Violenza sessuale: non occorre alcuna registrazione, spingere una ragazza dentro il bagno non è comportamento equivoco (Cass. pen. n. 39453/2013)

Redazione 24/09/13
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Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Milano, Sezione Riesame, con ordinanza depositata il 5 aprile 2013, ha rigettato la richiesta di riesame, confermando l’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Milano del 22 febbraio 2013, con la quale era stata disposta la custodia cautelare in carcere di P.F., indagato per il delitto di violenza sessuale, derubricata dal Tribunale in tentativo di violenza sessuale, in danno di R.M., in particolare, mentre la ragazza era in procinto di uscire dai locali bagno dell’esercizio **********, approfittando della temporanea assenza di altre persone, la spingeva all’interno della stanza e chiudendo a chiave la porta, con un braccio le cingeva il collo e con l’altra mano le toccava le parti intime dicendole “sta tranquilla non succederà niente basta che fai quello che ti dico”, alla reazione della ragazza, levava il braccio che le cingeva il collo per metterle una mano sulla bocca per evitare che urlasse e con l’altra mano si dirigeva verso i genitali, non riuscendo nell’intento perché la parte offesa riusciva a fuggire, fatto avvenuto in (omissis).
2. L’indagato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza lamentando violazione di legge, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in relazione al fatto che il pubblico ministero non aveva messo a disposizione della difesa la riprese di una videosorveglianza posta all’interno del locale ove sarebbe avvenuto il fatto, al fine di consentire alla stessa la valutazione delle emergenze probatorie, non potendosi condividere l’affermazione del Tribunale che tali riprese avrebbero costituito un mero spunto investigativo, in quanto tali filmato hanno valenza oggettiva e sono state poste a base dell’ordinanza cautelare. Tra l’altro i giudici del riesame hanno ritenuto attendibile la persona offesa, ma hanno ribadito la necessità di riscontri esterni, quale è la videoripresa del circuito di sorveglianza del locale. Mancherebbe inoltre la motivazione in ordine all’attualità del pericolo quanto all’esigenze cautelari, posto che la misura è stata disposta circa sei mesi dopo i fatti.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è fondato.
Per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti de libertate, occorre rammentare che il controllo non riguarda la ricostruzione dei fatti, né le valutazioni, tipiche del giudice di merito, sull’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o concludenza dei dati probatori, né la riconsiderazione delle caratteristiche soggettive delle persone indagate, compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate: tutti questi accertamenti rientrano nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata richiesta l’applicazione della misura cautelare e del tribunale del riesame. Il giudice di legittimità deve invece verificare che l’ordinanza impugnata contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno sorretto la decisione e sia immune da illogicità evidenti: il controllo investe, in sintesi, la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999, ********, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, *********, Rv. 206104).
2. L’ordinanza oggetto della presente impugnazione è sorretta da logica e corretta argomentazione motivazionale e risponde a tali due requisiti. Il Tribunale ha analiticamente esaminato le censure sopra indicate, già avanzate innanzi a quel giudice, confermando la gravità indiziaria degli elementi raccolti, che conducono all’individuazione dell’indagato quale autore del delitto per cui si procede, fondate sulle dichiarazioni della persona offesa, delle quali è stata riconosciuta la attendibilità e i numerosi riscontri alle stesse, costituiti dall’intervento dell’amico presente nel ********** richiamato dalle grida dalla ragazza, che ebbe ad affrontare l’aggressore e dalle dichiarazione dei due addetti al locale che assistettero alla parte finale della vicenda, ed anche dalle stesse ammissioni dell’indagato che, in sede di dichiarazioni spontanee innanzi al G.I.P., aveva ammesso di essere stato presente nel locale, e di avere anzi ricevuto “un invito” dalla ragazza stessa. Per cui risulta coerente l’affermazione dei giudici del riesame, oggi censurata dal ricorrente, della limitata rilevanza nel compendio probatorio delle registrazioni delle telecamere interne, non certo essenziali ai fini dell’esercizio della difesa stessa.
3. Il Tribunale ha, inoltre, evidenziato le ragioni per le quali devono essere ritenute sussistenti le esigenze cautelari, garantibili solo con la misura della custodia in carcere, in quanto emergono elementi specifici e concreti dalle modalità del fatto e dal comportamento processuale dell’indagato che escludono che il tempo trascorso dal fatto abbia costituito un motivo di allontanamento dai pregressi intenti delittuosi.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p. Inoltre una copia del presente provvedimento deve essere trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94, c. 1-ter disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94, c. 1-ter disp. att. c.p.p..

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