Violazione del dovere di correttezza e non abuso d’ufficio per il sindaco che impedisce il passaggio pedonale con la propria auto (Cass. pen., n. 42849/2013)

Redazione 18/10/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1 febbraio 2013 il G.u.p. presso il Tribunale di Sala Consilina ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere ex art. 424 c.p.p., comma 2, e art. 425 c.p.p., comma 1, nei confronti dei coniugi I.E. e M.M. – il primo, nella qualità di Sindaco del Comune di (omissis) dal (omissis), e la seconda di ex Sindaco del medesimo Comune – escludendo la sussistenza del reato di abuso d’ufficio di cui agli artt. 110 e 323 c.p., dai predetti imputati commesso, secondo il tema d’accusa, sino all’anno 2011, per avere fatto uso di una strada pubblica (segnatamente, di un vicolo di collegamento tra via (omissis)) per fini privati, parcheggiandovi le proprie autovetture e rendendola di fatto impraticabile al transito pedonale di tutti i cittadini, attraverso l’apposizione di una grossa fioriera (acquistata con impegno di spesa del Comune nel giugno del 1998) su uno degli ingressi del vicolo, e la sosta sistematica delle rispettive autovetture private sulla stretta carreggiata stradale, ove “ad arte” non era stato previsto il divieto di sosta.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Sala Consilina, deducendo l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonchè i vizi di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in considerazione del fatto che gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari e la valutazione, da parte del G.u.p., di elementi di prova non ritualmente acquisiti dalla difesa (documentazione fotografica, priva di data certa, depositata in sede di udienza preliminare e ritraente la sosta in loco di ulteriori autoveicoli non riconducibili agli imputati) non consentivano di ritenere insufficienti le risultanze investigative, rendendo comunque doveroso il contraddittorio dibattimentale.

3. Con memoria depositata il 18 settembre 2013, il difensore degli imputati, Avv. *************, ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso del P.M., ovvero il suo rigetto, sulla base di un’articolata serie di argomentazioni a sostegno del giudizio prognostico di inutilità del dibattimento espressa dal G.u.p. nell’impugnata pronuncia, difettando gli elementi costitutivi dell’ipotizzato reato.

Motivi della decisione

4. Il ricorso non supera la soglia dell’ammissibilità. E’ noto che la sentenza deliberata ex art. 425 c.p.p., realizza un epilogo di fase processuale con specifiche caratteristiche (cfr., in termini, Sez. 5, 4 maggio – 19 giugno 2007, *****, n. 23838), dal momento che essa: a) pronunciata all’esito dell’udienza preliminare, non rientra nella categoria delle sentenze di proscioglimento (Corte cost., sent. n. 4 del 2008); b) ha mantenuto la sua natura “processuale”, destinata esclusivamente a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal P.M., anche dopo le modifiche recate dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 24 (Sez. 6, n. 1662 del 06/04/2000, dep. 01/08/2000, Rv. 220751); c) si propone come una decisione che non condiziona affatto in modo irrevocabile la definizione della vicenda processuale, nè produce effetti preclusivi o pregiudizialmente vincolanti verso la parte privata; d) consente la sua revoca, a fronte di sopravvenienza o scoperta di nuove fonti di prova ex art. 434 c.p.p.; e) è esclusivamente finalizzata a paralizzare l’iniziativa della pubblica accusa nel prosieguo del processo, solo quando il fondamento dell’accusa non sia idoneo a confermarne la validità nel giudizio.

Richiamato quanto or ora esposto, in merito alle connotazioni qualificanti la decisione di non luogo a procedere, va ribadito il principio secondo cui il Giudice dell’udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza ex art. 425 c.p.p., in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa approdare ad una soluzione conforme alla prospettazione accusatoria (Sez. 6, 8 marzo – 16 marzo 2011, n. 10803).

Orbene, proprio una rigorosa applicazione delle regole ermeneutiche dianzi richiamate consente di concludere per l’inammissibilità del ricorso, avendo fatto il Giudice buon governo delle norme sostanziali che ha inteso applicare nella vicenda processuale sottoposta all’attenzione in questa Sede.

Invero, la disamina delle sequenze argomentative linearmente poste a sostegno dell’impugnata pronuncia evidenzia che, nel caso di specie, il parametro di riferimento che ha orientato il vaglio delibativo del G.u.p. non è stato tanto quello dell’innocenza degli imputati, quanto invece quello incentrato sul profilo dell’inutilità del dibattimento (Sez. 6, n. 5049 del 27/11/2012, dep. 31/01/2013, Rv. 254241), essendosi rilevate, da un lato, la mancata enunciazione di una condotta violativa di norma di legge o di regolamento (i cui estremi non sono stati individuati nel capo d’imputazione, peraltro privo anche dell’indicazione del dies a quo), e, dall’altro lato, la carenza del profilo inerente al concreto verificarsi di un ingiusto vantaggio patrimoniale dai soggetti attivi procurato, con i loro atti, a sè stessi o ad altri, ovvero di un ingiusto danno che quei medesimi atti abbiano procurato a terzi (Sez. 6, n. 36020 del 24/05/2011, dep. 04/10/2011, Rv. 250776).

A tale riguardo, infatti, il G.u.p. ha chiarito, alla stregua di una plausibile ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, che la natura pubblica della traversa in questione, ove vige un divieto di transito, ma non anche un divieto di sosta, ne consente comunque la fruizione, per finalità di sosta, a tutti gli utenti della strada, non risultandone impedito l’accesso, da parte di chiunque, sul versante opposto a quello ove si trova posizionata la fioriera: la permanenza di autovetture in sosta, infatti, non impedisce il passaggio pedonale, ovvero il transito di carrozzelle per disabili.

Per altro verso, il G.u.p. non ha mancato di rilevare l’oggettiva circostanza legata alla residenza degli imputati in un’abitazione situata proprio nella traversa in questione, inferendone la correlativa implicazione di una fisiologica maggior frequenza di utilizzo della strada.

Occorre infine ribadire, al riguardo, che l’art. 323 c.p., con il richiamo alla locuzione “nello svolgimento della funzione o del servizio”, richiede che il funzionario realizzi la condotta illecita agendo nella sua veste di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, con la conseguenza che rimangono privi di rilievo penale quei comportamenti, che, quandochè posti in violazione del dovere di correttezza, siano tenuti come soggetto privato senza servirsi in alcun modo dell’attività funzionale svolta (Sez. 6, n. 6489 del 04/11/2008, dep. 13/02/2009, Rv. 243051).

5. Sulla base delle su esposte considerazioni, dunque, bene è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere ed il ricorso, a fronte della palese coerenza logico-giuridica ed adeguatezza delle ragioni giustificative del relativo percorso decisorio, deve essere conseguentemente dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2013.

Redazione