Partecipazione nel delitto di violenza sessuale di gruppo (Trib. Bologna, 9/12/2011)

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La sentenza in commento appare particolarmente rilevante, in quanto, focalizzando in modo assai netto il presupposto richiesto per la configurazione della partecipazione nel delitto di violenza sessuale di gruppo, sottolinea come, in ambito di concorso di persone sia necessario che eventuale, risulti inderogabile l’indagine sull’apporto del singolo rispetto alla illecita condotta principale.

 

Va, infatti, rilevato che – escludendo che la mera presenza del singolo soggetto sulla scena di un atto di violenza sessuale travalichi i limiti della connivenza non punibile – i giudici dell’appello cautelare hanno, peraltro, nella fattispecie, ribadito la necessità di uno scrutinio fattuale, che risulti rigorosamente concernente la posizione di ogni singola persona ritenuta concorrente nel reato.

 

Fatta la premessa che è insegnamento ormai costante, in dottrina ed in giurisprudenza che, per la configurabilità del delitto di cui all’art. 609 octies  c.p., sia sufficiente che gli autori del reato siano soltanto due e che uno di costoro sia l’autore materiale della violenza, potendo, l’altro – pur nella contestualità della sua  presenza fisica – limitarsi ad una mera adesione di carattere morale, emerge il carattere della previsione normativa, che delinea una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio e che “consiste nella partecipazione, da parte di più’ persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis  c.p.“.

 

Come testè osservato, presupposto necessario dell’azione di gruppo, riposa, quindi, nella contestualità della presenza degli autori del reato al momento e sul luogo del delitto.

 

L’esecuzione dell’atto illecito non richiede, quindi, quale elemento imprescindibile, che ciascuno dei compartecipi realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale degli altri correi, ben potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto  tipico di  riferimento ed essendo sufficiente che la violenza o la  minaccia provenga anche da uno solo degli agenti (cfr. Cass., sez. III, 13/11/2003, n. 3348).  

 

E’ stato, altresì, chiarito che il concetto di “partecipazione” non può essere  limitato nel  senso  di  richiedere il compimento, da parte  del  singolo, di un’attività’  tipica  di  violenza  sessuale.

 

Si deve ritenere, infatti, estesa la punibilità’ della condotta principale, concernente un reato a sfondo sessuale, rispetto a qualsiasi condotta partecipativa, ancorchè’ essa sia stata serbata in una condizione di effettiva presenza sul luogo ed al momento del reato, atta a fornire un contributo (morale e fisico) di rafforzamento del proposito che anima l’azione dell’autore materiale del reato.

 

Attese queste indicazioni, in ordine alla struttura della previsione di cui all’art. 609 octies c.p., altro profilo di spiccato rilievo ermeneutico riposa nella distinzione che intercorre rispetto al concorso di persone (art. 110 c.p.) nel reato  di cui all’art. 609 bis c.p. .

 

La previsione dell’art. 609 octies c.p. presenta, infatti, un quid pluris che trascende il necessario accordo delle volontà’ dei compartecipi al delitto (elemento presente anche nel delitto regolato dall’art. 609 bis c.p.), e che consiste nella necessaria ed effettiva simultaneità della presenza dei correi nel luogo e nel  momento della consumazione dell’azione criminosa, la quale esprima un rapporto causale inequivocabile rispetto alla condotta principale (1).

 

Il profilo che maggiormente si fa apprezzare, ai richiamati fini distintivi tra i due istituti, è ravvisabile, quindi, nella scelta di prevedere, con l’art. 609 octies c.p. (pur nell’identità delle condotte rispetto alla norma di cui all’art. 609 bis c.p.) un autonomo reato caratterizzato da una specifica e distintiva forza intimidatrice, che l’aggressione di gruppo svolge nei confronti della vittima rispetto a quella del  singolo individuo.

 

E’, dunque, pacifico che i reati, di cui agli artt. 609 bis e 609 octies c.p., possiedono il medesimo elemento oggettivo (atti di violenza sessuale), ma si  differenziano per il numero di partecipanti contemporaneamente presenti sul  luogo del  delitto.

 

Tale rilievo dimostra, inoltre, che per entrambe le fattispecie in oggetto si possono validamente configurare manifestazioni di concorso di più persone nel 

reato, sul piano materiale, che rendono sovrapponibili le due species, mentre il concorso, per  l’ipotesi di cui all’art. 609 bis c.p., può configurarsi in modo esclusivo nell’ipotesi di quello morale.

In relazione a tale norma, il concorrente sarà tale, pur non  partecipando materialmente agli  atti di violenza sessuale e pur non essendo presente sul  luogo del  delitto,  purchè egli abbia  istigato, consigliato,  aiutato,  agevolato  il singolo autore materiale della violenza e cioè’, in una parola, abbia posto in essere tutte quelle condotte che, normalmente, vengono sussunte sotto la fattispecie del concorso morale (ex plurimis Cass., sez. III, n. 42111/2007 Rv. 238151).

 

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Il punto di diritto su cui si incentra l’attenzione del Tribunale del Riesame, appare, quindi, l’idoneità del comportamento attivo dei compartecipi “ad inibire o indebolire la capacità difensiva della vittima”.

Dunque la pronunzia in questione si pone nel solco di quella giurisprudenza di legittimità che richiede, per la configurazione sia del delitto di cui all’art. 609 bis, che di quello di cui all’art. 609 octies, una propulsività comportamentale del singolo che, pur non assurgendo ad atto di violenza propriamente detto, si ponga, però, in un evidente nesso eziologico rispetto all’azione criminosa principale.

Si tratta, infatti, di un indirizzo per cosiddire (usando un’espressione assai in voga di questi tempi) “costituzionalmente orientato”, posto che la condizione di plurisoggettività (necessaria od eventuale) di un atto illecito di carattere penale non può derogare, in alcun modo, dal regime della responsabilità personale, introducendo forme abnormi di responsabilità collettiva od oggettiva.

Ergo, il singolo deve essere un vero e proprio concorrente, senza che possa venire in qualche maniera compressa o limitata la sfera di operatività dell’istituto della connivenza non punibile.

Il carattere di mera presenza contestuale di più soggetti nel luogo di commissione di atti di violenza ed al momento della esecuzione degli stessi, non può, comunque, determinare la sussistenza di una responsabilità di tipo oggettivo in capo a costoro, in assenza della prova rigorosa della esistenza di un contributo tipico (anche morale) ravvisabile e dimostrato rispetto all’azione principale.

Se, infatti, fosse sufficiente per un soggetto (onde risultare attinto dall’accusa di cui all’art. 609 octies c.p.), la circostanza di trovarsi in loco e di non attivarsi a contrasto dell’azione di violenza sessuale posta in essere da taluno, verrebbe a crearsi un irreversibile conflitto della citata norma rispetto al principio portato dall’art. 40 comma 2 c.p., che delimita espressamente le ipotesi in cui il soggetto debba attivarsi per impedire la commissione di reati ai casi di esistenza di un vero e proprio obbligo giuridico.

La partecipazione alla commissione di un reato, quindi, non può essere oggetto di presunzione, ma deve essere dimostrata, tanto più quando venga evocata sul piano strettamente morale.

Appare, pertanto, logico ritenere che il dato – peraltro assai importante – della contestualità, inteso di per sé, non sia in grado di porsi in un “rapporto causale inequivocabile”, rispetto all’illecito tipico, frutto dell’azione principale, così come richiesto anche da Cass., sez. III (sent. 11560 del 25 marzo 2010).

Nella fattispecie, quindi, il Tribunale del Riesame ha operato uno scrutinio delle singole posizioni, per inferire dai risultati così ottenuti la conclusione che il ricorrente – biasimevole sul piano morale – non era raggiunto da indizi di sorta che dimostrassero sia la sua adesione cosciente e volontaria all’altrui azione, sia il suo impegno a rafforzare la determinazione criminosa dell’autore del reato.

Questa considerazione viene, così, formulata, a prescindere dal fatto che la accusa possa venire sussunta nell’ipotesi di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p., oppure in quella di violenza di gruppo di cui all’art. 609 octies c.p. .

 

Avv. Carlo Alberto Zaina

 

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(1) La pluralità’ degli aggressori e la loro contemporanea presenza deve, però, venire intesa come fattore tangibilmente idoneo e specificatamente finalizzato a produrre effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la  forza  di  reazione (cfr, ex multis, Cass. sez. III, 12/10/2007, n. 42111, Salvin e Cass. sez. III, 13/11/2003, n. 3348, Pacca ed altro).

Sentenza collegata

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