Vani sottotetto: includibilità nei computi volumetrici (Cons. Stato n. 2219/2013)

Redazione 19/04/13
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FATTO e DIRITTO

I sigg.ri ***** e ********, proprietari di un’abitazione in Rignano sull’Arno alla via Calcinaia, impugnavano dinanzi al T.A.R. per la Toscana la concessione edilizia n. 42 del 13 settembre 1988, con la quale il locale Comune aveva assentito la realizzazione di un’abitazione bifamiliare di fronte a quella di essi ricorrenti (e a valle di questa) in favore dei sigg.ri S. Cesare, A. Daniela, S. Valeriano e R. Graziella.

Il ricorso veniva accolto dal Tribunale adìto sulla scorta di una verificazione tecnica con la sentenza n. 552 del 29 agosto 1996, che annullava la concessione impugnata.

Da qui la proposizione avverso tale sentenza, da parte dei soccombenti, del presente appello dinanzi alla Sezione, con il quale si deducevano i rilievi di fondo dell’inattendibilità delle risultanze della verificazione e del loro travisamento da parte del T.A.R..

Resistevano all’appello gli originari ricorrenti, deducendone l’infondatezza.

Gli appellanti nelle more del giudizio presentavano al Comune un’istanza per l’accertamento di conformità edilizia relativamente all’immobile oggetto di causa ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985 e dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005.

L’Ente con provvedimento n. 12 del 21 giugno 2007 accertava la conformità dell’immobile per gli aspetti oggetto dell’istanza, e con nota n. 8028/2007 infliggeva una sanzione pecuniaria.

La Sezione con ordinanza n. 4410 del 10 agosto 2007 disponeva incombenti istruttori, chiedendo chiarimenti all’Amministrazione sulla predetta sanatoria. L’Ente riscontrava l’ordinanza comunicando, con nota del 20 dicembre 2007: che l’accertamento di conformità rilasciato agli appellanti riguardava mere modifiche non essenziali, riconducibili a varianti in corso d’opera ai sensi dell’art. 15 della legge n. 47 del 1985; che la procedura di sanatoria si correlava, appunto, solo all’omessa presentazione della variante in corso d’opera da parte dei proprietari; che, infine, l’accertamento di conformità “era stato rilasciato per errore materiale in quanto nella pratica originaria non era riportata la sentenza del T.A.R. Toscana n. 552 del 29 agosto 1996.”

Le parti in causa, nelle more, sviluppavano le rispettive tesi con l’ausilio di molteplici memorie.

La Sezione con successiva sentenza interlocutoria n. 2667 del 5 giugno 2008 disponeva una consulenza tecnica d’ufficio, intesa a chiarire lo stato dei luoghi e la conformità del manufatto alle disposizioni della normativa di attuazione dello strumento urbanistico comunale all’epoca vigente.

L’Università degli Studi di Firenze con verbale del 10 luglio 2008 individuava il consulente tecnico d’ufficio nella persona del prof. ***************, ordinario di urbanistica.

Indi con ordinanza della Sezione n. 938 del 2011 i quesiti da sottoporre al CTU venivano definiti nei termini seguenti:

“a) accerti il CTU, esaminati i documenti esistenti presso l’ufficio tecnico del comune ed effettuando ogni altra indagine che ritenga necessaria a tali fine, quale fosse il piano di campagna originario prima dell’inizio delle opere relative alla costruzione ese-guita dai sigg.ri S. Cesare, A. Daniela, S. Valeriano e R. Graziella;

b) determini il CTU se nel grafico consegnato al Comune dai costruttori il 3.7.1989 n. 7295 (doc. 14 dep. 28.7.1989), nel grafico allegato alla Concessione edilizia e nel rilievo aerofotogrammetrico del 1980 vi siano delle diversità nelle curve di livello indicando quale sia il livello prima del rilascio della concessione e dopo il rilascio della stessa;

c) dica il CTU se nella concessione edilizia così come rilasciata, si sia o meno tenuto conto, ai fini del piano di appoggio, dei movimenti di terra effettuati per la nuova strada di lottizzazione che avevano portato rispetto alle quote rilevate anche attraverso i rilievo aerofotogrammetrici effettuati nel 1980 ad un innalzamento del terreno sicuramente superiore ai due metri;

d) determini il CTU quale sia l’altezza del fabbricato dal piano di campagna su tutti i fronti dello stesso una volta edificato e quale avrebbe dovuto essere in base all’eventuale del piano di campagna originario;

e) determini il CTU le altezze del fabbricato conformemente alla tavola 7 (sezioni) allegata alla concessione edilizia, (Sezione B-B-lato valle) e stabilisca se l’altezza del fabbricato, che i ricor-renti affermano di m. 8,40, calcolata da terreno a tetto (2,40 garage + 0,30 solaio + 2,70 piano terra + 0,30 solaio + 2,70 piano primo) sia maggiore degli 8 previsti. Determini inoltre il CTU se le terrazze di cui sono dotate le soffitte siano o meno dei parapetti difformemente a quanto si evincerebbe dalla tavola 7, allegata alla concessione edilizia, nella quale risulta (Sezione A-A) che le cosiddette soffitte sono dotate di ampie terrazze (circa m. 3,80 x 2,80) con veduta a valle, terrazze ricavate da un taglio nel tetto e che sul lato esterno, del tetto non mantengono altro che una parvenza;

f) determini il CTU quale sia l’esatta superficie dei locali sotterranei o seminterrati e stabilisca la superficie ammissibile in base all’art. 108, ultimo comma delle N.T.A. (si prevede che le even-tuali costruzioni sotterranee o seminterrate non potranno superare con le loro superfici il 30% del rapporto di copertura ammesso. Si afferma che il lotto sul quale è stata rilasciata l’impugnata concessione edilizia non è di 1900 mq.);

g) determini il CTU quale sia l’effettivo volume edificato ”.

Le parti nominavano i rispettivi consulenti.

Nel frattempo, tuttavia, il CTU designato, con comunicazione pervenuta il 10 dicembre 2012, riferiva di avere condotto accurate indagini sia presso il Comune che la Regione nel tentativo, rimasto senza successo, di trovare documentazione adeguata, aggiungendo che non sarebbe stato ormai più possibile, a trent’anni di distanza, determinare l’originario stato dei luoghi.

Il prof. ********* dichiarava, pertanto, di rinunziare all’incarico.

Gli appellati con una conclusiva memoria deducevano che la controversia avrebbe ben potuto trovare definizione sulla base delle risultanze già acquisite, senza quindi necessità di nuovi approfondimenti, e concludevano per la reiezione dell’appello.

Gli appellanti, dal canto loro, insistevano per l’effettuazione di una consulenza tecnica d’ufficio, secondo quanto già disposto dalla Sezione.

Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

1 La Sezione rileva preliminarmente che il rilascio dell’accertamento di conformità dell’immobile in controversia con provvedimento comunale n. 12 del 2007 non ha messo in discussione l’esistenza dell’interesse a ricorrere che sta alla base della causa.

L’Amministrazione, nel dare riscontro alla richiesta di chiarimenti che le era stata rivolta, ha puntualizzato, difatti, che l’accertamento rilasciato riguardava mere modifiche non essenziali riconducibili a varianti in corso d’opera ai sensi dell’art. 15 della legge n. 47 del 1985, in ragione dell’omessa presentazione della formale variante, a tempo debito, da parte dei proprietari.

Non risulta quindi intervenuta alcuna forma di sanatoria (che, ove esistente, avrebbe potuto essere agevolmente documentata da parte appellante) rispetto ai profili di illegittimità denunziati dagli originari ricorrenti.

Sicché può senz’altro procedersi all’esame del thema decidendum di causa.

2 In proposito la Sezione non ritiene di dover rinnovare la CTU in precedenza disposta ma non condotta a termine.

In tal senso militano almeno due ragioni.

In primo luogo, non potrebbero non nutrirsi seri dubbi, dato anche il lasso di tempo decorso nelle more processuali (la controversia investe la legittimità di una concessione del 1988; la sentenza appellata risale al 1996), sulla materiale possibilità che un nuovo approfondimento istruttorio intorno al modo di essere dell’originario piano di campagna in sito riesca ad attingere risultanze e certezze già escluse dal tecnico verificatore officiato all’epoca del giudizio di prime cure (sono del resto eloquenti, nel senso indicato, le ragioni della motivata rinuncia all’incarico presentata dal prof. *********).

Onde l’incombente sarebbe destinato con ogni probabilità a tradursi in un mero fattore dilatorio della definizione della causa.

In secondo luogo, nell’ambito di una corretta dinamica dei rapporti tra giudizio amministrativo di primo e secondo grado all’insegna del generale divieto di nova in appello, un’integrale rifacimento dell’istruttoria già espletata dinanzi al Tribunale potrebbe giustificarsi solo allorché chi appella abbia fornito, assolvendo ad un preciso onere di allegazione e prova gravante su di sé, elementi tali da persuadere dell’esistenza, nell’istruttoria di prime cure, di vizi tali da comprometterne l’attendibilità, in difetto potendo solo farsi questione della corretta comprensione delle risultanze istruttorie da parte del primo Giudice. E l’attuale appellante, appunto, non è riuscito -come si vedrà- a fornire elementi atti a mettere realmente in discussione le risultanze della verificazione compiuta dinanzi al T.A.R.: anche perché, è appena il caso di notarlo, il grado di sufficienza esigibile in un’istruttoria va calibrato sulla specifica materia del contendere, in relazione all’esigenza di accertare la presenza, nel titolo, dei vizi di legittimità dedotti dalla parte ricorrente, e non su astratti obiettivi di cognizione integrale della realtà materiale circostante in ogni sua sfaccettatura.

3 L’appello è infondato.

3a La principale ragione di illegittimità rinvenuta dal T.A.R. nel provvedimento impugnato risiede nella violazione della disciplina sull’altezza massima dei fabbricati.

3b Tra le parti è incontroverso che l’altezza massima ammessa dallo strumento urbanistico vigente fosse di 8 ml.

Quanto alle modalità di calcolo dell’altezza, il Tribunale ha rilevato che l’art. 110 delle N.T.A. prescriveva, per i terreni comunque inclinati, di avere riguardo al terreno di appoggio della singola fabbrica, recependo inequivocabilmente la tesi di parte ricorrente (rimasta incontestata anche in questa sede) che all’uopo dovesse valere lo stato originario del piano di campagna.

Poste tali premesse, il primo Giudice si è attenuto, nella vicenda, alle risultanze della verificazione, alla stregua delle quali:

– la concessione era risultata rilasciata per un progetto che prevedeva un piano di appoggio non rispettoso delle quote originarie del piano di campagna, in quanto i movimenti di terra effettuati per la costruzione della nuova strada di lottizzazione avevano portato ad un innalzamento del livello naturale del terreno, con un incremento di entità non definibile con certezza ma, per il T.A.R., superiore ai due metri;

– anche indipendentemente da ciò, il verificatore aveva accertato, inoltre, che il fabbricato presentava verso valle (sia pure solo in corrispondenza dell’apertura dei garages) un’altezza di ml. 9,40, superiore di mt. 1,40 all’altezza massima prescritta.

3c A fronte di tanto, con il presente appello in sintesi si deduce: che la verificazione seguita dal Tribunale non sarebbe stata attendibile, per le ragioni esposte nella relazione del geom. Puliti allegata al corrente gravame; che le conclusioni del verificatore erano formulate tutte in termini dubitativi, e la relazione del medesimo risultava lacunosa ed imprecisa; che, infine, le conclusioni stesse sarebbero state fraintese.

3d Queste critiche non sono tuttavia persuasive.

Con riferimento alla verificazione espletata in primo grado l’originaria ricorrente ha ricordato, senza ricevere smentita, che, benché né la controinteressata né il Comune si fossero allora costituiti in giudizio, il verificatore aveva avuto modo di confrontarsi, nel corso dei propri accertamenti, anche con i rispettivi tecnici, agendo quindi in contraddittorio con tutte le parti.

Si è fatto inoltre notare che le valutazioni tecniche con cui le appellanti sottoponevano a critica l’operato del verificatore promanavano dallo stesso geometra che, avendo a suo tempo firmato il progetto e diretto i lavori in questione, non poteva essere reputato un soggetto imparziale.

Dopo queste immediate obiezioni di fondo va poi subito osservato, a proposito del deficit di “certezza” che inficerebbe le valutazioni del verificatore, che questi ha inequivocabilmente accertato, di contro, per un verso, che il fabbricato, così come obiettivamente realizzato, almeno in un punto misurava in altezza già mt. 9,40; per altro verso, che la concessione edilizia aveva previsto per il fabbricato un posizionamento ad una quota per certo sensibilmente più alta di quella, prescritta dalle N.T.A., dell’originario piano di campagna, circostanza che aveva reso la complessiva altezza effettiva della costruzione ancora superiore.

L’incertezza che il verificatore ha pur ravvisato, e non ha esitato ad ammettere, riguardava, invero, solo l’esatta entità della lievitazione apportata al livello di imposta del fabbricato, fenomeno la cui obiettiva esistenza e significatività era stata comunque dal tecnico constatata con inequivocabile certezza.

Orbene, parte appellante sostanzialmente non contesta che l’altezza della costruzione pervenga nel punto indicato alla misura di mt. 9,40, e tenta solo di negare la rilevanza della relativa criticità.

Sennonché, sembra evidente che il fatto che il superamento del limite di altezza sia stato riscontrato solo rispetto ad una parte del fabbricato (presso l’apertura dei garages) non permette, di per se stesso, di ignorare tale eccesso. La circostanza emersa si traduce comunque in una violazione della regola di altezza data, la quale, non v’è dubbio, deve essere rispettata, in assenza di deroghe, in ogni parte dell’edificio.

Quanto alla quota di collocazione del fabbricato, le doglianze di parte appellante, così come i suoi tentativi di individuare dei vizi logici o delle incompletezze nel ragionamento del verificatore, oppure un travisamento della sua opera da parte del primo Giudice, non possono essere seguiti.

Alla relazione del verificatore viene mossa la critica di essere basata su elementi troppo astratti, nonché quella di non avere tenuto conto di taluni aspetti asseritamente determinanti.

In particolare, si sostiene:

– che lo stato della vegetazione aveva falsato le ricognizioni altimetriche a suo tempo operate;

– che l’originario piano di campagna era stato alterato già in precedenza dai cantieri confinanti;

– che il bordo di Via Calcinaia, assunto dal verificatore come riferimento, non si troverebbe in realtà nella posizione catastale, bensì ruotato a valle;

– che il verificatore non avrebbe effettuato un rilievo di dettaglio dei luoghi;

– che negli elaborati grafici non era stata menzionata la presenza del riferimento di base denominato “stazione S”;

– che la riferita traslazione del fabbricato di alcuni metri verso valle sarebbe derivata da valutazioni grossolane;

– che il piano della lottizzazione aveva dovuto prevedere un’alterazione dei piani di campagna, il cui forte pendio avrebbe altrimenti creato difficoltà tecniche.

Gli asserti così allineati sono, però, formulati in modo del tutto apodittico, senza che sia stata dimostrata la loro veridicità, né tantomeno la loro specifica attitudine a vanificare le risultanze della verificazione.

Se a questo si aggiungono le due obiezioni di fondo indicate nell’apertura del presente paragrafo 3d, si rende allora evidente come la Sezione non possa non giudicare in termini di maggiore attendibilità il motivato e lineare percorso logico seguito dal verificatore imparziale rispetto alle interessate deduzioni del tecnico di parte appellante.

E va da sé che dagli appellanti non può essere utilmente invocata nemmeno la diversa disciplina introdotta dal nuovo strumento urbanistico tre anni dopo il rilascio della concessione, la cui legittimità è sub judice, secondo princìpi ben noti, alla luce della (sola) normativa del tempo in cui tale titolo è stato accordato.

4 Nell’ambito della materia del contendere una problematica più specifica riguarda le c.d. soffitte.

Il T.A.R., in proposito, sulla scia della verificazione ha riscontrato l’avvenuta realizzazione di vani sottotetto, dalla superficie coperta di mq. 105, i quali per l’altezza progettata e la tipologia delle terrazze a livello esistenti (dalla superficie di mq. 10,64) sono stati valutati come veri e propri ambienti mansardati, non compatibili con l’uso di soffitta indicato dal progetto. Ambienti che integravano, dunque, un incremento di volumetria di cui né il progetto di concessione, né il titolo rilasciato dall’Amministrazione, avevano tenuto conto.

Al riguardo l’appellante si limita ad obiettare, del tutto genericamente, che la porzione delle “soffitte” concretamente utilizzabile (“per ovvii motivi di altezza”) avrebbe avuto, in realtà, una superficie inferiore ai mq. 105 indicati dal verificatore.

Come fa notare la controparte, tuttavia, con tale replica non viene posto in discussione il punto che anche tali locali avrebbero dovuto essere inclusi, quantomeno per la porzione appena indicata (che gli appellati quantificano, senza venire smentiti, in oltre mq. 70), nel computo delle volumetrie. E il fatto è che questa inclusione non risulta avvenuta, essendo stato il piano “soffitte”, al contrario, interamente escluso dal calcolo del volume, che già con i piani inferiori era pervenuto all’esaurimento della cubatura massima (nel senso della possibile rilevanza urbanistica dei c.d. sottotetti, e per la loro conseguente includibilità nei computi volumetrici, v. ad es. C.d.S., IV, 30 maggio 2005, n. 2767, e 28 gennaio 2011, n. 678; V, 31 gennaio 2006, n. 354, e 4 marzo 2008, n. 918).

Sempre con riferimento alle c.d. soffitte, l’originaria ricorrente aveva altresì dedotto, e qui ripropone, il rilievo per cui le medesime, attesa la loro reale natura, dovevano essere incluse anche nel computo dell’altezza complessiva del fabbricato, non integrando esse, stanti le loro terrazze di corredo, quei puri e semplici “abbaini” o “parapetti” soli consentiti, entro certi limiti, dall’art. 110, lett. d), della N.T.A. (il primo Giudice si era già espresso, del resto, nel senso della computabilità anche del “prolungamento delle falde oltre il piano di facciata che ha permesso l’innalzamento del livello delle soffitte”: pag. 7 della sentenza in epigrafe). Ed anche questo logico rilievo, privo di puntuale replica ex adverso, deve essere ritenuto fondato, in coerenza con quanto testé osservato sulla natura dei locali di cui si tratta.

5 L’ultimo profilo dell’appello riguarda il piano interrato della costruzione.

Il Tribunale ha accolto, in merito, il terzo motivo del ricorso introduttivo, osservando quanto segue.

Secondo quanto accertato in sede di verificazione, a fronte di una superficie interrata massima assentibile di mq. 137,421, determinata ai sensi dell’art. 108, ultimo comma, delle N.T.A. (in base al limite, da questo imposto, del 30 % del rapporto di copertura ammesso), la superficie interrata assentita in concreto misura invece mq. 287,11 (tale essendo il dato con il quale il tecnico comunale ha corretto quello, di mq. 332,275, indicato dal progettista).

5a Con il presente appello si obietta in primo luogo che il motivo così accolto non sarebbe sorretto da alcun interesse a ricorrere. Avendo gli originari ricorrenti di mira la salvaguardia della vista panoramica un tempo goduta dal loro fabbricato, in tale ottica l’allegato maggior volume del piano interrato dei controinteressati dovrebbe risultare ininfluente.

Viene però esattamente opposto che ai confinanti va riconosciuto un interesse a contestare sotto ogni aspetto possibile la regolarità della concessione edilizia che sia stata rilasciata. Senza dire che non può affatto escludersi che l’accertamento che il piano seminterrato abbia una consistenza maggiore di quella ammessa possa riverberare riflessi sullo sviluppo complessivo, anche in altezza, del fabbricato nel suo insieme.

5b Venendo al merito, gli appellanti assumono che l’art. 108 delle N.T.A. sarebbe stato correntemente inteso dal Comune nel senso della limitazione della sua operatività alle sole parti di costruzione destinate ad un uso residenziale, e non accessorio (che invece qui ricorrerebbe).

Il testo della norma, tuttavia, con il proprio incondizionato riferirsi alle “eventuali costruzioni sotterranee o seminterrate”, e con la perentorietà della propria prescrizione per cui queste “non potranno superare con le loro superfici il 30 % del rapporto di copertura ammesso”, non fornisce alcun appiglio all’interpretazione restrittiva ipotizzata dalla parte appellante, la quale comunque nemmeno dimostra –per quel poco che ciò potrebbe valere- che una simile interpretazione corrispondesse effettivamente alla comune interpretazione amministrativa del precetto.

5c Da parte degli appellanti viene invocato, inoltre, il concorrente disposto dell’art. 113, comma 6, delle stesse N.T.A., che recita: “…nel computo del volume saranno incluse le parti di fabbricato interrate, … per la parte eccedente il 30 % del volume ammissibile fuori terra con gli indici di zona”.

Questa previsione, però, lungi dal contraddire o derogare alla precedente, opera su un piano differente rispetto a quella.

L’art. 108, ult. comma, delle N.T.A., che riguarda sia le costruzioni sotterranee che quelle seminterrate, si occupa della superficie massima delle une e delle altre: e per esse impone il rispetto di una soglia imperativa, allo scopo di contenere la loro possibile incidenza sugli equilibri interni dei fabbricati. La norma non si occupa dunque di volumetrie.

L’art. 113 comma 6, dal canto suo, presuppone la vigenza della regola appena vista in tema di superfici. Esso si occupa, peraltro, soltanto di volumetrie, segnatamente quelle delle costruzioni interrate, e stabilisce che le prime non debbano essere incluse nel computo del volume complessivo del fabbricato, se non nella eventuale parte eccedente “il 30 % del volume ammissibile fuori terra”.

Da qui la piena autonomia reciproca delle due regole appena viste, la seconda delle quali non smentisce né limita la prima sotto alcun profilo.

5d Dagli appellanti viene richiamato, infine, il nuovo regolamento edilizio, nella parte in cui esso avrebbe superato “la problematica delle volumetrie interrate”. Il sol fatto che si tratti di norme sopravvenute al titolo della cui legittimità di tratta è, però, sufficiente a far concludere che le medesime esulano dalla materia del contendere, e che il loro richiamo è pertanto privo di pregio.

6 Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto.

Le spese sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte appellante al rimborso all’appellata delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida nella complessiva misura di euro tremila con l’aggiunta degli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013

Redazione