Separazione e affidamento dei figli

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Quando due coniugi si separano, il tribunale decide sull’affidamento dei figli se gli stessi sono  minorenni, vale a dire se non hanno ancora compiuto i 18 anni.

Superata questa età, i ragazzi, anche se forse sono immaturi e non autosufficienti,  per la legge sono maggiorenni e possono liberamente scegliere il genitore con il quale abitare.

Se non dovessero essere in grado di farlo possono anche decidere di vivere per conto proprio.

Per decidere i giudici tengono dell’interesse del minore, che prevale su ogni altra cosa.

Assistere a continui litigi o addirittura a scene di violenza è di sicuro peggio che avere i genitori separati.

La legge vuole che i giudici nel decidere tengano conto dell’esclusivo interesse morale e materiale del figlio, per consentirgli di superare, per quello che sia possibile, il trauma dello scioglimento della famiglia.

Per raggiungere questo fine, la regola è quella dell’affidamento condiviso (art. 337 ter c.c.).

Il minore viene affidato ad entrambi i genitori, che se ne devono occupare mantenendo con lui un rapporto sereno ed equilibrato.

Il padre e la madre gli devono continuare a garantire cura, educazione e istruzione, ed agevolare i rapporti con i componenti delle rispettive famiglie di origine, vale a dire nonni, zii e cugini.

Se ci si sta separando e dal matrimonio sono nati dei figli ancora minorenni, quasi di sicuro i giudici decideranno che sia la madre.

I due coniugi devono continuare a occuparsene allo stesso, come avveniva prima della separazione.

Se il giudice ritiene che l’affidamento condiviso sia contrario agli interessi del minore, può decidere di affidarlo a uno dei genitori.

Ad esempio, casi nei quali un padre o una madre che hanno compiuto, prima della separazione, atti di violenza familiare, che hanno coinvolto anche il figli, oppure quando un genitore che abbia delle cattive frequentazioni, che potrebbero turbare la serenità del bambino o del ragazzo e dargli un cattivo esempio, oppure a casi di malattia psichica che rendono impossibile a uno dei genitori di occuparsi del figlio.

In simili ipotesi il tribunale dispone l’affidamento esclusivo del minore al genitore che viene ritenuto idoneo, spiegando le ragioni della decisione (art. 337 quater c.c.).

Diverso dall’affidamento è il collocamento dei figli, quando si decide presso quale dei due genitori dovranno abitare.

Se sono stati affidati esclusivamente a uno dei genitori, dovranno vivere presso lo stesso.

In caso di affido condiviso, si deve decidere presso quale dei genitori i figli dovranno abitare.

Il collocamento può essere di tre tipi:

Collocamento prevalente.

Il minore ha la residenza prevalente presso uno dei genitori, che viene considerato più idoneo a garantirgli una vita domestica serena.

Il genitore in questione si chiama “collocatario”, e spesso si tratta della madre.

Questa è la soluzione che viene adottata più di frequente dai giudici, perché garantisce al bambino o al ragazzo una determinata stabilità.

Il minore si troverebbe disorientato se si dovesse spostare di continuo tra le abitazioni dei genitori.

Il genitore “non collocatario”, ha il diritto di incontrare il figlio e di trascorrere del tempo con lui.

I giudici stabiliranno i tempi e le modalità di incontro.

Se durante la causa i coniugi hanno evidenziano ragionevolezza, il tribunale si limiterà a dare indicazioni di massima, e loro potranno regolare i rapporti con il figlio concordandone i dettagli.

Se durante la causa i coniugi hanno evidenziato conflittualità, i giudici stabiliranno nel dettaglio i giorni e gli orari nei quali il coniuge “non collocatario” potrà incontrare i figli, la durata degli incontri, i giorni nei quali potrà tenere il minore, quanto tempo il bambino o ragazzo possa restare con lui.

Il tribunale deciderà anche con chi il minore debba trascorrere le vacanze natalizie, pasquali ed estive e i fine settimana.

Collocamento alternato

Il minore abita in modo alternato con ognuno dei genitori.

Ad esempio un mese con il padre e un mese con la madre.

Questo sistema non è molto utilizzato, perché si ritiene che il bambino o ragazzo si possa disorientare trasferendosi spesso da un’abitazione all’altra, mentre deve avere un ambiente domestico stabile e i suoi spazi nei quali studiare, riposare, giocare, ricevere gli amici.

Collocamento invariato.

Il figlio abita stabilmente quella che era la residenza familiare, e i genitori si alternano a vivere con lui.

Ad esempio, una settimana la madre e una il padre.

Questa soluzione si può adottare se i coniugi sono d’accordo, e ha il vantaggio di evitare al minore spostamenti, consentendogli di abitare sempre nello stesso ambiente e di conservare le sue abitudini.

Il genitore che per un determinato periodo coabita con il minore consentire all’altro di incontrare il figlio, e terminato il periodo di coabitazione deve lasciare subito l’abitazione all’altro genitore perché subentri.

Il figlio minore e con quale genitore vuole abitare

Se la separazione è giudiziale, decide il tribunale sia sull’affidamento sia sul collocamento dei figli minori.

La decisione considera e valuta diversi elementi raccolti durante la causa.

Il comportamento dei coniugi, le ragioni che hanno portato alla separazione, l’attività svolta da ognuno di loro.

A questo proposito ci si chiede se la volontà del minore non conti.

Ci si chiede se un sedicenne, che non è più un bambino e che quindi dovrebbe essere in grado di scegliere con un certo giudizio, può decidere con quale genitore stare.

La legge prevede che il giudice, ai fini della decisione, ascolti il figlio minore che abbia compiuto i 12 anni di età, e può ascoltare anche il bambino che abbia un’età inferiore, se lo ritiene capace di discernimento, vale a dire la capacità del minore di comprendere le situazioni e gli eventi, di ragionare in modo autonomo e di formarsi una sua opinione.

Al fine di comprendere se il minore ha capacità di discernimento, si può disporre un colloquio del bambino con un esperto, anche se non è tenuto a farlo.

La Suprema Corte di Cassazione, in una sentenza di qualche anno fa, ha affermato che l’accertamento tecnico non è indispensabile, e che può essere lo stesso giudice, sentito il minore, a valutare la sua capacità di discernimento.

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