Vittima di un incidente stradale. Perdita di chances e rilevante probabilità.

Redazione 20/02/14
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Svolgimento del processo

1.- Nel giudizio promosso da C.G. ei confronti di D.J. e della MA s.p.a., il Giudice di pace di Torino, rilevato che all’udienza del 4.2.2008 le parti avevano concordato in determinati parametri le lesioni patite dal ricorrente in un incidente stradale del 2005 (in particolare: “danno biologico 2,5%, ITP max gg. 10, ITP min. gg. 30”), ritenne satisfattivo l’importo di € 2.600 versato dalla società assicuratrice prima della causa, rigettò dunque la domanda e compensò le spese.
2.- Con sentenza pubblicata il 13.10.2009 il Tribunale di Torino ha respinto l’appello del G. e lo ha condannato alle spese del grado, che ha liquidato in € 2.058,63, oltre accessori.
3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione C.G., affidandosi a quattro motivi.

Nessuno dei due intimati ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Con i primi tre motivi, relativi alla liquidazione del danno non patrimoniale, la sentenza è censurata per vizio di motivazione su punto decisivo, per ultrapetizione e per violazione dell’art. 115 c.p.c.
Si sostiene che il Tribunale non aveva considerato la pacifica circostanza che la somma percepita ante causam dal G. a titolo risarcitorio ammontava ad € 2.250 e non ad € 2.600 (giacché € 350 erano state corrisposte a titolo di rimborso di spese legali) e che, nella determinazione dell’ammontare del risarcimento, il danno morale andava calcolato nella misura del 30% (come aveva fatto il giudice di pace sulla base dell’accordo delle parti) e non del 25%, come aveva invece officiosamente ritenuto il Tribunale pur in difetto di appello dei convenuti sul punto.
1.1.- Le censure, che possono congiuntamente esaminarsi per la connessione che le connota, sono prive di pregio.
Il Tribunale ha respinto il motivo di appello sull’imputazione di € 350,00 a rimborso delle spese di patrocinio sul rilievo (che si legge a cavallo delle pagine 7 e 8 della sentenza impugnata) che l’attore non lo aveva precisato con l’atto introduttivo del giudizio, riproducendone testualmente il passo che interessa. La ratio decidendi non è impugnata; anzi, il ricorrente totalmente ne prescinde, non facendovi alcun cenno in ricorso, sicché la censura di cui al primo motivo è inammissibile.
Le doglianze concernenti la liquidazione del danno morale nel 25%, anziché nel 30% della somma riconosciuta per danno biologico, per un verso si fondano su un presupposto insussistente: che, cioè, l’accordo delle parti concernesse anche quella specifica percentuale, oltre a quello che s’è riportato in corsivo nella parte espositiva (sulla base di quanto affermato a pagina 5 del ricorso); per altro verso non considera che il giudice di secondo grado, chiamato a stabilire se il danno morale dovesse liquidarsi in base ad una percentuale del danno biologico comprensivo della sua componente temporanea, ha bensì riconosciuto che le relative considerazioni dell’appellante fossero corrette, ma ha non di meno ritenuto che la somma complessivamente riconosciuta fosse congrua, considerando che corretta percentuale di riferimento della valutazione ineludibilmente equitativa anche del danno c.d. morale fosse quella del 25% (un quarto), anziché del 30%, di quanto riconosciuto per danno biologico.
Sostenere che non potesse farlo equivarrebbe ad affermare che sulla frazione assunta come congrua dal giudice di pace si fosse formato il giudicato in difetto di impugnazione della controparte. Ma tanto contrasterebbe con il principio – che viene qui enunciato – della onnicomprensività della liquidazione del danno non patrimoniale alla persona (Cass., sez. un., 26972/2008), che necessariamente comporta la considerazione complessiva dei pregiudizi subiti, con la conseguenza che, quante volte il giudice d’appello sia sollecitato alla valutazione dell’adeguatezza della somma complessivamente riconosciuta per la predicata insufficienza della liquidazione di un determinato tipo di pregiudizio, non gli è comunque inibito, in funzione della possibile valutazione di globale congruità della liquidazione operata dal giudice di primo grado, di riconsiderare anche le ulteriori voci di cui il danno non patrimoniale in ogni specifica ipotesi si compone.
2.- Col quarto motivo è dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c. per avere il tribunale ritenuto che la domanda di risarcimento del danno da “perdita di chance” fosse nuova e come tale inammissibile, essendo stato in primo grado richiesto il danno da “perdita della nuova occupazione” che l’incidente aveva impedito all’attore di assumere presso una società con la quale aveva concordato l’inizio del rapporto di lavoro a decorrere dal 5.10.2007.
Sostiene il ricorrente che “il danno da perdita di chance costituisce quello che è anche definito il danno da perdita di lucro cessante e, quindi, il significato di tali espressioni è paritetico” (così testualmente il ricorso, al secondo capoverso di pag. 15).
2.1.- *****é l’assunto sia erroneo, posto che le due espressioni non esprimono affatto lo stesso concetto (lucro cessante significa infatti mancato guadagno, mentre perdita di chance significa perdita di probabilità), è peraltro ben possibile che un danno da lucro cessante sia ravvisato sulla base della rilevante probabilità che, in assenza dell’evento lesivo che lo ha impedito, un guadagno si sarebbe invece verificato.
E’ quanto l’attore ha appunto domandato in secondo grado, a seguito del rigetto della relativa domanda da parte del Giudice di pace, che la aveva respinta in quanto il G., al momento del sinistro, non poteva vantare un formale contratto di lavoro; sicché, non essendo titolare di “una posizione lucrativa tutelabile, la sua semplice speranza di guadagno non poteva essere sic et simpliciter risarcita”.
Il riferimento alla chance nelle conclusioni dell’atto di appello non aveva dunque altra valenza che quella di una doglianza per non avere il giudice ravvisato la rilevante probabilità che il G. sarebbe stato assunto ed avrebbe percepito una retribuzione se non avesse subito le lesioni personali che, a suo dire, glielo avevano impedito.
Non si trattava pertanto di una domanda nuova, come tale preclusa dall’art. 345 c.p.c.; ed il tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi nel merito, compiendo il relativo apprezzamento (ovviamente nei limiti quantitativi delineati dall’attore in primo grado).
3.- Dovrà farlo il giudice del rinvio che, a seguito della cassazione della sentenza in accoglimento del motivo da ultimo scrutinato, si designa nello stesso tribunale in persona di diverso giudicante, il quale regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Torino in diversa composizione.

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