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IL GIUSTO
PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO SECONDO GLI ORIENTAMENTI DELL’ADUNANZA PLENARIA
(nota dell’ avv. Alesio
Massimiliano, qui il curriculum)
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Consiglio
di Stato, Adunanza plenaria, Sentenza n. 2 del 24/01/2000.
L’obbligo della Pubblica Amministrazione di dare comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 7 Legge n. 7 Agosto 1990 n. 241, sussiste, in via analogica, anche in caso di dichiarazione di pubblica utilità implicita nell’approvazione del progetto di opere pubbliche.
Consiglio
di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 14 del 15/09/1999.
Prima dell’approvazione del progetto definitivo che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, si deve svolgere dinanzi all’organo competente il giusto procedimento, secondo la sequenza: deposito atti – osservazioni – decisioni sulle stesse. Il giusto procedimento, attuato nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, non ha ragion d’essere nell’occupazione d’urgenza. Non tanto perché vi osti il presupposto dell’urgenza (ogni approvazione del progetto equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed indifferibilità) dato che l’urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione è un’urgenza qualificata, ma perché il giusto procedimento ha ragion d’essere nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che conserva momenti di scelte discrezionali, ma non più nell’ambito dell’occupazione d’urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti.
(Omissis) – FATTO E
DIRITTO. Con
ricorso del T.A.R. del Friuli – Venezia Giulia notificato il 13 gennaio 1996
le signore Sabina e Consuelo Artelli, comproprietarie di un’azienda agricola
sita nel territorio del Comune di Cervignano del Friuli, impugnavano il
decreto del Prefetto di Udine 14.12.1995, n. 8211/51601, che disponeva
l’occupazione d’urgenza di un’area di oltre 10.000 mq. Compresa nel
perimetro della predetta azienda agricola per la realizzazione di opere
ferroviarie ed il provvedimento 23.11.1995, n. 338 del Direttore dell’Area
ingegneria e costruzioni delle Ferrovie dello Stato, che approvava il progetto
delle opere medesime. Deducevano che negli atti impugnati erano stati omessi
l’avviso di procedimento e l’indicazione del termine e dell’autorità
cui ricorrere.
Resistevano
l’Impresa Pizzarotti, concessionaria dei lavori, e la Prefettura di Udine.
Il T.A.R. adito
definiva il giudizio con sentenza 13 dicembre 1997, n. 1005, con cui
accoglieva il ricorso per la ritenuta fondatezza dei motivi primo
(limitatamente all’approvazione del progetto), terzo e settimo.
Avverso tale sentenza
l’impresa Pizzarotti, con ricorso notificato il 25 febbraio 1998, propone
appello con quattro motivi.
La IV sezione, con
ordinanza 17 febbraio 1999, n. 168, ritenendo dubbia e fonte di possibili
contrasti giurisprudenziali la questione dell’applicabilità dell’avviso
di procedimento ai procedimenti ablatori, ha rimesso il ricorso all’Adunanza
plenaria.
In tale contesto
normativo, è sopravvenuta la Legge n. 241 del 1990, che, in quanto legge
“breve”, è legge sul procedimento amministrativo, non legge del
procedimento amministrativo.
Tale legge, tra
l’altro, ha esteso il giusto procedimento, anzi la partecipazione, perché
applicabile anche ai procedimenti diversi da quelli restrittivi della sfera
giuridica degli interessati, per l’innanzi adottata soltanto per singoli
procedimenti, alla generalità dei procedimenti amministrativi, fatta
eccezione per alcuni tipi, per i quali quel modello è escluso o in senso
assoluto o perché essi sono disciplinati in maniera speciale: i procedimenti
per l’emanazione di atti normativi o amministrativi generali, di
pianificazione e di programmazione, tributari (art. 13, Legge n. 241 del 1990
cit.). Perché i soggetti legittimati possano partecipare o intervenire, è
necessario che essi siano resi edotti della pendenza del procedimento. A ciò
provvede l’avviso di procedimento, che l’autorità procedente è tenuta a
dare personalmente ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono
intervenire (art. 7 Legge cit.).
Orbene, la
dichiarazione di pubblica utilità, secondo il più comune sentire, ha come
effetto quello di sottoporre il bene al regime di espropriabilità;
determinando l’affievolimento del diritto di proprietà e ponendosi come
presupposto dell’espropriazione. Essa, pertanto, incidendo direttamente
sulla sfera giuridica del proprietario è immediatamente lesiva e, come tale
viene comunemente ritenuta autonomamente impugnabile. In termini
procedimentali, pertanto, la dichiarazione di pubblica utilità
non è un subprocedimento del procedimento espropriativo, ma è un
procedimento autonomo, che si conclude con un atto di natura provvedimentale
immediatamente impugnabile. Pertanto, la tesi
secondo cui la norma sull’avviso di procedimento non si applicherebbe
alla dichiarazione di pubblica utilità implicita equivale ad espungere
dall’ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge, un
procedimento amministrativo autonomo. Né ora, nell’attuale contesto
normativo diretto a garantire la partecipazione potrebbe valere a tal fine una
partecipazione differita, successiva alla dichiarazione di pubblica utilità
ed all’occupazione d’urgenza. Questa, infatti, oltre a intervenire in una
situazione di fatto irreversibile resterebbe comunque esterna allo sviluppo
procedimentale della dichiarazione di pubblica utilità, che risulterebbe
priva di garanzia partecipativa. Non giova in contrario richiamare
l’esclusione della partecipazione prevista
per i procedimenti di pianificazione, quali quelli per l’approvazione
degli strumenti urbanistici generali. Vero è che la partecipazione che
si attua nei procedimenti di pianificazione in ordine alla destinazione
urbanistica delle singole aree involge la parte essenziale della potestas
decidendi degli
enti territoriali competenti, ma è altrettanto certo che non la esaurisce.
Se la destinazione urbanistica dell’area è questione già definita
in sede di pianificazione urbanistica, il progetto dell’opera pubblica, che
nel suo fieri
è preliminare e poi definitivo, prima di divenire esecutivo, e la sua
localizzazione di dettaglio sono altrettanti oggetti di potere amministrativo
sui quali il contraddittorio degli interessi può apportare elementi di
valutazione non marginali ai fini della proporzionalità e del
buon andamento dell’azione amministrativa, specialmente ove esistano
situazioni di interesse qualificato nelle quali una determinata ma non
ineluttabile compressione del diritto di proprietà può implicare un
sacrificio sproporzionato all’interesse pubblico. Ciò posto, va richiamato
che il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità non è del tutto
carente di disciplina di partecipazione, in quanto gli artt. 10 e 11 della
legge n. 865 del 1971, ne
regolano la forma esplicita secondo il consueto modulo: deposito atti –
osservazioni – decisione sulle stesse. In presenza del criterio orientativo
del “giusto procedimento”, non par dubbio che le norme previste per la
dichiarazione di pubblica utilità
esplicita debbano valere, in quanto compatibili, per la dichiarazione
implicita. A parte ciò, non vi sono ostacoli a che, prima dell’approvazione
del progetto definitivo, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità,
urgenza ed indifferibilità, si svolga dinanzi all’organo competente,
secondo la sequenza: deposito atti – osservazioni – decisioni sulle
stesse, il giusto procedimento; quest’ultimo, infatti, resiste alla
sostituzione di una decisione pluristrutturata con una monostrutturata, come
già nella vicenda della soppressione dell’approvazione regionale sugli
strumenti urbanistici attuativi (art. 24, Legge n. 47 del 1985), che ha
devoluto all’organo comunale la competenza a decidere le osservazioni degli
interessati. Ciò detto, appare conseguente affermare che il giusto
procedimento, ove attuatosi nell’ambito della dichiarazione di pubblica
utilità, non ha ragion d’essere nell’occupazione d’urgenza. Ciò non
tanto perché vi osti il presupposto dell’urgenza. Ogni approvazione del
progetto di un’opera pubblica equivale ope legis
a dichiarazione di urgenza ed indifferibilità, mentre l’urgenza che
costituisce impedimento alla comunicazione dell’avviso del procedimento è
un’urgenza qualificata. Ma piuttosto perché il giusto procedimento ha
ragion d’essere nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che
conserva momenti di scelte discrezionali, ma non più nell’ambito
dell’occupazione d’urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti
presupposti.
NOTA La sentenza del
Consiglio di Stato - Adunanza
plenaria del 24 gennaio 2000 n. 2 -conferma le statuizioni già contenute
nella sentenza del medesimo Tribunnale amministrativo d’Appello, Adunanza
plenaria del 15 settembre 1999 n. 14, in materia di giusto procedimento
espropriativo. La conferma è integrale, per
cui è sembrato opportuno riportare le massime di entrambe e i riferimenti di
Fatto e di Diritto della precedente, più dettagliata della successiva. La
sentenza 2/2000 è indubbiamente importante, in quanto, pur se confermativa
della precedente, evidenzia in tal modo il consolidarsi di un orientamento
giurisprudenziale del Consiglio di Stato, il quale avrà effetti più che
rilevanti, se non proprio dirompenti, sulle procedure di espropriazione di
pubblica utilità sinora condotte. Per le ragioni ora espresse, si procederà
ad una analisi congiunta di entrambe le sentenze.
La sentenza Adunanza Plenaria 14/1999 effettua un breve riepilogo illustrativo della normativa in materia di espropriazione, soffermandosi particolarmente sulla dichiarazione di pubblica utilità. Il punto di partenza è, ovviamente, costituito dalla Legge 25 giugno 1865, n. 2359, la quale articolava la dichiarazione di pubblica utilità in due distinti procedimenti. Un primo procedimento era diretto propriamente ad accertare la pubblica utilità dell’opera e sfociava nella conseguente emanazione del decreto dichiarativo della sussistenza della pubblica utilità medesima. Un secondo procedimento era, invece, diretto alla designazione dei beni da espropriarsi, e culminava nell’ordine di esecuzione, emanato dal Prefetto, di realizzazione del piano particolareggiato. La Legge 22 ottobre 1971 n. 865, in un’ottica di celerità dell’azione amministrativa, eliminava la struttura bifasica del procedimento espropriativo, con la previsione dell’obbligo di presentare la relazione esplicativa dell’opera da realizzare, unitamente alle mappe catastali relative alle aree da espropriare e ad altri documenti, a carico del soggetto espropriante. La semplificazione procedurale viene compensata da un rafforzamento delle garanzie partecipative dei soggetti espropriandi, mediante la previsione dell’obbligo di notifica individuale, in favore dei medesimi, dell’avvenuto deposito degli atti della procedura espropriativa. Ulteriore forma di tutela venne costituita attraverso la possibilità di presentare osservazioni scritte, da depositare nella segreteria del Comune, così come previsto agli artt. 10 ed 11. Sempre nell’ottica della tempestività dell’azione amministrativa, l’art. 1 della Legge 3 gennaio 1978 n. 1, ha previsto che l’approvazione dei progetti di opere pubbliche, da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse. In tal modo, è stata introdotta la figura della dichiarazione di pubblica utilità implicita, la quale ha assunto, in quanto collegata all’approvazione di un’opera pubblica, un rilievo assolutamente dominante. Ulteriori interventi del legislatore in materia di dichiarazione di pubblica utilità, si sono avuti con la legge 11 febbraio 1994 n. 109 (legge quadro in materia di lavori pubblici), in particolare a seguito delle modifiche introdotte con le successive leggi 216/1995 e 415/1998. Infatti, la disciplina normativa delineata in riferimento al progetto preliminare ed a quello definitivo di un’opera pubblica presenta interessanti novità. L’art. 16 III c. prevede che il progetto preliminare deve consentire l’avvio della procedura espropriativa. L’art. 14 XIII c. stabilisce che l’approvazione del progetto definitivo da parte di un’amministrazione aggiudicatrice equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. Il sopravvenire della
Legge 7 Agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di accesso ai documenti amministrativi), introducendo
innovativi e radicali principi in materia di procedimento, non poteva non
produrre effetti anche nei riguardi dell’espropriazione per pubblica utilità.
L’importanza delle garanzie partecipative, contenute
nella Legge ora indicata, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a
ripensare la procedura espropriativa ab imis,
concentrando la propria attenzione sulla fase iniziale della procedura
medesima. Dunque, il fondamentale quesito, che si è posto in conseguenza
della Legge n. 241/1990, può essere sintetizzato sostanzialmente come segue:
le formalità garantistiche, previste dagli artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971,
devono precedere l’approvazione del
progetto di opera pubblica, la quale equivale, come sopradetto, a
dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle
opere? A tale quesito sono
state date due risposte. La prima risposta è stata sostanzialmente di
chiusura, e ha tratto il proprio fondamento da una sentenza del Consiglio di
Stato, antecedente all’entrata in vigore della Legge n. 241/1990 (Consiglio
di Stato, Adunanza plenaria, n. 6 del 19/06/1986), nella quale si sosteneva
che le formalità ex artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971 possono legittimamente
essere espletate dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in quanto la
partecipazione ed il contradditorio sono stati anticipati al momento della
pianificazione urbanistica, ove il cittadino, attraverso lo strumento delle
osservazioni – opposizioni, ha avuto modo di estrinsecare le proprie ragioni
in maniera collaborativa. La posizione di chiusura ha conosciuto diffusione
nei primi anni novanta[1],
e si è fondata, oltre che sul rilievo prima evidenziato, su di un’altra
argomentazione. Si è sostenuto che le disposizioni della Legge n. 241/1990,
in particolare quelle attinenti alla partecipazione al procedimento
amministrativo (Capo III), non trovano applicazione nei riguardi delle
procedure espropriative, in quanto queste presentano una propria disciplina
speciale, la quale già prevede moduli di partecipazione. L’argomento della
specialità di disciplina trova eco e cittadinanza anche in alcune recenti
sentenze, nelle quali sostanzialmente si sostiene che l’espropriazione, così
come normata dal legislatore statale, presenta già sufficienti forme di
partecipazione, per cui risulta superflua l’applicazione dei modelli
partecipativi previsti dalla L. n. 241/1990[2].
All’orientamento di chiusura, si contrappone una diversa posizione
dottrinaria[3]
e giurisprudenziale, la quale sostiene che l’avvio del procedimento
espropriativo deve essere dato prima dell’approvazione del progetto di opera
pubblica. Il fondamento di tale
asserzione viene rinvenuto nel sopravvenire della Legge n. 241/1990, la quale
impone una integrale rilettura della procedura espropriativa in senso
garantistico. Tale orientamento ha
conosciuto diffusione verso la metà degli anni novanta[4],
per poi affermarsi verso il
finire del millennio[5].
Significativa si è rivelata la sentenza del TAR Lombardia, Sez. Brescia, n.
156 del 09/03/1998, nella quale si afferma che la notifica al
proprietario dell’avviso dell’avvenuto deposito della relazione
esplicativa, corredata dalle mappe su cui sono individuate le aree da
espropriare, prima dell’approvazione del progetto, sopperisce all’esigenza
della comunicazione di avvio del procedimento. Emerge,
dunque, con chiarezza l’esigenza di anticipare le formalità previste ai già
citati artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971, attribuendo ad esse la funzione di
comunicazione di avvio procedimentale, così come sancita dagli artt. 7 e
seguenti Legge n. 241/1990.
La sentenza Adunanza
plenaria 14/1999 enuncia, dopo aver compiuto un excursus sulla storia
legislativa dell’espropriazione, tre fondamentali principi. In primo luogo,
viene affermato che il giusto procedimento espropriativo, pur non assurgendo a
principio di rango costituzionale, è oramai un principio generale, cui le
leggi ordinarie debbono conformarsi in assenza di ragionevoli deroghe, pena la
violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e buon andamento
dell’azione amministrativa. In secondo luogo, viene evidenziato che la
dichiarazione di pubblica utilità non costituisce un sub procedimento del
procedimento espropriativo, ma dà luogo ad un autonomo procedimento,
all’interno del quale va garantita la partecipazione, attraverso il
preminente strumento della comunicazione di avvio. Infine, in netta
contrapposizione alle argomentazioni della tesi negativa si afferma che il
contraddittorio, la partecipazione procedimentale non può certo dirsi
esaurita nel momento della pianificazione urbanistica. Ciò per due ordini di
ragioni. Innanzitutto, pur se la destinazione urbanistica dell’area viene
prevista in sede di pianificazione, è ben palese che il progetto dell’opera
pubblica, nelle sue diverse scansioni di progetto preliminare, definitivo ed
esecutivo, conosce momenti di valutazione discrezionale, certo non marginali,
sui quali è essenziale la partecipazione dei privati interessati. Inoltre,
non bisogna dimenticare che, ai sensi dell’art. 1, comma 5, Legge n. 1/1978,
la deliberazione di approvazione del progetto di opera pubblica costituisce
adozione di variante agli strumenti urbanistici. Ciò implica che la
destinazione urbanistica prevista può subire, come nella prassi subisce,
modifiche conseguenziali all’approvazione di progetti in variante. Ordunque,
da tali principi, il Consiglio di Stato enuclea un principio primario
fondamentale, secondo il quale la partecipazione procedimentale deve essere
garantita in ogni caso prima della dichiarazione
di pubblica utilità, anche in caso di dichiarazione implicita, per cui le
formalità previste dagli artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971, vanno anticipate e
vanno effettuate prima dell’approvazione del progetto definitivo.
Il principio ora
enunciato è, indubbiamente, notevole e dirompente, in quanto comporta
sostanziali modifiche nell’orizzonte delle attuali procedure espropriative.
E’ evidente che l’ottica garantista e democratica, connessa alla Legge n.
241/1990, trova una sua formale consacrazione in tali sentenze dell’Adunanza
plenaria. Qualche autore, a fronte dell’indubbia valenza garantista delle
sentenze, ed anzi, dopo averla ben enunciata, ritiene che l’affermazione del
giusto procedimento espropriativo possa rallentare l’azione della Pubblica
Amministrazione, allungando notevolmente i tempi di realizzazione delle opere
pubbliche [6].
Il rilievo non è certo peregrino e non è improbabile prevedere
rallentamenti, laddove si sia in presenza di privati espropriandi, i quali
hanno solo interesse ad adottare comportamenti ostruzionistici, in un’ottica
di pura dilazione. Tuttavia, una Pubblica Amministrazione, ben consapevole
delle esigenze di pubblica utilità connesse all’opera pubblica e ben
preparata, non certo si trova disarmata nell’attuale panorama normativo, nel
senso che può legittimamente controdedurre alle osservazioni dei privati e
condurre in porto la procedura espropriativa.
In realtà, le
sentenze in commento si prestano ad una sola duplice critica.
La prima riguarda il
momento della comunicazione di avvio procedimentale. Il Consiglio di Stato
afferma che la comunicazione deve essere effettuata prima dell’approvazione
del progetto definitivo. Orbene, se l’intento è quello di ampliare le forme
di garanzia del privato, il momento di comunicazione andrebbe anticipato. La
problematica, che sta dietro a tale critica, è quella connessa alla scelta
dell’area da espropriare. Se si intende effettivamente realizzare un
ampliamento della partecipazione del privato, non si può non consentire al
medesimo di far valere le sue ragioni anche nella fase di individuazione
dell’area ove sorgerà l’opera pubblica, e quindi di futura
espropriazione. E’ questo un punto importante. Il contraddittorio in sede di
scelta dell’area è conforme ai principi di democrazia e di imparzialità
che debbono connotare la Pubblica Amministrazione. Ben vero, oltre a ciò,
anche ragioni di opportunità, collegabili al principio costituzionale di buon
andamento dell’azione amministrativa, consigliano di far partecipare il
privato alla scelta dell’area. Infatti, una seria istruttoria, relativa alla
scelta, deve tener conto di diversi fattori, i quali postulano la
partecipazione necessaria del privato, il quale non si limiterà soltanto a
far valere le proprie ragioni in un’ottica meramente difensiva, ma dovrà
collaborare con la Pubblica Amministrazione, evidenziando l’opportunità
eventuale di altre scelte o di altre soluzioni. Una seria istruttoria deve
tener conto dei seguenti fattori: - sussistenza di eventuali costruzioni
sull’area; - eventuale sussistenza di altre aree idonee a soddisfare
l’interesse pubblico; - eventuale vicinanza dell’area a linee elettriche,
fiumi, etc.; - esame di situazioni di fatto che possano far lievitare
l’indennità; - sussistenza di area già interessata da altre
espropriazioni; - iniziative imprenditoriali sull’area, da parte del
proprietario; - sussistenza di eventuali vincoli di destinazione dell’area;
- eventuale sussistenza di altre aree, di proprietà pubblica, idonee a
soddisfare il pubblico interesse; - indicazione, da parte del privato, di
altra area[7].
Tutti questi profili impongono una seria istruttoria della scelta dell’area
da espropriare, la quale deve prevedere la partecipazione del privato. Orbene,
se le affermazioni sin ora fatte hanno un senso logico ed una coerenza
interna, risulta conseguenziale che la comunicazione di avvio del procedimento
deve essere effettuata ben prima del progetto definitivo, ove già la
localizzazione dell’area è stata disposta, in un momento antecedente
all’approvazione del progetto preliminare. Infatti, non bisogna dimenticare
che l’art. 16, comma 3, Legge n. 109/1994 modificato stabilisce che il
progetto preliminare deve consentire l’avvio della procedura espropriativa,
e quindi deve contenere già in sé l’individuazione dell’area.
Dunque, la partecipazione del privato deve essere collocata in una fase
antecedente a tale momento.
Il secondo profilo di
critica attiene all’affermazione, secondo la quale il giusto procedimento
espropriativo non trova applicazione nei riguardi dell’occupazione di
urgenza, in quanto non vi sono momenti di scelte discrezionali.
In realtà, tale assunto non può essere condiviso completamente, in quanto
momenti di scelte discrezionali sussistono anche nell’occupazione
preliminare di urgenza. Infatti, se è vero che l’occupazione si presenta
come un provvedimento a minor contenuto discrezionale rispetto alla
dichiarazione di pubblica utilità, è pur vero che profili di valutazione non
vincolata, sussistono in relazione al momento temporale di adozione
dell’atto, nei confronti del quale il privato può avere un legittimo
interesse a realizzare un contraddittorio collaborativo con la Pubblica
Amministrazione.
Alesio
avv. Massimiliano
Bibliografia
§
Alpa G., Bessone M., Morbidelli
G., Traina M.D., Il privato e l’espropriazione, Giuffrè,
1998.
§
Borgo M., Il giusto
procedimento espropriativo; Prime riflessioni sulla sentenza 15/09/1999, n. 14
dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
§
Caranta R., Ferraris L., La
partecipazione al procedimento amministrativo, Giuffrè
2000.
§
Centofanti N., L’espropriazione
per pubblica utilità e l’occupazione d’urgenza, Sal
Editoriale 1996.
§
Centofanti N., L’espropriazione
per pubblica utilità, Giuffrè 1999.
§
Cimellaro A., Malcangio L., Espropriazione
per pubblica utilità, EPC Libri 1998.
§
Croci M., Espropriazione
per pubblica utilità e problematica della C.D. accessione invertita, Editrice
Pragma 1997.
§
Leone G. e Marotta A.,
Espropriazione per pubblica utilità, in Trattato
di Diritto Amministrativo, Vol. 27, CEDAM
1997.
§
Virga G., La
partecipazione al procedimento amministrativo, Giuffrè
1998.
[1] L’orientamento di chiusura è stato formalmente espresso in più sentenze: - Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n. 121 del 07/12/1993; - TAR Trentino Alto Adige n. 102 del 07/04/1994; - TAR Lombardia Brescia n. 133 del 17/03/1994; - TAR Veneto Sez. 1 n. 82 del 09/02/1994; - Consiglio di Stato Sez. II n. 62 del 28/06/1995; - TAR Campania, Napol.i, n. 1.512 del 09/06/1997. [2] In tal senso, TAR Toscana, Sez. 1, n. 502 del 07/11/1997: E’ legittima l’approvazione di un progetto per la realizzazione di un’opera pubblica – che a norma dell’art. 1 comma 1 Legge n. 03/01/1978, n.1. equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità dell’opera stessa – anche se non sia stata preceduta dalle formalità procedurali di comunicazione e partecipazione poste dalla Legge a tutela dei soggetti interessati, fermo restando che esse debbono essere comunque compiute nel corso del procedimento espropriativo. Deve escludersi la necessità del ricorso alla normativa garantistica generale introdotta dalla Legge 07/08/1990 n. 241, allorchè la procedura espropriativa risulti già assistita da sufficienti garanzie di partecipazione dell’interessato al procedimento e di pubblicità dei relativi atti. Ancor più recentemente: L’approvazione di un progetto di opera pubblica, anche quando comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza ex art. 1 Legge n. 1/1978, non deve essere necessariamente preceduta dalle formalità garantistiche di cui agli artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971, fermo restando che queste formalità devono comunque essere compiute, anche se successivamente, nel corso del procedimento espropriativo (Consiglio di Stato, Sez. IV n. 147 del 02/02/1998). [3] E’ inaccettabile la costruzione tradizionale, secondo cui l’inadempimento delle formalità garantistiche, nel caso di approvazione del progetto di opera pubblica (anche con valore di variante), legittimamente avrebbe potuto essere posposto al suddetto atto di approvazione (S. De Santis, Dichiarazione di pubblica utilità implicita, formalità garantistiche e partecipazione al procedimento amministrativo, in GC, pag. 3.310). [4] In tal senso: TAR Lombardia, Sez. III, n. 524 del 21/07/1994; TAR Lombardia, Sez. Brescia n. 1.009 del 23/10/1995. [5] Altre sentenze favorevoli all’orientamento di apertura sono: Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, n. 195 del 19/11/1996; Consiglio di Stato, Sez. IV n. 1.326 del 27/11/1997; TAR Lombardia, Sez. II, n. 144 del 02/02/1998. [6]
Con la sentenza che si annota,
infatti, il mondo delle opere pubbliche fa un vero tuffo nel passato e
ritorna a vent’anni orsono, ovvero all’epoca in cui, con la Legge n.
1/1978, si decise di dare una svolta acceleratoria alla realizzazione delle
opere pubbliche. Prevedere, infatti, che, prima dell’approvazione del
progetto, si svolga il procedimento, alquanto lungo e farraginoso, di cui
agli artt. 10 e seguenti della Legge n. 865/1971, significa mettere una vera
e propria zavorra ai piedi dell’iter realizzativo dell’opera pubblica (Maurizio
Borgo, in Il giusto procedimento
espropriativo; Prime riflessioni sulla sentenza 15/09/1999, n. 14
dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato).
[7]
In tal senso, vedi G. Leone e A. Marotta, Espropriazione
per pubblica utilità, in Trattato
di diritto amministrativo, Vol. 27° CEDAM 1997.
curriculum :
Alesio avv. Massimiliano, nato a Portici (Napoli) il 17/07/1963, laureato
in giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli, ha svolto
attività forense in materia civile ed amministrativa. Ha conseguito la borsa
di studio, previo superamento di prove selettive, per partecipare al Master
annuale in Economia del settore pubblico, organizzato dal Formez di Napoli,
occupandosi di economia e finanza pubblica, diritto pubblico, sociologia delle
organizzazioni pubbliche e statistica. Al termine del Master, ha elaborato
quattro papers, ognuno per le singole aree tematiche, ed ha discusso la tesi
in diritto pubblico : I modelli di gestione dei servizi pubblici locali. Il
caso Bologna. Ha lavorato come ricercatore presso il Formez di Napoli,
predisponendo, fra l'altro, in collaborazione, il Rapporto biennale sui
servizi prodotti dal settore pubblico nel mezzogiorno. Primo classificato
nella graduatoria finale del concorso nazionale, per titoli ed esami, per 25
posti di vice-dirigente amministrativo presso l'Amministrazione autonoma dei
Monopoli di Stato. Dal 01/04/1993, esercita le funzioni di segretario
comunale, con attuale qualifica di segretario comunale capo (II fascia). Ha
partecipato a numerosi corsi seminariali, fra cui quello interprovinciale di
aggiornamento, organizzato dalla Prefettura di Piacenza, discutendo una tesi
in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi, e quello
organizzato dalla Prefettura di Milano. In entrambi i corsi, ha conseguito la
valutazione conclusiva di ottimo profitto. Conferimento di incarico, da parte
delle Edizioni Prime Note e della De Agostini, per la stesura di alcune voci
delle Enciclopedia Giuridica informatizzata degli Enti Locali.
E_mail: comune.agnadello@.tin.it,
oppure anatolj@libero.it,
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