ricorrente aveva dimostrato, seppure oltre la scadenza del termine di dieci giorni indicato dalla stazione appaltante, il possesso dei requisiti richiesti per la partecipazione alla gara).

COMMENTO

 

L'istituto della verifica a campione nei pubblici appalti, introdotto dall'articolo 3 comma I della Legge 415/1998, il quale ha aggiunto il comma 1 quater all'articolo 10 della L. 109/1994[1], torna a far parlare di sé. Data la sua importanza e la sua carica innovativa nel panorama del tormentato mondo dei lavori pubblici.

In una precedente nota a sentenza (T.A.R. Piemonte, sez. II, n. 69 del 22/01/2000), veniva analizzata in misura approfondita l'istituto in questione, evidenziandone pregi e limiti. Sinteticamente, al fine di precisare la struttura dell'istituto, va indicato che l'art. 10 comma 1 quater della Legge 109/1994 impone ai soggetti appaltanti, prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte, di individuare mediante sorteggio pubblico un numero di concorrenti, non inferiore al 10%, ai quali richiedere di comprovare il possesso dei requisiti di idoneità economico-finanziario e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara. Il numero del 10% delle offerte presentate deve essere eventualmente arrotondato all'unità superiore. Alla mancata, ovvero incompleta, dimostrazione di quanto dichiarato, entro il termine di giorni 10 successivi alla richiesta, conseguono l'esclusione del concorrente dalla gara, l'escussione della cauzione provvisoria prestata e la segnalazione del fatto all'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. Analoga richiesta viene, poi, formulata nei riguardi dell'aggiudicatario e del concorrente che lo segue in graduatoria. Anche in tale ipotesi, nel caso in cui non vengano comprovate le dichiarazioni, trovano applicazione le sanzioni ora indicate, oltre alla determinazione della nuova soglia di anomalia dell'offerta ed all'eventuale nuova aggiudicazione.

Il problema affrontato dall'ordinanza del T.A.R. Milano attiene alla natura del termine, previsto pari a 10 giorni, entro il quale l'impresa sorteggiata deve comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa.

Quale natura ha tale termine? Si tratta di un termine perentorio, oppure di un termine ordinatorio?

Il provvedimento cautelare in commento propende, seppur con una formulazione ambigua in riferimento alla quale ci intratterremo fra breve, per la tesi del termine ordinatorio.

Prima di affrontare direttamente il contenuto della pronuncia cautelare, è doveroso chiarire, in linea generale ed in termini teorici, la natura e la funzione dei termini.

Un termine viene detto perentorio se un dato atto o una data attività deve essere compiuta entro il lasso temporale di scadenza del medesimo. Se il termine non viene rispettato, l'atto o l'attività, pur se eventualmente compiuta, risulta inutile, nel senso che non viene considerata utile ai fini di certi effetti favorevoli, con conseguente applicazione di sanzioni e produzione di effetti sfavorevoli.

Un termine viene detto, invece, ordinatorio, se, all'inosservanza del medesimo, non sono previste sanzioni o effetti sfavorevoli. Diversamente dal termine perentorio, la funzione del termine ordinatorio è quella di "ordinare" l'attività amministrativa, indirizzandola verso determinate procedure ed esiti; per cui, il non rispetto non comporta il verificarsi di decadenze e l'applicazione di sanzioni. Viceversa, la funzione del termine perentorio è quella di obbligare, in termini assoluti, il compimento di una data attività entro un determinato lasso temporale, al fine di fornire tempestività e certezza temporale all'attività medesima. Alla base ed a fondamento del termine perentorio, vi è un giudizio di valore, nel senso che la previsione di un termine di tal genere esprime l'importanza che il legislatore conferisce al tempestivo compimento di quella data attività. All'interno della categoria dei termini ordinatori, la dottrina distingue, poi, i cosiddetti termini "sollecitatori", cioè quei termini diretti a "sollecitare" il tempestivo compimento di una data attività, senza prevedere alcun effetto negativo in caso di mancato rispetto. Invero, date le eguali conseguenze previste, il termine sollecitatorio si distingue ben poco da quello ordinatorio.

Normalmente, il termine ha carattere perentorio, qualora la legge o lo stesso atto prevedano una decadenza; invece, ha carattere ordinatorio in tutti gli altri casi. Il problema sorge quando la legge nulla dice in merito. La dottrina[2], in tal caso, unanimemente afferma che nel silenzio della legge, si considerano ordinatori i termini per l'emanazione di atti favorevoli, mentre si considerano perentori quelli previsti per gli atti a carattere sanzionatorio, al fine di creare una situazione di favor per l'amministrato, il quale si trova di fronte alla P.A. in una posizione più debole[3].

In altri termini, in una situazione di non espressa natura del termine, la qualificazione del medesimo come perentorio dipende dal fatto se siano previste sanzioni decadenziali, o da particolare esigenze e scopi perseguiti dalla legge.

Tale principio interpretativo è consolidato in giurisprudenza.

Una recentissima sentenza si esprime molto chiaramente a tal riguardo: Di regola, i termini fissati dalla legge per l'esercizio di un diritto hanno natura ordinatoria, salvo che la stessa legge non disponga espressamente il contrario, o che sia prevista una sanzione decadenziale, o che la perentorietà sia desumibile da concrete ragioni di carattere organizzatorio in capo all'Amministrazione (T.A.R. Basilicata n. 546 del 15/09/2000).

La pronuncia del  T.A.R. Basilicata non fa altro che confermare una copiosa giurisprudenza in materia:

I termini stabiliti per il compimento di atti di un procedimento amministrativo hanno generalmente carattere ordinatorio, salvo che non siano dichiarati perentori dalla legge, ovvero che, dalla loro inosservanza, derivi una decadenza (T.A.R. Lazio, sez. I, n. 1723 del 10/11/1997).

I termini stabiliti per il compimento di atti di un procedimento amministrativo hanno generalmente carattere ordinatorio, salvo che non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge, o che dalla loro inosservanza derivi, altrettanto esplicitamente, una decadenza (T.A.R. Basilicata n. 342 del 30/10/1998)[4].

Il Consiglio di Stato, con un'interessante e recente sentenza, evidenzia l'importanza che la ricerca interpretativa, diretta ad indagare la natura del termine, investa pure gli scopi perseguiti dalla legge, i quali possono fornire preziosi e decisivi ragguagli al riguardo: Per attribuire il carattere perentorio ad un termine fissato dal legislatore, non è necessario rinvenire un'esplicita previsione al riguardo, potendosi attribuire tale carattere anche in considerazione degli scopi perseguiti dalla legge (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1139 del 02/09/1999).

Dunque, nel silenzio della legge, l'interprete, per attestare la presenza di un termine perentorio, deve indagare circa la sussistenza di almeno uno dei seguenti profili:

-         previsione di una sanzione o di una decadenza;

-         connessione della perentorietà a "concrete ragioni di carattere organizzativo della P.A.";

-         desumibilità della perentorietà dalle conseguenze previste dalla legge;

-         scopi perseguiti dalla legge.

Questi sono i fondamentali parametri ermeneutici che l'interprete deve utilizzare e dai quali non deve discostarsi.

Di tali parametri, la dottrina e la giurisprudenza hanno fatto un congruo uso per individuare la natura di determinati termini.

Hanno carattere perentorio, secondo l'analisi della giurisprudenza, i seguenti termini:

¨      Il termine previsto dall'articolo 19 della  Legge 241/1990, modificato dall'art. 2 comma 10 L. 537/1993, entro il quale l'Amministrazione può inibire l'inizio delle attività per le quali è sufficiente la comunicazione di inizio, ha natura perentoria (T.A.R. Campania - Napoli, sez. III, n. 2.685 del 04/11/1999).

¨      A norma dell'art. 9 L. 457/1978, il termine di 60 giorni, entro il quale il Comune deve provvedere all'individuazione ed all'assegnazione delle aree da mettere a disposizione dei soggetti destinatari dei finanziamenti per l'edilizia agevolata, ha carattere perentorio (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1.013 del 24.02.2000).

¨      Il termine finale di 90 giorni del procedimento disciplinare, instaurato in seguito ad una sentenza penale di condanna, è perentorio (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 7 del 25/01/2000).

¨      In tema di espropriazione per pubblica utilità, … la scadenza del termine finale per il compimento dei lavori ha carattere perentorio (Cassazione Civile, sez. I n. 3.298 del 21.03.2000).

Hanno, invece, carattere ordinatorio i seguenti termini:

¨      L'art. 2 della L. 241/1990 pone un termine accelleratorio per la definizione dei procedimenti amministrativi e non contiene alcuna prescrizione in ordine alla perentorietà del termine stesso (Consiglio di Stato, sez. V n. 621 del 03/06/1996)[5].

¨      Il termine per l'adozione da parte delle Regioni dei piani paesistici regionali, fissato dalla L. 431/1985, non ha carattere perentorio (Consiglio di Stato, sez. VI n. 1509 del 20/10/1999).

¨      Il termine di 30 giorni (art. 10 comma 4 L. 475/1968), decorrente dalla notizia dell'avvenuta approvazione regionale della delibera consiliare, con la quale il Comune ha esercitato il diritto di opzione per l'assunzione della gestione diretta di farmacia vacante - entro il quale lo stesso Comune deve approvare il bando di concorso per titoli ed esami al posto di farmacista direttore - ha carattere ordinatorio e non perentorio (T.A.R. Trentino Alto Adige, sez. Trento, n. 364 del 20/10/1999).

 

Ritorniamo al nostro problema ed esaminiamo l'ordinanza cautelare del T.A.R. Milano.

In maniera alquanto incerta, e forse anche ambigua, viene espressa la tesi, secondo la quale si sia in presenza di un termine ordinatorio.

Tale tesi non può essere accolta e si presta a diverse e fondate critiche.

In primo luogo, deve essere consentita una critica relativa al linguaggio non chiaro e tendenzialmente incerto utilizzato dal Tribunale Amministrativo: … il dato testuale … pare consentire diverse interpretazioni, … è preferibile una lettura della norma che non correli automaticamente l'applicazione delle previste sanzioni … E' vero che l'interpretazione di una norma non costituisce attività certa ed indiscussa, ma è pur vero che, una volta effettuata una scelta per una tesi, questa deve essere sostenuta con solide argomentazioni. Invero, forse, l'ordinanza cautelare non è il miglior strumento a tal fine.

In secondo luogo, il vero punto debole della tesi del termine ordinatorio risiede proprio nella presenza di vari indici, i quali inducono ad opinare per una diversa concezione.

Infatti, a fronte del silenzio legislativo, sono presenti quei parametri, prima evidenziati, di sussistenza di un termine perentorio:

-         Previsione di una sanzione o di una decadenza: se la prova del possesso dei requisiti non viene fornita, o non viene confermata, così come espressamente previsto dall'art. 10  1° comma quater, trovano applicazione ben tre distinte sanzioni (esclusione dalla gara, escussione della cauzione provvisoria, comunicazione del fatto all'Autorità). Le sanzioni sono chiare e precise, per cui il parametro di individuazione del termine perentorio è ben presente.

-         Connessione della perentorietà a "concrete ragioni di carattere organizzativo della P.A.": nel caso di specie, le concrete ragioni sono rappresentate dalla necessità di garantire la tempestiva conclusione della gara di appalto.

-         Desumibilità della perentorietà dalle conseguenze previste dalla legge: le conseguenze sono rappresentate dalle tre sanzioni prima indicate; in ciò, non vi è alcun ombra di dubbio.

-         Scopi perseguiti dalla legge: nel caso dell'istituto della verifica a campione, lo scopo è costituito dall'esigenza di verificare l'affidabilità e la veridicità delle dichiarazioni rese entro un tempo ragionevole, al fine di non rallentare ulteriormente la procedura di gara. Si è già detto, precedentemente, che l'istituto della verifica a campione ha proprio la funzione, anche a costo di determinare un appesantimento temporale e procedurale della gara, di controllare le dichiarazioni rese dai partecipanti alla gara. La funzione dell'istituto esprime un tentativo di ricerca di equilibrio fra l'esigenza di verifica-controllo e la contrapposta esigenza di tempestiva conclusione della gara. L'equilibrio è garantito proprio dalla perentorietà dei termini. Se i termini indicati non sono considerati perentori, l'esigenza di tempestiva conclusione viene ad essere gravemente compromessa, nel senso che la procedura di gara, oltre ad essere appesantita, risulta non avere un momento certo di conclusione, con ovvi pregiudizi per l'interesse della stazione appaltante e della collettività di riferimento a vedere rapidamente realizzata l'opera pubblica in questione.

Non convince la seguente affermazione  contenuta nell'ordinanza cautelare: … è preferibile una lettura della norma che non correli automaticamente l'applicazione delle previste sanzioni all'inosservanza del termine … Ma, cos'altro può essere correlato alle sanzioni, se non l'inosservanza dei termini indicati? L'unico punto di connessione delle sanzioni è rappresentato solo dalla non osservanza dei termini. Su tale questione non sembrano esserci dubbi, ed è indicativo rimarcare il fatto che alla domanda ora posta l'ordinanza cautelare non dia alcuna risposta.

La questione del termine è stata affrontata anche dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, la quale, con l'atto di regolazione n. 15/2000 del 30/03/2000, ha sostenuto la tesi della perentorietà[6].

Le decisioni e gli atti di regolazione dell'Autorità non hanno una natura vincolante, ma costituiscono un valido orientamento, nel senso che forniscono preziose indicazioni alle stazioni appaltanti. Ciò è stato espressamente enunciato in una ordinanza del T.A.R. Lazio (T.A.R. Lazio, sez. III, n. 1463 del 16.02.2000), laddove si è affermato che le indicazioni, contenute in un atto di regolazione, hanno una natura meramente orientativa. Dunque, pur se l'indicazione contenuta nell'atto di regolazione 15/2000 non ha natura vincolante, pur tuttavia costituisce un autorevole e significativo orientamento.

La tesi del termine ordinatorio, a ben vedere, crea una situazione di grave incertezza, e conferisce uno smisurato potere, con correlativa gravosa responsabilità, alla stazione appaltante, la quale dovrà, poi, stabilire quale termine va, in ogni caso, rispettato. Orbene, se il termine è ordinatorio, così come sostiene l'ordinanza cautelare, quale è il termine congruo che in ogni caso deve essere rispettato: 20 giorni? 24 giorni? 33 giorni? Una risposta precisa a tali interrogativi non esiste. La tesi del termine ordinatorio comporta, e questo è propriamente l'effetto più nefasto, che ogni stazione appaltante sarà "libera" di determinare il proprio termine, il quale poi potrà essere, stante l'ordinatorietà di quello stabilito dalla legge (?), contestato in sede giudiziaria dall'impresa partecipante, che potrà legittimamente ritenere che quel dato termine non è congruo. E' evidente che ciò comporterà il proliferare di un contenzioso senza limiti, il quale produrrà un unico effetto sicuro: il blocco delle attività connesse alla realizzazione delle opere pubbliche.

Dunque, il sostenere la ordinarietà del termine comporta che la stazione appaltante dovrà essa poi stabilire un termine "invalicabile", al di là del quale trovano applicazione le previste sanzioni. Ora, anche se tale termine fosse indicato preventivamente in sede di bando di gara, non cambia in alcun modo il problema, in quanto, anche il termine indicato in tale sede potrebbe essere contestato sotto il profilo di una eventuale irragionevolezza o incongruità[7].

L'incertezza, che verrebbe determinata dall'accoglimento della tesi della ordinatorietà del termine, risulterebbe ancor più pericolosa e paralizzante, se viene posta, come logico, in connessione con la risarcibilità degli interessi legittimi, affermata in linea generale dalla Cassazione Civile, con la ormai famosa sentenza 500/1999. E' evidente che i funzionari della stazione appaltante vivranno una situazione di notevole disagio, nel caso in cui fosse accolta la tesi della non perentorietà. In tale frangente, è ovvio che, proprio al fine di evitare pericolose responsabilità e conseguenti obblighi risarcitori, in relazione ad incerte esclusioni da disporre, i funzionari medesimi si troveranno in una situazione dagli effetti paralizzanti.

La dottrina si è espressa in maniera

Alcuni autori  sembrano propendere per la tesi della perentorietà, affermando che decorso inutilmente tale termine, ovvero nel caso di documenti che non certifichino quanto dichiarato, i concorrenti saranno esclusi dalla gara, con applicazione delle relative sanzioni comminate dalla Autorità[8].

Dunque, la tesi del termine ordinatorio non sembra avere alcun valido fondamento e, soprattutto, crea, come prima evidenziato, una situazione di pericolosa incertezza, a tutto pregiudizio per le stazioni appaltanti.

La perentorietà va sostenuta non solo in riferimento al termine di 10 giorni, previsto per la ditta sorteggiata, ma anche in riferimento al medesimo termine, previsto per la ditta - aggiudicataria provvisoria e per quella che segue in graduatoria. Invero, l'Autorità di vigilanza, sempre nell'atto di regolazione prima indicato (Atto di regolazione 15/2000), afferma che il secondo termine di 10 giorni, cioè quello previsto per l'aggiudicatario e per l'eventuale subentrante, ha natura sollecitatoria[9]. Tale tesi non convince e non può essere condivisa, in quanto, non solo, contrariamente a quanto l'Autorità sostiene, sono previste delle sanzioni (le medesime), ma anche perché la disciplina è letteralmente identica. Infatti, l'art. 10 comma 1 quater, nella seconda parte, prescrive che la suddetta richiesta è, altresì, inoltrata…. anche all'aggiudicatario ed al concorrente che segue in graduatoria. Inoltre, la finalità e la funzione di tale secondo termine è del tutto eguale a quella del primo: garantire l'affidabilità delle dichiarazioni rese e consentire la tempestiva conclusione delle operazioni di gara, sotto un profilo di virtuale equilibrio fra queste due non coincidenti esigenze.

Alesio avv. Massimiliano

 

[1] Art. 10 I comma quater della legge 109/1994: I soggetti di cui all’art. 2 comma 2, prima di procedere all’apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono al numero di offerenti non inferiore al 10% delle offerte presentate, arrotondato all’unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il posseso dei requisiti di capacità economico- finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta, i soggetti aggiudicatori procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti  di cui all’art. 4, comma 7, nonché  per l’applicazione delle misure sanzionatorie di cui all’art. 8, comma 7. La suddetta richiesta è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all’aggiudicatario ed al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso in cui essi non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni, si applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della nuova soglia di anomalia dell’offerta ed alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione.  

 

[2] Per una completa trattazione della problematica dei termini: L. Galateria - M. Stipo, Manuale di diritto amministrativo, pag. 272 e seguenti, UTET 1995.

[3] L. Galateria - M. Stipo, op. cit.,  pag. 273.

[4] I termini previsti per l'esercizio dell'azione amministrativa rivestono natura ordinatoria, salvo contraria indicazione della legge che, in particolare, riconnetta alla loro inosservanza una specifica sanzione di decadenza (T.A.R. Toscana, sez. III, n. 399 del 03/12/1998).

Un termine può essere qualificato come perentorio in quanto ciò sia espressamente previsto dalla norma, ovvero sia implicitamente desumibile dalle conseguenze che la legge stabilisce per il suo superamento (T.A.R. Veneto, sez. I, n. 324 del 10/03/1999).

 

 

[5] In tal senso: T.A.R. Calabria - Reggio Calabria n. 2042 del 30/12/1999 e T.A.R. Sicilia - Catania sez. II n. 847 del 06/05/2000.

[6] Atto di  regolazione n. 15/2000: Dalla formulazione del testo della norma e dalla ratio sottesa alla stessa, si evince, poi, che il termine di 10 giorni entro cui occorre documentare i requisiti indicati è da considerare perentorio ed improrogabile; nel senso che il suo obiettivo decorso, senza che il sorteggiato abbia fatto pervenire alla stazione appaltante la necessaria documentazione, implica l'automatico effetto della esclusione dalla gara, dell'incameramento della cauzione provvisoria e la segnalazione all'Autorità di vigilanza.

[7] A tal proposito, dunque, non può essere accolto il consiglio che viene fornito da D. Galli e C. Guccione, in un loro scritto apparso sulla rivista Appalti & Fisco (La verifica a campione sui requisiti dei partecipanti alle gare, in Appalti & Fisco n. 10/99, pag. 18), laddove si propone di indicare un termine perentorio nel bando di gara: …; tuttavia, onde evitare che nella applicazione pratica la asserita non vincolatività del termine fissato ex lege da parte del legislatore si traduca, non già in un possibile "vantaggio" per il concorrente (posto che potrebbe consentire di disporre di un maggior numero di concorrenti), quanto in elemento potenzialmente fonte di contenzioso, pare comunque indispensabile che, al momento in cui si procede al sorteggio pubblico, sia reso noto il giorno in cui si procederà all'apertura delle buste contenente le offerte (che potrà costituire termine ultimo entro il quale i sorteggiati avranno modo di fornire la documentazione richiesta). A tal proposito, pare corretta la prassi adottata dalle stazioni appaltanti di indicare nel bando di gara (o nella lettera di invito) sia il giorno entro il quale avrà luogo il sorteggio pubblico, sia quello in cui, poi, avrà luogo l'apertura delle offerte.

[8] F. Petullà, Le nuove regole per gli appalti, E.P.C. Libri 1999, pag. 98. In tal senso pure: B. Bosetti, La nuova legge sui lavori pubblici, I.C.A. 1999, pag. 87; D. Tassan Mazzocco - C. Angeletti - M. Zoppolato, Legge Quadro sui lavori pubblici (Merloni ter), Giuffre, 1999, pag. 108.

[9] Diversa ipotesi normativa è quella della documentazione di cui trattasi all'aggiudicatario provvisorio ed al secondo graduato, nel caso in cui gli stessi non siano stati già in precedenza sorteggiati. Qui la norma pone il termine di 10 giorni, ma per l'attività amministrativa intesa alla richiesta della documentazione di cui trattasi, termine cui non può riconoscersi, in quanto riferito all'attività di pubblici poteri e senza sanzione di decadenza, che natura sollecitatoria.