Vincoli espropriativi e vincoli conformativi: differenze (Cons. Stato n. 6700/2012)

Redazione 28/12/12
Scarica PDF Stampa

FATTO

I signori L. D’A. e A. I. sono proprietari di un lotto di terreno nel comune di Ostuni. Il terreno, in origine edificabile perché compreso in un piano di lottizzazione, è stato inserito nella zona G (“attrezzature di uso pubblico”) nel nuovo P.R.G. del Comune (1977) e, in sede di variante dello strumento urbanistico (1994-1995) in zona G3 (“verde esistente di carattere ecologico”).

Con atto notificato il 4 dicembre 2003, hanno diffidato l’Amministrazione comunale ad adottare i provvedimenti di ritipizzazione delle aree resisi necessari a seguito della decadenza dei vincoli quinquennali di inedificabilità assoluta imposti dalla strumento urbanistico generale; in seguito hanno impugnato la nota comunale di diniego del successivo 18 dicembre, chiedendone l’annullamento insieme con la declaratoria dell’obbligo del Comune di procedere alla riqualificazione urbanistica dell’area.

Il ricorso è stato respinto dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Lecce, Sezione I, con sentenza 22 luglio 2004, n. 5417.

Il signor D’******** e la signora I. hanno interposto appello contro la sentenza.

L’art. 22 delle N.T.A. al P.R.G. di Ostuni vieterebbe, nella zona in oggetto, costruzioni di qualsiasi tipo; ammetterebbe nelle costruzioni esistenti solo opere di manutenzione ordinaria e straordinaria; neppure consentirebbe di modificare il verde esistente. Il vincolo nascente dal Piano dovrebbe perciò intendersi come preordinato all’esproprio o comunque tale da sottrarre sostanzialmente l’area alla naturale vocazione edificatoria. Essendo di conseguenza applicabile l’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n.1187, ne discenderebbe la perdita di efficacia del vincolo allo scadere del quinquennio.

Il Piano, inoltre, inciderebbe in parte qua su beni determinati, nella misura in cui i suoi vincoli non deriverebbero dalle caratteristiche proprie di intere categorie di beni, ma costituirebbero il frutto di specifiche scelte pianificatorie. Sarebbe quindi irrilevante la circostanza che i vincoli riguardino non solo l’area degli originari ricorrenti, ma una più vasta zona di proprietà di più persone.

Il Comune di Ostuni si è costituito in giudizio per resistere all’appello.

Gli appellanti hanno anche chiesto l’adozione di misure cautelari.

Alla camera di consiglio del 18 novembre 2005, la causa è stata rinviata al merito.

In vista dell’udienza pubblica, le parti hanno depositato memorie.

Gli appellanti insistono nel senso della qualificazione espropriativa, piuttosto che conformativa, dei vincoli di P.R.G.

Il Comune sottolinea che la tipizzazione ricadrebbe su una indistinta fascia territoriale, in funzione delle qualità intrinseche di questa; investirebbe cioè una pluralità di beni aventi caratteristiche omogenee e non beni determinati.

All’udienza pubblica del 18 dicembre 2012, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Nel discutere della legittimità della nota del Comune di Ostuni in data 18 dicembre 2003, il ricorso originario, la sentenza impugnata e l’atto di appello fanno riferimento all’art. 2 della legge n. 1187 del 1968, in realtà all’epoca non più vigente, per essere stato abrogato a decorrere dal 30 giugno dello 2003 (art. 58 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e successivo art. 3 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2002, n. 185).

Da tale abrogazione, tuttavia, non è seguita una modifica sostanziale di disciplina, poiché l’art. 9, comma 2, dell’atto che – all’art. 58 – tale abrogazione ha disposto (d.P.R. n. 327 del 2001) ha fissato in cinque anni la durata del vincolo preordinato all’esproprio, come prima stabiliva l’art. 2, comma 1, della legge n. 1187 del 1968.

Peraltro – secondo un orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato, non solo presso il giudice amministrativo (si veda anche, ad esempio, Cass. civ., SS. UU., 25 novembre 2008, n. 28051) – non ogni vincolo posto alla proprietà privata dallo strumento urbanistico generale ha carattere espropriativo ed è dunque soggetto alla disciplina relativa.

In altri termini, occorre distinguere tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, secondo una linea di discrimine che ha un preciso fondamento costituzionale, in quanto l’art. 42 Cost. prevede separatamente l’espropriazione (terzo comma) e i limiti che la legge può imporre alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale (secondo comma).

Per meglio dire, i vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata. Non può invece attribuirsi carattere ablatorio ai vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale, quali il vincolo di inedificabilità, c.d. “di rispetto”, a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, verde, ecc. (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2010, n 8531; Id., Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9772; Id., Sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4242; Id., Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 244; ivi riferimenti ulteriori).

D’altronde, nel caso di specie – come ha affermato correttamente la sentenza di primo grado, alla quale l’appello non riesce a muovere censure efficaci – l’area di cui si discute ricade all’interno di un’ampia fascia territoriale, di cui il Comune intende preservare le specifiche caratteristiche e qualità. Il vincolo a verde rappresenta dunque espressione del potere pianificatorio di razionale sistemazione del territorio in zone omogenee, in radice diverso dal potere ablatorio preordinato all’adozione di provvedimenti di espropriazione.

Le disposizioni di legge sopra richiamate, che prevedono la decadenza del vincolo al decorso del quinquennio, sono dunque inapplicabili alla vicenda.

Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto.

Apprezzate le circostanze, le spese di giudizio possono essere compensate.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012

Redazione