Trasferimento illegittimo: riconoscimento del danno esistenziale solo se il lavoratore prova l’effettivo peggioramento delle condizioni di vita familiare

Redazione 16/05/13
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Anna Costagliola

Qualora un dipendente chieda il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti ad un trasferimento ingiustificato, che abbia condotto al fallimento del proprio matrimonio, deve allegare la prova che l’allontanamento ha provocato la fine della sua relazione. Ciò in applicazione degli ordinari principi del codice di rito, i quali impongono che colui che avanza una pretesa provi il fondamento del suo diritto. È quanto affermato dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione nella sentenza n. 11527 del 14 maggio scorso, che ha confermato sul punto la decisione della Corte di merito, la quale, pur avendo riconosciuto l’illegittimità del trasferimento del lavoratore ordinata dal datore di lavoro presso un’altra sede e il conseguente pregiudizio patrimoniale, tuttavia aveva escluso il risarcimento del danno esistenziale asserito dal ricorrente relativamente alla vita familiare e a quella di relazione.

Se è vero, infatti, che il danno esistenziale consiste nell’obiettivo peggioramento delle condizioni di vita, conseguenza di un fatto che ha inciso su beni costituzionalmente protetti, e se è altrettanto vero, come sostiene la Suprema Corte, che nel caso di specie ci si trova innanzi ad un fatto ingiusto del datore di lavoro che può avere inciso su diritti costituzionalmente rilevanti, collegati alla famiglia, alla vita di relazione ecc., è altresì vero che detto peggioramento delle condizioni di vita non è in re ipsa, ma abbisogna di essere provato. Il che implica che il dipendente avrebbe dovuto allegare quali conseguenze sul piano degli affetti e della vita di relazione avesse comportato il trasferimento per ritenere raggiunta una prova sufficiente ad affermare la verificazione del danno. In mancanza di qualsivoglia allegazione al riguardo da parte del dipendente, la Corte di merito ha ritenuto di escludere il risarcimento del danno esistenziale lamentato.

Gli Ermellini rilevano la coerenza e l’adeguatezza della decisione della Corte territoriale, la quale ha mostrato di attenersi ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia. In base a detti principi, infatti, il pregiudizio non si pone come conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro, per cui non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo piuttosto sul lavoratore non solo l’onere di allegare l’illegittimità di tale condotta, ma altresì quello di fornire la prova ex art. 2697 c.c., anche mediante presunzioni, del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con la condotta datoriale.

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