Violenza sessuale: per la condanna è sufficiente la costrizione ad un consenso viziato (Cass. pen., n. 44641/2013)

Redazione 05/11/13
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Svolgimento del processo

1.1 Con sentenza del 14 maggio 2012 la Corte di Appello di Cagliari riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Oristano del 17 novembre 2011 con la quale M.G. era stato ritenuto colpevole dei reati di maltrattamenti (art. 572 c.p.), violenza sessuale continuata (artt. 81 cpv. e 609 bis c.p.) ed atti persecutori (art. 612 bis c.p.) e condannato alla pena complessiva di anni otto di reclusione oltre le pene accessorie di legge, assolvendo il M. dal reato di cui all’art. 612 bis c.p. (capo C) della originaria rubrica) perchè il fatto non sussiste; escludendo la continuazione con riferimento al reato di violenza sessuale (capo B) della originaria rubrica) e, per l’effetto, riducendo la pena ad anni sei e mesi sei di reclusione, con conferma nel resto.

1.2 La Corte di Appello, nel confermare parzialmente il giudizio di colpevolezza espresso dal primo giudice con riguardo ai reati sub A) e B), precisava come lo stesso imputato aveva ammesso il reato di maltrattamenti contestandone solo la gravità della condotta come rilevata dal Tribunale, mentre con riguardo al reato di violenza sessuale ribadiva – diversamente da come sostenuto dall’appellante – la sua piena consapevolezza in merito al dissenso espresso dalla persona offesa. Nel ripercorrere la complessa vicenda processuale nata a seguito di una denuncia sporta il (OMISSIS) – dopo un periodo di convivenza more uxorio protrattosi per circa otto anni, allietato dalla nascita di un figlio avvenuta nel (OMISSIS) – la Corte cagliaritana aveva ritenuto di dover valutare sia la entità (e modalità) dei maltrattamenti, che i fatti di violenza sessuale, in modo unitario, al fine di comprendere il clima e contesto nel quale la vittima era stata costretta a vivere (così pag. 8 della sentenza impugnata).

1.3 Sulla base di tali premesse la Corte aveva radicalmente escluso, vuoi per l’aspra conflittualità tra la coppia, vuoi per le stesse modalità della violenza sessuale, tanto la modesta rilevanza dei maltrattamenti, quanto l’assenza di consapevolezza da parte del M. del dissenso manifestato dalla vittima al compimento di atti sessuali in suo danno (atti consistiti, dapprima, in una penetrazione da tergo ex abrupto, avvenuta in cucina, previo abbassamento della biancheria intima, dopo che la donna era stata ripetutamente e violentemente picchiata ed insultata e, successivamente, in altro rapporto sessuale proseguito contro la volontà della donna, ormai preda dell’uomo, nella soprastante camera da letto della casa).

1.4 Ricorre avverso la sentenza il M. tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo tre distinti motivi. Con il primo, la difesa denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 609 bis c.p.) oltre che manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di conferma del giudizio di responsabilità per il reato di violenza sessuale. Con il secondo, la difesa lamenta inosservanza della legge penale e sua erronea applicazione in punto di mancato riconoscimento – quanto al reato sub B) (violenza sessuale) della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c.. Con l’ultimo motivo la difesa si duole della erronea applicazione della legge penale in punto di determinazione della pena.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è parzialmente fondato nei termini che seguono.

2. Con il primo motivo l’imputato (che non si duole della intervenuta condanna per il delitto di maltrattamenti, salvo a sottolinearne la non particolare gravità, ribadita invece dalla Corte territoriale con motivazione giudicata manifestamente illogica), evidenzia come la Corte isolana abbia fatto cattivo uso della norma penale laddove ha ritenuto la sussistenza del reato pur in assenza di della consapevolezza da parte del M. del rifiuto, ritenuto dal giudice distrettuale implicito, da parte della donna al compimento di atti sessuali sulla propria persona: sostiene il ricorrente che il diverbio seguito da maltrattamenti fisici e, successivamente, da un atto sessuale non equivale a dimostrare la contrarietà della donna al rapporto sol perchè preceduto da atti lesivi ed aggressivi, peraltro asseritamente distanti temporalmente dall’atto sessuale.

3. Si tratta di una tesi che, oltre che non condivisibile intrinsecamente, appare basata su una interpretazione ad usum delfini di circostanze di fatto sulle quali la Corte cagliaritana non solo si è soffermata in modo dettagliato ma che ha valutato in modo congruo, logico e corretto anche sotto il profilo della ortodossia giuridica sulla base di un complessivo giudizio di attendibilità della vittima neanche contestato dal ricorrente. Ora, anche a non voler tenere conto della alternativa – e come tale inammissibile in sede di legittimità – ricostruzione delle circostanze dell’azione operata dal ricorrente, non può non rilevarsi la fragilità della tesi difensiva poggiante su un distorto e malinteso significato del concetto di violenza sessuale in termini riduttivi e contrari sia al significato della legge che al senso comune.

3.1 La Corte distrettuale ha evidenziato come l’azione sessuale si sia sviluppata dopo una lite, preceduta da una serie di offese verbali, degenerata in vera e propria aggressione fisica a suon di ceffoni e scuotimenti del capo della donna sul muro di casa e seguita – mentre la donna si trovava ancora in cucina dopo essersi rialzata da terra a seguito della caduta dovuta alle botte subite – da una inopinata penetrazione sessuale anale preceduta dall’altrettanto inopinato gesto compiuto, sempre da tergo, dal M., consistito nell’abbassare le mutande della donna.

3.2 Ognun vede come si tratti di un gesto particolarmente subdolo, insidioso e, soprattutto, repentino, tale, quindi, da impedire alla donna qualsiasi reazione e da renderla irretita alla merce dell’aggressore: non solo, ma ponendo in collegamento, come la Corte ha correttamente fatto, il momento dell’aggressione a quello del rapporto sessuale, emerge in modo ancor più nitido il dissenso implicito da parte della donna, ancorchè il gesto sessuale in sè non fosse stato connotato da violenza o costringimento fisico o minaccia. Si tratta, in definitiva di un atto che nell’evoluzione dei fatti può ben considerarsi come chiaro sintomo di una progressione criminosa che connota la condotta in termini di dolo particolarmente elevato. Anzi la stessa platealità del gesto sessuale e lo stesso modo, certamente non esemplare, di approcciarsi alla donna dopo averla insultata e poi picchiata, costituisce una sorta di ulteriore e più grave insulto alla sua femminilità che esclude in radice sia l’inconsapevolezza dell’autore del gesto, sia il tacito consenso della vittima, costretta solo a soggiacere alla energia dell’uomo.

3.3 Nella giurisprudenza di questa Corte è orientamento consolidato quello secondo il quale la violenza richiesta per l’integrazione del reato de quo non è soltanto quella che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta, tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo (in termini tra le tante, Sez. 3^ 1.2.2006 n. 6340, ***********. 233115; Sez. 3^ 15.6.2010 n. 27273, M., Rv. 247932). Ed a riprova di tale indirizzo va segnalato che anche l’assenza di segni di violenza fisica o di lesioni sulla vittima non esclude di per sè la configurabilità del reato di cui si discute, in quanto il dissenso della vittima può essere desunto da molteplici altri fattori e perchè è sufficiente la costrizione ad un consenso viziato (in termini Sez. 3^ 12.5.2010 n. 24298, O., Rv. 247877).

3.4 Alla stregua di tali considerazioni il reato, quindi, si è perfezionato tenuto conto sia del particolare contesto ambientale in cui è avvenuto il fatto, sia per la stretta correlazione spaziotemporale tra i maltrattamenti e il gesto sessuale in termini di sequenza criminosa progressiva. Ne deriva, quindi, l’erroneità dell’asserzione difensiva secondo cui l’atto sessuale non sarebbe possibile configurarlo perchè non connotato da violenza fisica, non senza rilevare che l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel reato di cui all’art. 609 bis c.p., in quanto la mancanza di consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si risolve in un errore di diritto come tale inescusabile (Sez. 3^ 10.3.2011 n. 17210, P.M. in proc. L, Rv. 250141).

4. Non è fondata neanche la censura basata sull’erronea applicazione della legge penale e correlata, manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata concessione della circostanza attenuante speciale del fatto di minore gravità.

4.1 Pur non avendo la Corte espressamente preso posizione sul punto, a fronte di una specifica censura difensiva, l’accenno alla gravità del fatto, alla particolare intensità del dolo ed al contesto violento in cui l’azione delittuosa è stata commessa, costituiscono indici impliciti di una valutazione negativa da parte della Corte territoriale in ordine alla insussistenza della invocata attenuante.

4.2 Va infatti ricordato che in materia di reati contro la libertà sessuale, la circostanza attenuante prevista dall’art. 609 bis c.p., per i casi di minore gravità deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, tenuto conto dei mezzi, delle modalità esecutive e delle circostanze dell’azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima sia stata compressa in maniera non grave (Sez. 3^ 8.5.2000 n. 9528, ***** C, Rv. 217708). I parametri, infatti, dei quali occorre tenere conto ai fini della concedibilità di tale attenuante sono quelli previsti dall’art. 133 comma 1 del codice penale sub nn. 1), 2) e 3) e non quelli indicati nel comma successivo (in termini Sez. 3^ 26.10.2011 n. 45692, B., Rv. 251611).

4.3 La Corte cagliaritana, nel fare riferimento al contesto spazio- temporale ed alla carica di violenza del comportamento (art. 133, comma 1, n. 1) ed alla intensità del dolo (art. 133, comma 1, n. 3) si è uniformata ai predetti criteri, sicchè nessun vizio logico caratterizza tale decisione.

5. E’, invece, fondata la doglienza riguardante il trattamento sanzionatorio, avendo il giudice distrettuale omesso di esplicitare, se non in termini di mero ed acritico richiamo alla sentenza di primo grado che aveva valutato la condotta dell’imputato anche alla luce di altri fatti di violenza sessuale poi esclusi dalla Corte territoriale, le ragioni per le quali riteneva congrua la pena, pur a fronte di specifiche doglianze che avrebbero richiesto una motivazione più accurata e articolata.

6. Sul punto si impone l’annullamento della sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari, mentre per il resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari. Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2013.

Redazione