Vendita on line di semi di marijuana: correlata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse non integra il reato dell’art. 82 T.U. stup. (Cass. pen. n. 47604/2012)

Redazione 07/12/12
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 1 giugno 2011, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Firenze, in esito a giudizio abbreviato, ha assolto gli imputati L..B. e G.M. , con la formula perché il fatto non sussiste, dai reati previsti dagli artt. 110, 81, 414 cod. pen., 82 T.U. stup. (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) loro contestati per avere istigato all’uso illecito, o alla coltivazione, di marijuana offrendo e pubblicizzando via internet la vendita di semi delle piante unitamente ad un opuscolo recante precise indicazioni per la loro coltivazione.

Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha osservato, in punto di fatto, che l’addebito faceva riferimento alla sola commercializzazione dei semi con indicazioni botaniche relative esclusivamente alla loro crescita.

Indi, il Giudice ha scartato le ipotesi della configurabilità del reato previsto dall’art. 414 cod. pen. (essendo più specifico quello di istigazione ex art. 82 T.U. stup.) e della sussunzione della condotta nel concetto di proselitismo, contemplata dall’art. 82, per il mancato coinvolgimento di più persone ad un determinato stile di vita caratterizzato dalla assunzione di stupefacenti.

Il Giudice ha rilevato che, nel caso di specie, mancavano consigli per estrarre dalle piante il principio attivo, per cui difettava quella spinta emotiva o morale all’uso di sostanze stupefacenti che distingue la condotta di istigazione penalmente rilevante, prevista dall’art. 82 T.U. stup., dalla semplice propaganda, che configura un illecito amministrativo a sensi del successivo art. 84.

2. Per l’annullamento della sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, deducendo, con un unico motivo, erronea applicazione di legge.

Lamenta che la sentenza si sia discostata dal principio, affermato da varie pronunce della Cassazione, secondo cui la vendita di semi di cannabis o marijuana su un sito internet liberamente accessibile, con corredo di indicazioni per la coltivazione delle specie offerte, integra il reato dell’art. 82 T.U. stup. e non la meno grave fattispecie prevista dall’art. 84.

Gli imputati hanno presentato una memoria rilevando, in particolare, che, in un caso del tutto sovrapponile al presente, essi erano stati assolti dal giudice di merito e la Corte di cassazione (Sez. 4, n. 6973 del 17/01/2012) aveva respinto il ricorso del pubblico ministero.

3. Il processo è stato assegnato alla Terza Sezione penale, che alla udienza del 29 maggio 2012, rilevando come il caso fosse stato risolto in modo difforme in sede di legittimità, ha provveduto a rimettere il ricorso alle Sezioni Unite a sensi dell’art. 618 cod. proc. pen.

4. Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali con decreto del 5 luglio 2012, fissandone per la trattazione l’odierna udienza.

 

 

Considerato in diritto

 

1. La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite è la seguente: “Se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze con la indicazione delle modalità di coltivazione e della resa”.

2. Sul tema, la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo contrastante.

2.1. Un primo orientamento (rappresentato dalle sentenze Sez. 4, n. 26430 del 20/05/2009, Pesce, Rv. 244503; Sez. 4, n. 23903 del 20/05/2009, **********. 244222; Sez. 4, n. 2291 del 23/03/2004, ********, Rv. 228788) interpreta l’art. 82, comma 1, T.U. stup. nel senso che la condotta istigatoria in esso delineata comprende l’attività di pubblicizzazione di semi di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti con precisazioni sulla coltivazione delle stesse. L’argomentazione posta alla base della conclusione si incentra nel rilievo che, anche in mancanza di pubblicità volta ad esaltare la qualità del prodotto e l’uso dello stupefacente che si ricava dalle piante, la normale finalità della coltivazione è l’ottenimento e l’utilizzo della droga. Sussiste, pertanto, una interconnessione tra pubblicizzazione di semi, coltivazione degli stessi e utilizzo di sostanze stupefacenti. Conforme alle ricordate decisioni è quella della Sez. 4, n. 15083 del 08/04/2010, ******, non massimata.

2.2. Ad analogo risultato, pervengono due sentenze con un iter motivazionale più articolato.

Si afferma, in particolare, che il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti si configura quando la condotta dell’agente, per il contesto in cui si realizza e per le espressioni usate, sia idonea ad indurre i destinatari delle esortazioni all’uso delle dette sostanze; consegue che la condotta di istigazione può astrattamente consistere nel fornire agli acquirenti dettagliate notizie sulle modalità di coltivazione di piante dalle quali sono ricavabili sostanze stupefacenti.

L’apprezzamento di fatto relativo alla efficacia ed idoneità in concreto delle modalità di pubblicizzazione è riservato al giudice di merito, il quale può desumere la condotta concretamente antigiuridica anche dal fatto che l’offerta sia indirizzata ad una platea indeterminata di soggetti (Sez. 6, n. 38633 del 24/09/2009, ********, Rv. 244559).

Un’altra decisione, quella della Sez. 5, n. 16041 del 05/03/2001, *****, Rv. 218484, è stata in tale modo massimata: “Ai fini della configurabilità del reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti occorre che l’agente, per il contesto in cui opera e per il contenuto delle sue esortazioni, abbia, sul piano soggettivo, l’intento di promuovere tale uso e, dal punto di vista materiale, di fatto si adoperi, con manifestazioni verbali, con scritti o anche con il ricorso al linguaggio simbolico affinché l’uso di stupefacenti da parte dei destinatari delle sue esortazioni sia effettivamente realizzato (fattispecie nella quale la Corte ha escluso il reato nel caso di volantinaggio da parte di studenti favorevoli alla liberalizzazione di droghe leggere)”.

2.3. Una diversa opinione (espressa da Sez. 4, n. 6972 del 17/01/2012, ********, Rv.251953) si discosta dalle precedenti, movendo dal principio giurisprudenziale secondo il quale la vendita di semi di piante dai quali sono ricavabili sostanze stupefacenti non costituisce reato perché riconducibile agli atti preparatori privi di potenzialità causale rispetto alle attività vietate. Alla luce di tale principio, la sentenza interpreta il rapporto tra la fattispecie penale dell’art. 82, comma 1, riferita a chi pubblicamente istiga all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, e l’illecito amministrativo, di cui al successivo art. 84, concernente la propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle previste dall’art. 14. In particolare, rileva che la condotta dell’art. 84 non possa consistere in un propaganda finalizzata alla vendita, ma semplicemente in un’opera di diffusione senza induzione all’acquisto; nella condotta dell’art. 82, invece, si riscontra un qualcosa di aggiuntivo che spinge all’uso del prodotto da parte del destinatario della propaganda. Ne consegue che, nei casi in cui la pubblicità si soffermi solo sulla illustrazione delle caratteristiche delle piante che nascono dai semi e sulle modalità della loro coltivazione, il reato dell’art. 82 non può ritenersi sussistente perché l’azione non è idonea a suscitare consensi ed a provocare il concreto pericolo dell’uso di stupefacenti da parte dei destinatari del messaggio.

3. Innanzi tutto, è opportuno precisare che ogni tipo di inserzione pubblicitaria avente per oggetto prodotti droganti deve essere oggetto di divieto.

Il principio ha un fondamento sovrannazionale nell’art. 10, comma 2, della Convenzione di Vienna del 1971, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge del 25 marzo 1981, n. 385, che stabilisce: “Ciascuna parte, tenendo debito conto delle norme della sua Costituzione, proibirà le inserzioni pubblicitarie riguardanti le sostanze psicotrope e destinate al grosso pubblico”.

Il nostro ordinamento, nell’alveo della lotta alla droga, colpisce, con una forte anticipazione della tutela penale, ogni forma di propaganda degli stupefacenti ed ogni condotta di stimolo alla creazione, diffusione o al consumo degli stessi.

Non è, tuttavia, ineludibile nel settore della inibita propaganda la mera offerta in vendita di semi dalla cui pianta sono ricavabili sostanze stupefacenti; l’attività che ha tale oggetto, di per sé, non è vietata configurandosi come atto preparatorio non punibile perché non idoneo in modo inequivoco alla consumazione di un determinato reato per la considerazione che non è dato dedurre la effettiva destinazione dei semi (sentenze Sez. 2, n. 10496 del 01/09/1988, ********, Rv. 179539; Sez. 4, n. 13853 del 04/12/2008, Kurti, Rv. 243194; Sez. 4, n. 6972 del 22/02/2012, ********, Rv. 251953).

4. Poiché la sentenza impugnata incentra il suo apparato argomentativo sulla applicabilità al caso dell’art. 84 e non sul contestato art. 82 (mentre il Pubblico Ministero nel suo ricorso ed il Procuratore Generale nella sua requisitoria opinano il contrario), si ritiene puntualizzare la distinzione tra le due norme anche se, come si dirà, la risoluzione del caso sottoposto alle Sezioni Unite si rinviene altrove in un diverso referente normativo.

5. Il fondamentale elemento discretivo tra le due fattispecie (i residui sono di minore significatività in rapporto al quesito in esame) deve essere reperito nella tipologia delle condotte; una loro precisa individuazione esclude già che in certe ipotesi nascano problemi di conflitto.

La pubblicità è in genere concisa, non mira a proporre modelli di comportamento ed a persuadere il pubblico facendo leva sulle presunte ragioni ideologiche che stanno alla base della scelta suggerita; quindi, non è conciliabile con la nozione di proselitismo.

Il messaggio pubblicitario non implica un rapporto personale tra il propagandista ed il destinatario con opera di diretto influenzamento dell’uno sull’altro, per cui è da scartare che possa essere classificato nel novero della induzione.

Rimane la condotta di istigazione effettuata pubblicamente (secondo la disposizione definitoria dell’art. 266, ultimo comma, cod. pen.) che presenta un labile confine con quella di propaganda; dato che il Legislatore ha usato nello stesso contesto normativo termini diversi, occorre che l’interprete non li omologhi e cerchi di individuare i rispettivi ambiti di applicazione, si da rendere ragionevole la scelta della differente risposta punitiva.

6. Sul punto, la citata sentenza della Sez. 4 n. 6972 del 2012 ha focalizzato la distinzione, ponendo l’accento sulle caratteristiche del messaggio pubblicitario che, nell’art. 84, deve essere asettico e non deve indurre i destinatari all’acquisto o all’uso del prodotto stesso.

La Corte condivide questa impostazione, anche se sono eccezionali le ipotesi di propaganda pubblicitaria che non invoglino all’acquisto; tuttavia, il criterio individuato nella sentenza è l’unico reperibile che, sul piano strutturale, diversifichi le condotte, incida significativamente sul livello della offesa ed abbia come ricaduta di condurre la previsione dell’art. 84 nell’alveo di una ipotesi marginale e di scarsa lesività.

Si ritiene, pertanto, che rientri nella propaganda pubblicitaria la condotta di chi si limita in modo asettico e neutro a rendere noto al pubblico la esistenza della sostanza veicolando un messaggio non persuasivo e privo dello scopo immediato di determinare all’uso di stupefacenti.

7.La delineata esegesi del rapporto tra norme trova riscontro nella clausola di riserva dell’art. 84, comma 2, non valutata dalla giurisprudenza che si è occupata dell’argomento. Il Legislatore si è reso conto che il termine propaganda può essere interpretato con parametri non bene definiti e che tra le sue previsioni non sussiste un rapporto di specialità risolvibile a sensi dell’art. 9 legge 24 novembre 1981, n. 689, bensì di gravità crescente, ed ha fornito una chiave per risolvere il conflitto apparente di norme.

8. Occorre ora prendere in considerazione la fattispecie concreta e verificare se, come sostenuto dal ricorrente, sia corretto il suo inquadramento nella ipotesi di reato dell’art. 82, sotto la previsione della istigazione all’uso di stupefacenti; sul tema, la Corte non condivide la opinione delle sentenze che hanno risposto positivamente, perché la condotta contestata solo indirettamente ed eventualmente conduce al consumo di sostanze droganti.

Non è possibile equiparare la nozione di stupefacente a quella di pianta dalla quale, con determinati procedimenti chimici neppure menzionati nella pubblicità, è ricavabile una sostanza drogante che, allo stato naturale, è compresa nelle tabelle; una simile esegesi non rientra nel novero di una plausibile interpretazione estensiva perché travalica l’ambito dei possibili significati letterali, sia pure amplificati all’estremo, del termine stupefacente e dilata il fatto tipico integrandolo con una ipotesi non espressamente inclusa con palese violazione del principio di tassatività e del divieto di analogia nel diritto penale.

Inoltre, se si fosse trattato di offerta in vendita di sostanze stupefacenti, la condotta sarebbe sussumibile nella previsione dell’art. 73, comma 1, T,U. stup.

9. Quanto precisato sul divieto della analogia (valevole anche per le sanzioni amministrative per il principio di legalità inserito nell’art. 1, comma secondo, legge n. 689 del 1991) non è trasferibile anche all’art. 84 per il quale la propaganda può essere effettuata anche indirettamente, cioè, facendo sorgere nel pubblico – in modo obliquo, dissimulato o per associazioni di idee – il riferimento implicito alla sostanza stupefacente.

La citata norma, tuttavia, non è applicabile perché la offerta del prodotto da parte degli imputati era correlata da ulteriori, allettanti specificazioni. La precisazione rende il caso non inquadratane nella previsione dell’art. 84, perché il messaggio non era neutro ed asettico: indicando i metodi botanici più appropriati per la resa dei semi, la pubblicità invitava i destinatari all’acquisto dei semi come attività prodromica al successivo comportamento consistente nella coltivazione di piante dalle quali è estraibile una sostanza stupefacente.

Questa ultima condotta è vietata dall’art. 26 T.U. stup. e prevista come delitto dal successivo art. 73, comma 3, perché accresce la disponibilità di droghe con conseguente pericolo di diffusione illecita delle stesse.

10. Poiché gli imputati istigavano a commettere un reato con le modalità esecutive dell’art. 266, comma quarto, cod. pen., il caso può rientrare nella previsione dall’art. 414 cod. pen.; tale fattispecie si pone come norma generale e non è applicabile in presenza di reati di istigazione più specifici.

In virtù di questo principio, il Giudice ha rilevato che il delitto previsto dall’art. 82 sarebbe una specie rispetto alla previsione codicistica; la tesi non è condivisibile perché raffronta il reato di istigazione a delinquere con quello di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti che deve essere escluso per la già detta ragione (al paragrafo 8).

La esatta comparazione tra norme, rapportata alla ipotesi che ci occupa, porta a concludere che l’art. 82 non è strutturato come species rispetto al genus dell’art. 414 cod. pen., perché non annovera tra le condotte punibili la illegale coltivazione di stupefacenti.

11. Tanto premesso, è appena il caso di osservare come, al fine della possibile sussunzione del fatto in esame nel delitto di istigazione a delinquere, non rilevi che la pubblicità fosse carente di indicazioni circa le modalità con le quali è estraibile lo stupefacente perché la mera coltivazione (sia pure alla condizione specificata al paragrafo 13) è punita dall’art. 73 T.U. stup.

È, pure, ininfluente che il comportamento suggerito fosse privo della sua qualificazione penale essendo sufficiente il requisito della indicazione degli elementi fattuali della condotta suggerita (ed il delitto evocato aveva un inequivoco livello di determinatezza).

12. È, anche, inconferente, per il perfezionamento della fattispecie dell’art. 414 cod. pen., l’esito della azione istigatrice, in virtù della clausola di indifferenza inserita nel comma primo (che costituisce una deroga al generale principio contenuto nell’art. 115 cod. pen.), ma è necessaria la potenziale offensività della condotta che è richiesta per tutti i reati anche quando il precetto tenda ad evitare la messa in pericolo del bene oggetto di tutela penale.

Occorre, pertanto, una ponderazione – riservata al magistrato di merito e da effettuarsi con giudizio ex ante – circa la reale efficienza della azione stimolatrice a spronare le persone con modalità tali da persuaderle a passare alla azione e da porsi come antecedente adeguato per indurle a commettere il fatto illecito (sulla natura di delitto di pericolo concreto della fattispecie dell’art. 414 cod. pen,, v. tra le altre, Sez. 1, n. 26907 del 05/06/2001, *******, Rv.219888).

13. Si evidenzia, inoltre, che, per la configurabilità del delitto ex art. 414 cod. pen., non è richiesta la punibilità in concreto della condotta istigata, ma è necessario che la stessa sia prevista dalla legge come reato.

Sul punto, occorre tenere nel debito conto il principio enucleato dalle Sezioni Unite che (dopo avere precisato come costituisca un reato di pericolo astratto qualsiasi attività di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali è estraibile una sostanza stupefacente) hanno ricordato il canone nullum crimen sine infuria sotteso a tutti i reati che, secondo la giurisprudenza costituzionale, opera per il Legislatore in astratto e per gli interpreti in concreto quale criterio ermeneutico.

Consegue che necessita verificare, con una valutazione di fatto improponibile in sede di legittimità, se la condotta contestata all’agente ed accertata sia assolutamente inidonea a mettere a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva; tale ipotesi ricorre quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non produca un effetto drogante rilevabile (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di ******, Rv. 239920).

14. Da quanto esposto, emerge che la risoluzione del caso implica, anche, questioni di fatto che esulano dai limiti cognitivi della Cassazione che può solo osservare come, allo stato, non emerga in modo palese che la pubblicità degli imputati fosse inoffensiva; deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze trattandosi di ricorso immediato a sensi dell’art. 569, comma 1, cod. proc. pen..

15. In relazione a questa statuizione, non rileva la circostanza che il ricorso del Pubblico Ministero non contiene un riferimento specifico alla fattispecie di istigazione a delinquere perché questa limitazione non interferisce con il principio devolutivo della impugnazione; la esatta qualificazione giuridica dei fatti è questione di diritto la cui risoluzione compete a questa Corte che non è vincolata alle prospettazioni delle parti.

Si precisa che la contestazione dell’art. 414 cod. pen. era stata correttamente effettuata dal Pubblico Ministero nel capo di imputazione sia con la indicazione della norma sia con la precisazione della condotta materiale posta in essere; pertanto la conclusione non pone problemi sulla fattiva possibilità degli imputati di comprendere l’accusa e di difendersi.

16. Nel giudizio di rinvio, la Corte di appello si confermerà al seguente principio di diritto: “La offerta in vendita di semi di piante dalle quali è ricavatole una sostanza drogante, correlata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non integra il reato dell’art. 82 T.U. stup., salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per configurare il delitto previsto dall’art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”.

17. Inoltre, i nuovi Giudici dovranno effettuare, quanto alla idoneità della condotta, la valutazione concreta rapportata alle peculiarità del caso, inerente alla reale attitudine della azione istigatrice a porsi come antecedente adeguato per influire sulla altrui volontà e fare sorgere, o rafforzare, il proposito di coltivare illecitamente piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti; dovranno verificare, sul piano della lesività, se la pubblicità non solo inducesse alla coltivazione, ma se fosse articolata in modo tale da sollecitare gli acquirenti del semi a porre in essere un comportamento penalmente rilevante, cioè, atto a determinare una germinazione dalla quale fosse ragionevolmente prevedibile il ricavo di un prodotto finito con effetto drogante.

In merito alla volontà degli imputati di determinare altri a commettere il reato, i Giudici del rinvio dovranno analizzare la indicazione, contenuta nella inserzione pubblicitaria (che segnalava come la coltivazione necessitasse di previa autorizzazione) e considerare se l’ammonimento fosse serio ed il suo rispetto controllato al momento della vendita dei semi al fine di valutare la sua efficacia deterrente per i destinatari ed esimente per gli imputati.

Per costoro, l’assoluzione per un fatto identico a quello in esame non rileva ai fini del dolo perché successiva alla inserzione pubblicitaria per cui è processo.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo a) della imputazione e rinvia alla Corte di Appello di Firenze.

Redazione