Valida multa in zona Ztl anche se segnaletica è complessa e manca il timbro sul retro (Cass. n. 5809/2012)

Redazione 12/04/12
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Svolgimento del processo

Con ricorso dell’11.3.06 al Giudice di Pace di Verona T. M.C., nella qualità di proprietaria di un autoveicolo in relazione al quale erano state verbalizzate dalla polizia municipale n. 33 violazioni dell’art. 7 C.d.S., per altrettanti ingressi in orari non consentiti in una zona a traffico limitato della suddetta città (c.d. (omissis)) tra il 24.11.05 ed il 25.11.06, propose opposizione ex artt. 204 bis cit. cod. in rel. ***** 689 DEL 1981, art. 22 deducendo vari profili di illegittimità delle contestazioni.

Resistita dal Comune di Verona, la plurima opposizione fu respinta dal giudice adito con sentenza n. 4644/07, avverso la quale l’opponente propose appello.

Tale impugnazione, cui aveva resistito l’ente appellato, venne accolta dall’adito Tribunale di Verona, con sentenza del 3.3.- 15.7.10, annullando tutti i verbali opposti e condannando il Comune alle spese del doppio grado di giudizio.

Disattesi i primi tre motivi (rispettivamente deducenti l’illegittimità costituzionale dell’art. 198 C.d.S., comma 2 nella parte non prevedente la possibilità di irrogare unica sanzione in caso di ripetute violazioni della stessa disposizione, la mancata applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 8 bis e l’omissione di adeguata pubblicità circa l’estensione della Z.T.L. alla località cittadina interessata), il giudice di appello riteneva invece fondati i rimanenti tre, al riguardo rispettivamente considerandocela scorta della documentazione fotografica dimessa dallo stesso Comune: a) che la segnaletica era inadeguata, contraddittoria poco leggibile e tale da indurre in errore gli automobilisti, in quanto, ad un primo cartello indicante un divieto di svolta a destra limitato dalle ore 7 alla 21, 59, ne faceva seguitoci l’ingresso della zona ” (omissis)”, un secondo “complicatissimo con diciture assai minute” indicanti diversi orari di divieto di transito nell’arco della giornata, mentre mancava ogni opportuna segnalazione luminosa; b) che sul retro dei cartelli non erano indicati, in violazione della prescrizione contenuta nell’art. 77 reg. esec. C.d.S., comma 7, gli estremi del provvedimento comunale istituente i divieti; c) che infine le telecamere rilevatrici non risultavano omologate, mentre la documentata revisionerei giugno 2005, era anteriore alla loro installazione avvenuta nel mese successivo.

Avverso la suddetta sentenza il Comune di Verona ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Ha resistito la T. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale vengono dedotte violazione degli artt. 345, 115 e 116 c.p.c., art. 7 C.d.S., comma 1, lett. b), art. 39 C.d.S., comma 2, art. 45 C.d.S., comma 1 (D.Lgs. n. 245 del 1992), art. 77 reg. att. C.d.S., comma 1, art. 135 reg. att. C.d.S., comma 14 e fig. 2^ art. 322 reg. att. C.d.S. (D.P.R. n. 495 del 1992), L. n. 689 del 1981, art. 3 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, censurandosi l’accoglimento dell’appello e dell’opposizione sulla base della prima ratio decidendi in narrativa riferita.

Si lamenta, sul piano processuale, che sarebbe stata recepita una ragione oppositiva inammissibile, perchè diversa da quelle addotte in primo grado.

Sul piano sostanziale, si sostiene che l’esclusione della colpa dell’automobilista (nella specie il marito dell’opponente), incorso nelle reiterate violazioni, sarebbe stata erronea e contraria, in assenza di prove di caso fortuito o forza maggiore, alla presunzione dettata dalla L. n. 689 del 1981, art. 3 essendo stata la Z.T.L. istituita per motivate esigenze ambientali su autorizzazione ministeriale, concretamente attuata con segnaletica conforme alla normativa codicistica e regolamentare, oltre che al provvedimento autorizzativo, tenuto conto in particolare della particolare sequenza delle relative indicazioni e prescrizioni, che avrebbero reso perfettamente intelligibili i divieti, nelle fasce orarie di riferimento, nella specie violati.

Il motivo è fondato.

Pur rilevandosi, sul piano processuale, che la doglianza accolta dal giudice di appello era stata proposta, si a pure in termini alquanto generici, nell’ambito del secondo motivo del ricorso di primo grado (laddove si era tra l’altro accennato ad un “segnale stradale impossibile da interpretare”, successivamente rimosso dal Comune), va osservato, sotto il profilo so stanziale, che nella situazione descritta dal giudice d’appello non può configurarsi alcuna contraddittorietà della segnaletica, tale da indurre in errore un automobilista dotato di media diligenza, tenutoci sensi dell’art. 38 C.d.S., comma 2 all’osservanza delle prescrizioni rese note a mezzo della segnaletica stradale, quando questa sia, come previsto dal successivo art. 39, comma 2, sia conforme alle caratteristiche di formato, dimensioni e simbologia stabilite nel regolamento attuativo.

In particolare, la possibilità di svolta a destra in determinati orari, desumibile dal primo cartello menzionato nella sentenza impugnata, non dispensava il conducente dal prestare attenzione ai successivi segnali, che, proseguendo nella marcia, avrebbe poi incontrato, considerato che la vigenza spaziale di ogni divieto o prescrizione non può che valere fino al punto in cui non se ne incontri una successiva di contenuto diverso; sicchè non può ravvisarsi scusabile, in guisa da escludere la colpa L. n. 689 del 1981, ex art. 3 l’errore scusabile, consistito, come nella specie ritenuto dal Tribunale, nell’aver proseguito la marcia confidando nella persistente vigenza della prima segnalazione, senza tuttavia prestare attenzione a quella successiva, che, regolando in concreto l’accesso alla zona a traffico limitato, conteneva, come è nella specie incontroverso, le prescrizioni di orario in concreto disattese dal conducente. Del tutto generiche ed irrilevanti risultano le osservazioni del giudice di appello, secondo cui tale secondo cartello sarebbe stato “complicatissimo e con diciture assai minute”, considerato: a) anzitutto che, a fronte della deduzione da parte del Comune di legittimità della segnaletica, non era stata specificamente dedotta la non conformità della stessa alle caratteristiche dimensionali, simbologiche e grafiche previste nel regolamento di esecuzione e attuazione del nuovo C.d.S. (D.P.R. n. 495 del 1992), in particolare alla “figura 2^ 322/a art. 135”, prevedente, oltre ad un ben visibile segnale di divieto di circolazione (costituente la regola generale), anche un sottostante pannello integrativo, indicante le eccezioni a tale divieto; b) che lo stesso giudice, comunque, è stato in grado di leggere, dalla riproduzione fotografica in atti, le prescrizioni, con particolare riferimento agli orari contenute nel pannello, il che lascia presumere (tanto più in assenza di una specifica deduzione dell’opponente, che aveva essenzialmente lamentato la natura “complicatissima” del segnale e l’assenza di adeguata pubblicizzazione dell’estensione della Z.T.L., ma non l’illeggibilità grafica), che le stesse fossero leggibili dagli automobilisti.

Ogni altra considerazione esposta al riguardo nella sentenza, sconfinando palesemente in valutazioni di opportunità circa l’adozione e le modalità attuative del provvedimento de quo, vale dire in un campo riservato alla P.A., in concreto attenutasi alle citate disposizioni codicistiche e regolamentari, de ve ritenersi del pari irrilevante ai fini del riscontro dell’elemento soggettivo delle infrazioni, la cui presunzione di sussistenza L. n. 689 del 1981, ex art. 3 non è risultata nella specie superata.

Con il secondo motivo si censura, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 77 reg. esec. C.d.S., comma 7 (D.P.R. n. 495 del 1992) l’accoglimento del motivo di opposizione relativo alla mancata indicazione sul retro dei segnali in questione degli estremi del provvedimento impositivo, deducendo, con richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, che la relativa omissione non determina l’illegittimità dei divieti o prescrizioni segnalatane esime gli utenti della strada dalla relativa osservanza, assolvendo le indicazioni a mere esigenze di controllo interne alla P.A., ed osservando che comunque, nel caso di specie, l’opponente si era limitata ad un rilievo meramente formale, senza porre in dubbio la sussistenza di un provvedimento ad hoc del Comune, copia del quale era stata peraltro prodotta dalla difesa dell’ente. Anche tale motivo è fondato, alla luce del principio, desumibile dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, fermo restante l’obbligo degli automobilisti di prestare osservanza alle prescrizioni e divieti risultanti dalla segnaletica stradale, il solo rilievo formale della mancanza sul retro dei cartelli dell’indicazione, prescritta dall’art. 77, comma 7 del regolamento citato, del provvedimento legittimante la relativa apposizione, ove non ne sia contestata la radicale sussistenza (ipotesi nella quale l’amministrazione opposta è tenuta fornirne la prova), non costituisce, in assenza di alcuna disposizione che la preveda, motivo di illegittimità degli obblighi o divieti (v., tra le altre, Cass. nn. 12431/10, 16884/07, 8667/06, 715/06, 3962/06). Nel caso di specie il giudice di appello non ha tenuto conto che l’opponente si era limitata ad un mero rilievo formale e che, comunque, il Comune aveva documentalmente provato l’esistenza del provvedimento de quo, peraltro già ammessa dalla predetta, che ne aveva soltanto lamentato l’inopportunità e l’inadeguata pubblicizzazione.

Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201 e D.P.R. n. 495 del 1992, art. 383 degli artt. 115, 116 c.p.c., nonchè omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo, censurandosi la terza ratio decidendi della sentenza impugnata, in contrario osservando che nessuna norma impone che nel verbale siano indicati gli estremi dell’omologazione dell’apparecchio impiegato per l’accertamento dell’infrazione; tale omologazione era comunque intervenuta con decreto ministeriale del 31.5.01, prodotto in copia agli atti, al pari di quello del 28.4.05 di autorizzazione del Comune di Verona all’istallazione dell’impianto. Il Tribunale avrebbe confuso l’omologazione con la revisione delle apparecchiature ed erroneamente ritenuto, in assenza di alcuna disposizione che la imponesse, non trattandosi di strumenti di misura, ma di registrazione di fotogrammi, la necessità della taratura;peraltro, quand’anche vi fosse stato un obbligo di revisione annuale, essendo stato l’impianto installato, previo documentato collaudo, nel luglio del 2005, all’epoca dei rilievi delle infrazioni, tra il novembre dello stesso anno ed il gennaio del successivo, il temine revisionale non sarebbe ancora scaduto.

Anche tale motivo deve essere accolto, risultando assorbente, rispetto ai suesposti, pur fondati, rilievi, la considerazione della radicale e palese irrilevanza del motivo oppositivo, in un contesto nel quale l’opponente non aveva contestato l’avvenuto reiterato transito del proprio veicolo nella zona interdetta al traffico nei giorni e negli orari riportati nei singoli verbali, ma essenzialmente dedotto la sostanziale l’illegittimità del divieto stesso e la mancanza di colpa del conducente nell’accedere alla Z.T.L. in quegli specifici orari; sicchè, il mero rilievo formale, circa l’assenza di “omologazione” e “taratura” delle apparecchiature, con le quali si era proceduto all’accertamento fotografico delle infrazioni risultava fine a sè stesso e privo di concreta rilevanza, attesa l’implicita ammissione delle condotte trasgressive. Manifestamente infondato è, infine, il ricorso incidentale condizionato (da esaminarsi in conseguenza dell’accertata fondatezza di quello principale), con il quale si lamenta la mancata applicazione alla fattispecie della L. n. 689 del 1981, art. 8 bis norma che, tenuto conto della identità delle violazioni e del limitato arco temporale della relativa commissione, sostanzialmente integranti, secondo la deducente, un’”unica condotta di durata”, avrebbe a suo avviso comportato l’irrogazione di una sanzione unica.

Premesso che la soluzione di continuità temporale tra le varie condotte, ciascuna consumata ed esaurita nelle circostanze di tempo e luogo accertate nei rispettivi processi verbali, rende improponibile l’adombrata tesi della “permanenza”, richiedente una condotta unitaria protratta nel tempo, e che, sotto il profilo della “continuazione”, la normativa in materia di sanzioni amministrative, come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre nn. 12844/08, 944/11), non prevede un istituto di generale applicabilità, analogo a quello di cui all’art. 81 cpv. c.p. prevedendo la L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 1 in via generale, l’applicazione di sanzione unica solo per i casi di concorso formale, mentre tale trattamento, per una pluralità di violazioni commesse in tempi diversi in esecuzione di un medesimo disegno trasgressivo, è esteso, dal secondo comma, soltanto alle violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie), inconferente risulta il richiamo all’art. 8 bis cit. Tale norma, aggiunta dal D.Lgs. n. 507 del 1999, art. 94 come è stato pure chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (v. in particolare nn. 17347/07, 5225/11), non ha introdotto in materia di sanzioni amministrative l’istituto della continuazione, analogo a quello penalistico, bensì quello della “reiterazione”, corrispondente ad alcune forme dell’aggravante della “recidiva” (art. 99 c.p.), per i casi in cui alle stesse siano connessi particolari effetti da specifiche disposizioni di legge.

La sentenza impugnata va conclusivamente cassata, senza rinvio, essendo stati i rimanenti motivi di opposizione già respinti in sede di merito, provvedendosi direttamente in questa sede alla reiezione dell’appello ex art. 384 c.p.c., comma 11, u.p., non rendendosi necessari altri accertamenti di fatto.

Le spese del secondo grado di giudizio e del presente, infine, vanno posti a carico della soccombente.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e, pronunziando nel merito, rigetta l’appello.

Condanna la resistente al rimborso in favore del Comune di Verona delle spese processuali, che liquida, quanto a quelle del giudizio di appello, in complessivi Euro 1.500,00, di cui 500,00 per diritti e 200,00 per esborsi, e, quanto a quelle del presente, in complessivi Euro 1.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Redazione